Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Arabella1897    08/01/2016    5 recensioni
Il gelo le colpì il cuore, ghiacciandolo e rendendolo arido. All'esterno la temperatura del suo corpo crebbe, rendendola tiepida, umana... Fu così che i suoi poteri scomparvero, lasciandola inerme in un mondo crudele.
Helsa
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Il titolo di questa fan fiction incentrata sugli Helsa è ovviamente il titolo di una canzone degli Imagine Dragons, ovvero Radioactive. Non so perché ce la vedo particolarmente bene a rappresentare Elsa e i suoi poteri. Dopotutto mi è venuta l’idea proprio ascoltando la canzone e quindi eccomi a tentare di buttare giù qualcosa di vagamente decente. Ovviamente sono ben accette critiche, suggerimenti e consigli di qualsiasi genere. Ah e ovviamente fino alla fine forza Helsa! xD


Radioactive
 
Erano passati più di sei anni ormai da quando il mondo aveva preso una piega diversa, da quando Arendelle aveva scoperto di essere governata da una regina non completamente umana. La regina Elsa era stata considerata un mostro, una strega, un qualcosa che mai gli umani, coloro i quali erano privi di alcun potere, avrebbero potuto capire ed apprezzare. Sebbene, per l’appunto, fossero ormai passati sei anni, la Regina ancora non si era sentita accettata e continuava a considerarsi alienata da una società che non era ancora in grado di farla integrare. La vita da regnanti, tecnicamente, sarebbe dovuta essere facile, qualunque suddito avrebbe dovuto, volente o nolente, apprezzare la propria regina, così non pareva essere per Elsa. Certo, oggigiorno i sorrisi non mancavano, chiunque le passasse accanto o le si rivolgesse donava a lei un sorriso ed un inchino, ma spesso si era ritrovata a domandarsi quanto tutto ciò fosse vero e quanto, invece, fosse solo una facciata per evitare problemi. Si trattava di sorrisi veri o celavano sapientemente un disgusto ed una paura per ella, che di umano aveva solo il dolce viso?
I dubbi, i quali si erano presentati sin dal dopo inverno perenne scaturito dalla regina, erano rimasti per quei sei anni, torturandola, logorandola lentamente. Ormai Elsa sapeva mentire a sé stessa e molto bene. Affermava di stare bene, di sentirsi bene quando in realtà una ben celata tristezza le stava gelando il cuore.
La vita con ella era stata dura e continuava ad esserlo. Nelle favole c’era sempre il lieto fine, ma nella vita reale? Per Anna, sua sorella, c’era stato, aveva sposato l’uomo che amava, Kristoff ed avevano avuto pure due gemelli. Perché questo “happy ending” che tutti desideravano ardentemente, per lei tardava ad arrivare? Non aveva già sofferto abbastanza? Per quanto ancora avrebbe dovuto pagare per i suoi peccati? Forse il Purgatorio non sarebbe mai giunto a termine e il Paradiso sarebbe rimasta solo una mera speranza, unico filo di speranza che ancora la spingeva a lottare. Quanto ancora avrebbe potuto farlo? Erano ventitré anni che annaspava in cerca di aria, che rimaneva sul filo del rasoio. Ella voleva solo essere felice, un po’ come Anna.
Aveva imparato ad osservare silenziosamente sua sorella, l’aveva vista ridere, arrabbiarsi con il suo amato, giocare e vivere spensierata. Elsa stessa si nutriva di quelle visioni, come se Anna riuscisse a vivere un po’ anche per lei. Quella però non era vita, non poteva vivere attraverso i momenti felici di altri.
Aveva messo da parte qualsiasi sfizio, qualsiasi desiderio, qualsiasi cosa che le portasse un po’ di gioia per il suo Regno ed il benessere di quest’ultimo. Aveva rinunciato ai suoi poteri per permettere agli abitanti di Arendelle di vivere serenamente. Aveva messo in gabbia sé stessa per il suo popolo. La sua magia era stata rinchiusa nel suo cuore e viveva solamente nei ricordi della Regina, nulla più. All’inizio era stata dura rinunciarvi, ma poi, lentamente, molto lentamente, il controllo aveva avuto la meglio, conducendola a celare del tutto ciò che la rendeva così diversa dagli altri. Ciò che non era riuscita a fare da bambina e che aveva indotto i suoi genitori a partire in viaggio per cercare una cura per tale maledizione, era stato compiuto da donna. Ci aveva messo tutta la sua volontà, la sua dedizione, la sua determinazione e vi era riuscita. Non le servivano più nemmeno i guanti, i quali erano stati rinchiusi nel cassetto, un po’ come i suoi sogni. Nonostante quell’impegno e il raggiungimento di quell’obbiettivo, la gente ancora la temeva, la disprezzava, l’allontanava.
