Vivevo in un mondo tutto mio, fatto di giochi, amore e fantasia. Ogni volta svegliarsi era un incubo perché mi sarei ritrovata costretta ad affrontare la vita di tutti i giorni, mamma e papà che litigavano, i prepotenti compagni di scuola, la guerra.
Quella mattina poi. Fu la peggiore.
Alla fine arrivarono anche in casa nostra, completi di divisa e armi. Decine di stelle al valore e una busta tra le mani. Papà fu chiamato all’arruolamento. Ma come? I giornali parlavano di una bella ripresa da settimane, che ormai la guerra era giunta al capolinea, perché chiamarlo adesso?
«Mi scusi, a cosa vi servirebbe precisamente mio marito?» domandò mia madre, senza tralasciare il terrore che in realtà l’abbracciò come un’amica.
«Lei stia al suo posto. Se suo marito rinuncerà, sarà incarcerato per Alto Tradimento verso il suo stesso paese.» disse prepotentemente quello che molto probabilmente era un generale dell’esercito.
«Siete solamente dei vigliacchi!» esclamò lei.
Mio padre non disse nulla, si limitò a posare a terra la valigetta del lavoro e a prendere una valigia pronta dall’inizio della guerra nell’eventualità di una chiamata. Tutti gli uomini del paese si ritrovarono in quella situazione, a vivere ogni giorno col timore di essere richiamati.
Anche i nostri vicini ricevettero la visita di alti gradi dell’esercito. Miriam, la mia migliore amica, tentò invano di fermarli, strinse suo padre per non lasciarlo andare. Sua madre si limitò, in lacrime, a prenderla in braccio per tranquillizzarla.
Mio padre, dal retro dell’auto, disegnò sul vetro un cuore e scrisse il mio nome. Riuscii a leggere il suo labiale:“Ti amo, principessa.”. Corsi dietro alla macchina, gridandogli che lo avrei aspettato all’infinito e gli promisi che ci saremmo riabbracciati un giorno.
Dopo qualche settimana ricevemmo una sua lettera. Ci raccontò di quanto la guerra fosse peggiore di quanto si dicesse in giro, che molti degli uomini rimasti a casa avevano solo la bocca per parlare, ma senza conoscere. Ci raccontò di aver conosciuto il famoso Captain America e di aver combattuto al suo fianco, anche se solo per una breve missione. Fu coinvolto in un agguato. Grazie a lui ne uscì illeso.
Veneravo mio padre come purtroppo pochi sanno fare e fanno.
Ora sono qui, bloccata in questo letto, assistita dal mio unico figlio al quale ho attribuito il suo nome, Harold. Harold Junior, un bel giovanotto dai biondi capelli e gli occhi azzurri come il cielo che ci si presentò quel giorno.
Guardiamo assieme il telegiornale e scopriamo improvvisamente che il Capitano Steve Rogers è miracolosamente vivo, che il suo corpo è stato ritrovato nei ghiacci.
«Mi venisse un colpo all’istante!» esclamai
. Mio figlio mi guarda, dicendomi di non scherzare. Oh, figlio mio. Quando diventerai vecchio e malato come lo sono io in questo momento, capirai che scherzarci su sarà l’unica cosa che ti rimarrà da fare.
Chissà come deve essersi sentito il Capitano: uscire in strada e vedere enormi schermi luminosi, armi più potenti e una mezza libertà conquistata dopo anni di guerre. Un mondo nuovo, il 2000 all’improvviso.
C’è un’area del museo a lui dedicato, l’ho visitato più di una volta.
Come vorrei avere il tempo di ringraziare il Capitano Rogers per aver salvato il mio papà, che tornò a casa al termine della guerra sulle sue gambe. Forse senza il suo aiuto, non avrebbe potuto più vedermi crescere, laurearmi e sposarmi. Grazie figlio mio per essere stato la cosa migliore che mi sia capitata nella vita.
E grazie anche a lei, Capitano, per aver permesso al mio papà di godersi a pieno la vita. Spero che ora lei riesca a godersi la vita che avrebbe meritato in passato.
Bentornato Cap!