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Autore: Halley Silver Comet    07/01/2016    10 recensioni
Ogni anno, contemporaneamente al comparire dei primi addobbi in strada o nei negozi, Emiliano cominciava ad avvertire un gelo strisciargli infido nel cuore e che, man mano che passavano i giorni e dicembre entrava nel vivo, si cristallizzava, aprendo crepe sempre più profonde. Così, il freddo che gli intorpidiva tutti i buoni sentimenti, entrava in netto contrasto con il calore delle luci che vedeva brillare intorno a sé, che fossero le lucine di un albero o il fuoco di un camino; pian piano, era diventato insensibile ai colori e alle melodie delle carole, come se stesse vivendo in un vecchio film muto in bianco e nero.
Detestava persino le allegre famigliole che correvano qua e là, alla ricerca di regali e provviste per il cenone della Vigilia o per il pranzo del giorno dopo, trovando i loro sorrisi gioiosi snervanti quanto l’essere costretto a ricambiare tutti gli auguri che riceveva, non volendo rivelare il vero motivo per cui, per lui, non esisteva il Natale
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Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Come Fuoco di Camino




N
ello stesso momento in cui l’orologio a muro della cucina segnò le quattro e mezza di pomeriggio, Emiliano si avvicinò al forno e, sedendosi sui talloni, sbirciò all’interno, per verificare il grado di cottura della sua creazione. Poi, soddisfatto dell’aspetto rigonfio e brunito della torta, aprì lo sportello e, con l’aiuto di un guantone imbottito, tirò fuori la pirofila, ammirando compiaciuto il risultato di parecchie ore di lavoro: era la prima volta che riusciva a fare un dolce senza combinare un disastro.
Infatti, nonostante fosse altamente versato nella preparazione di piatti salati, la pasticceria non era mai stata nelle sue corde, rimanendo sempre una prerogativa di Flavia.
Quella volta, però, era accaduto davvero un piccolo miracolo, tanto che il ragazzo ritenne si trattasse di un fortuito caso isolato. Tuttavia, se così fosse stato, non gli sarebbe comunque dispiaciuto più di tanto, giacché, dopo aver raggiunto lo scopo per il quale si era così impegnato, sarebbe tornato volentieri a destreggiarsi tra risotti e soufflé.
Con delicatezza, poggiò la torta sul piano da lavoro e, dopo aver spento il forno, si affacciò in salotto per constatare a che punto fosse la decorazione della casa e scorse Flavia, intenta ad agganciare le palline all’imponente finto abete posto accanto al camino scoppiettante.
«Manca davvero poco» considerò lui, appoggiandosi allo stipite della porta a vetro.
La ragazza smise di canticchiare Rockin’ Around the Christmas Tree, che aveva intonato con il suo accento irlandese, e si spostò una ciocca di capelli rossicci dietro l’orecchio, osservando critica il suo operato.
«Ho quasi finito. Per la stella, però, vale lo stesso discorso delle palline più in alto: dovrai metterla tu in cima, perché io non ci arrivo».
«Nonostante oggi ti sia messa i tacchi, resti sempre molto... minuta» commentò Emiliano, incrociando le braccia sul petto.
Lei interruppe la ricerca di una ramo vuoto dove appendere l’ultima decorazione e si voltò a guardarlo, assumendo un’espressione alquanto stizzita.
«Non tutti abbiamo la fortuna di essere alti un metro e ottanta, sai?»
Il ragazzo incurvò le labbra in un sorriso compiaciuto, non riuscendo a nascondere quanto lo divertisse punzecchiarla. Poi, si avvicinò all’abete e lo ammirò, non potendo negare che era venuto davvero molto bene, tutto colorato di rosso e d’argento com’era.
«Allora, dov’è questa stella?» chiese, guardandosi intorno e cercandola con lo sguardo, in mezzo a tutte le scatole degli addobbi.
«L’ho messa sul tavolo per evitare che si rompesse, essendo di vetro» spiegò la giovane. «Comunque, puoi prendertela da solo, hai l’altezza e la prestanza fisica necessaria» aggiunse poco dopo con una punta di acidità nella voce, mostrandogli la lingua.
Emiliano scosse la testa, abituato alle risposte piccate di lei, per fare poi come gli era stato indicato e, procedendo a zig-zag tra gli scatoloni abbandonati sul pavimento, raggiungere il tavolo.
Successivamente, dopo aver preso delicatamente tra le mani la stella di vetro dorato e venature ramate, alzò istintivamente la testa e, per un attimo, rimase sorpreso, perché, da quella prospettiva più lontana, l’angolo opposto del suo salotto era appena riconoscibile: l’albero, le candele poggiate sulla mensola del camino, la ghirlanda di rami di pino e pigne che sfiorava appena il parafuoco lo rendevano un ambiente decisamente diverso.