Più volte Elsa aveva affermato che Arendelle non necessitava di un Re, era perfettamente in grado di mandare avanti da sola un Regno, segno di un’emancipazione femminile in atto. La realtà era un’altra, non era solo il desiderio di dimostrare agli altri, specialmente gli uomini, di essere forte e sicura, di poter governare senza timore… la vera motivazione per la quale dalle vermiglie labbra della giovane donna uscivano tali parole era che nessuno si era fatto avanti, tra i principi di altri regni, per chiederle la mano. Il primo ed ultimo principe che aveva avuto tali intenzioni era stato il tredicesimo figlio del Re delle Isole del Sud, Hans, colui che aveva tentato di uccidere lei e sua sorella. Ad essere precisi, Hans aveva avuto come iniziale obiettivo quello di sposare Elsa, desideroso di diventare Re, ma accortosi della lontananza e freddezza della principessa, era stato indotto ad adescare la sorellina, Anna. Era successo quello che era successo poi. Facendo i conti con la nuda e cruda verità, nessuno si era mai spinto a conoscerla con l’obiettivo di averla come sposa. Sapeva che sarebbe stata in grado di proseguire quell’irto cammino, chiamato vita, senza alcuno affianco, dopotutto vi era riuscita fino adesso, no? Però vedendo Anna così felice con suo marito ed i suoi figli, si chiedeva perché qualcosa di vagamente simile non potesse accadere anche a lei.
Lo sguardo della Regina, prima rivolto al giardino che si estendeva sotto la sua camera, si abbassò sulle sue mani, prive di guanti. Silenziosamente rimase a rimirarle. Erano bianche, eteree e fredde, come il suo cuore solitario. Le strinse in due pugni, mordendosi il labbro inferiore mentre scuoteva il capo, tentando vanamente di eliminare quei tristi pensieri. Si diede della stupida, imponendosi per l’ennesima volta di piantarla di pensare così negativamente, la felicità sarebbe arrivata anche per lei prima o poi. Sorrise con amarezza, alzandosi dal divanetto sul quale riposava, si diresse verso la sua scrivania. Il lavoro l’attendeva, una miriade di scartoffie erano sparse sul pregiato legno ed una penna bianca, unita ad un calamaio, attendeva di essere presa ed utilizzata.  Passò così il suo pomeriggio, sola, come sempre, a prendersi cura del suo regno, premurosa come una madre nei confronti del suo bambino.
All’ora di cena venne interrotta da una esagitata Anna, la quale piombò nel suo studio, ridestandola dal suo lavoro. Intorpidita e irrigidita per la posizione china tenuta fino a quel momento, Elsa si stiracchiò, donando alla sorella uno stanco sorriso.
- Tu lavori troppo! – Venne accusata dalla giovane madre, mentre l’abbracciava con affetto.
La regina ricambiò, evitando di replicare per stroncare sul nascere una possibile quanto prevedibile discussione. Conosceva la testardaggine di Anna e, di conseguenza, preferiva evitare di discutere, soprattutto per vani motivi.
Fece per aprire bocca, ma si interruppe quando notò sbucare da dietro la gonna di Anna un faccino tondo. Si trattava di San, il maschietto di Kristoff ed Anna, gemello di Dubhe, la femminuccia. Aveva cinque anni e mezzo, ma era una peste. Sebbene Elsa fosse sempre stata restia dal intrattenersi con loro, temendo i suoi poteri, quella piccola peste bubbonica aveva sempre tentato un approccio. In realtà non ci aveva mai rinunciato, era attratto dalla distante zia, voleva probabilmente sciogliere quel gelo che attorniava il suo cuore. Anche quel giorno, con un sorrisetto beffardo stampato sul viso lentigginoso, balzando fuori dal suo nascondiglio, corse verso Elsa, urlando come un disperato. Come una scimmia tentò di arrampicarsi sulla gonna della zia, urlando il suo nome. Aveva imparato prima a dire Elsa, nome non semplice, piuttosto che mamma e papà, ma nonostante questa dimostrazione di affetto la regina si era sempre mostrata scostante dal piccoletto. San non si era lasciato scoraggiare, a dimostrazione di ciò, bastava guardarlo cercare con tutto sé stesso l’attenzione della regnante.
