Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: PervincaViola    17/01/2016    3 recensioni
Il sorriso di Feliciano è il riflesso del caldo sole del sud, così diverso dalla rossa burrasca che per sei anni ha scosso le fondamenta d'Europa.
{Germania/Italia ♥ Three times Feliciano cried, and one time Ludwig did}
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





 
Turn your tears to rain
 



 
Libia, aprile 1941
«Sono così contento che tu sia venuto ad aiutarmi, Ludwig!»
La voce squillante di Feliciano è un cicaleccio argentino nella fredda notte africana, la risposta dell'ufficiale tedesco è un mero sospiro fintamente rassegnato; Bengasi è una città fantasma, silenziosa come il sole al tramonto, un silenzio a cui gli Italiani non sono avvezzi. Mentre Ludwig... Oh, lui ama il silenzio e la tranquillità, Feliciano l'ha imparato presto. All'inizio può fare paura, alto e muscoloso com'è, l'espressione seria e quasi accigliata di chi porta sempre sino in fondo il proprio compito, da vero tedesco; all'inizio Ludwig può fare paura, ma Feliciano ha imparato a leggere la dissimulata gentilezza negli occhi più azzurri che abbia mai visto, e sa altresì che lui e Ludwig sono più che alleati: sono amici.
«Grazie per essere venuto» gli ripete, questa volta con voce più lieve, ma con la stessa identica allegria. «Senza di te non saremmo mai riusciti a sconfiggere Inghilterra».
Ludwig stira le labbra sottili in un sorriso appena accennato. «Gli Italiani non sono molto portati per l'arte della guerra, nicht wahr?»
Feliciano ricambia il sorriso; no, certamente lui non è portato per quello, forse avrebbe preferito persino non doverla vivere ancora, una guerra. Perché lui è giovane, codardo e ancora innocente, perché il coraggio di partecipare ad una battaglia in prima persona non l'ha ancora trovato; però questo a Ludwig non lo dice, forse sarebbe deluso, forse si arrabbierebbe – o forse ha intuito lui stesso il motivo della piccola bandiera bianca nascosta in una tasca della sua divisa e non dice nulla comunque.
«Ho ricevuto una lettera di Lovino, due giorni fa» racconta Feliciano, alzando gli occhi al cielo fosco e spruzzato di stelle. «Dice che a casa hanno iniziato a razionare il cibo, presto toccherà anche alla pasta... Mi manca casa» ammette d'un tratto, senza vergogna, l'aria che stride la nostalgia per i campi di grano maturo abbandonati al volgere dell'estate, rastrelli e vanghe sostituiti da fucili e granate. «E ho paura» aggiunge ancora, mentre sopra di loro ruggiscono i bombardieri della Luftwaffe.
Ludwig non replica subito; piuttosto lo osserva con un'espressione indecifrabile sul viso: probabilmente non può capirlo, la paura è un sentimento estraneo al rigore tedesco, e Feliciano quasi si pente d'aver parlato.
«Quando la guerra sarà finita potrai tornare a casa» afferma infine, ancorando lo sguardo pensoso all'orizzonte buio.
«E quando finirà?»
«Presto» risponde laconico, regalandogli vana speranza che si tramuta in rassicurante bugia, la speranza cui solo uno sciocco potrebbe aggrapparsi – cos'altro è lui, se non uno sciocco che gioca con il fuoco di una guerra che lascerà solo cenere?
Feliciano annuisce fiaccamente, simula un sorriso – quanto gli piacerebbe dirgli che gli crede davvero. Si china in avanti e poggia la fronte contro la spalla tiepida di Ludwig, lasciando che una lacrima solitaria strisci sulla sua gota. «Ich liebe dich» mormora piano, così piano che è certo le sue parole si dissolvano nello stesso modo delle volute di sabbia che intravvede lontano, come la carezza del vento fra i capelli, simile a dita fredde e leggere come i polpastrelli del biondo tedesco.
Ludwig non s'accorge di nulla o, se se ne avvede, non commenta, né mostra segno di volersi scostare. Feliciano inspira a fondo l'odore tedesco della giacca, finché il sapore mordente delle lacrime non è bruciato dal profumo di lui, che cola giù a riscaldargli il petto.
«Me lo prometti?» è l'infantile richiesta che gli s'inerpica lungo la gola prima che possa soffocarla, come acqua che sguscia via fra le dita.
Nonostante abbia gli occhi chiusi, Feliciano percepisce un sorriso distorto nella voce di Ludwig, ed è certo che sia amaro. «Ja».


