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Autore: seasonsoflove    18/01/2016    5 recensioni
"Era quasi ora di pranzo alla Storybrooke High School, e Belle era seduta in classe insieme ai suoi compagni.
Belle era la tipica ragazza...atipica.
Graziosa ma di una bellezza antica, di classe. I lunghi capelli rosso scuro leggermente mossi, la carnagione pallida, le guance rosee, gli occhi di un azzurro irreale, il viso tondo, e il corpo minuto."
AU!Highschool - Young!Storybrooke.
Pairing (Rumbelle/SwanQueen e altri possibili)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Belle, Emma Swan, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I just wanna, I just wanna know 
If you're gonna, if you're gonna stay 
I just gotta, I just gotta know 
I can't have it, I can't have it any other way








Fu Belle a svegliarsi per prima la mattina dopo.
Aprì lentamente gli occhi e sbirciò in direzione della finestra. Il sole si faceva largo tra le tende, caldo e avvolgente. Sorrise.
Era da tempo che non dormiva così bene. Forse si era stancata tanto i giorni precedenti e quindi era riuscita a concedersi una notte di sano riposo, forse ne aveva bisogno, o magari era anche semplicemente merito della figura profondamente addormentata accanto a lei.
Si girò lentamente fino a trovarsi faccia a faccia con Robert che in quel momento respirava piano. 
Le scappò una mezza risata vedendolo lì, tutto spettinato, con la faccia spiaccicata contro il cuscino e un piede fuori dalla coperta.
Ogni tanto muoveva leggermente la bocca come se stesse mormorando qualcosa e la sua espressione era vagamente corrucciata.
E per la prima volta dopo tanto, Belle si sentì insicura sul da farsi e soprattutto, su tutte le scelte prese.
Era così felice con lui.
Aveva dimenticato quanto potesse essere felice.
Durante quel fine settimana aveva cercato di non pensarci, si era imposta di concentrarsi sulle cose da fare, di mettere da parte qualsiasi sentimento. Non avrebbe in ogni caso portato a nulla.
Eppure ora, mentre Robert arricciava il naso, contrariato, iniziò a mettere in discussione tutto.
La scelta di lasciarlo così definitivamente, la scelta di eliminarlo dalla sua vita, la scelta di andarsene a Boston e non dare più nessuna possibilità ad un futuro per loro due.
Forse aveva avuto troppa fretta? Avrebbe potuto considerare meglio le sue opzioni prima di agire?
Belle sospirò, continuando ad osservarlo di sottecchi.
“Vorrei darti una seconda possibilità. Forse non dovrei, ma lo vorrei.” mormorò poi. Lo disse molto sottovoce. Quasi si stupì di averlo detto, ma era la verità.
Desiderava disperatamente dargli una seconda chance.
Allungò la mano e gliela appoggiò sulla guancia.
“Dovresti aiutarmi.” Continuò.
Rifletté sul da farsi.
Dopodiché molto lentamente, si avvicinò al corpo del ragazzo, fino a trovarsi attaccata a lui.
Cauta, appoggiò la testa appena sotto il suo collo, sul petto, attenta a non svegliarlo, inspirando l’odore della sua pelle.
Fece un altro piccolo movimento e annullò qualsiasi distanza tra i loro corpi, appoggiandosi del tutto a lui.
Chiuse gli occhi e respirò, conscia della follia che stava compiendo.
Eppure sembrava la cosa più giusta in quel momento. Non desiderava altro che trovarsi lì. Era esattamente dove avrebbe voluto essere.
“Robert…?” disse infine.
In tutta risposta, Robert mugugnò qualcosa di indefinito e affondò la faccia nel cuscino, sempre più contrariato.
“Insomma, collabora un po’!” bisbigliò Belle rabbiosa.
Si curò di appoggiare un braccio sui suoi fianchi e di farlo passare intorno alla schiena del ragazzo.
Dopodiché con un gesto deciso, gli strinse i fianchi, facendolo sobbalzare.
Robert si svegliò di colpo, confuso, mentre Belle chiuse precipitosamente gli occhi.
Lo sentì muoversi leggermente e sorrise di nascosto, la faccia appoggiata alla sua maglietta. Immaginò il suo stupore nel trovarsi così vicino a lei.
“Belle?” lo sentì dire piano.
Mormorò qualcosa di sconnesso.
“Belle?” ripeté lui.
Il suo piano stava funzionando.
Si mosse appena e lo avvolse in un abbraccio.
Lo sentì rimanere immobile.
“Andiamo…” pensò.
Poi, miracolosamente, sentì due braccia cingerle i fianchi e stringerla, accarezzandole lentamente la schiena.
Si beò di quella situazione, conscia della sciocchezza che stava facendo, conscia di aver probabilmente perso il lume della ragione. Fingere di dormire solo per ottenere un abbraccio, quando avrebbe potuto semplicemente dirgli la verità…che sciocchezza…eppure era così divertente e piacevole, così bello…
Passarono alcuni minuti, poi venne il momento di agire.
Si mosse lentamente, curandosi di fingere un gran sonno.
Alzò la testa.
“Beh?” mormorò poi.
Robert si era riaddormentato.  
Belle sbuffò incredula.
“Cretino.” Sussurrò piano.
A quel punto si staccò contrariata e rotolò su sé stessa.
“Svegliati Gold!” esclamò ad alta voce.
Il ragazzo aprì gli occhi e si mise subito a sedere.
“Ho sognato che avevano chiuso l’Any Given Sundae.” Disse poi.
Belle lo guardò interrogativa.
“La gelateria! Ho sognato che chiudevano la gelateria e io cercavo di organizzare una protesta! Secondo te è un sogno premonitore?”
Belle capì perché sembrasse così contrariato nel sonno.
“Devi davvero smetterla di pensare al cibo.” Dichiarò, stiracchiandosi.
“Ho paura, Belle. Se dovessero chiuderla cosa farei?”
“Non ci pensare. Non succederà.” Mormorò. “Mi fai la colazione?” chiese poi.
Lui rimase un momento immobile, fissando il vuoto.
“Va bene, cosa ti preparo?” domandò, ridestandosi.
Belle rise.
“Ma dai, scherzavo. La prepariamo insieme. Andiamo.”
Si alzò e pimpante raggiunse l’armadio, dove afferrò una felpa e la indossò sopra il pigiama. Infilò le ciabatte e si girò verso il letto.
Robert era ancora sotto le coperte.
“Beh?” 
Lo guardò interrogativa.
Lui la fissò di rimando.
“Vai avanti tu.”
Belle sgranò gli occhi.
“Cosa succede?”
“Io arrivo tra un momento, vai pure avanti!”
Sembrava vagamente imbarazzato per qualcosa.
“Robert…ricordi cos’abbiamo detto riguardo ai segreti?”
“Non ti sto nascondendo niente, lo giuro!” Disse lui precipitoso.
“Va bene…allora vieni?”
“Io- sì, tra un momento.”
Belle incrociò le braccia e inarcò le sopracciglia.
“Cosa c’è? Avanti. Spara, non può essere così terribile.”
Lui la guardò mortificato.
“Non farmelo dire…è una cosa personale…e…insomma, non è…non è una cosa da dire…”
Non finì la frase.
“Una cosa personale in che senso!?”
“Basta!” Si bloccò e poi riprese rabbioso “È una cosa da maschi, va bene!? Non potresti capire!”
Belle spalancò la bocca mentre Robert fissava lontano, evidentemente contrariato.
“Beh insomma, potevi dirlo subito invece che fare il misterioso!” esclamò infine lei, arrossendo furiosamente.
“Scusa se non mi viene in mente di avvisarti ogni volta che ho il-“
“Basta! Vado a mettere su il tè. Raggiungimi quando…quando hai sbollito.” Farfugliò Belle, rossa in viso e le orecchie bollenti. 
“È UNA REAZIONE FISIOLOGICA NATURALE! È COLPA DEL MATTINO! NON DEVO SBOLLIRE!” Le urlò dietro Robert.
Rimasto solo il ragazzo sbuffò.
Era davvero una vita difficile.