Dietro quella rimessa a nuovo sapeva esserci la mano di Flavia, che in quel momento stava mettendo batuffoli di ovatta, per simulare la neve, sul ramo più alto che riuscisse a raggiungere, in perfetto equilibrio sulle sue décolleté color avorio.

Il ragazzo pensò che era piuttosto raro vederla indossare abiti femminili, poiché non amava particolarmente imbellettarsi; ciononostante, quando lo faceva, era come se mostrasse la sua vera essenza: una bella ragazza che non aveva bisogno di nascondersi dietro felpone di gruppi Irish-folk o metal a lui sconosciuti e occhi cerchiati di matita nera.
Nonostante Emiliano l’apprezzasse in tutte le versioni, in cuor suo la preferiva nella sua veste
 più semplice e naturale, anche se, per timore di farle pensare che a lui non piacesse quello che era o non sapesse rispettare le sue scelte, non aveva mai insistito più di tanto nel dirglielo, rispettando la sua libertà di espressione.
Tuttavia, quando, qualche ora prima, aveva aperto la porta e se l’era trovata davanti in leggings, maglioncino lungo, trucco leggero e - addirittura! - tacchi, non era riuscito a celare la sua sorpresa e ammirazione, fissandola come un ebete per un minuto buono.
Invece, la ragazza, che doveva avere intuito il perché di tale reazione, si era limitata a fare spallucce, rispondendogli semplicemente: «Oggi è l’otto dicembre, è festa».
Quella frase, però, gli era sembrata strana, stonata, dato che aveva festeggiato il suo ultimo Natale a cinque anni, passando poi i successivi ventuno ad ignorare qualsiasi cosa ad esso collegato, perché per lui era diventata una festa priva di qualsiasi significato, anzi, se si soffermava a pensarci, le uniche emozioni che gli suscitava erano rancore e odio.
Ogni anno, infatti, contemporaneamente al comparire dei primi addobbi in strada o nei negozi, Emiliano cominciava ad avvertire un gelo strisciargli infido nel cuore e che, man mano che passavano i giorni e dicembre entrava nel vivo, si cristallizzava, aprendo crepe sempre più profonde. Così, il freddo che gli intorpidiva tutti i buoni sentimenti, entrava in netto contrasto con il calore delle luci che vedeva brillare intorno a sé, che fossero le lucine di un albero o il fuoco di un camino; pian piano, era diventato insensibile ai colori e alle melodie delle carole, come se stesse vivendo in un vecchio film muto in bianco e nero.
Detestava persino le allegre famigliole che correvano qua e là, alla ricerca di regali e provviste per il cenone della Vigilia o per il pranzo del giorno dopo, trovando i loro sorrisi gioiosi snervanti quanto l’essere costretto a ricambiare tutti gli auguri che riceveva, non volendo rivelare il vero motivo per cui, per lui, non esisteva il Natale.
Addirittura, quando frequentava le scuole elementari, riusciva puntalmente a farsi venire un febbrone da cavallo la sera prima della recita di classe, urlando che non voleva parteciparvi e costringendo il padre ad assecondarlo, facendolo rimanere a casa.
Inoltre, aveva smesso di credere in Babbo Natale già in tenera età e, una volta, aveva anche preso una punizione a scuola perché aveva fatto piangere un suo compagno di classe, sostenendo con veemenza che non esisteva nessun signore con la barba bianca e vestito di rosso che portava regali ai bambini buoni.
In seguito, quando era cresciuto, la situazione era migliorata, poiché non era più stato costretto a partecipare ad attività collettive natalizie, potendo considerare quel periodo solo come un’occasione per riposarsi dallo studio prima e dal lavoro poi.
Addirittura, nei due anni in cui aveva avuto una relazione con Lucrezia, aveva evaso una volta l’invito al pranzo, inscenando di esser stato contagiato da un batterio molto pericoloso e quasi letale, mentre l’altra, aveva fatto finta di perdere la coincidenza del treno che avrebbe dovuto riportarlo a casa da un viaggio per affari. Effettivamente, non si era perso granché, dato che i genitori di lei l’avevano invitato solo perché temevano che lasciasse quella libertina della loro figlia. Cosa che, per altro, era accaduta qualche tempo dopo, anche se ancora non gli erano del tutto chiare le dinamiche, poiché molti aspetti di quella triste parentesi erano rimasti senza una spiegazione e lui stesso si biasimava per averla tirata per le lunghe.

Disgustato da quel ricordo improvviso ed indesiderato, il ragazzo scrollò la testa come per cercare di allontanarlo anche fisicamente, per poi avvicinarsi nuovamente all’albero, ormai decorato di tutto punto.
«Eccoti, finalmente!» esclamò la ragazza, voltandosi verso di lui. «Su, su, sbrigati a mettere questa stella, ché dobbiamo ancora accendere sia luci che le candele che mi hanno mandato da Dublino!»
