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Autore: Jo_The Ripper    27/12/2015    0 recensioni
Prima di Captain America e di Soldato d’Inverno, c’erano solo due bambini: Bucky e Steve.
E questo è l’inizio della loro storia.
Quella notte, stretto nelle coperte consumate dal tempo, James non riusciva a smettere di sorridere. Per la prima volta la sua richiesta di Natale era stata esaudita.
Aveva trovato un amico.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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I miei occhi captano solo il buio. Un buio fitto, un limbo di oscurità in cui fanno galleggiare il mio corpo. Il mio cuscino è tenebra intangibile, la mia coperta gelido metallo, il cui il freddo si instilla in profondità nelle ossa. 
Un freddo fatto di momenti cristallizzati, che fioccano in un angolo della mia mente e la sconvolgono e la torturano.
Acuminati stiletti di ghiaccio, che trasformano la neve caduta al suolo in valanga. 
Quel bianco accecante, un ultimo lampo prima del blackout.

Loro la chiamano 
progettazione comportamentale; io, un nome, nemmeno gliel’ho dato.
Potrebbe essere distruzione, annullamento, morte. Questi scienziati non lasciano molta capacità di scelta. 
Parole manipolatrici scivolano dalle loro labbra e sono un fiume in cui scorre latte e miele, velluto sulla pelle, impalpabile adulazione. Tutto assume una prospettiva diversa, sembra estremamente ragionevole. E in un attimo mi ritrovo all’angolo, ho stretto un patto di sangue e vincolato la mia anima a quella che definiscono scienza.

Scienza della guerra la chiamano, ed io sarò l’arma innovativa, l’ago della bilancia che capovolgerà il gioco del potere.
Mi spezzano, mi consumano un po’ alla volta, mi scavano nel cervello fino ad estirparmi tutto quello che non corrisponde alle voci da spuntare nelle loro belle cartelle. 
Ma nulla ha più importanza dopo l’iniezione in vena di chissà quale sostanza dal nome complicato. 
Mi dicono che sarò diverso dall’altro soldato. Non avrò le sue debolezze, le sue imperfezioni, i sentimenti non faranno breccia nel mio cuore. 
Le voci mi arrivano sempre più distanti, perse nella loro rassicurante nenia. 
La mente si ottenebra e la realtà sfuma in un sogno distorto.
E nel sogno ci sono due bambini che si stringono la mano.


*

L’inverno della Virginia era freddo e rigido. Dalla finestra della grande camerata dove sostavano bambini in attesa di una famiglia, James alitava sul vetro e disegnava pigramente cerchi concentrici con la punta del dito magro. Osservava le auto cingolate percorrere il viale ed entrare nella base militare poco lontana, stipate di alti uomini in divisa e medaglie luccicanti. Gli piacevano, quelle divise. Quando capitava di incrociare dei militari per strada, non perdeva occasione di studiarli con attenzione dalla testa ai piedi. Così composti, fieri, orgogliosi di servire il Paese e di camminare sul binario dell
onore.
La voce stridula di suor Margareth, che chiamava il suo nome, gli fece sollevare gli occhi al cielo, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. A malincuore lasciò la sua postazione e, a passo svelto, inforcò le scale scricchiolanti per scendere nel piccolo refettorio/sala ricreativa.
Suor Margareth, quando lo vide arrivare, sospirò in maniera rassegnata. Si limitò quindi a fargli indossare un cappotto sdrucito, appartenuto a chissà quanti ragazzini prima di lui, e ad avvolgergli una rattoppata sciarpa attorno al collo.
James infilò le mani in tasca e si avviò verso l’uscita con gli altri bambini. Era il più grande e toccava a lui chiudere la fila e sorvegliare i più piccoli.
L’aria gelida gli fece intirizzire il corpo tanto che dovette fare uno sforzo notevole per rimettere in moto le gambe, ormai bloccate sul posto.
Prese a camminare, lo sguardo attratto dalle ghirlande di biancospino alle porte, dalle luci intermittenti avvolte con maestria sui tronchi degli alberi spogli, dai gustosi biscotti di pan di zenzero decorati di glassa che abbellivano le vetrine delle pasticcerie e che gli facevano venire l’acquolina in bocca.
Le campane della chiesa suonavano a festa. Lui, però, tutta la gioia del Natale proprio non la sentiva, anzi: un senso di tristezza gli serrava il cuore alla vista di quei bambini che, per strada, camminavano stretti mano nella mano con i genitori. Indicavano con il dito paffuto i balocchi nei negozi sperando che Babbo Natale glieli portasse.
A lui, i genitori, avevano lasciato solo un nome ed una vecchia fotografia sbiadita che conservava come una preziosa reliquia sotto al cuscino.