Mentre Belle preparava allegramente la colazione e Bobik le saltellava intorno, Robert la raggiunse, ancora contrariato.
“Eccolo il principino! Tutto passato?” esclamò Belle ridendo.
“Smettila” borbottò lui.
Si mise a tagliare il pane e lo infilò nel tostapane. Dopodiché si girò verso Belle e si appoggiò al bancone della cucina.
“Sei tremenda.” Dichiarò.
“E tu ti vergogni per delle cose assurde!” rispose lei spensierata, senza guardarlo.
“Se le cose fossero invertite anche tu ti saresti vergognata! E poi anche tu eri…eri tutta rossa in faccia.”
Belle assaggiò il tè.
“Passami lo zucchero, ne manca un po’.”
“Hai capito cosa ti ho detto?”
“Se tu ti senti imbarazzato è ovvio che mi sento imbarazzata anche io.”
Robert non rispose ma mugugnò qualcosa sottovoce che assomigliava molto a “non è così che funziona”. Dopodiché prese in braccio Bobik e lo controllò.
“Hai gli occhietti sporchi.” Gli disse scrutandolo attentamente. 
Belle rise e gli passò la sua tazza di tè. 
“Muoviti con quel pane. Tra un po’ arriverà mia zia e non voglio che ci trovi ancora qui a mangiare.”
Robert annuì e appoggiò Bobik a terra.


Regina scrutava pensierosa le file di alberi che si seguivano mentre il treno, lentamente ma inesorabilmente, prendeva velocità e la portava a casa.
Non è che le mancasse Gold. Non per davvero, si disse mentre leggeva annoiata una rivista, però le sarebbe piaciuto che fosse stato lì con lei. Giusto per chiacchierare, per ridere un po’ e per prenderlo in giro. Insomma, per avere qualcuno.
Le sarebbe piaciuto anche di più sedersi vicino ad Emma, ma la Blanchard si era appollaiata nel sedile di fronte al suo e aveva appoggiato i suoi bagagli su tutti gli altri, occupando un intero scompartimento.
Poteva vedere la figura tonda della testa di Margaret Blanchard dal suo sedile. Quella inutile testa tonda che le aveva rotto le uova nel paniere. Imprecò sottovoce.
Si alzò con fare noncurante e passò davanti ai sedili delle due professoresse.
Emma alzò lo sguardo verso di lei. 
Durò un secondo ma Regina sapeva che quello sguardo era una silenziosa richiesta d’aiuto. Margaret Blanchard dava tutta l’idea di essere completamente immersa in uno dei suoi infiniti discorsi riguardo gli animali o la salute.
La ragazza sorrise fra sé e sé e proseguì verso la coda del treno. 


Quando il campanello di casa suonò, il cuore di Belle fece qualche capriola. Sua zia era arrivata. 
“Tu aspetta qui e vieni di là solo quando te lo dico io” sibilò a Robert che annuì coscienziosamente.
Belle si precipitò alla porta con un sorriso enorme stampato sul viso.
“I tuoi capelli sono lunghissimi! Sono cresciuti almeno di trenta centimetri da Natale, ma com’è possibile!” fu la prima cosa che le disse Ruby, sull’uscio.
La ragazza non le rispose. Si limitò ad abbracciarla forte e in quell’abbraccio vi erano più di mille parole.
“Mi sei mancata!” le disse mentre la stringeva.
“Anche tu, lupacchiotto!”
“Smettila di chiamarmi-“
“Sarai sempre un lupacchiotto per me!”
Le due si staccarono e si guadarono per un momento.
“Ti sono anche cresciute le tette. Dev’essere il sesso che hai fatto in questi mesi!” dichiarò infine Ruby, entrando in casa.
“ZIA NON-!” Esclamò Belle indignata, arrossendo.
“Che c’è, non si può dire? So bene che è così, non fare la santarellina con me, non sono mica tuo padre!” 
Ruby buttò la valigia nell’ingresso e si tolse la giacca.
“Ruby ascolta c’è una persona che-“
Robert fece capolino dalla porta della cucina e si fermò impettito in corridoio di fronte alla donna.
“Salve” iniziò titubante.
“Ti avevo specificatamente detto che dovevi rimanere in cucina finché non ti avessi chiamato.” Esclamò Belle esasperata.
“Ma io credevo che quel - c’è una persona che - fosse il segnale!”
Ruby guardò Robert, incrociò le braccia ed inarcò le sopracciglia.
Belle scosse la testa mentre Gold la guardava confuso, prima di avanzare titubante con la mano tesa verso Ruby.
“Sono Rob-“
“So benissimo chi sei. Ti ho visto su Facebook. E Belle mi ha raccontato tutto.”
Lui aprì la bocca a vuoto e rimase con la mano tesa in aria. Era una minaccia?
Cosa significava quel “tutto”?
Forse Belle le aveva detto anche di come si erano lasciati e soprattutto del perchè?
Questo avrebbe spiegato lo sguardo poco amichevole che la donna gli stava rivolgendo.
Belle si schiarì la gola.
“Lui è stato qui per questi giorni e mi ha aiutata. Ho…ho pensato di fartelo conoscere.” 
Ruby si girò verso di lei e poi nuovamente verso Robert.
“I tuoi capelli sono meglio in realtà che in foto.” Disse infine.
Avanzò e afferrò la mano del ragazzo. Era alta quanto lui ma il suo sguardo inquisitore lo fece arretrare impercettibilmente.
“Andrò di sopra ad appoggiare la mia roba e a cambiarmi. Quei treni sono veramente disgustosi, non voglio neanche parlarne” riprese Ruby. Poi si voltò nuovamente verso Robert “quando torno di sotto vedi di essere sparito, voglio passare un po’ di tempo di qualità con mia nipote e non voglio ragazzini petulanti in giro per la casa.” 
Così dicendo afferrò nuovamente la valigia e si diresse verso le scale borbottando qualcosa.
Robert esclamò un “sì, certo” e si affrettò verso l’uscita.
Belle invece rimase immobile a guardare la scena, incerta se ridere o preoccuparsi.
Sapeva che sua zia era una donna gentile ed estremamente accogliente, ma era anche molto aggressiva e determinata quando qualcosa non le andava a genio.
Era evidente che al momento Robert non era nelle sue grazie.
“Bene, allora credo che andrò.” Esordì quest’ultimo, schiarendosi la voce.
Belle si ridestò dai suoi pensieri ed annuì.
“Beh, come primo incontro non è andato malissimo…” provò poi.
Robert non rispose e si infilò la giacca.
“Ehi, aspetta.” Gli disse lei.
Si avvicinò e gli appoggiò titubante la mano sul braccio.
“Grazie ancora di tutto. Dico davvero.”
Lui la scrutò vagamente corrucciato.
“Di niente, l’ho fatto davvero volentieri. Sono stato bene.” disse infine.
“Spero…spero che a casa tua le cose vadano un po’ meglio.” Continuò Belle.
“Già.”
“Se…” si bloccò. Non sapeva se dirlo. Doveva? E soprattutto, lo voleva?
“Se hai voglia di parlare…” non terminò la frase.
Robert abbozzò un leggero sorriso.
“So a chi rivolgermi.”
“Esatto!”
Rimasero ancora un momento immobili.
Belle lo scrutò, indecisa sul da farsi.
“Posso abbracciarti?” chiese interdetta.
Robert la guardò incredulo.
“Sì. Certo. Insomma, non devi chiedermelo.”
Così Belle fece un passo avanti e delicatamente gli cinse la schiena con le braccia.
Fu un abbraccio molto discreto eppure il cuore di Robert fece numerosissime capriole, così tante che ebbe paura che la ragazza si fosse accorta dell’accelerazione improvvisa dei suoi battiti.
Com’era bello poterla abbracciare di nuovo.
Com’era felice mentre appoggiava il mento tra i suoi capelli e sorrideva, pensando che se Ruby fosse scesa in quel momento lo avrebbe probabilmente preso a pugni.
“Bene. Allora…ciao. E grazie ancora. Ci vediamo domani!” mormorò Belle imbarazzata, staccandosi.
“Ci-ci vediamo domani?”
Lei inarcò le sopracciglia.
“Sì…noi frequentiamo la stessa scuola…ricordi?”
Robert aprì la bocca ma la richiuse subito.
“Oh. Sì. Pensavo…io pensavo…” la voce svanì in un balbettio incomprensibile mentre Belle era sempre più perplessa.
“Non importa. Ci vediamo a scuola…”
“Sì. A scuola!” ripeto stordito. Esitò un momento ma poi si decise.
“Se…se vuoi possiamo fare colazione insieme alle macchinette, così ci aggiorniamo su…su come va, ecco…”
Belle rimase un momento in silenzio, riflettendo.
“Penso si possa fare. Beviamo un tè?”
“Sì, è perfetto. Allora a domani, alle macchinette.”
Annuì e batte le mani con entusiasmo ed uscì dalla porta.
Belle lo guardò camminare sul vialetto di casa, pensando in cuor suo che le sarebbe piaciuto seguirlo.
O le sarebbe piaciuto che lui si fosse fermato ancora. Le piaceva averlo in giro per casa, la faceva sentire bene.
Lui si girò ancora una volta e la salutò con la mano, dopodiché salì in macchina e partì.
“Se hai finito di fare la nostalgica innamorata e hai del tempo da dedicare alla tua zietta che non vedi da mesi…” una voce famigliare le giunse all’orecchio.
Si girò e Ruby la guardava con uno strano sorriso. Il sorriso di una persona che tramava qualcosa. Di una persona che aveva perfettamente capito cosa stesse accadendo.
“Non sono più innamorata!” esclamò, le orecchie bollenti.
L’altra sbuffò.
“Certo che no. Dai, vieni di là. Voglio sapere un bel po’ di cose e poi abbiamo una visita all’ospedale da fare o sbaglio?” la afferrò sottobraccio e insieme si diressero in cucina.