Il giovane annuì e si protese per sistemare la decorazione, sorridendo al pensiero che, proprio l’ultima volta che aveva fatto l’albero, suo padre se l’era messo sulle spalle e gli aveva fatto mettere in cima una stella molto simile a quella che lui e Flavia avevano comprato qualche giorno prima e che ora lui aveva messo al suo posto.
«A te l’onore!» esclamò la ragazza, facendolo ritornare bruscamente alla realtà.
Emiliano, allora, girò la testa verso di lei e vide che gli tendeva la spina elettrica delle luminarie.
«Dopo tutti questi anni in cui non hai festeggiato il Natale, mi sembra il minimo lasciare a te questo compito!» gli spiegò lei, che doveva aver notato la sua espressione, regalandogli uno di quei sorrisi dolci e partecipi che gli piacevano tanto.
A quel punto, il ragazzo annuì, rimanendo per qualche istante a fissare l’abete che aveva di fronte, incerto. Non sapeva che reazione avrebbe avuto, se sarebbe riaffiorato o no l’antico astio che aveva per il Natale e se un suo eventuale, ostinato rifiuto avrebbe ferito Flavia, che si era tanto adoperata per aiutarlo a mettere gli addobbi.
Infatti, non voleva farle del male, come era capitato in passato, per poi pentirsi amaramente e chiederle scusa per i suoi eccessi. Tuttavia, ricordava molto bene di essere stato lui stesso a chiederle di dargli una mano con la decorazione natalizia della casa, avendo trovato, quell’anno, lo spirito giusto per farlo, pertanto non avrebbe potuto manifestare rabbia o stizza. Altrimenti, per una volta, la giovane avrebbe avuto ragione nel dargli del bipolare, come faceva scherzosamente di solito, quando lui cambiava improvvisamente atteggiamento verso qualcosa o qualcuno.
Inspirò profondamente e mise la spina nella presa, attendendo che quelle minuscole lampadine si accendessero. Fu questione di istanti: lentamente, la fila di lucine assunse una brillante colorazione bianca dai toni caldi, la stessa tonalità che vedeva sempre quando andava sotto Natale a casa di Giancarlo.

L’abete che veniva addobbato dalla madre di lui, infatti, era l’unico con cui avesse avuto negli ultimi anni un contatto più o meno ravvicinato, se si escludevano gli alberi che abbellivano i centri commerciali, dai quali si manteneva prudentemente alla larga da fine novembre a metà gennaio.
Inoltre, il suo migliore amico era l’unico che sapeva perché odiasse così tanto il Natale ed il solo a non cercare di forzarlo a prendere parte alle feste che venivano date in quel periodo dai colleghi dell’università. Non gli faceva nemmeno gli auguri, sapendo perfettamente che non li gradiva.
E così, mentre gli altri si riunivano in famiglia per festeggiare, Emiliano si sentiva sollevato proprio per il fatto di non avere parenti prossimi che lo avrebbero costretto a farlo: suo padre Lorenzo era figlio unico e le sorelle di sua madre, Gabriela, non avevano mai lasciato la Colombia, limitandosi a mandargli ogni anno variopinti biglietti di auguri.
Ad essere sincero, il suo odio verso questa festività ruotava proprio intorno al concetto di famiglia, poiché, se per la maggior parte della gente essa coincideva con un’occasione di raccoglimento e di ritrovo, per lui rappresentava il momento dell’anno in cui si sentiva più solo. Il dramma che aveva vissuto quella rigida sera di fine novembre di ventuno anni prima, tornava a perseguitarlo ogni notte nei sogni, facendogli rivivere sadicamente ogni singolo istante della tragedia che aveva cambiato la sua vita per sempre: aver visto morire sua madre sotto i suoi occhi. 
Dal quel momento, aveva perso fiducia nel mondo, permettendo a se stesso di affezionarsi solo a poche persone altamente selezionate.
Tuttavia, era stato facile voler bene a Giancarlo, che poteva capirlo perché aveva perso il suo adorato nonno qualche mese dopo la scomparsa di Gabriela, mentre non si era mai fidato completamente di Lucrezia, forse perché aveva capito che non sarebbe mai stata un’anima affine alla sua.
E poi, era arrivata Flavia, alla quale non aveva saputo dire di no, lasciandola entrare nella sua vita, nonostante all’inizio pensasse che fosse esattamente il suo opposto, senza possibilità di trovare un punto in comune. Mai si era sbagliato così clamorosamente e mai era stato così contento di averlo fatto.

«Ci vorrebbero proprio dei pacchetti sotto quest’albero, per renderlo più bello!» notò la ragazza, interrompendo la sua lunga catena di pensieri. «A casa di Madison e Patrick ne mettevamo addirittura qualcuno finto, per fare scena».