La chiesa odorava di incenso e dei profumi delle anziane signore imbellettate che sfoggiavano la loro pelliccia delle grandi occasioni. James si sedette su una delle lunghe panche, ancora una volta attirato dalle vetrate policrome, dagli addobbi rosso sgargiante con finiture d’oro che adornavano l’interno, il fonte battesimale di marmo rosa candido. 
Poi dei colpi di tosse ripetuti deviarono la sua attenzione. Ruotò il capo verso l’ingresso della chiesa e vide un ragazzino che ad occhio e croce doveva essere suo coetaneo. Camminava stretto al fianco della madre, avvolto in un cappotto pesante e si teneva la mano guantata sulla bocca, continuando a tossire.
I due si fermarono nella fila davanti a lui e la madre del bambino gli posò la mano sulla spalla per invitarlo a sedersi; questi obbedì con docilità.
James notò il suo colorito pallido, la fragilità che nascondeva sotto gli indumenti pesanti. Suor Margareth gli scoccò un’occhiata truce quando tutti si alzarono per l’inizio della funzione e lui no. Scattò  in piedi e cominciò a cantare gli inni, fingendo di dimenticare la figura minuta davanti a lui.

Quando la messa terminò, James venne rimesso in fila insieme agli altri per tornare in orfanotrofio. Mentre camminavano sulla strada innevata, il ragazzino e sua madre gli passarono accanto con una certa fretta. Fu in quel momento che vide un fazzoletto cadere a terra e depositarsi silenziosamente sulla neve.
Senza pensarci, James ruppe la fila e prese a correre verso di loro, ignorando i richiami di suor Margareth.
“Ehi, ehi, fermatevi!” gridò e una piccola nube calda uscì dalla sua bocca. Quando li raggiunse strattonò debolmente il cappotto del ragazzino per attirare la sua attenzione.
Appena si voltò, James gli allungò il fazzoletto.
“Ti è caduto mentre camminavi.”
L’altro osservò con riluttanza ciò che gli stava porgendo, e James seguì la traiettoria del suo sguardo: sulla superficie bianca immacolata, senza che lui l’avesse notata prima, c’era una grande goccia di sangue scarlatto.
“Come si dice, Steve?” il bambino alzò gli occhi verso la madre e rispose con voce sottile un grazie stentato.
James inarcò un sopracciglio e gli infilò il fazzoletto sotto al naso, con poca grazia.
“Stai sanguinando di nuovo. Non stai bene?”
La domanda dovette infastidirlo, perché il bambino corrugò la fronte in maniera piccata.
“Solo un po’ di raffreddore.”
In quel momento arrivò tutta trafelata suor Margareth, che non perse occasione per afferrare James per un orecchio, dandogli della canaglia per averle fatto fare una corsa il giorno di Natale. La madre del ragazzo si apprestò a spiegarle che era corso per restituire il fazzoletto caduto e che, per ringraziarlo, lo invitava a bere una cioccolata calda. James guardò la suora con aria trionfante, ben felice dell’evoluzione delle cose tutta a suo favore.

