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Autore: Seven Scars    03/01/2016    1 recensioni
Questa è una raccolta, che ho scritto e mai concluso tre anni fa, costituita da punti di vista di vari personaggi della saga di Hunger Games. L'ispirazione è arrivata dalle canzoni e musiche del primo film di Hunger Games. Era mia intenzione pubblicare la raccolta completa, ma dopo tanto tempo ho deciso di pubblicare le prime quattro scritte, nella speranza di completare le altre di cui esistono già delle bozze.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Felici Hunger Games

 

Run, run, run and hide
Somewhere no one else can find
Tall trees bend and lean pointing where to go
Where you will still be all alone.
Don't you fred, my dear
It'll all be over soon
I'll be waiting here for you“


 

Il giorno della mietitura è considerato un grande evento in tutta Panem e a modo suo lo è, perchè decide le sorti di molti. Non sono in gioco soltanto la vita dei tributi, e dire soltanto è un eufemismo, ma anche quella dei parenti, dei distretti, degli amici e di chi sopravvive a questa strage.
 

Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”


Quando alla mietitura sentii Effie urlare fiera il nome di Primrose Everdeen come tributo femminile del Distretto 12 mi si bloccò il corpo, perchè già sapevo, sapevo che lei avrebbe urlato quelle tre parole.


Mi offro volontaria!”


Non avrei dovuto, ma il terrore si impadronì delle mie ossa e non potei fare a meno di sussurrare il suo nome. Pregai perchè non venisse accettata la sua proposta.Non lei, chiunque altra sarebbe andata bene. In confronto avrei preferito il sacrificio della sorellina appena dodicenne e mi sentii tanto male per averlo pensato che avvertivo l'acido in bocca. È soprattutto questo il peggio degli Hunger Games: spingono a volere la morte degli altri.

Quando Effie Trinket accolse la sua richiesta mi sentii morire dentro.


Non preoccuparti figliolo, non hai mai fatto tessere. Siete in tanti, tu non uscirai”


Era avvenuto tutto talmente in fretta che nemmeno mi resi conto che era arrivato il momento. Già, proprio quello che avrebbe dovuto importarmi di più. C'è stato un attimo in cui, dopo essermi reso conto che era arrivato il turno per il sorteggio maschile, avrei voluto urlare “Fermi, non ancora!”, ma rimasi zitto. Mi si bloccò la voce in gola dal terrore di cosa sarebbe potuto accadere dopo pochi secondi. Mi ero lasciato distrarre da lei e dalla sorella, non ero ancora psicologicamente pronto. Il punto è, lo sarei mai stato? Ovviamente no. Eppure in quell'istante la mia mente lo cercava ancora quel minuto in più nell'incertezza assoluta, senza sapere cosa mi sarebbe accaduto. Meglio rimanere nel limbo piuttosto che dover affrontare la realtà di dover entrare nell'arena.
Dimenticai totalmente lei e la sorellina che piangeva e questa è una delle cose di cui più mi pento. L'unica cosa che riuscii a fare fu deglutire e chiudere gli occhi non appena sentii Effie Trinket parlare di nuovo, braccia tese e pugni chiusi, le nocche bianche.


E' giunto il momento di scegliere il nostro tributo maschile. Peeta Mellark!”


Mi si fermò il cuore. Tutti si fermarono, tutto il mondo si bloccò. Il compagno alla mia destra, mio padre che assisteva alla scena a qualche metro più in là, gli uccelli che volavano alti sopra di noi.
Mi sentivo lontano da tutti. Non mi sembrava reale, per alcuni istanti pareva soltanto uno dei miei incubi più frequenti, niente di più. Non poteva essere vero, c'era quella strana luce, quella che vediamo solo nei sogni. Era tutto troppo nitido o troppo sfocato, non riuscivo a capirlo.

E intanto non mi muovevo. Ero fermo, immobile al mio posto, con i pugni ancora serrati. Ci impiegai troppo, parevano ore, per capire che era tutto vero, perchè mi guardavano tutti. Gli sguardi di decine e decine di ragazzi (alcuni poco più che bambini) su di me, sul mio viso, sulle spalle, felici che fossi io il tributo. Solo io ancora non riuscivo a focalizzare la mia attenzione su questo, non capivo per la prima volta nella mia vita cosa implicasse l'essere sorteggiato da quell'urna. Sapevo solo che dovevo muovermi, dovevo salire sul palco. Mossi un passo, poi un altro, poi ancora un altro. Mi sentivo come un pezzo di legno, come un bambino che sta imparando a camminare. Un passo, poi un altro, poi un altro ancora e fui sul palco. Mi voltai a guardare “il pubblico” e credo quello sia stato il momento peggiore della mia vita. In quel preciso istante capii che non sarei mai più tornato a casa. Non avrei più rivisto la mia famiglia, il distretto 12. Sarei morto, probabilmente in qualche modo orribile quanto spettacolare, non c'era dubbio.

Volevo piangere. Non lo nascondo, in quel momento avrei voluto piangere, ma ogni lacrima sembrava un macigno. Quindi non piansi. Lo avrei fatto dopo. Poi Effie mi chiese di stringere la mano di Katniss. Le cose erano andate anche peggio dei miei incubi peggiori.

Non sono bastate le prime ore a farmi accettare l'idea di morire. Ho dovuto passare due settimane nel lusso di Capitol City e di quel maledetto treno per capire che tutto quello non era reale. Sarebbe stato reale tutto quello che sarebbe avvenuto dopo, nell'arena, con dodici tributi a scannarsi tra loro. Chi sarebbe stato il primo a cedere? Sarei stato io?


