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Autore: B Rabbit    04/01/2016    2 recensioni
{ Reincarnation!AU | Prima dell'incontro con quell'impacciato di Gil }
Un odore pungente si districò nell’aria come nastro di seta, si distese e si spanse come anelli d’acqua; carezzò i sensi come un tocco caro, familiare, spaurì e catturò un’anima, estraniandola in un palpito dal superfluo. E quando svanì come i sogni al chiarore del mattino, il giovane ragazzo si volse all’indietro alla ricerca di quella remota, lontana reminiscenza che lo aveva ferito, cercando fra i volti anonimi quello che gli sorrideva durante le notti.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice, Oz Vessalius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Balzando a ritroso fra le tue tracce




Il chiasso delle vetture, i ringhi gutturali dei motori in attesa e i limpidi, acuti cinguettii dei campanelli delle biciclette, giunti soprattutto dalle arterie della città attraverso le vie minori, antiche, dalle pietre imbevute di anni e storia, costituivano il sottofondo acustico di quel canto alla vita del centro urbano, in cui i giovani erravano di fronte alle vetrine in compagnia degli amici, arricchendo la loro adolescenza di nuovi, spensierati momenti che, un giorno lontano e vicino nel contempo, avrebbero rimembrato; dove gli anziani parlavano o ridevano o semplicemente sorridevano, godendo fino alle note più profonde di quella serenità genuina condivisa con amici, nipoti o con la metà della propria anima.
La piazza, cinta dalla libreria e dalla chiesa, ospitava nella sua modesta superficie una folla corposa, attirata dall’usuale mercatino natalizio che, a volte, si estendeva nelle stradine annesse al piazzale.
E fra gli effluvi preziosi della profumeria, gli incensi penetranti di qualche negozio e l’aroma attraente e caloroso dei piccoli venditori di dolci, un odore pungente si districò nell’aria come nastro di seta, si distese e si spanse come anelli d’acqua; carezzò i sensi come un tocco caro, familiare, spaurì e catturò un’anima, estraniandola in un palpito dal superfluo. E quando svanì come i sogni al chiarore del mattino, il giovane ragazzo si volse all’indietro alla ricerca di quella remota, lontana reminiscenza che lo aveva ferito, cercando fra i volti anonimi quello che gli sorrideva durante le notti. Stette immobile, come immobile rimase il tempo, gli occhi color giada che si riempivano del riflesso di persone sconosciute, le labbra dischiuse, pietrificate nella cattura o esalazione di un respiro.
Un calore gli lambì le dita tremuli, rischiarando lievemente la consueta mestizia che lo affliggeva in quei momenti. «Era… odore di tabacco, giusto?» chiese in un mormorio debole, fragile come il suo spirito, e la stretta alla mano destra si rafforzò, quasi ad infondergli e al contempo supplicargli tacito, disperato conforto. «Erano le sue sigarette» e la voce di lei asserì mestamente, frantumandosi in un singhiozzo del cuore.
Avvertì il suo corpo poggiarsi con irreale leggerezza sul proprio braccio e il capo trovar rifugio sulla sua spalla – le braccia si strinsero e le loro dita si intrecciarono, allacciando il tepore delle pelli e l’amarezza che avvelenava i petti –. Notò lo sguardo della fanciulla su di sé, la sua mano catturare e strattonare appena una ciocca dorata, ma prima di poter solo dire il suo nome, di porle una semplice domanda, ella affondò i denti nella morbidezza del suo orecchio, ferendolo – e nonostante il dolore, il quindicenne sorrise, accettando con serena allegria l’aiuto e l’affetto impressi in quell’azione, incurante delle occhiate imbarazzate o dei volti straniti della gente –. «Ti sei forse intenerita…?» scherzò, e lei affondò maggiormente i denti, strappandogli così un guaito.
«Stupido» lo rimbrottò, scaldandogli la conchiglia con una nuvola di respiro; si scostò appena e osservò i piccoli boccioli di sangue fiorire dal sigillo. «Odio l’espressione che fai in queste situazioni…» ammise, e una risata frullò leggiadra e tersa dalle labbra del biondo.
«Ti faccio ricordare cose spiacevoli, vero?» chiese, ma ella lo ignorò, preferendo lasciare inespressa la verità nel proprio cuore – strappò le perle scarlatte dalla ferita con la punta della lingua, disinfettando l’anima dell’altro dagli ultimi residui d’angoscia –.
«Rimaniamo un po’ qui?» le porse un’ulteriore domanda. La ragazza accettò con un silenzioso cenno della testa e affondò il viso nella curva che gli univa il collo alla spalla. Il giovane sorrise, e la mano strinse debolmente quella di lei, più piccola e delicata. I palmi scivolarono l’uno sull’altro, le dita di lui si chiusero intorno a quelle sottili della fanciulla e saggiarono la morbidezza dei suoi polpastrelli – erano i medesimi gesti che descrivevano i suoi sogni, precedenti il giorno in cui ella lo ritrovò nel mondo –.