Arrivata a Storybrooke, Regina scese malamente dal treno, stanca e disgustata. Kristin le passò accanto, si girò verso di lei e indicò la Blanchard. Fece un gesto molto eloquente, le strizzò l’occhio e si diresse verso l’uscita della stazione.
“Ragazzi, un momento! Dobbiamo fare la conta ed assicurarci che ci siamo tutti!” provò Emma, alzando la voce.
Nessuno le diede retta.
Margaret Blanchard si defilò rapidamente, tenendosi la pancia. Salutò Emma e sparì sul binario.
A quel punto, mentre i suoi compagni si disperdevano verso l’uscita della stazione, Regina decise che era venuto il momento di agire.
Accelerò il passo e si affiancò ad Emma.
“Immagino che il suo viaggio sia stato molto divertente.”
Emma si girò verso di lei e scosse la testa.
“Non ne voglio nemmeno parlare.”
“Io invece voglio! Come sta la Blanchard? Ha ancora mal di stomaco?”
Emma non risposte e storse il naso disgustata.
“Non so quanto utile sia stato questa visita all’università…nessuno dei ragazzi mi è sembrato molto convinto…”
Borbottò poi.
Regina annuì.
“Abbastanza inutile.”
La professoressa stava per ribattere qualcosa, quando il suo sguardo si fermò alla fine del binario e un’espressione di puro orrore si dipinse sul suo viso.
“No.” Mormorò.
“Beh?” chiese Regina.
Seguì la direzione in cui Emma stava guardando e vide una coppia, appena fuori dalla stazione, che agitava vistosamente le mani nella loro direzione. L’uomo aveva corti capelli di un biondo stranamente famigliare, leggermente ingrigiti…
“Sono i suoi genitori?” esclamò poi, ridendo.
“Non posso crederci.” Emma digrignò i denti.
“Sono venuti a prenderla! Ma che gentili!” la canzonò Regina, camminando sempre accanto a lei.
“Stai zitta tu.”
La professoressa accelerò e si diresse spedita verso la coppia.
“Cosa ci fate qui!” esclamò furibonda. 
“Emma, tesoro!” 
Sua madre la abbracciò e la strinse forte.
Regina rimase indietro, incerta se avanzare o godersi lo ridicolo spettacolo da lì.
“Neanche i genitori dei miei ragazzi sono venuti a prenderli!” Protestò Emma.
“Volevamo vedere come stavi, magari le valigie erano pesanti e-“
“Sono stata via per tre giorni!” 
La bionda pestò i piedi frustrata mentre i suoi genitori la guardavano preoccupati.
Regina fece un passo avanti, quasi involontariamente, e lo sguardo della signora Swan si posò su di lei.
“Tu sei Regina!” esclamò illuminandosi.
Emma si girò e la guardò, rossa in viso.
“Mamma…”
La donna fece un passo avanti verso Regina che rimase immobile, imbarazzatissima.
“Emma ci ha parlato molto di te.” Disse, tendendo la mano. Anche il signor Swan avanzò.
“Mary e David Swan.” Dissero in coro.
L’espressione di Emma era tra la disperazione  più assoluta e la rabbia più furiosa.
Regina strinse le loro mani, interdetta. 
Davvero Emma aveva parlato di lei in casa? E cosa aveva detto? Aveva detto che erano amiche? O magari aveva rivelato tutti i suoi segreti…
“Mamma, papà, per favore, andate.” Li supplicò Emma.
“Ma smettila Emma, basta fare la scontrosa! Ascolta Regina, vuoi un passaggio a casa?” 
La ragazza guardò dubbiosa Emma che fece un vigoroso segno di no con la testa.
“Davvero sareste così gentili?” esclamò infine.
La professoressa le lanciò uno sguardo infernale.
“Ma certo. Siamo venuti per prendere Emma ma possiamo accompagnare a casa anche te.”
Regina dedicò loro il più smagliante sorriso che avesse. Poi lo spostò su Emma.
Era un po’ una sfida quella che le stava lanciando. La situazione poteva essere imbarazzante ma le piaceva provocare Emma e farla arrabbiare.
“Beh, allora va bene! Grazie davvero signori Swan.”
Mentre i due coniugi facevano strada verso la macchina, parlando ad alta voce e cercando di estrapolare ad una contrariatissima Emma informazioni sulla gita, Regina camminava baldanzosa accanto alla professoressa.
“Me la pagherai cara.” Sibilò Emma mentre sua madre raccontava di una volta in cui era andata a Boston quando aveva vent’anni.
“Non vedo l’ora.” Rispose Regina sogghignando.
“Ti darò tanti di quei compiti extra…”
“E dovrei crederle?”
Emma alzò gli occhi al cielo.



In macchina, Regina fu la prima a sedersi, sotto invito di Mary Swan.
Era una macchina relativamente spaziosa, una sorta di furgoncino a quattro posti. 
“C’è un po’ di disordine.” Esclamò David Swan gioviale.
Un po’ di disordine era un eufemismo. Regina aveva dovuto quasi sedersi in centro perché accanto al finestrino c’erano diversi sacchi di vestiti.
“Stiamo ancora finendo di trasferire le cose.” Si scusò Mary.
Emma salì dietro con espressione sofferente.
“Vorrei chiederti scusa per la situazione, ma è solo colpa tua.” Disse a Regina, che sorrise candidamente. Si divertiva davvero tanto a prenderla in giro. Forse un po’ troppo.
Sentirono gli Swan parlottare da dietro, dove c’era il bagagliaio, dopodiché Mary apparve di nuovo.
“Mio marito è un po’ sbadato…e il bagagliaio è ancora inutilizzabile. Regina, ti dispiace se mettiamo le valigie sui sedili dietro?”
“Oh no, non c’è problema! La tengo sulle gambe, non pesa tanto…”
“Ma no, le mettete sui sedili…voi vi stringete, non dovrebbe esserci problema.” Borbottò Mary. Passò loro le valigie. Emma con fatica prese quella di Regina e gliela passò.
“E meno male che non pesava tanto” sibilò.