«Qualcosa dovrebbe arrivare, perciò li metterò man mano che li riceverò».
«Il mio te lo darò il ventiquattro sera, però, perché mi piace rispettare la tradizione».
«Se è così, allora, anche io farò lo stesso con il mio» replicò lui, togliendole un batuffolo di ovatta dai capelli: si era lasciata così coinvolgere dallo spirito natalizio, che non doveva aver fatto attenzione a dove stesse finendo la neve finta. Era tipico di lei e questo suo entusiasmo era la ragione per cui, alla fine, Emiliano si era lasciato persuadere dall’idea di riaprire, almeno parzialmente, il suo animo al Natale.
«Comunque, a proposito di regali, cosa posso portare ai tuoi zii, per ringraziarli dell’invito a pranzo?» le domandò, ricordandosi che non aveva ancora deciso cosa comprare per Vittoria e Gerardo. Erano stati davvero gentili ad includere anche Lorenzo nell’invito e, in particolare, la zia di Flavia, che aveva dimostrato di avere la stessa indole dolce e spontanea della nipote. Infatti, quando Emiliano le aveva detto “Non festeggio, perché non credo nel Natale”, lei gli aveva risposto “Non importa. Il Natale è anche un’occasione per riflettere sul fatto che nessuno dovrebbe rimanere da solo, in nessuna stagione dell’anno”.
La ragazza, sorpresa dalla sua domanda, scosse la testa: «Oh, no, non è necessario portare un regalo agli zii, non ce ne è bisogno. A loro basta che tu e tuo papà abbiate deciso di venire» gli spiegò, con un sorriso. «Al massimo, puoi portare un pensierino a Fabio, che è ancora un bambino».
Il giovane pensò che fosse un’ottima idea, giacché il fratello di Flavia era ancora in un’età in cui meritava l’opportunità di vivere le festività secondo la tradizione. Quel ragazzino aveva avuto una vita difficile e gli ricordava molto se stesso qualche anno prima, pertanto, se avesse potuto fare qualcosa per evitargli qualche sofferenza, l’avrebbe fatta senza esitazioni.
«Se non sbaglio è un piccolo fan di Star Wars, vero? Pensi che potrebbe piacergli una scatola di Lego a tema?»
«Così poi ci giochi tu?» commentò lei, con un sorrisetto, ed Emiliano socchiuse appena gli occhi, indispettito.
«Ah-ha, molto spiritosa» replicò, serio.
«Dai, non essere permaloso, ho detto la verità!» si difese Flavia, ridacchiando. «Però credo che sia un’ottima idea e sicuramente dopo ti chiederà di aiutarlo a montare i pezzi. È sempre molto contento, quando gli proponi di fare qualcosa insieme».
«Allora, provvederò al più presto» fece lui, contento di aver avuto una buona intuizione, nonostante per lui fare regali natalizi fosse un’esperienza completamente nuova.
Flavia annuì e cominciò a radunare gli scatoloni, spostandoli verso la porta che dava sull’ingresso della villa, ed Emiliano le dette subito una mano, così da liberare lo spazio di fronte al camino.
«Mentre finisco di mettere a posto e accendo le candele, puoi andare a mettere sul fuoco l’acqua per il tè» propose la ragazza, dopo qualche minuto, richiudendo la scatola delle palline ormai vuota.
«Ah, giusto, dobbiamo ancora mangiare il dolce!» esclamò lui, che si era quasi dimenticato della sorpresa che aveva preparato.
Lasciò all’istante la scatola che aveva in mano e tornò in cucina, dove ebbe modo di rendersi conto che la torta si era perfettamente raffreddata e che era pronta per essere rimossa dallo stampo.
Così, prese un piatto da portata e, dopo averla estratta dalla pirofila, ve l’adagiò sopra: fortunatamente, non si afflosciò, anzi, emanava un ottimo profumo, entrambi dettagli che rincuorarono parecchio il suo lato di pasticcere comprovatamente fallimentare.
Poi, dopo aver messo sul fornello un pentolino con l’acqua, preparò il vassoio con le tazze, i cucchiaini e la zuccheriera, sperando che tutto andasse secondo i suoi piani. In quel momento, quasi inconsciamente, si voltò verso la fotografia di Gabriela, che lo guardava dalla mensola accanto al balcone, sorridendo gioiosa: quel volto dalla pelle olivastra, incorniciato da lunghi capelli mossi e castani, con espressivi occhi nocciola, era stato per lui, in molte occasioni, motivo di conforto.
Non di rado, infatti, si era ritrovato ad avere vere e proprie conversazioni con quel ritratto - che gli ricordava quanto le somigliasse fisicamente -, specialmente quando era arrabbiato o aveva dei dubbi. Era incredibile come, subito dopo essersi sfogato con lei, si sentisse meglio, come se fosse stata lì ad ascoltarlo. Anche se non poteva rispondergli, però, era certo che sua madre gli fosse vicina e che sapesse ogni cosa che lo riguardava.
