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Autore: IoNarrante    14/01/2016    6 recensioni
Ven, aspirante avvocato, ragazza determinata, ligia al dovere, trasferitasi a Londra con un unico obiettivo: diventare socia di uno dei più grandi studi legali della capitale.
Il sogno per cui ha lasciato la sua famiglia a Tivoli, salutato tutti i suoi amici, riducendosi a vivere in un piccolo monolocale vicino a Regent Park.
La fortuna però gira dalla parte di Ven, perché le verrà affidato un caso importante e allo stesso tempo spinoso, che la costringerà a collaborare con un avvocato brillante e terribilmente sexy ma che allo stesso tempo rispolvererà alcune sue vecchie conoscenze.
Non è necessario aver letto Come in un Sogno
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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EPILOGO
 


All’interno dell’Emirates Stadium si udivano soltanto i tamburi riecheggiare nel silenzio e voci di uomini e donne che sembravano fusi in un’unica entità. La curva era dipinta di bianco e di rosso, sciarpe e bandiere venivano sventolate in maniera forsennata mentre lo speaker di turno stava urlando un nome dietro l’altro.
«Francesco, ehi, torna subito qui!» urlai, tentando di non urtare uno degli addetti alla sicurezza. Erano davvero persone spaventose. Indossavano gli occhiali perfino quando era notte, davvero delle persone strambe.
Di certo non hanno azzardato quel colore di capelli.
Tentai di ignorare Cervello, ormai mi stavo abituando a vivere senza una coscienza ma alle volte mi risultava difficile. Mi pettinai accuratamente la frangia all’indietro, fissando bene le forcine e corsi dietro ad un bambino moro di circa tre anni.
Lo afferrai appena in tempo, per il cappuccio del piumino, prima che potesse lanciarsi direttamente in mezzo al campo.
«Signora, non può entrare ancora,» mi ricordò uno degli addetti alla sicurezza, con quel vocione antipatico.
«Sì, ha ragione, mi scusi,» dissi.
I miei movimenti erano ancora impacciati, soprattutto perché mi risultava difficile rimanere in equilibrio su tacchi anche modesti e vestita di tutto punto.
Il bimbo si voltò, fissandomi con un paio di occhi talmente blu che rimasi incantata.
«Momy, vojo vere papà!»
Prendo Google traduttore?
Sorrisi e mi accovacciai, sistemandogli meglio il giubottino.
Francesco aveva preso gli stessi capelli di Simone, perennemente spettinati e sparati in tutte le direzioni mentre gli occhi… beh, quelli erano una sorta di mescolanza. I miei erano di un celeste chiaro mentre quelli del papà nerissimi. Lui era uscito fuori con un iride blu come l’oceano più profondo.
«Tra poco papà torna, piccolo. Se aspettiamo qui, sicuro ti porterà uno di quei palloni con le stelle.»
Come aveva pronosticato Simo, il piccolo Francesco era nato con l’amore incondizionato per quella cosa rotonda per cui il papà veniva pagato profumatamente. Dal canto mio, stavo ancora cercando di fargli imparare correttamente l’alfabeto italiano in modo che potesse arrivare alle scuole primarie già pronto.
Gli occhi parvero illuminarglisi come stelle. «Palla!» urlò, mettendosi a saltellare.
Hai scatenato la peste, lo sai vero?
Era difficile tenere a freno la vivacità di quel bambino, soprattutto quando faceva di cognome Sogno.
«Allora ce l’hai fatta a venire, eh?» mi domandò una voce alle mie spalle.
Sorrisi, riconoscendo subito mia cognata.
«Sì, sono riuscita a liberarmi allo studio e sono corsa qui. Rose si è offerta di portare anche Francesco,» le spiegai.
Era consuetudine che mio figlio passasse molto tempo in compagnia della sua piccola cuginetta Susy. Almeno sapevo che giocava con una bambina piuttosto furba e intelligente e poi era nelle mani di una mamma perfetta e bellissima come Rosie.
Abbracciai Sofia e notai anche la presenza, effimera, di quella talpa di Ruben.
In quei tre anni non era cambiato di una virgola, forse si era fatto crescere una rada peluria che voleva assomigliare vagamente ad un pizzetto.