Due minuti dopo erano tutti seduti ai loro posti.
Regina era immobile, i nervi a fior di pelle.
Lei ed Emma erano finite considerevolmente vicine. Le loro gambe erano attaccate, così come le loro spalle.
Avrebbe voluto incrociare le braccia ma forse sarebbe sembrato scortese agli Swan, così si limitò a farle penzolare sul sedile, riflettendo sul da farsi, cercando di ignorare la sensazione di calore che le procurava la vicinanza di Emma.
“Allora partiamo.” Borbottò David.
Dopo qualche tentativo inutile, il furgoncino finalmente si mise in moto.
Emma fissava davanti a sé, le labbra tese e lo sguardo fisso.
“Idioti…” mormorò.
Regina si girò verso di lei.
“A me sembrano gentili. Non sia così negativa…potrebbe andare peggio.”
“Allora Regina, com’è nostra figlia a scuola?” iniziò Mary.
Emma chiuse gli occhi preparandosi al peggio.
“A me…a noi piacciono molto le sue lezioni.” Rispose Regina.
“E gli altri professori ti piacciono?”
“Dipende.”
“Quando andavamo a scuola noi…”
Emma scosse la testa disperata e Regina tornò a guardarla.
La macchina frenò improvvisamente.
“DAVID!”
“Scusa! Scusa! Non ho visto il semaforo rosso!”
“Non vi preoccupate. Tanto peggio di così non può andare.” Proruppe Emma in una risata isterica.
“Perché dici così tesoro? Non preoccuparti Regina, Emma è un po’ catastrofica quando si tratta di noi, ma non è niente di grave…” Riprese Mary Swan.
“L’ho notato. Forse esagera un po’.” Disse Regina sorridendo.
Emma la guardò scioccata.
“Traditrice.” Le mormorò.
“Fin da piccola è sempre stata così, con certe smanie di indipendenza…quando siamo venuti qui, non voleva neanche che ci trasferissimo con lei.”
“Davvero?” esclamò Regina, continuando a fissare Emma, un sorriso sempre più largo mentre l’altra la guardava con odio.
“Già. E…abbiamo preso in considerazione l’idea, ma avevamo anche paura, muoversi da soli in una città nuova-“
“Già. Perché Storybrooke è proprio una città nella quale è facile perdersi.” Sbottò Emma.
“No, non sto parlando di questo.” Mary si girò verso di loro “A volte può essere difficile farsi nuovi amici, no? Fa comodo avere qualcuno. Volevamo solo essere qui per te, Emma, qualsiasi cosa accadesse. Perché ti vogliamo bene!”
Regina pensò che nonostante tutto, sua madre non le aveva mai detto una cosa simile. I signori Swan potevano essere decisamente troppo protettivi e pedanti e terribilmente disorganizzati, ma sembravano anche davvero buoni. E volevano bene ad Emma, pensò tristemente Regina, in un modo che lei non conosceva.
“Sono capace di farmi degli amici” disse Emma piccata.
“Capacissima” le diede manforte Regina.
“Emma ci ha parlato benissimo di te e siamo felici che abbia legato così con una persona, anche se è una studentessa, inizialmente eravamo perplessi ma dieci anni di differenza non sono poi molti e-“
“MAMMA! PAPA’! ” Protestò Emma furiosa.
Regina si voltò verso di lei, raggiante.
“Pensate di tenervi in contatto una volta finita la scuola?”
“Sì, certo.” Disse Regina.
Mary Swan le dedicò un grande sorriso, si girò verso il marito e poi riprese a parlare. 
Emma appoggiò la testa al sedile, sfinita.
“Odio la mia vita.” Mormorò.
“Perché?” chiese Regina, sottovoce, mentre davanti i due genitori chiacchieravano animatamente sulla figlia e raccontavano aneddoti imbarazzanti.
“Perché questo è esattamente il motivo per cui non avrò mai amici. E in questo momento mi vergogno da morire. E poi guarda. Che. Merda. Di. Macchina.” Sibilò rabbiosa, scandendo le parole, spostando un giaccone e finendo col tirarsi la manica in faccia e spettinandosi tutti i capelli.
Regina la guardò ancora un secondo, poi improvvisamente, le prese la mano.
Erano sedute così vicine e le loro mani erano già così vicine, era stato automatico. Semplicemente aveva appoggiato la mano sulla sua. Aveva dovuto spostarla giusto di qualche centimetro. 
Emma rimase un momento immobile e la guardò.
Davanti Mary Swan raccontava di quando la piccola Emma si era rotta una caviglia in terza elementare.
Regina deglutì. Era possibile che con quella mossa avesse compromesso tutto ciò che aveva costruito. Non aveva potuto farci niente, l’aveva fatto prima che potesse realizzare ciò che stava realmente facendo. Si preparò al peggio.
Ma Emma non spostò la mano.
Si limitò a lanciarle uno sguardo indecifrabile.
Regina continuò a guardarla, conscia che il mondo continuava a muoversi, lo testimoniavano le strade fuori dal finestrino, eppure lì dentro si era fermato tutto. E se Mary Swan avesse girato di nuovo la testa e le avesse viste? Cos’avrebbe pensato? Doveva staccarsi e anche subito…
Ma poi Emma sorrise. Non era un vero e proprio sorriso, più un abbozzo. Allargò le dita della mano e le intrecciò con le sue.
“Grazie.” mormorò.
Regina sorrise anche lei, sentendo il viso bollente e sperando di non essere arrossita e sperando che non si vedesse quanto era dannatamente felice in quell’istante, probabilmente l’istante più bello della sua vita.


Una volta davanti a casa, Regina salutò la famiglia Swan e li ringraziò del passaggio. Mentre percorreva il vialetto, si girò un’ultima volta. Emma la seguiva con lo sguardo. Le fece un breve cenno con la mano, dopodiché la macchina ripartì.
Regina aprì la porta di casa, pregando che sua madre non ci fosse.
E infatti era sola. Salì le scale di corsa, saltando due gradini alla volta, una cosa che probabilmente non faceva dalla quinta elementare. Da sola in camera, si buttò sul letto, felice, e fissò il soffitto.
Sorrise immensamente soddisfatta di sè stessa.
Non aveva idea di ciò che fosse accaduto in macchina, non sapeva come stessero le cose, non sapeva cosa provasse lei e menchemeno cosa provasse Emma. Ma era tutto così nuovo, luminoso e bello che poco le importava.
Aveva rischiato tutto ciò che poteva rischiare e le cose erano andate non bene…meglio! Si era buttata, aveva deciso di dare ascolto al suo cuore ed era stata premiata.
Ora aveva tutta la domenica per riposarsi.
L’indomani a scuola avrebbe rivisto Emma e non vedeva l’ora, chissà come sarebbe stata la situazione. 
Era così allegra che afferrò il cellulare e decise che era venuto il momento di accertarsi sullo stato di Robert.

- Ciao cretino. Come stai?

La risposta non tardò a giungere

- Bene.

- Cos’è successo con Belle?

- Suo padre è stato male.

- Questo ce l’hanno detto…intendo, come vanno le cose tra te e Belle? Avete concluso qualcosa? Mi auguro di sì.

- Ti ho detto che suo padre è stato male!


Regina sbuffò. Il ragazzo non era in vena di parlare. 

- E quindi?

- E quindi secondo te cosa dovremmo aver concluso?

- Qualcosa?


Non ottenne più risposta.
Poco male. Quello era l’ultimo dei suoi problemi. 