In quel momento, in particolare le chiese tacitamente di far sì che il dolce fosse davvero ben riuscito, prima che l’acqua in ebollizione richiamasse la sua attenzione. Allora, Emiliano prese da un’anta della credenza la teiera di ceramica ed i filtri di tè bianco, il preferito di Flavia, e finì di preparare il tutto. Poi, dopo aver preso un bel respiro, tornò in salotto.

L’aroma di zenzero e noce moscata proveniente dalle candele lo investì non appena oltrepassò la porta, riportandolo al giorno in cui, per la prima volta, aveva messo piede nello Shannon’s. All’epoca ancora non lo sapeva, ovviamente, ma stava per iniziare uno dei capitoli più belli e attesi della sua vita: quello in cui si sarebbe innamorato sul serio.
«Gingerbread1?» domandò, appoggiando il vassoio sul tavolino accanto al parafuoco.
«Esatto. Ho pensato che questa fragranza fosse molto natalizia, ti piace?» rispose lei, accomodandosi su uno degli enormi e soffici cuscini porpora poggiati sul tappeto.
«Mi ricorda la sala da tè dove lavoravi» commentò Emiliano, sedendosi di fronte a lei.
«Be’, Madison ama riempire il bancone di dolci speziati, perché fanno parte della nostra tradizione».
«Ha ragione» confermò lui, mettendo i filtri in infusione all’interno della teiera. Poi vi rimise il coperchio ed attese che il tè fosse pronto, spostando lo sguardo verso le candele ed
il camino, perdendosi nei movimenti flessuosi delle fiamme dentro quest’ultimo, che instillarono in lui un inatteso senso di serenità.
«Non ti convincono le candele?» gli domandò Flavia, vedendolo particolarmente assorto.
«No, anzi, mi piace vedere le loro fiamme e quelle del camino, sembra che danzino. Fanno molto inverno».
«L’anno scorso sei stato a Copenaghen fino alla fine di febbraio, perciò non c’è stato modo di festeggiare alcun che» gli fece notare lei, con voce triste. Il ragazzo, allora, la guardò e vide i suoi begli occhi verdi velarsi di malinconia, poiché sapeva che aveva sofferto molto quando se ne era andato, soprattutto perché era successo quando si erano appena ritrovati.
«Purtroppo, l’università aveva organizzato solo quello stage, perciò, anche se a malincuore, sono dovuto partire» le sussurrò dolce, cercando di tranquillizzarla. Anche lui era stato male e l’unica cosa che l’aveva sostenuto in quei mesi era stata la certezza che quella lontananza fosse solo temporanea.
«Su, non fare quella faccia, quest’anno abbiamo recuperato, non trovi?» aggiunse dopo un po’ e, allora, la ragazza abbandonò lentamente la sua espressione malinconica per convertirla in un accenno di sorriso. Poi, si sistemò meglio sul cuscino e si avvicinò al tavolo, osservando incuriosita la torta.
«L’aspetto è invitante, anche se... aspetta un attimo, è un Barm Brack2?!» domandò, seriamente colpita. «Ma è un dolce autunnale, non natalizio. Ti sei forse confuso?»
«No, semplicemente, è adatto al mio scopo e non è particolarmente difficile da fare» le spiegò lui, mentre lo tagliava a fettine non troppo sottili. «Sai molto bene che sono negato per la pasticceria. Eppure, ti dirò, ho trovato molto più semplice seguire questa ricetta che pronunciare il tuo nome irlandese3».
«Oh, ma non è così impossibile!» ribattè lei.
«Per te, forse, ma non per me» insistette lui, disponendo le fette nei piattini. Se aveva fatto bene i suoi conti, a lei sarebbe capitata esattamente quella che le aveva destinato.
Flavia roteò gli occhi e poi sospirò, poggiando una mano sul tavolino.
«Su, assaggiamo questo Barm Brack, allora. Per ora non ho niente da dire, anzi! Almeno non è esploso niente...»
«Che esagerata che sei! Nemmeno avessi usato nitroglicerina al posto della farina!» rispose lui, offeso, gesticolando nervosamente con il coltello ancora in mano.
«In questo caso, avresti anticipato Capodanno, perché sarebbe stata una torta con il botto!» continuò lei, scoppiando in una fragorosa risata.
Emiliano inarcò appena le sopracciglia: gli piaceva vederla ridere e amava il fatto che avesse la battuta sempre pronta e che sapesse essere così spigliata, perché erano caratteristiche che lui, non senza rammarico, non possedeva. Per fortuna, c’era lei a mitigare il suo essere costantemente metodico e serio, a dare una scossa al suo ordine sempre uguale a se stesso.