«Lei no. Lei non può, perchè l'ho deciso io.»


Da quel momento credo che per me sia cambiato tutto quanto. Avevo la consapevolezza di dover fare una scelta, la migliore che potessi fare. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto che sperare nell'impossibile era come aspettarsi di poter tornare indietro dalla morte: da stupidi. Non so se la scelta che presi fosse la migliore, ma era la migliore per me. Se davvero non avevo speranze, allora perchè non provare a morire con dignità? A morire come io volevo, senza lasciare che qualcuno pensasse di potermi annullare, di decidere quale fosse la migliore inquadratura per mandare in mondovisione la mia morte. All'inizio io credevo di aver paura di morire, ma c'è stato un momento in cui ho avuto chiaro tutto. Alla luce di tutto quello che era successo, la cosa che più temevo era tornare a casa.

 

«Non c'è problema, ti suggerisco io cosa fare. Vincere e tornare a casa. A quel punto non potrà respingerti, ti pare?»

«Non credo che funzionerà. Vincere...non servirebbe, nel mio caso»

«E perchè mai?»

«Perchè lei è venuta qui insieme a me».

 

Haymitch inizialmente non ha fatto i salti di gioia. Non l'ha mai trovata particolarmente simpatica, a tratti non avrei potuto nemmeno biasimarlo. Quando capì che non avrei ceduto non potè fare altro che constatare che, insomma, era geniale. Non mi chiese il motivo, credo abbia capito e basta. Aveva forse altra scelta, se non accettare? Io mi sarei comunque arreso e doveva pur tentare di salvare un tributo del Distretto 12, farla scampare di nuovo a qualcuno. Avrebbe dovuto riportare indietro una vita.

 

«Non sono mai stato in gara per la vittoria»

 

Ed è davvero così importante dove mi trovo ora, dove sono steso a morire? Per molti distretti tutto questo è un onore, per Capitol City uno spettacolo. Per me non è nulla, se non un bosco che non ha alcun significato per me. La verità è che la morte ci rende anonimi e insignificanti, un cumulo d'ossa. E' pur sempre una vita che scivola via che un giorno verrà dimenticata o considerata solo come un sacrificio in nome dell'ingiustizia di Panem.

Prima di mettere piede nell'arena credevo che il più allenato avrebbe vinto, quello che considera uccidere coetanei e vincere gli Hunger Games motivo d'orgoglio, “per se e per i suoi”. Ora, steso qui terra coperto di fango e nascosto tra foglie a sfiorare la morte, mi rendo conto di come le cose vadano davvero: non vince il più forte, ma chi tra questi ha la forza di continuare a vivere anche dopo gli Hunger Games, senza tornare con la mente nell'arena. E' questa la mia unica speranza, l'ultimo gancio a cui potermi aggrappare per sognare che un giorno, alla fine di questi Hunger Games, sia lei ad uscirne come la sola vincitrice. Sono certo che lei nella sua vita non abbia fatto altro che questo e Capitol City ama questo genere di persone, perchè ricorda ai 12 Distretti che c'è ancora la fame e la morte, per quanto se ne voglia fare uno spettacolo.

La sera prima dell'inizio degli Hunger Games le dissi che la cosa importante per me era morire con dignità, senza perdere me stesso e diventare una loro pedina. So che quando morirò sarò visto solo come un tributo che non è stato abbastanza forte da farcela. La verità? Non mi interessa affatto cosa penseranno gli altri, nemmeno lei. So quello che ho fatto e i motivi che mi hanno spinto ad andare avanti col mio piano. Questa è l'unica cosa che conta davvero per me. Non mi rendono un eroe, ma non è questo che voglio essere.
 

«Scappa! Scappa!»

 

Vorrei non morire ora solo per assicurarmi che lei sia l'unica a sopravvivere, alla fine di tutto. Fa freddo, davvero freddo, per quanto il sole voglia battere forte sulla mia gamba, per quanto la notte voglia scendere leggera sul mio corpo bloccato dal dolore. Non c'è differenza ormai, notte e giorno sono lo stesso. Tendo l'orecchio al suono dei cannoni e inizia la paura. Guardo in alto quando sento l'inno provenire dagli alberi, dal fiume, dal cielo, dalla luna e il panico mi attanaglia lo stomaco.
Non c'è la sua foto nel cielo.


“Buy yourself another day”

 

E' stata aggiunta una nuova regola: entrambi i tributi dello stesso distretto saranno dichiarati vincitori, se sono gli ultimi due a restare vivi”

 

Silenzio.

Si blocca il vento, le foglie sono immobili e i piccoli animaletti che cercano riparo o cibo o scappano ora sono fermi, con l'orecchio teso.
Non è possibile.

Come può essere vero? Come può essere così facile, ora, tornare a casa in due? Se avessi la forza riderei anche, per il tempismo. Perchè è ironico, no? Sono qui, completamente mimetizzato tra foglie e roccia, con una gamba quasi distrutta che non smette di sanguinare.

E' davvero possibile l'impossibile?







Angolo dell'autore:
La canzone è "Kingdom come", the Civil Wars. La oneshot raccontata dal punto di vista di Peeta mentre è mimetizzato nel bosco dell'arena nei suoi primi Hunger Games.

  
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