Non troppo lontano, a casa sua, Robert sbuffò di fronte allo schermo del cellulare, seduto alla scrivania. 
“Bobik, smettila di tirare intorno quel calzino.” Disse poi, stanco.
Il cagnolino continuò a mordere placidamente un calzino caduto dal cassetto che Robert aveva abbandonato per terra il giorno precedente, nella fuga da suo padre.
Suo padre invece non si era fatto vedere. Dopo aver provato a chiamarlo il giorno prima, più nulla. Tipico, pensò Robert. Probabilmente non ne avrebbero parlato mai più.
Quando Gold era tornato a casa, aveva trovato solo sua madre intenta nel compilare alcuni documenti di lavoro. Lo aveva salutato con un breve cenno affettuoso e gli aveva chiesto com’era Boston.
Al che Robert stava per rispondere che non ci era davvero stato, che era tornato indietro prima…ma si era trattenuto. Sua madre gli avrebbe chiesto come mai non era tornato a casa il giorno precedente e questo avrebbe portato ad altre domande. Domande che Robert voleva evitare.
Così aveva semplicemente mentito.
Belle gli aveva detto di prendersi del tempo, di rifletterci su e così avrebbe fatto. Nessuno gli doveva mettere fretta, era una decisione importante quella che stava per prendere: la sua famiglia dipendeva da essa. Quel pensiero era come un macigno.
Provò a distrarsi, pensando a Belle e al weekend appena passato. L’unica cosa positiva nella sua miserabile vita in quel momento.
Forse qualcosa si era smosso. L’indomani si sarebbero visti e avrebbero fatto colazione insieme.
Si alzò, improvvisamente speranzoso e si avviò verso l’armadio. Lo aprì e scrutò dubbioso i suoi vestiti.
Il pensiero di suo padre si fece momentaneamente più lontano mentre sceglieva la camicia che avrebbe messo il giorno seguente, una camicia azzurra che non metteva spesso ma che gli piaceva molto e gli infondeva speranza. L’aveva indossata la sera di San Valentino. 
Aveva un significato speciale per lui, gli ricordava una delle più belle serate della sua vita e voleva indossarla.
Le cose forse potevano ancora migliorare.



“Non mi piace questo silenzio” disse improvvisamente Ruby, afferrando il telecomando e stoppando il film che stavano guardando.
“Ehi!” protestò Belle “Perché l’hai fatto?”
“Oltre a non piacermi il tuo silenzio, non mi piace questo film. È noioso e inoltre dobbiamo parlare.”
Si girò verso Belle piena di aspettativa ed incrociò le gambe.
“Abbiamo parlato tutto il pomeriggio!”
“Non abbiamo parlato della cosa che mi sta tanto a cuore…”
“L’entrecote?” provò Belle.
“A parte quella.”
“Non capisco dove vuoi arrivare.”
“Oh secondo me invece lo capisci benissimo.”
La ragazza afferrò uno dei cuscini del divano e lo strinse convulsamente.
“Vuoi parlare di Gold.” Disse infine. Fece vagare lo sguardo sullo schermo, quasi cercando aiuto. 
“Tu vuoi parlare di Gold!”
“No, io vorrei vedere il film in realtà…”
Ruby alzò gli occhi al cielo.
“Va bene.” Sbuffò infine “Non voglio fare la parte della zia rompiscatole. Quindi non insisterò nel parlare di qualcosa di cui apparentemente tu non vuoi parlare.”
Belle la guardò stranita. 
“Davvero?”
“Davvero.”
“Grazie.” Disse Belle “Davvero. Ne parleremo, solo…oggi voglio godermi la giornata. Senza preoccupazioni.”
Ruby annuì pensierosa. Afferrò il telecomando. Stava per premere il tasto play quando si girò di nuovo verso la nipote.
“Zia?”
“Lo so che non vuoi parlarne ma-“
“ZIA!”
“Ma almeno voglio dire cosa penso!”
Belle sbuffò e appoggiò la testa sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi.
“Penso solo che non dovresti farti condizionare da nulla e seguire il tuo istinto. ECCO, ho finito il momento materno. Possiamo tornare a vedere questo splendido film.”
La ragazza aprì gli occhi.
“Tutto qui?”
“Sì. Te l’avevo detto, non voglio essere rompiscatole.” Alzò le mani “rispetterò le tue decisioni. Ora andrò a prendermi un tè alla pesca, ne vuoi uno?”
Belle annuì.


Poche ore dopo, nel suo letto, quelle poche semplici parole di sua zia le rimbombavano in testa.
Segui il tuo istinto.
Cosa le diceva il suo istinto?
Guardò le pareti della sua camera, piene di quadri e di fotografie. Guardò la sua libreria. Si mise a sedere inquieta.
La sua mente le ricordava le cose importanti in quel momento.
Suo padre e la dieta che doveva seguire, gli esami imminenti, l’università, il trasferimento, racimolare qualche soldo prima della partenza per Boston, mantenere le amicizie…erano quelli i suoi obiettivi. Fissò dubbiosa la finestra, la luce della luna che filtrava dalle tende.
Era accaduto tutto troppo in fretta. Fino a pochi mesi prima non conosceva quasi nessuno, non credeva che avrebbe mai vinto la borsa di studio, viveva alla giornata. Poi aveva conosciuto Tink. E poi Robert. E le cose avevano iniziato a girare vorticosamente in un modo che non credeva possibile. Anche con Robert le cose erano state davvero veloci. Si conoscevano da appena sei mesi eppure era come se stessero insieme da una vita. 
Non avrebbe dovuto neanche starci male, si disse sinceramente. Erano stati insieme sì e no tre mesi, avevano solo diciotto anni.
Ma era esattamente quello il problema. Benché ogni minima parte razionale di lei la spingesse a dimenticare l’accaduto e pensare al futuro, l’istinto la spingeva verso Robert Gold. In quei mesi era come se avessero imparato ad appartenersi in un modo tutto loro. Si conoscevano e Belle avrebbe voluto continuare a conoscerlo, giorno dopo giorno, mese dopo mese.
Ruby le diceva di seguire l’istinto e l’istinto le diceva questo. Di dare una possibilità a quello che avevano costruito.
Si ributtò tra i cuscini.
L’indomani avrebbe visto Robert a scuola. Avrebbero fatto colazione insieme durante l’intervallo. Quel pensiero la rendeva felice, la calmava e le faceva pensare che in ogni caso, aveva ancora del tempo per prendere una decisione. E così, lentamente, si addormentò.