«È bello vederti sempre così fiduciosa nei miei confronti» la riprese, cercando di rimanere sulle sue. Cosa non facile quando lei rideva in quel modo meraviglioso.
«Dai, come sei serio, lo sai che non è vero!» cercò di blandirlo la giovane, inclinando la testa da un lato e stringendo le spalle. «Ti stavo prendendo un po’ in giro, senza cattiveria».
«Tu non potresti essere cattiva nemmeno se lo volessi» le rispose di getto il ragazzo e quella schiuse appena le labbra in un’espressione di stupore, arrossendo all’istante.
Emiliano, quindi, prese la teiera e cominciò a versare il tè, lanciandole nel frattempo occhiate di sottecchi e godendosi quella timidezza che sapeva far parte della personalità più nascosta di lei, ma che lui, ormai, sapeva intercettare e decifrare.
Passò qualche istante di silenzio, poi Flavia esclamò, ancora un po’ imbarazzata: «Be’, lo vogliamo assaggiare o no questo Barm Brack?»
Lui sorrise e le porse il piattino con la fettina che le aveva destinato. Se il suo tentativo era riuscito, ciò che le aveva nascosto nel dolce si trovava esattamente a metà della fettina che le aveva dato, perciò non avrebbe dovuto faticare troppo per trovarlo, giacché sarebbe bastato che lo spezzasse a metà.
Di solito, faceva bocconi molto piccoli, pertanto era altamente probabile che si sarebbe accorta della sorpresa ancor prima di mettere in bocca un pezzetto della torta.
Quindi, si servì anche lui e attese, seguendo ogni singolo movimento di lei: stava proprio per portarsi un pezzetto di dolce alle labbra, quando corrugò lievemente la fronte, come se avesse notato qualcosa di strano. Infatti, subito dopo prese con due dita qualcosa dal piatto e sollevò un involto di alluminio fin davanti agli occhi, così da poterlo osservare meglio.
«E questo cosa sarebbe? Stavi cercando di farmi strozzare, per caso?» domandò, con un misto di sorpresa, preoccupazione e, perfino, irritazione.
«Farti strozzare? Dovresti sapere meglio di me che all’interno dei Barm Brack ci possono essere degli oggettini» replicò lui, incrociando le braccia sul tavolino, senza scomporsi.
In risposta, la giovane gli lanciò un’occhiata sussiegosa, inarcando appena un sopracciglio, per poi tornare a guardare l’involto.
«Puoi aprirlo tranquillamente, ti garantisco che non esploderà» fece lui, sfoderando un sorriso furbetto.
Lei sospirò e cominciò a scartarlo, facendo infine scivolare il suo contenuto sul palmo della mano aperta. Poco dopo, l’espressione che apparve sul suo viso fece capire ad Emiliano che la sua sorpresa era perfettamente riuscita.
«Ma questo è un... charm» sussurrò la ragazza, meravigliata.
«Che funzionerà da anello fino alla fine del pomeriggio».
Ancor più sorpresa, Flavia fissò prima lui e poi di nuovo il piccolo trifoglio di oro bianco e smeraldi che le brillava tra le dita, illuminato dai riflessi del fuoco, mentre con l’altra mano sfiorava il pezzo di spago legato intorno ad esso e chiuso ad anello con un nodino.
Il ragazzo sapeva che quella rozza cordicella stonava con la bellezza di quella creazione d’oreficeria artigianale, ma non pensava che fosse importante. D’altra parte, lo spago sarebbe stato tagliato via presto e non era certo quell’insieme di fibre che li avrebbe legati.
«So che non ti separerai mai dal Claddagh Ring4 di tua madre ed è giusto che sia così, ma volevo comunque regalarti qualcosa di simbolico» le spiegò, consapevole che lei avesse già un anello. Sinceramente, non gli importava che non glielo avesse regalato lui, perché era consapevole che la loro affinità prescindeva da tutti i simboli convenzionali. La loro relazione era stata particolare fin da subito e le aveva regalato un trifoglio, simbolo della sua amata Irlanda, proprio per farle capire che amava sia lei, che tutto ciò che la riguardava, a partire dal profondo senso di appartenenza che la ragazza provava verso la sua terra natia.
«Non avevo capito che avresti anticipato lo scambio dei regali ad oggi!» fece Flavia, allarmata, sussultando. «Il tuo è ancora a casa!»
Emiliano scosse la testa e, scansando i cuscini, si avvicinò a lei, prendendole la mano con il ciondolo e chiudendola tra le sue.
«Stai tranquilla, questo non è il mio regalo di Natale. Quello te lo darò la notte del ventiquattro» la rassicurò. «Questo è solo un modo per dirti grazie».
«Grazie?»
«Grazie per essere rimasta e per non esserti lasciata spaventare dalle mie ombre».