«Ciao Ruben!» lo salutai.
Lui mi sorrise timido. «C-Ci-Cia-Ci-C-Cia-Ci-C-Cia-… Salve!»
Dai, ci ha messo solo cinque minuti. Sta migliorando!
Poveraccio.
La piccola Sogno gli sorrise, quasi come se avesse visto chissà quale splendida creatura. Era proprio vero che l’amore non aveva né età, né colore e non guardava l’aspetto fisico. Di certo aiutava, ma non era fondamentale.
«Tra quanto faranno la premiazione?» mi chiese.
Guardai l’orologio da polso. «Penso che sia già iniziata.»
Ci trovavamo tutti lì, allo stadio, perché l’Arsenal era riuscita a vincere il campionato e Simone sarebbe stato premiato come capo cannoniere di quella stagione. Mi sentivo molto orgogliosa, soprattutto stando in mezzo a tutte quelle altre donne piuttosto vuote ed annoiate da una vita in cui potevano avere tutto e non traevano nessuna gioia personale.
Ecco perché avevo subito ricominciato a lavorare.
«E con 20 gol in questa stagione,» disse lo speaker, mentre le urla dei tifosi riuscivano addirittura a coprire la voce del microfono. «Viene nominato capo cannoniere di questa stagione calcistica 2015-2016…»
Presi per mano Francesco giusto in tempo per sporgermi al di fuori del tunnel d’ingresso. Volevo assistere al momento in cui gli avrebbero consegnato la medaglia, uno degli altri mille trofei che avrebbero riempito casa.
«Momy, is he moy papa?» mi chiese.
Sorrisi alla sua pronuncia per metà inglese e metà italiana. D’altronde, sarebbe diventato uno di quei bambini che sapevano alla perfezione due lingue.
Un piccolo genio.
Come la mamma.
Presi in braccio Francesco con un enorme sforzo. Dal momento che ero alta un metro e due mele, feci perno sulle gambe e me lo poggiai su un fianco, indicando verso Simone che saliva su un piccolo podio.
«Vedi amore, quello laggiù è papà,» gli dissi e i piccoli occhi blu divennero luminosi.
«Simone…» urlò lo speaker.
«SOGNO, SOGNO, SOGNO!» gridarono tutti i tifosi, sventolando le sciarpe e le bandiere mentre vidi Simone che lanciava baci e ringraziamenti verso la telecamera. D’altronde era una continua soddisfazione per lui, raggiungere quel vertice di carriera così giovane e con tutta la vita ancora davanti a sé.
Ogni giorno che passava lo amavo sempre di più, e amavo il piccolo batuffolo di ciccia che tenevo al fianco.
Subito dopo la premiazione ci furono i festeggiamenti, così i calciatori tornarono verso il bordo del campo per prendere in braccio la propria prole e concedere delle foto dolci e felici alla stampa inglese. La bufera del caso di tre anni fa si era spenta come un fuoco in una tempesta, era durata fino all’estate successiva e a settembre non interessava più a nessuno.
Fu però sostituita dalla notizia della famiglia Sogno e del matrimonio più romantico della storia: lei, giovane avvocato senza un becco di un quattrino e lui, calciatore famoso e bellissimo che si era innamorato.
Il genere di storie inciuciose di cui gli inglesi campavano.
Notai Simone che mi correva incontro. Non appena mi vide, gli sorrise lo sguardo e mi baciò, anche se Francesco subito si mise nel mezzo.
«Papa! Papa! Papa! No eat momy! Plis.»
Stavo trattenendo a stento le risate. Simone mi guardò stralunato. «È tuo figlio, non stupirti,» gli dissi subito, alzando le mani.
Lui però lo prese in braccio e mi baciò di nuovo, cingendomi la vita e stringendomi a sé. Non mi ribellai, anche se era sudato fradicio, perché adoravo sentirlo mio anche in quei momenti pubblici.
«Sono felice che sei riuscita a passare,» disse, schioccandomi un altro bacio. «Faccio due foto con Chicco e poi ce ne torniamo tutti a casa.»
Annuii, sorridendo come una scema.
«Ti amo,» gli dissi e lui lo mimò con le labbra perché già stava scappando dai fotografi. Rimasi a guardarlo correre, forse la prima cosa che mi aveva fatto innamorare davvero di lui. Lo avevo sempre giudicato come un ragazzo privo di interessi, un egoista, una persona che pensava soltanto al proprio tornaconto, senza alcun tipo di ambizione. Invece avevo visto che in lui c’era qualcosa, un amore verso quello sport che non ero riuscita a capire all’inizio.