Ma quando Belle giunse a scuola lunedì mattina, trovò una seccatissima Tink ad aspettarla all’ingresso. 
Preparandosi al peggio avanzò, mostrando quello che riteneva un sorriso smagliante e sereno. Forse non ebbe l’effetto desiderato perché l’espressione della biondina non mutò minimamente.
“Dobbiamo parlare.” Le disse non appena le si trovò di fronte.
Belle respirò a fondo.
“Immagino di sì.”
Fece un passo in avanti ma Tink rimase immobile.
Poi la abbracciò bruscamente.
“Come sta tuo papà?”
“Bene. Molto meglio, sono andata a trovarlo anche ieri e stava bene. L’ho sentito poco fa e dopo scuola io e mia zia andremo in ospedale.” Rispose Belle, ricambiando perplessa l’abbraccio.
Una volta staccatasi, Tink riprese ad osservarla.
“C’è un’altra cosa di cui voglio ancora parlare. Sai cos’è, vero?”
“Sì. Insomma, credo.”
Entrarono a scuola e si diressero verso gli armadietti, mentre Belle fissava il pavimento, attendendo la fatidica domanda. Una volta arrivate finalmente Tink si decise a parlare.
“Sei tornata con Robert?”
Belle se lo aspettava. 
“No.” Rispose prontamente.
“Perché eri con lui?”
“Perché era una brutta situazione. Ero a Boston ed ero con lui quando mi hanno chiamata dall’ospedale. Mi ha aiutata.”
Tink chiuse l’armadietto di scatto.
“Perché non hai chiamato me!?” esclamò infine, triste.
Belle la fissò stupita.
“Beh, non eri a Boston e-“
“Quando sei arrivata qui, avresti dovuto chiamarmi subito! Io sarei venuta a prenderti in stazione, sarei arrivata e-“
“Lo so!”
Prese bruscamente dei libri e la fissò.
“Lo so Tink. Non ci ho pensato, mi dispiace. E’ stato tutto così veloce…”
“Ma lo sai che io sarei corsa subito se tu mi avessi chiamata! Subitissimo! Sarei venuta anche a Boston in bicicletta! A piedi!”
“LO SO!” Ripeté Belle esasperata.
La fronteggiò.
“Non voglio che tu pensi che io sia un’amica di merda.” Pigolò Tink. Si interruppe e poi riprese “Ma io mi sento così. Non sono venuta a Boston e ti ho lasciata sola, era una brutta situazione con Robert e invece ho pensato solo a me stessa, mi dispiace tantissimo e-“
“Tink.” La bloccò Belle. Le prese la mano “È tutto a posto! Queste cose capitano, ma non per questo penso che tu valga di meno. Penso che tu sia un’ottima amica, la mia migliore amica. ”
L’altra rimase un momento in silenzio. 
“Siamo migliori amiche?”
“Ma certo!”
Tink sorrise improvvisamente ispirata.
“Non ho mai avuto una migliore amica.”
“Neanche io. Non avevamo mai stabilito la cosa ma immagino che sia così!”
Sorrisero entrambe.
“Allora” riprese poi Tink, prendendo Belle sottobraccio e dirigendosi verso l’aula di lettere “Com’era Boston?”
Belle sospirò.
“Non ho visto molto” ammise.
“Immaginavo. Possiamo tornarci quest’estate, dopo gli esami. Per vedere anche com’è la città, l’università e tutto il resto. Una vacanza insieme.” Disse Tink prontamente. 
Belle annuì sorridendo.
“Sembra un’ottima idea.”
Continuarono a camminare.
“E Robert com’era?” Chiese Tink dopo un po’, titubante.
Qualche secondo di silenzio seguì la domanda. 
“Sempre lo stesso.” Rispose Belle infine.
“È stato gentile?”
“Molto.”
Evitò di menzionare tutto ciò che era successo in quei due giorni.
Ciò che aveva provato, gli infiniti momenti in cui il contatto fisico era risultato così fastidioso eppure allo stesso tempo inevitabile e piacevole, i momenti in cui anche solo averlo accanto l’aveva resa felice.
Non voleva parlarne, sapeva cosa ne pensava Tink…o magari no.
Magari le avrebbe detto la stessa cosa di sua zia. Di stare tranquilla, non pensarci. Di seguire il suo istinto.
“Dovrei fare colazione con lui questa mattina.” Disse dopo un po’.
Tink si voltò verso di lei di scatto.
“Non farlo.” 
Belle la guardò interdetta.
“Cosa?”
“Non…non andare.”
“Perché?”
“Perché sai cosa significherebbe andare…non…non mi sembra giusto.”
Belle esitò e guardò il pavimento.
“È solo che non mi ricordavo quanto era bello stargli accanto” Ammise mogia.
Tink scrollò le spalle.
“Non si merita una seconda possibilità.”
Belle si fermò in mezzo al corridoio, prima dell’aula.
“Scusami, ma non eri tu che parlavi sempre di credere nelle persone?”
“Sì ma-“ la bionda si fermò. “Sì, lo penso. È che non credo che sia questo il caso!”
“Non voglio comunque dargli una seconda possibilità. E’ solo un tè insieme.”
“Ma lui ti piace ancora!” protestò Tink “Lo sai. Se ricominciate a vedervi è inevitabile che…che succeda qualcosa. Non lo so. Non voglio che tu soffra di nuovo. Tutto qua. Non riesco a capire perché abbia fatto ciò che ha fatto, ho paura che sia…sia semplicemente una di quelle persone che fa quel tipo di cose. Sai…una di quelle persone che rovinano tutto. Che non riescono semplicemente ad accontentarsi di essere felici.”
Belle guardò tristemente l’amica.
Non era quello che voleva sentirsi dire ma era ciò che temeva di sentirsi dire ed era ciò che temeva di pensare anche lei.
Robert era gentile, era molto intelligente, era dolce, la trattava bene e l’aveva sempre resa felice. Non le aveva mai fatto mancare nulla, era sempre stato presente, la adorava e la faceva sentire benissimo.
E allora perché aveva fatto quello che aveva fatto?
Per paura? Forse non solo per quello.
No, Belle aveva timore che Robert fosse proprio ciò che diceva Tink: una persona che non può accettare di essere felice. Che non riesce a stare tranquilla e che per paura, finisce col rovinare ogni cosa.
“Non lo so.” Ripetè Tink.
“Non so neanch’io.” Borbottò Belle.
In quel momento aveva paura anche lei.

Quella mattina Regina camminava per il corridoio più baldanzosa del solito. Il mondo splendeva di tutta un’altra luce.
Passò davanti a Belle e Tink che parlavano concitate, le saluto con un mezzo sorriso di sufficienza, afferrò la sua mela dalla borsa e si diresse sicura verso l’ufficio di psicologia. 
Sbirciò dentro prima di entrare.
“Buongiorno signorina Swan!” esclamò infine, palesandosi davanti a lei con un grande sorriso stampato sul volto.
“Ha passato una bella domenica? Si è divertita ieri? I suoi come stanno?”
Emma la fulminò con lo sguardo e riprese a correggere la pila di compiti che aveva sulla scrivania.
“La vedo stanca. E stressata.” Continuò Regina. Diede un bel morso alla mela e si appoggiò al muro.
“Come fai ad avere già voglia di tormentare le persone?” Borbottò infine Emma “E’ lunedì mattina, dammi un momento di tregua.”
“Suvvia, non sia così scontrosa. Ha ragione sua madre.”
“Basta!” ringhiò Emma.
Regina sogghignò e continuò a masticare placidamente la sua mela.
“Quando hai finito di provocarmi…” 
La professoressa sbatté la penna sulla scrivania ed incrociò le braccia.
“Dovrebbe rilassarsi un po’.”
Così dicendo, aprì nuovamente la borsa ed estrasse un’altra mela. La lanciò ad Emma che stupita la afferrò.
“Le avevo detto che le avrei fatto provare una delle mele del mio giardino.”
“Se è un modo per farti perdonare sappi che-“
“Non devo farmi perdonare di niente.”
Emma inarcò le sopracciglia.
“Hai dato deliberatamente corda ai miei genitori. Umiliandomi. Divertendoti.”
Regina alzò le spalle e fece un’espressione annoiata.
“Quanto la fa lunga.”
Morse la sua mela e prese un bel respiro. Non era lì per provocare gratuitamente Emma, per quanto potesse essere rilassante e divertente. Aveva una missione da compiere.
“Cosa fa venerdì pomeriggio?”
Emma si alzò dalla scrivania e si appoggiò ad essa.
“Perché?”
“Pensavo che potessimo fare qualcosa. Sempre che non abbia già programmi con la Blanchard. Ma non vorrei mai che i suoi pensassero che la sua amica Regina la sta trascuran-“
“BASTA!”
“Va bene, va bene, la smetto…”
Emma chiuse gli occhi e sospirò.
Era stancante.
“Ti farò sapere. Se arriverò viva al fine settimana. E se non ti avrò strozzata prima. Potrei anche decidere di metterti in punizione per il resto dell’anno scolastico. Non mettermi alla prova.”
Regina sorrise amabilmente mentre l’altra la guardava torva.
“Sparisci ora.”
“A dopo miss Swan!” 
Se ne andò, trionfante come non mai.