Flavia arrossì di nuovo, anche se questa volta non perché particolarmente imbarazzata, quanto più in preda ad un turbinio di forti emozioni.
«Abbiamo tutti delle ombre» gli sussurrò, intenerita, accarezzandogli la guancia e i capelli.
Il giovane, allora, le prese la mano libera e le baciò il palmo: quelle parole e quel gesto non avevano fatto altro che confermargli quanto avesse bisogno della sua dolcezza e della sua imprevedibilità.
Poi, le prese il trifoglio dalle dita e glielo infilò lentamente all’anulare destro, così che lo indossasse in modo speculare rispetto all’anello lasciatole da Caitlín.
«Se rimuovi lo spago, puoi metterlo dove vuoi».
Lei ammirò quel piccolo gioiello e, con gli occhi che le scintillavano dalla felicità, disse: «Farà parte del bracciale che mi hanno regalato Madison e Patrick quando ho lasciato casa loro. Il suo posto è lì».
Emiliano le prese il mento con delicatezza e le voltò il viso verso il proprio: «Devo forse dedurre che lascerai anche me, un giorno?»
«Don’t be silly5!» esclamò la ragazza, esprimendosi nella sua lingua natale, come faceva ogni qualvolta fosse in preda ad una forte emozione. «Intendevo dire che, agganciandovi anche il ciondolo, il bracciale rappresenterà tutte le persone che mi hanno salvata da me stessa» aggiunse, abbassando la testa e prendendo il braccialetto con due dita, per poi farlo ruotare nervosamente intorno al polso. «Ricordati che tu, per me, hai fatto più di chiunque altro».
Il giovane, che non aveva mai lasciato la presa sul volto di lei, ancora una volta la indirizzò dolcemente nella sua direzione, riportandola nuovamente a guardarlo negli occhi.
«Almeno in questo siamo pari» le sussurrò, passandole l’altro braccio intorno alla vita e cominciando a sfiorarle la schiena.
Flavia si protese lentamente verso di lui ad occhi socchiusi, ma non avvicinò subito le sue labbra a quelle di lui, facendogli avvertire la stessa fitta di desiderio che aveva provato quando l’aveva conosciuta e che lo aveva portato a baciarla, solo qualche giorno dopo, quando era ancora praticamente un’estranea.
Emiliano, quindi, rinsaldò la presa, facendole scivolare anche l’altra mano lungo il suo fianco, mentre la giovane gli poggiava una mano sulla spalla e con l’altra cominciava ad accarezzargli il ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla nuca, suscitandogli una piacevole sensazione di calma e tranquillità. Il ragazzo chiuse gli occhi a sua volta, lasciandosi baciare, e per un po’ la lasciò fare, fino a quando non cominciò a desiderare qualcosa di più intenso e si decise a ricambiare il bacio con più passione.
Se avesse potuto, avrebbe passato tutto il pomeriggio a scambiarsi coccole con lei sui cuscini davanti al camino, ma i pensieri del dolce, frutto delle sue fatiche, e del fatto che lei dovesse riprendere a studiare per l’esame imminente lo indussero poco dopo a staccarsi da Flavia, anche se a malincuore.
«Tra un po’ devo riaccompagnarti a casa» le disse, dandole un ultimo bacio sui capelli.
«In realtà, mi sono portata dietro i libri, perciò posso mettermi a studiare anche qui in salotto» rivelò lei, lisciandogli le pieghe del maglione blu scuro. «La prossima settimana ci vedremo poco o niente, quindi preferisco approfittare di questi momenti per stare con te».
Il giovane sorrise, dandole un buffetto sulla guancia, e si avvicinò nuovamente al tavolino, subito imitato dalla ragazza; per qualche istante, non ebbero bisogno di scambiarsi altre parole e rimasero entrambi in ascolto del crepitio delle fiamme, un suono che, nella serenità della circostanza, ad Emiliano sembrò quasi ipnotico. Il Natale non era solo dolore, dopotutto.
Una volta che si furono ricomposti e riaccomodati sui cuscini scarlatti, l’uno accanto all’altra, presero i piattini con le fettine di Barm Brack.
«Alla fine, questa torta ha fatto sul serio il botto!» notò quasi timidamente Flavia, mentre si spostava i capelli dalla fronte, alludendo al regalo e a quello che era successo poco prima.
«Anche senza nitroglicerina» commentò lui, sorridendole malandrino.

«Cretino!» fece la giovane, cercando di fare la sostenuta. Poi, prese un pezzetto di dolce, se lo portò alla bocca ed iniziò ad assaporarlo lentamente, ad occhi chiusi.
Invece lui, che ancora non aveva avuto il coraggio di assaggiarlo, aspettò che lei pronunciasse il suo giudizio per farlo, trattenendo il respiro. E se si fosse rovinato proprio sul finale, proponendole un impasto insipido, crudo o gommoso?