Una volta entrati nel caffè, seduto al tavolino con quella tazza fumante che rappresentava il suo miglior Natale praticamente da sempre, James non poteva davvero credere alla sua fortuna.
“Come ti chiami?” gli chiese il ragazzino.
“James Buchanan Barnes. Tu?”
“Steven Rogers, ma puoi chiamarmi Steve.” 
Si strinsero la mano e trascorsero qualche ora in cui James gli elencò tutti i giochi che ideava per gli altri bambini dell’orfanotrofio e gli scherzi che faceva ai danni di suor Margareth. Steve ascoltava, attento e rapito, parlando poi a sua volta dei giocattoli che aveva a casa e della sua collezione di figurine sportive.
“Qualche volta potresti venire a giocare con noi.” Propose speranzoso James.
“Anche tu potresti venirmi a trovare. Mi piacerebbe avere un compagno di giochi, da solo mi annoio.”
Il viso di James si illuminò e diede il suo assenso, anche se prima avrebbe dovuto convincere quella ‘donna pinguino’ a farlo uscire.
Come due uomini vissuti si salutarono con una stretta di mano, davanti al portone dell’orfanotrofio.

Quella notte, stretto nelle coperte consumate dal tempo, James non riusciva a smettere di sorridere. Per la prima volta la sua richiesta di Natale era stata esaudita.
Aveva trovato un amico.

*

“Ti è stata assegnata un’identità dalla nascita e tu trascorri tutta la vita a vedere se ti ci ritrovi. Provi ad essere tante persone, indossi ed abbandoni diverse maschere. Perché darsi tanta pena? È quando smantelliamo la nostra armatura che facciamo emergere ciò che è reale.
Smantellare è cancellare ciò che indebolisce, smantellare è perfezionare, smantellare è liberare.”
La voce del dottor Zola è calma e pacata, con un accenno di entusiasmo malamente celato quando mi stringe le cinghie di cuoio attorno ai polsi.
“Sei la mia creatura perfetta.” Mi accarezza con fare paterno il capo e comincia a spalmare la pasta conduttrice sulle tempie. Mi apre la bocca ed il sapore di plastica del morsetto mi disgusta. Sento il freddo metallo degli elettrodi laddove sono fissati alla mia pelle. 
Ecco, ci siamo, la cura sta per arrivare. 
Quando abbassa l’interruttore ci vuole un decimo di secondo per far esplodere il ricordo con una scarica elettrica da 450 volt.
È il tremolio delle palpebre prima di svegliarsi, il dolore di un momento prima di tornare alla vita.
Ogni giorno James Buchanan Barnes muore e, dalle sue ceneri umane, rinasce Soldato d’Inverno.
Il soldato perfetto.



***
Salve a tutti! Ho da poco rivisto Capitan America: Winter Soldier e devo dire che Cap non è tra i miei personaggi preferiti (in generale, non solo nei film) ma come potevo non annegare nei feels per Bucky? Impossibile. Diciamo che la mia lista di villains con problemi al seguito ha un nuovo componente.
Passiamo alle note del caso:
1. Senza Cecilia questa one shot non avrebbe mai visto la luce, ma sarebbe rimasta confinata in un angolo buio del mio computer (probabilmente nella cartella di foto di Sebastian Stan, coff coff) quindi GRAZIE!
2. Ho provato a bilanciare gli elementi film con quelli fumetto, speriamo di non aver fatto danni eccessivi. Bucky è un orfano cresciuto nella base militare di Fort Lehigh, dove fa amicizia col soldato semplice Steve Rogers. Ho seguito la linea del movieverse che li vuole, invece, amici fin dall
 infanzia.
3. Questa one shot è stata rieditata dalla precedente che avevo postato. Ho apportato delle correzioni e beh, mi sembrava più che doveroso ripostarla in questo periodo natalizio, dato che è ambientata lì XD
4. Il feedback dei lettori sarebbe veramente molto gradito a questa autrice, che vive nella desolazione dell
 attesa dello speciale di Sherlock. Vogliatemi bene <3
Grazie a chiunque passerà a leggere e buone feste a tutti! ^^
  
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