Belle camminò spedita verso l’uscita dell’edificio, la testa che sembrava scoppiarle. Le parole che Tink le aveva detto, le sue insicurezze, il fatto che Robert probabilmente era rimasto ad aspettarla da solo, fissando sconsolato la macchinetta delle merendine, aspettando qualcuno che non sarebbe mai arrivato.
Non sapeva se avesse fatto la cosa giusta, ma le parole dell’amica le avevano sicuramente riaperto alcune ferite che dopo quel week-end, sembravano essersi quasi magicamente richiuse.
E se Tink avesse avuto ragione?
Che provasse ancora qualcosa per Robert era innegabile. Ma ricominciare a frequentarlo sembrava ora impensabile. Non riusciva più a fidarsi di lui, era impensabile. Ma soprattutto era impensabile mentire a sé stessa e al ragazzo: non sarebbero mai stati amici. Non poteva funzionare, non dopo così poco tempo. 
Certo, tutte i pensieri sull’istinto e sui sentimenti non erano state dimenticati, né le parole di Ruby. 
Ma la sua vita veniva prima di tutto, doveva pensare con razionalità alla situazione e a come affrontarla. 
E benché Robert la rendesse felice, esisteva anche una piccola, o forse non troppo piccola parte, che temeva che l'avrebbe fatta soffrire di nuovo. E quello per Belle era decisamente troppo al momento.
Ora non vedeva l’ora di uscire da scuola, prendere l’autobus, raggiungere Ruby all’ospedale e parlarne di nuovo con lei, chiederle consiglio, chiederle ancora se era davvero pazza a voler concedere a Robert una seconda possibilità o se semplicemente era stupida e ancora innamorata. Chiederle se esistevano persone capaci di rovinare la felicità per paura dell’infelicità. Dirle che finalmente era pronta a parlarne e che ne aveva bisogno.
Tutto questo sarebbe stato molto più facile se una certa persona non l’avesse aspettata davanti al portone principale.
Belle respirò a fondo.
Era ovvio che sarebbe successo.
Dopo avergli dato clamorosamente buca senza nemmeno avvisarlo, il minimo che Robert poteva fare era cercarla e dirgliene quattro. Si preparò psicologicamente ad affrontare la questione e camminò, cercando di mantenere un’andatura tranquilla e non far trapelare il senso di colpa e l’ansia. Provò uno strano tuffo al cuore notando che indossava la camicia azzurra che aveva a San Valentino. 
“Stai bene?” fu la prima cosa che Robert le chiese, facendo un passo verso di lei.
La ragazza si bloccò.
Non era esattamente l’incipit che si aspettava.
“Io- sì, perché?”
“Pensavo…pensavo fosse successo qualcosa. Perché non sei venuta prima…allora ho pensato che magari tuo padre…”
Robert non terminò la frase. 
Rimase a guardarla, con aria un po’ interrogativa e un po’ triste.
Forse aveva già intuito la verità.
Belle decise che doveva scusarsi, e doveva farlo subito. Poteva aver preso momentaneamente una decisione, cioè quella di allontanarsi di nuovo, ma questo non la giustificava nel comportarsi male o nel farlo preoccupare per nulla. Menchemeno nel mancargli di rispetto.
“Tranquillo, sto bene. Ho avuto un contrattempo con Tink che mi ha chiesto…una cosa. E mi sono dimenticata di avvisarti, scusami. Tra una cosa e l’altra…scusa, non so dove ho la testa.” 
Attese una risposta.
Il ragazzo annuì lentamente.
“Ho capito.”
Seguì qualche imbarazzante secondo di silenzio.
“Tu…come stai?” chiede lei infine.
Questo glielo doveva.
Almeno questo.
“Ho visto giorni migliori ma…tutto bene, circa.”
“A casa?”
“Niente di nuovo.”
Belle sapeva cosa significava. La situazione era rimasta stabile e probabilmente Robert era ancora indeciso sul da farsi, incastrato com’era in quella bruttissima situazione.
“Va…va bene.” Si bloccò e poi riprese “Io ora dovrei andare in ospedale da mio padre.”
Non sapeva cos’altro dire.
Le parole di Tink continuavano a rimbombarle nel cervello.
“Okay! Vuoi un passaggio?”
Belle scosse la testa.
“Prendo il bus.”
“Ti accompagno alla fermata?”
“Tranquillo! C’è…c’è Tink che mi aspetta fuori.”
Non era vero. Non lo faceva perché non voleva dire di no a Robert, lo faceva perché sapeva di dover trovare una scusa con sé stessa. A Robert sarebbe bastato un semplice no e si sarebbe allontanato immediatamente.
“Non è vero.” Disse Robert “L’ho vista uscire mezz’ora fa con Killian.”
Merda, pensò Belle.
“Davvero?” chiese, cercando di simulare sorpresa.
“Belle…” 
Belle si morse il labbro e fece un passo in avanti. Non voleva parlarne lì, davanti a tutti, sulla porta principale. Sapeva che Robert l’avrebbe seguita senza neanche doverglielo dire.
Una volta fuori in cortile, si fermò di nuovo.
“Belle?”
“Mi dispiace. Non…credo di poterlo fare. Ci ho pensato ma non so se riesco a far funzionare le cose ora come ora.” Dichiarò lei, la voce piatta. Si guardò intorno, sconsolata.
Gold annuì tristemente.
“L’avevo capito quando non sei venuta questa mattina.”
“Mi dispiace davvero è che…mi fa ancora troppo male, non pensavo, invece è così. E non è stato corretto nei tuoi confronti, lo so.”
Nessuno dei due disse nulla per qualche secondo.
“In effetti no, però…va bene. Lo capisco. Fa male anche a me.”
“Lo so! Per questo non voglio forzare le cose. Robert, non credo che torneremo in-“
“Non voglio tornare con te.” La interruppe Robert.
Non era vero. Avrebbe voluto tornare con lei subito, avrebbe venduto l’anima al diavolo per poter stare con lei. Ma non era quella la sua priorità.
Aveva riflettuto il giorno precedente, da solo, nella sua stanza, mentre suo padre si comportava come se niente fosse accaduto, mentre sua madre ignara continuava la sua vita di tutti i giorni e si lamentava ad alta voce di tutte le pistine bagnate che Bobik aveva lasciato per casa. Aveva pensato che anche se tra lui e Belle era finita, piuttosto che starle lontano per sempre, perderla definitivamente, avrebbe preferito rimanere suo amico. Gli andava bene. E poi chissà, la vita poteva riservargli delle sorprese nel futuro. Da un’amicizia poteva nascere di nuovo l’amore.
E inoltre, nonostante tutto, nonostante l’amore e l’attrazione che provava per lei, era davvero affezionato anche alla sua persona e al suo carattere. Belle era l’unica con cui riusciva a parlare, era l’unica persona con cui riuscisse ad aprirsi completamente, non era come con Killian o con Regina, con lei ogni cosa era diversa e migliore. Si fidava di lei e sapeva che non lo avrebbe mai giudicato.
Era come se Belle si fosse scavata un posticino tutto suo nella sua anima e in qualche modo ancora fosse lì, come se ancora potesse condividere con lui dolori e gioie.
“Io…voglio…solo avere qualcuno. Con cui…parlare. Mi sento…mi sento davvero solo.” Terminò la frase fissando il pavimento.
Belle rimase zitta.
Questo non l’aveva messo in conto.
“Non ho nessun altro. Mi fido di te, mi manchi, mi manca parlare con te, uscire con te…mi manchi e basta. Piuttosto…piuttosto che non poterti…parlare per niente, mi…mi va bene essere tuo amico.”
La ragazza si guardò intorno spaesata.
“Non lo so.” Disse infine. 
Era la verità. 
Non era certa di poter fare quel passo. Era meschino lasciarlo da solo, soprattutto quando lui le era stato accanto senza remore in un momenti di assoluta difficoltà. Ma Belle doveva pensare anche a sé stessa, a proteggere il proprio cuore. Non voleva fargli del male ma non voleva neanche continuare a soffrire. 
E poi c’erano tutte le priorità, le ricordo la sua vocina razionale. L’università, i soldi, gli esami, suo padre. Tutte quelle cose a cui pensare. Non c’era tempo per stare a crogiolarsi nel dolore.
Magari Robert poteva essere pronto ad essere suo amico, ma lei non lo era.
“Dico davvero Robert. Non lo so. È che…credo che sia troppo presto.”
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli.
“Sarà troppo tardi tra poco. Tu…te ne andrai. E io anche. E non potremo più…più essere amici. Abbiamo un ultimo mese di scuola…perché non…lo sfruttiamo al meglio?”
Ma lo sguardo spento di Belle diceva già tutto.
Non sarebbero stati amici.
Non ci sarebbe stato più niente.
Era finita.
“Non lo so. Ho…ho bisogno di tempo. Devo capire…come far funzionare la cosa. E devo capire se voglio farla funzionare.” Ripetè lei.
Sembrava triste, e anche molto stanca.
“Ora devo davvero andare in ospedale. So che sembra una scusa ma-“
“No…no tranquilla. Non sembra una scusa. Dico davvero.”
“Va bene.”
Nel silenzio del cortile, tutto sembrava ancora più pesante e definitivo. Robert pensò che odiava davvero quel cortile. E la sua camicia azzurra era stata davvero inutile.
“Ascolta…ci vediamo a scuola, va bene? Nei prossimi giorni.” provò Belle. Cercò di sorridere, di sembrare amichevole, ma non ci riuscì. 
“Sì…va bene” rispose lui, fissando il pavimento.
Così Belle si sporse in avanti e gli diede una leggera pacca sul braccio. Sorrise tristemente un’ultima volta e camminò verso la fermata. Salì sul bus e si trascinò tristemente verso uno dei sedili vuoti, sempre meno sicura della decisione appena presa.