«Chissà se ha smesso…» mormorò pensieroso, adagiando il capo su quello della mora. «Di fumare, intendo». «Avevo capito» ribatté lei, un po’ seccata dalla precisazione, e sospirò. «Non credo che un secolo e poco più gli sia bastato» disse con una tale fermezza da far ridere l’altro.
«Sono certo che abbia provato. E più di una volta» ammise, quasi a voler aiutare quell’entità pulsante che, per anni, aveva disegnato insieme ad altri volti su di un vecchio taccuino, impregnato di fantasie e della paura di scordare. «Magari per farci vedere che non ha solo piagnucolato, in tutto questo tempo» e ridacchiò leggermente, ma le labbra si distesero subito dopo in un tenero, nostalgico sorriso appena baluginò, nella sua mente, il viso arrossato e umido di lacrime di un piccolo bimbo che sembrava chiamarlo da un’esistenza remota.
«Chissà cosa farebbe se scoprisse una certa cosuccia…» lo richiamò la giovane alla vita attuale, conquistando immediatamente la sua piena attenzione. «Ora che ci penso, non mi hai ancora raccontato il ricordo che ti ha spinto a comprare un pacco di sigarette».
«Basta!» gridò lui, percependo il cuore battere con maggiore velocità.
«Di’ la verità: era per sentirlo vicino, eh?».
«Promettimi che non glielo –».
«Stavi anche per frignare dopo la prima boccata!».
«Ti prego!».
La ragazza ghignò soddisfatta a quelle due, semplici e amate parole: lesta come il peccato, gli artigliò il mento con le sue dita da bambina e lo ferì con i suoi magnetici e rari occhi ametista. «Sì, pregami di non farlo» e accennò una debole, breve risata. Sorrise. «Pagami la cena e il contratto sarà stipulato».
Lui sbuffò. «Grazie dell’aiuto».
«Allora?» lo sollecitò, e l’altro mugolò stizzito, abbandonarsi alla sconfitta.
«E va bene, ti offrirò la tua amata carne» dichiarò, e la quindicenne esultò, ridendo e sollevando entrambe le braccia – il biondo si ritrovò ad arrossire al viso così radioso di lei, impreziosito dalla porpora che le colorava le gote a causa del freddo, e stranamente considerò l’idea di prometterle anche il pranzo, pur di accrescere la sua felicità –.
«Giuri di non dirlo?» chiese, distogliendo lo sguardo dalla fanciulla.
«Sì!» asserì lei immediatamente, ma l’allegria che le addolciva la voce sembrò sfumare all’improvviso, intorpidendo il suo sguardo e incrinandole il sorriso. Egli se ne accorse – la osservò con muta apprensione, incapace di muoversi, di sfiorare e accogliere fra le sue mani i pugni tremanti di lei, serrati con forza intorno ai suoi piccoli desideri –.
«È passato così tanto tempo…» mormorò la giovane; indietreggiò appena, volse le spalle e rimase immobile in un istante pietrificato finché non si lasciò cadere all’indietro, inerme – il ragazzo la salvò, le donò protezione fra le sue braccia e la strinse, accogliendo la sua richiesta di non essere guardata –.
«Lui è vivo» le disse, posando il mento sulla sua spalla e abbandonando la testa contro la sua; l’udì sospirare, la sentì tremare, e lui continuò a rassicurarla con la sua presenza.
«Si ricorderà di noi, Zeph?» chiese, e quel nome, seppur detto con flebile voce, colpì il giovane, il quale rafforzò inconsciamente la stretta intorno al suo corpo.
«Il tempo non è certo benevolo…» proseguì, posando le mani sulle braccia del ragazzo e stringendo la stoffa marroncina del suo cappotto. «Se realmente è vivo, se cammina, respira come noi… è possibile che abbia perduto i ricordi passati per lasciare posto ai nuovi» disse, e le sue parole amare, proferite con esitazione, sembravano dar forma ai loro tormenti, ad una verità strenuamente celata con speranze e futuri vagheggiati, anziché ad una semplice, valida supposizione.
Egli sospirò; affondò il viso nella chioma scura dell’altra e chiuse gli occhi, cancellando la realtà con il buio dietro le palpebre – inspirò l’odore inebriante di lei, l’aroma di un giardino di rose miscelando al dolce, rilassante profumo del miele, e il cuore parve rilassarsi in pochi attimi –.
«Ha giurato, Abygail» le rispose, nascondendo un amabile sorriso fra le sue morbide ciocche scure. «E questo mi basta per credergli».

















Ehilà, gente! Erano mesi che non scrivevo, causa studio e tutta quella robaccia annessa, ma eccomi tornata con questa OS.
Beh, credo – spero – che la storia si capisca… non ho volutamente usato i nomi Oz ed Alice perché, essendo rinati, questi due coniglietti, secondo me, avranno nomi differenti. Feels.
Questa OS si basa un po’ su un fatto realmente accaduto alla brutta e cattiva Cloud: stavo tornando a casa dopo le lezioni, percorrendo la solita strada che abbraccia il parco del quartiere, quando il ricordo di aver camminato lungo quello stesso percorso con una certa persona mi congela sul posto. Ora, una cosa del genere – passeggiare con qualcuno – non è certo un evento strano, se non fosse per il fatto che mi ero appena trasferita in quella zona. Preferisco non pensarci.
Spero che la OS sia piaciuta :3

Bye bye,
Cloud ~

  
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