- Elsa! Elsa Elsa Elsa! Braccio! – Urlò rendendosi conto che non sarebbe stato in grado di scalare il lungo abito azzurro della donna.
Anna osservava appoggiata allo stipite della porta con un sorrisetto soddisfatto, come se le piacesse che suo figlio portasse un po’ di calore alla sorella, dimostrandole che non tutti le erano ostili.
Elsa fu costretta, a malincuore, a sollevare il bambino. Si vedeva chiaramente quanto non fosse abituata a tenere in braccio piccoli marmocchi. Immediatamente il furfante le stampò un bacio sul naso e poi l’abbracciò con affetto, sospirando contento. Quel gesto, così spontaneo e sincero, fece nascere l’ombra di un sorriso sulle labbra della regina. Anna era rimasta ad osservare la scena e non poté far altro che constatare quanto suo figlio e sua sorella si assomigliassero esteticamente, entrambi biondi, stessi occhi azzurri e grandi, carnagione eterea, solo le lentiggini di San dimostravano che vi era qualcosa anche della madre. Ovviamente, caratterialmente erano opposti, ma dopotutto gli opposti non si attraggono?
Fu quando San prese a giocare con la lunga traccia di Elsa, che la ragazza si ridestò e allontanò bruscamente il piccolo.
- Tieniti la tua peste, Anna. – Si ritrovò a dire sbrigativa, allontanandolo da lei e porgendolo alla madre. Il timore era sempre lo stesso: fare del male ad una innocente creatura.
Gli occhi celestiali di Elsa si rabbuiarono non appena persero il contatto con il corpicino caldo di San, il quale reclamò nuovamente la zia. Fu Anna ad intervenire e a calmare proprio figlio, aveva perfettamente compreso le paure della sorella.
Terminata la cena, Elsa si ritirò ben presto nelle sue stanze, sentendosi improvvisamente un blocco al petto. L’ansia cresceva, come le succedeva negli ultimi mesi quasi tutte le sere. Il petto si alzava e abbassava a ritmi sostenuti e il viso diventava ancora più pallida. Corse verso i suoi appartamenti e si chiuse dentro. Aveva il fiato corto, ma sapeva non essere colpa della corsa. Rimase diversi minuti appoggiata alla pesante porta, lo sguardo perso davanti a sé e il cuore che martellava potente nel suo petto. Sapeva benissimo cosa le stava accadendo per l’ennesima volta: stava avendo un attacco di panico. Si staccò dalla porta e barcollò verso il letto, lasciandosi cadere sopra. Il respiro era ancora affannoso, il suo cuore non accennava a calmarsi, la stanza attorno a sé si fece più sfocata. Tentava di mettere a fuoco, ma vanamente. Passarono minuti, forse ore prima che tutto si fermasse e lei potesse prendere di nuovo il controllo di sé stessa. Aveva bisogno di ghiaccio, di freddo, dei suoi poteri. Con mano tremolante, dovuta alla crisi appena avuta, fece il solito movimento per poter dar vita ad un gioco di ghiacci, ma nulla si produsse dalla destra. Ci ritentò, questa volta muovendo la sinistra, il risultato fu lo stesso: nulla. Niente di niente. Imprecò sottovoce, riprovandoci ancora, ma senza produrre alcunché. Fece un terzo tentativo, poi un quarto ed un quinto e così via, sempre più frustrata e disperata. Si alzò persino, spaventata dal fatto che nessuna magia sembrava più vivere in lei. Perché non riusciva ad usare i suoi poteri ora che aveva imparato a controllarli? Barcollò in avanti, raggiungendo la scrivania, facendo un ultimo e vano tentativo. Urlò colma di rabbia, buttando a terra, con un gesto iracondo, qualsiasi cosa vi fosse sul tavolo sul quale aveva lavorato per tutto il pomeriggio. Nuovamente il cuore prese a rimbombarle nel petto ed un’insolita ira le invase anima e corpo. Urlò di nuovo, afferrando un vaso e buttandolo a terra con forza. Compì lo stesso gesto con un altro oggetto e poi un altro ancora, intervallando nuovi tentativi di liberare la propria magia, la vera Elsa. Continuò così fino a quando non cadde a terra in una valle di lacrime. L’ira venne sostituita dalla disperazione e dal pianto. Si addormentò, stremata, appoggiata al sedia dall’imbottitura di velluto rosso.