«Beh, congratulazioni,» mi disse una voce ed io sussultai.
Sebastian era apparso al mio fianco, materializzato da chissà dove. Era raro che venissi agli allenamenti di Simone per cui non avevo occasione di vedere i suoi colleghi con frequenza. Dovevo ammettere che Sebastian in particolare, mi inquietava.
«G-Grazie,» risposi titubante.
Secondo me è una specie di stalker.
«Siamo già al secondo eh, quanti pensate di sfornarne?» mi domandò, forse poco opportunamente.
D’istinto mi accarezzai il piccolo rigonfiamento sull’addome.
Non che fosse programmato, ma ormai avevo imparato da Simo ad essere più istintiva e a godermi i piccoli regali che la vita mi stava dando. Avevo già le mie soddisfazioni sul posto di lavoro, con James che era sempre pronto ad aiutarmi, e una volta rientrata a casa ne trovavo delle altre.
Magari non avevo coronato il sogno di lavorare alla Abbott&Abbott, ma mi sentivo ugualmente realizzata.
«Non sono affari tuoi, Sebastian,» gli dissi, il più cordiale possibile.
L’uomo mi guardò lanciandomi un sorriso sghembo. «Simone ha davvero trovato una piccola miniera d’oro.»
Io mi allontanerei molto lentamente.
Approvo!
Ne approfittai per raggiungere Sofia e Ruben, intenti a chiacchierare con alcuni manager della squadra.
«Ven, mamma ti ha chiamato per avvertirti del pranzo di domani?» mi domandò.
Sgranai gli occhi. Me n’ero completamente dimenticata. «Ehm, a dire il vero…» annaspai. Andare a pranzo da mia suocera non era poi così pesante, il problema era soltanto coniugare gli impegni di lavoro, a Francesco e agli allenamenti di Simone. C’erano volte in cui non riuscivamo nemmeno a vederci per ventiquattro ore filate.
«Te ne sei dimenticata,» concluse Sofi, sorridendo. «Non fa niente, dico alla mamma di rimandare, tanto lei è disponibile.»
Tirai un sospiro di sollievo. «Sarebbe perfetto, domani ho la giornata completamente piena!»
«Tranquilla, faccio tutto io!»
Sofia era davvero una ragazza d’oro, proprio il contrario di quel debosciato del fratello.
«Momy, momy, can ai eve a fotografica cotté?» mi urlò dietro Francesco, correndomi incontro. Simone lo seguiva a distanza, evidentemente stanco.
Dopo l’ultima partita di campionato, aveva a mala pena avuto il tempo di farsi una doccia e poi era scattata la premiazione. Nei due giorni successivi avrebbe dovuto festeggiare con la squadra e con i tifosi, come di consuetudine.
«Amore, papà è in modalità zombie. Che ne dici se torniamo a casa e facciamo la nanna?» chiesi al piccolo Francesco che fortunatamente capì e fece di “sì” con il suo faccino rotondo.
«Piccola, torniamo a casa?» mi chiese Simone, salutando poi la sorella e il cognato.
La talpa.
L’uomo di neanderthal.
L’astrolopiteco.
Sì, insomma, Ruben.
«Andiamo.»
Camminando nei corridoi dell’Emirates Stadium e fermandoci ogni minuto per permettere a Simone di fare foto e firmare autografi, Francesco si era addormentato sulla sua spalla. Mi inteneriva ogni volta vedere padre e figlio che si somigliavano così tanto.
«Che c’è?» chiese mio marito, vedendo che lo osservavo.
Ancora mi faceva strano etichettarlo in quel modo.
«Nulla,» sorrisi, facendo spallucce. «È che sono così orgogliosa di te.»
Simone annullò la distanza che c’era tra di noi e la colmò con un lungo ed intenso bacio. Mi strinse a lui e al piccolo Francesco, che dormiva beato e mi chiese all’orecchio come mi sentivo.
«Sto bene, anche lui o lei sta bene,» dissi, riferendomi al pancione.
Allora mi prese per mano e continuammo a camminare dirigendoci verso il parcheggio.
«Sei felice?» mi chiese poi, prima di entrare in macchina.
Lo guardai sorridendo. Era una domanda piuttosto ovvia, ma ogni volta che me la faceva era come se mi innamorassi di lui per la prima volta.
«Con te,» gli risposi, come facevo ogni volta. «Con te, sono felice.»