Repubblica di Salò, ottobre 1943
Il silenzio di piombo permea la piazza del pittoresco paesino, affacciato sulle acque di quel lago che riflette impassibile il ceruleo del cielo. Le urla dall'accento duro e marcato gli suonano estranee: non ha mai imparato a dovere il tedesco e conosce così poche parole oltre ad Hallo, Danke schön e Ich liebe dich, che gli è impossibile comprendere cosa stanno gridando quegli uomini biondi con una croce uncinata ad adornare gli impermeabili neri.
«Chi sono?» domanda intimorito Feliciano, quando un uomo in catene viene trascinato al centro della piazza. Il suo volto è tumefatto, irriconoscibile; la sua uniforme è intrisa di sangue, eppure anche da lontano è possibile riconoscere lo stemma cucitovi sopra e la consapevolezza arriva improvvisa: quell'uomo è un soldato italiano.
«La Gestapo» Ludwig pronuncia in un sussurro roco il nome della polizia segreta tedesca, e a Feliciano manca il fiato quando il più giovane degli uomini costringe l'italiano in ginocchio, colpendolo alla nuca con il calcio di una pistola apparsa dal nulla.
«Er ist ein Verräter» sputa con disprezzo in direzione della folla che inizia ad agitarsi, e Feliciano non fatica a riconoscere quella parola: l'ha udita per la prima volta dalle labbra di Ludwig, mentre parlava della fuga di Lovino, dell'essere passato dalla parte degli Alleati. Traditore, questo significava. «Er muss sterben».¹
«No» mormora Feliciano, scuotendo il capo e muovendo istintivamente un passo in direzione del soldato accasciato a terra, ma Ludwig è più veloce di lui, come sempre: la sua presa di ferro lo trattiene indietro, gli impedisce di procedere oltre.
«Andiamo via» taglia corto, senza guardarlo.
È tutto così assurdo, non riesce a capire cosa sta succedendo sotto i suoi occhi: tedeschi e italiani sono ancora alleati nel Nord Italia, sono stati Lovino e il re a tradire l'Asse e Il Patto d'Acciaio, non lui. Non capisce neppure quando, incredulo, vede l'ufficiale tedesco puntare l'arma dritta verso il soldato, e cercare di divincolarsi dalle mani che lo stanno trascinando via è inutile: Ludwig è troppo forte perché possa avere ragione della sua stretta.
«È un soldato italiano, Ludwig, devono essersi sbagliati!» ribatte Feliciano, il panico che cresce nella sua voce. La Grande Germania ci proteggerà, non è forse così? «È italiano, cosa gli stanno facendo?»
«Schau nicht» quasi ringhia Ludwig, alzandolo di peso e caricandoselo in spalla senza voltarsi indietro, premendogli una mano sulle labbra e lottando per farsi strada nell'accalcata piazza. «Schau nicht!»
Non guardare, questo gli sta dicendo mentre lo porta via da quella mattanza, cercando di proteggerlo, tuttavia distogliere lo sguardo è impossibile: non sono abbastanza lontani perché Feliciano non senta i singhiozzi di quell'uomo, perché non veda le persone voltare la testa dall'altra parte. Non sono abbastanza lontani perché non veda la pistola piantare un singolo colpo nella tempia del soldato e il sangue schizzare come un'onta sul lastricato della piazza. È solo la mano guantata di Ludwig a trattenere il suo grido di orrore, è la sola casacca di Ludwig l'unica testimone delle sue lacrime di sangue.


Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944
Odore di paura. La sua, e quella dei trecentotrentacinque prigionieri stipati in quei corridoi freddi e soffocanti, dimenticati persino da Dio.
Nessuno dovrebbe morire in un posto come questo, pensa Feliciano, e serra con forza gli occhi al primo sparo, seguito da un altro, e un altro, e un altro ancora. La colpa di quegli uomini è condividere lo stesso sangue di coloro che hanno ucciso dei soldati tedeschi – aver creduto nella libertà d'Italia, questa è la loro colpa.
Odore di morte. Un lezzo che si effonde dai corpi accatastati come carne da macello, che si mescola all'odore di polvere da sparo e riempie gli occhi di lurida rugiada. Eppure Feliciano non piange, che diritto avrebbe lui di piangere, quando la sua gente non ha nemmeno il tempo di versare una lacrima? Non piangono gli uomini uccisi da una pallottola nel collo – solo un colpo di pistola, niente di più. Non piange il giovanissimo ragazzo che, gli occhi pieni di paura e consapevolezza, s'inginocchia davanti a Ludwig; non piange, e non è sul viso del suo boia che fissa lo sguardo – sono gli occhi cangianti di Feliciano, ciò che guarda mentre muore. Avrebbe potuto essere Lovino, e io l'ho lasciato morire.
È troppo da vedere, troppo da sopportare. Troppi corpi senza vita, troppo sangue – sangue italiano, sangue della sua patria, sangue che scorre nelle sue stesse vene. Questa è la strada per l'Inferno. Eppure non muove un passo, rimane lì, immobile, trattenendo il respiro finché l'ultimo sparo non risuona nell'aria satura di morte e tradimento e paura. E quando finalmente tutto finisce, Feliciano fugge fuori, crolla sulle ginocchia e singhiozzando vomita bile e anima sulla nuda terra, lacrime amare che gli corrodono la pelle come acido.
D'improvviso una grande mano lo rimette in piedi, non senza una stilla di antica gentilezza.
«Das war ein Befehl. Abbiamo fatto ciò che era necessario» dichiara Ludwig, continuando a stringergli il braccio, e solo per un momento, per appena un battito di ciglia, i suoi occhi azzurri come il cielo estivo sono adombrati dal senso di colpa. Come siamo arrivati a questo?
Attraverso un velo di nebbia, Feliciano osserva la rinnovata compostezza di Ludwig, la croce di morte che pende dal suo collo, la svastica sul suo braccio, e di nuovo l'istinto di vomitare anche le viscere si fa più forte di tutto il resto. Lovino glielo aveva urlato il giorno della fuga da Roma: Non vedi cosa sta succedendo? Gli Alleati sono sbarcati in Sicilia, la guerra è persa e Germania non ti proteggerà! Il Duce non è che un pazzo, la sua stella è già tramontata!
Di fronte a quel ricordo, Feliciano piega il capo, il senso di colpa e d'impotenza a raschiargli la gola come artigli uncinati. Si alza, asciuga le labbra nella manica della divisa sudicia e s'incammina dietro il suo alleato, gli occhi incrostati di lacrime e fiele inchiodati alla larga schiena di Ludwig, diretto verso casa: Roma è solo una sagoma scura stagliata sul cielo rosso sangue.