 
I’m waking up to ash and dust
I wipe my brow and I sweat my rust
I’m breathing in the chemicals
 
Elsa si risvegliò di soprassalto, il braccio destro indolenzito, probabilmente il suo capo era rimasto appoggiato su di esso per tutta la notte. Il sole era ormai alto nel cielo, a constatare dall’insistente luce che entrava nella camera e qualcuno bussava con forza alla sua porta.
- Un attimo! – Si ritrovò a replicare, senza nemmeno sapere di chi si trattasse. Il bussare cessò all’istante e ciò le fece intuire si trattasse una qualche cameriera che attendeva di aiutarla a sistemarsi. Si alzò lentamente, dolorante per la posizione scomoda che aveva tenuto per tutta la notte. Passandosi una mano tra i capelli arruffati affermò, senza aprire, che si sarebbe sistemata da sola. La presunta cameriera rispose, allontanandosi poi dalla camera. La ragazza si guardò attorno, constatando con disappunto che aveva realmente distrutto la sua camera e non si trattava solo di un incubo. Sospirò, scuotendo il capo mesta. Il bello era che non aveva messo soqquadro la sua stanza con i suoi poteri, ma semplicemente con la furia di una normale donna priva di alcuna maledizione. Si rese conto che sarebbe dovuta essere contenta, se i suoi poteri erano spariti significava essere libera finalmente! Purtroppo un’opprimente tristezza le attanagliava il cuore, non concedendole alcuna minima felicità, nemmeno ora che sapeva di non poter più nuocere a nessuno, nemmeno a suo nipote, San. In quell’istante rabbrividì, portandosi le mani sfregarsi sulle braccia per un po’ di calore. Fu costretta ad accendere un fuoco, mentre con calma ragionava sul da farsi.
La cosa più sensata e razionale sarebbe stata quella di costringersi a vivere così, dopotutto aveva represso i suoi poteri fino ad ora, che senso aveva riaverli indietro? Ma la parte più ribelle, che fino a quel momento non era mai uscita prepotentemente allo scoperto, le diceva che avrebbe dovuto fare qualcosa. Socchiuse appena gli occhi, allungando le mani verso il caminetto appena acceso, il fuoco scaldava le mani intorpidite dal freddo, solleticando la pelle con delicatezza. Che cosa fare? Che cosa doveva succedere per risvegliare o ritrovare la magia che le apparteneva? Stando ai suoi calcoli l’ultima volta che un solo fiocco di neve era svolazzato dalle sue mani era stato più di un mese fa e ciò la mandò in panico. Fino a quella sera non aveva più provato ad utilizzare i suoi poteri, se n’era quasi scordata.
Coccolata dal calore sprigionato dal fuocherello del camino, una nuova certezza si fece strada in lei. Aprì gli occhi di scatto, occhi esterni avrebbero potuto notare che una strana e nuova luce aveva iniziato a brillare negli occhi della Regina, pareva quasi trattarsi di determinazione. Era stufa di reprimere sé stessa, era stufa di mettere da parte qualsiasi cosa la rendesse vagamente felice per qualcuno egoista. In quel momento riuscì a provare rabbia persino per il suo popolo, che nonostante fingesse di volerla, in segreto provava ancora paura nei suoi confronti. Si alzò di scatto, decisa a prendere in mano le redini della sua vita. Voleva indietro i suoi poteri, voleva ritornare ad essere sé stessa. Un barlume di malsana idea le iniziò a tartassare la mente e sulla base di quei pensieri si mosse, si fiondò all’armadio dal quale tirò fuori dei vestiti a caso, chiamò la servitù e diede ordini secchi su cosa preparare. Sarebbe partita domattina all’alba e così fece. Non diede molte spiegazioni ad Anna, si limitò ad affermare che necessitava di allontanarsi un poco e intanto ne avrebbe approfittato per tentare di riaprire i rapporti commerciali con le Isole del Sud, patria di colui che aveva tentato di assassinarla: il principe Hans.
 
 
NOTE AUTRICE: mi rendo conto che Hans è stato solo citato e che non è ancora comparso, ma lo farà presto, nel prossimo capitolo. Per questo ho preferito concentrarmi su Elsa e sul perché spingerla ad andare da lui, anche se non l’ho svelato proprio del tutto.
Sembra la solita Elsa, quella di questo primo capitolo, con insicurezze e tanti dubbi, in realtà le voglio dare un tocco diverso, sempre fragile, ma anche fortemente arrabbiata con il mondo che la circonda. Non so se ci riuscirò, anche perché di solito quando scrivi i personaggi fanno quello che vogliono e le idee cambiano in corso d’opera.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Baci
Arabella
  
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