 

Che dire?
Ci ho messo un secolo e mezzo anche a pubblicare questo ''epilogo'', nonostante la storia fosse conclusa ho voluto farvi ''sbirciare'' un po' nel futuro di Simo e Ven. E' stato un periodo un po' impegnativo questo, non ho avuto molto tempo nemmeno per fare modifiche e correzioni ai capitoli precedenti, in vista di una pubblicazione futura, ma quando sarò pienamente soddisfatta del risultato, vi terrò aggiornate.
Detto questo,
Simo e Ven mi mancheranno tantissimo. Sono stati sia protagonisti della mia storia, sia compagni di viaggio per dei periodi della mia vita che mi hanno vista crescere. Erano lì quando ho fatto dei cambiamenti radicali nel mio stile di vita, quando ho fatto determinate scelte, quando ancora non sapevo cosa si provasse ad essere ''innamorati'' e quando finalmente ho capito cosa Ven e Simo mi trasmettessero attraverso le parole. Durante il corso della storia, abbiamo visto Venera cambiare radicalmente, accettare il fatto che la vita non è solo ''Cervello'' e che non si può comandare al cuore quando e dove innamorarsi. Succede e basta. Abbiamo visto anche Simo cambiare, fare dei sacrifici, capire passo dopo passo cosa volesse dire assumersi le responsabilità delle proprie azioni ed essere pronti a rinunciare a tutto pur di stare al fianco della persona che si ama, se ne vale davvero la pena.
Perché l'amore non è altro che mettere il bene dell'altro prima del proprio.
L'antitesi dell'essere egoista.

Spero che questa storia vi abbia insegnato qualcosa, oltre ad avervi fatto ridere e perdere qualche ora del vostro tempo.
Che vi abbia aperto gli occhi anche su questo ''crescere insieme'' che, secondo me, è la parte più bella di una relazione. Uno che insegna ciò che sa all'altro, in modo da costruirsi un futuro.

Detto questo mi mancheranno questi due, mi mancherà tornare a scrivere.
Vorrei ringraziare tantissimo la mia ''FAMIGGHIA'', di cui non basterebbero mille pagine di ringraziamenti per esprimere ciò che devo loro. Wife che mi ha sopportato betando e correggendo tutte le porcate che scrivevo, Annucciah che - con molto garbo *inserire ironia qui* - mi diceva chiaramente cosa faceva cagare e cosa no, e Rosie che con il suo entusiasmo (e stalkeraggio) mi spronava a finire questa storia a cui si era affezionata da morire.
Vi lascio con un enorme GRAZIE, ma so già che vi dovrò sfruttare ancora (PURTROPPO PER VOI MUAHAHAHA).

Ai lettori di EFP che mi hanno seguito da due/tre anni a questa parte, 
ringrazio anche voi che avete supportato i miei alti e bassi, che nonostante abbia aggiornato una volta l'anno (quasi), non avete mai smesso di seguirmi e scrivermi (anche nel gruppo). Vi ringrazio di tutto e spero vi siate divertiti a leggere questa storia così come io mi sono divertita da morire a scrivere di Venera e Simone.
Alla prossima storia (se ci sarà).
Un mega-bacio,

Marty <3
   
 
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