Berlino, 8 maggio 1945
Di quello che era il cuore del terzo Reich rimane solo un ammasso di scheletri di edifici, strade distrutte e acre sapore di sangue, il lascito di sei anni di ferro: ciò che ha condotto la Germania alla rovina sono stati solamente i sogni di un pazzo visionario – e tutto il suo popolo l'ha seguito nella sua pazzia. Verrücktheit, si dispera Ludwig, steso fra le macerie, solo follia.
Ludwig alza gli occhi al cielo caliginoso, denso di pioggia, mentre nelle orecchie riecheggiano passi di soldati statunitensi e sovietici, venuti a reclamare la città dopo giorni e giorni di inutili bombardamenti su una disarmata desolazione che non aveva più nulla da offrire. Forse è meglio che lo uccidano adesso, poiché non ha la forza di affrontare un altro dopoguerra, non dopo aver provato sulla propria pelle le umilianti condizioni imposte da Versailles, l'inflazione galoppante e la tormentata esperienza della Repubblica di Weimar, sfociata poi nel mostro che ha sbranato pezzo per pezzo ciò che stringeva fra le dita. Es ist richtig, jetzt zu sterben², pensa Ludwig, sentendo i passi farsi più vicini e chiudendo gli occhi, ma quando una voce strilla il suo nome e lui socchiude istintivamente le palpebre, la sua visuale non è riempita dalla divisa di un soldato nemico, né dalla canna di un fucile puntato. Solo un ragazzo giovane, un uomo appena che potrebbe essere scambiato per un ragazzino. Ma i suoi capelli castano-rossicci sono inconfondibili con il loro ricciolo ribelle, e così i suoi occhi nocciola e la sua voce troppo squillante.
«Feliciano» esala lentamente il tedesco, osservandolo come si osserva un fantasma, e, pensando a quello che ha lasciato dietro di sé, Ludwig trova che il paragone sia dannatamente giusto.
«Ludwig» ripete l'italiano, inginocchiandosi piano accanto a lui, gli occhi grandi puntati sullo squarcio che gli attraversa il petto all'altezza del cuore. «Ti ho trovato. Pensavo di averti perso» dice con voce tremante, e uno sbuffo che dovrebbe essere una risata gli sfugge dalle labbra: Feliciano, l'anima innocente di un bambino nel corpo di un uomo.
«L'Italia è stata liberata. Warum bist du hier?³» sospira con più durezza di come vorrebbe, ma Feliciano pare non prestargli ascolto, preso com'è a tastargli la ferita con le sue mani piccole e bianche – mani da artista, non da soldato.
«Warum?» si ostina a chiedergli Ludwig. Perché, dopo tutto quello che ti ho fatto?
Solamente in quell'istante lui sembra scuotersi e la confusione si fa padrona dei lineamenti bagnati del suo viso. Agita poi leggermente la testa, prendendo una mano fra le sue con la delicatezza di chi non è stato scalfito fino in fondo dalle brutture della guerra.
«Ich liebe dich. Non potevo abbandonarti, siamo amici» replica semplicemente, sorridendo. Feliciano gli sorride e Ludwig distoglie lo sguardo, avvertendo un improvviso groppo in gola. Nella sua mente riverberano i rastrellamenti e le stragi perpetrate in Italia per mano tedesca, Cefalonia e l'Eccidio di Monte Sole e la Strage di Piazzale Loreto, la Resistenza, la guerra civile a dividere il popolo italiano e a insanguinare la sua terra. Eppure, nonostante tutto, Feliciano ha la forza di sorridergli – e il suo sorriso è il riflesso del caldo sole del sud, dolce e fiducioso e così diverso dalla rossa burrasca che per sei anni ha scosso le fondamenta d'Europa. Klein Italien, albern Italien4
«Es tut mir Leid. Mi dispiace, Feliciano, für alles» è tutto ciò che riesce a mormorare, la lingua impastata di amarezza, ed è felice che la pioggia sporca gli ruscelli sul viso, confondendosi con le lacrime che hanno iniziato a scorrere silenziosamente dai suoi occhi, sciogliendo il groppo che gli opprimeva la gola. Se solo bastasse la pioggia per cancellare gli orrori del passato...
«Lo so» risponde lieve Feliciano, e il tedesco vede le sue lunghe ciglia appesantite da piccole perle d'acqua; non può dire se siano gocce di sale o mera pioggia, non vuole neppure scoprirlo – non meriterebbe né lacrime, né perdono.
«Guarirai, Ludwig, e ricostruiremo ogni cosa» dice ancora, accarezzandogli i capelli biondi impregnati d'acqua e di sangue, e Ludwig annuisce piano, annegando i singhiozzi, serrando le labbra in un silenzio di cenere che non può rompere, non deve, non vuole. Stringe con forza la mano di Feliciano e lascia che tra loro rimanga solo quel silenzio che non è né accusa né condanna, solo la nuda constatazione di quanto sarà difficile rialzarsi – insieme.
Dopotutto, lo scroscio della pioggia si mescola alle lacrime di entrambi.



 
Angolino della Vì:
Salve! Primo tentativo nel fantastico mondo di Hetalia con la coppia che mi ha più conquistata, insieme a UsUk e AusHun ♥ Per questo sono un tantinello emozionata, ehw. Il titolo viene da Heaven knows, Five for fighting.
E niente, una recensione anche piccina fa sempre piacere, soprattutto perché non sono certa di aver centrato l'IC dei personaggi e mi piacerebbe avere riscontri in tal senso :3
Grazie per aver letto!

¹ È un traditore; deve morire.
² È giusto morire ora.
³ Perché sei qui?
4 Piccola Italia, sciocca Italia.

Piccola noticina di lingua: Ich liebe dich è letteralmente Ti amo, ma Feliciano la usa nell'accezione di Ti voglio bene. Almeno credo.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: PervincaViola