«È venuto molto buono. Sei stato davvero bravo questa volta» lo rassicurò lei dopo pochi secondi, accoccolandosi tra le sue braccia.
Emiliano sospirò e, sollevato, la strinse a sé, affondando il viso nei suoi capelli, profumati di vaniglia e limone. Infine, si decise a prendere anche lui un pezzo del Barm Brack e ad assaggiarlo, rimanendo piacevolmente sorpreso dalla perfetta armonia che dava al palato, tanto che si ritrovò a pensare che non gli sarebbe importato niente se quella squisitezza fosse rimasta l’unica prova di pasticceria riuscita nella sua vita, poiché l’obiettivo per cui si era messo in gioco era stato ampiamente raggiunto. 
Poi, mentre se ne stavano abbracciati, beandosi del contatto fisico reciproco, si sorprese a guardare l’albero, sfavillante per via delle luci e dei riflessi delle fiamme che ardevano, riscaldando l’ambiente.
Ancora non sapeva se credere o meno nel Natale e nella sua magia, giacché non avrebbe mai potuto dimenticare le profonde crepe che il gelo aveva aperto nel suo animo, anche se ora erano contrastate dal calore che era in grado di trasmettergli Flavia, balsamico e perfino più vivo di quello del fuoco di un camino.
Probabilmente, quelle ferite non si sarebbero mai rimarginate del tutto, ma, per la prima volta, avvertì che il gelo di dicembre cominciava finalmente a sciogliersi.






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Per la revisione ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; la grafica del titolo è, come di consueto, opera mia.
Grazie di cuore alla mia Anto, che legge sempre in anteprima e mi assiste con viva partecipazione.
***

[N.d.A]
1. Gingerbread: pan di zenzero, tipico dolce natalizio diffuso nei paesi di matrice anglosassone e scandinava. Qui, Emiliano fa riferimento alla fragranza tipica spigionata dalle spezie che caratterizzano tale dolce (zenzero, chiodi di garofano, noce moscata e cannella) esprimendosi in inglese, perché, quando lo ha conosciuto la prima volta, l’ha sentito con questo nome;
2. Barm Brack: in gaelico “bairín breac”, è un dolce tipico irlandese, a base di uva passa, canditi e spezie, generalmente associato ad Halloween. Al suo interno, si possono trovare alcuni oggettini che dovrebbero dare presagi sul futuro. Ad esempio, si dice che chi trova una moneta sarà ricco, invece, chi trova un anello si sposerà entro un anno;
3. 
nome irlandese: avrete notato che Flavia è un nome italiano, nonostante sia in parte irlandese, ma non è un becero errore. Di fatto, Flavia ha due nomi, avendo padre italiano e madre irlandese. Il suo secondo nome è Flannait, dal gaelico antico, che significa “dai capelli rossi” e si pronuncia Flòn-it. Ulteriori informazioni verrano date nel corso della storia principale;
4. Claddagh Ring: è un anello di fidanzamento irlandese, di origini antiche, sul quale si trovano due mani, una corona e un cuore (simboli, rispettivamente, dell’amicizia, della lealtà e dell’amore, ovvero tutti i sentimenti sui quali dovrebbe fondarsi una coppia). In base al verso e alla mano alla quale si indossa, acquisisce un diverso significato.
Flavia ha ricevuto il suo in eredità dalla madre, ma, anche in questo caso, sarà spiegato tutto a tempo debito.
Mi dispiace lasciare tante cose in sospeso, ma approfondirle così (quando, invece, all’interno della storia hanno un valore ben preciso), non avrebbe senso;
5. Don’t be silly!: “Non essere sciocco!”
 
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Questo racconto natalizio era stato scritto per un contest indetto su facebook, ma, alla fine, i dubbi hanno avuto la meglio e mi sono ritirata.
Tuttavia, ho deciso di pubblicarlo comunque, perché sono molto legata a questi due personaggi.
Ad essere onesta, mai avrei pensato di anticipare il loro debutto con una one-shot, ambientata nel post-scriptum della loro vicenda (alla quale lavoro da poco più di quattro anni), ma così è andata.
Di fatto, questa storia è un missing-moment dal taglio fortemente introspettivo, anche se, a mio parere, è leggibile indipendentemente dalla storia principale, fermo restando che alcune cose saranno pienamente comprensibili solo dopo aver letto l’intero racconto (per questo ho scritto delle note, sperando che possano essere di aiuto).
Nonostante tutto, spero che questo piccolo lavoro vi sia piaciuto e, se volete sapere di più su Emiliano e Flavia o sulla long a loro dedicata, potete dare un’occhiatina alla mia pagina facebook.
Ringrazio chi ha letto, chi è arrivato fin qui, chi mi vorrà lasciare un commento.
Auguri di buon inizio 2016.
Halley S.C.

  
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