Dopo la visita a suo padre, lei e Ruby camminavano silenziose per il corridoio, quando senza preavviso, apparve davanti a loro Killian Jones. Aveva in mano due lattine di Coca Cola.
“Belle!” esclamò sorpreso.
“Ciao Killian!”
Belle sorrise e indicò le lattine.
“Ne porti una a tuo fratello?”
“Sì. Senza dirlo ai medici.” Le strizzò l’occhio.
Poi il suo sguardo si spostò su Ruby. Belle poté vedere con chiarezza lo stupore e l’ammirazione sul volto del ragazzo, che la fissò con tanto d’occhi.
“Tieni gli occhi a posto.” 
Belle aggrottò le sopracciglia. Di certo sua zia non perdeva tempo.
“Killian Jones, lietissimo di fare la tua conoscenza…Davvero lietissimo. Non sapevo che Belle avesse delle amiche così interessanti.”
Fece un profondo inchino mentre Ruby storceva il naso.
“I tuoi amici sono tutti così?” chiese poi rivolta a Belle.
Lei stava per rispondere che no, solo Killian era così ma era davvero simpatico quando ci si metteva, ma Ruby proseguì.
“Sono la zia di Belle comunque.”
Killian spalancò gli occhi azzurri e guardò Belle che annuì ridendo.
“Ho appena fatto una figura di merda, vero?”
Entrambe le donne annuirono.
Jones si strinse nelle spalle, si aggiustò il giubbetto di pelle e riprese a sorridere.
“Vabbeh. Cose che capitano.” dichiarò infine.
Ruby scosse la testa.
“Vado a parlare un momento col dottore.” Si allontanò a passo spedito, le lunghe gambe che si muovevano sinuose nei pantaloni neri aderenti.
“Senti Belle, perché non mi hai mai fatto vedere una foto di tua zia? Sono cose importanti in un’amicizia, conoscere i reciproci parenti e-” iniziò Killian non appena fu sparita dietro la corsia.
“È troppo vecchia per te.”
“Vecchia? Ma che dici, vecchia-“
“E poi tu non frequenti Tink?”
Il ragazzo si zittì immediatamente mentre Belle inarcava le sopracciglia.
Dopo qualche secondo, parlò.
“Come stai comunque? Tuo fratello?”
“Benone, tutto alla grande. Tuo padre invece?”
“Anche. Tutto prosegue.”
Lui annuì.
Poi si avvicinò con fare da complice e le passò un braccio intorno alle spalle.
“E…col mio…amico?”
Belle sbuffò. Era ovvio che l’avrebbe chiesto.
Sembrava che tutti volessero chiederle la stessa cosa.
“Cosa intendi?” provò a prenderla alla lontana.
“Vi ho visti insieme…” proseguì lui con fare complice.
“Sì. Mi ha aiutata molto in questi giorni.”
“Sono felice. Significa che posso ricominciare a fare il tifo per voi? Gold ultimamente era intrattabile, una checchina isterica, ma-“
“Killian” lo interruppe Belle decisa “Non stiamo insieme. Mi ha solo aiutata. Tra me e Robert è finita.”
Il ragazzo si bloccò ammutolito.
“Cosa significa?”
“Lo sai bene.”
Killian si guardò intorno a disagio.
“Mi sembra un po’ drastico.”
“È così che funzionano le relazioni.”
Dopo un po’ il ragazzo annuì tristemente. 
“Ti ha spezzato il cuore.”
Sospirò. Sembrava sul punto di voler dire qualcosa d’altro.
“Però…per quanto cretino sia e per quanto abbia fatto una cosa schifosa, se posso dirlo, ti ha amata davvero.” Disse infine.
Belle fissò il pavimento. Se l’aveva amata perché non gliel’aveva mai detto?
Perché non aveva, neanche nei momenti più critici, avuto il coraggio di dirle la verità? 
A volte Belle pensava che se gliel’avesse detto, se gli avesse sentito pronunciare quelle fatidiche due parole, le cose sarebbero andate diversamente. Lei sarebbe stata più forte, avrebbe avuto meno paura, si sarebbe fidata di più. Forse sarebbe persino riuscita a perdonarlo.
“È andata così.”
Killian la guardò.
“Pensaci bene.” Dichiarò alla fine. 
“Ci ho pensato bene.”
“Pensaci ancora meglio.”


Belle rimase a lungo sdraiata sul letto, a fissare il soffitto, un libro in mano e lo sguardo vacuo. Ma se lo sguardo poteva sembrare perso, la sua mente era concentrata.
Tink le diceva di fare una cosa, Killian un’altra, Ruby un’altra ancora. Robert intanto aveva bisogno di un’amica. Tutti le parlavano e si sentivano in dovere di farle sapere cosa pensavano.
A forza di ascoltare gli altri aveva forse perso di vista i propri desideri? 
Forse, si disse con sincerità, era ora di chiedersi con onestà cosa voleva e cosa provava. Ci aveva provato la sera prima ma ora, a mente fredda, dopo ciò che era accaduto quel pomeriggio, come si sentiva?
Era triste in quel momento. Triste perché le sembrava di aver fatto una cosa stupida ed insensata. E soprattutto sbagliata.
La sensazione che la attanagliava dal giorno precedente, quella specie di inconscia attesa, l’aveva abbandonata.
Sapere che a scuola avrebbe visto Robert e che avrebbero parlato. Ci aveva pensato il giorno precedente, nonostante le preoccupazioni, nonostante tutto, era felice.
Era una bella sensazione, era come la sensazione che si prova alla fine dell’estate, quella sensazione di attesa, di aspettativa. La sensazione che l’estate non sia veramente finita e che in ogni caso, le cose saranno luminose e belle.
Invece ora era tutto fuori posto.
Si mise a sedere e guardò i suoi libri.
Avrebbe voluto avere come consigliere uno qualsiasi dei suoi personaggi preferiti. O magari Jane Austen in persona.
Invece era sola.
Ed era giusto che fosse così.
Doveva prendere una decisione, da sola.
E questa volta, sarebbe stata definitiva. 




- Vada per venerdì. Facciamo un tè. A casa mia, per le quattro.
Fu il breve messaggio che Regina ricevette poco dopo cena.
- Ottimo. La Blanchard viene?
Non ottenne risposta.



Robert grattò la testina di Bobik, guardando il soffitto, demoralizzato.
Niente andava bene.
Suo padre faceva schifo, la sua famiglia faceva schifo, la sua vita faceva schifo. Aveva solo un bel cagnolino.
Non è vero, si disse, ho anche dei bei capelli.
Poi scosse la testa.
Era sempre stato fiero dei suoi capelli, anche se potevano sembrare stupidi o se spesso lo facevano arrabbiare, quando facevano ciò che volevano loro. 
Ma ora, mentre guardava il proprio riflesso nel vetro della finestra di camera sua, si chiese se non fosse venuto il momento di tagliarli. 
Forse sì.
Quel taglio di capelli era davvero da idiota.
Era venuto il momento di cambiare un sacco di cose.
Stava proprio per decidere che l’indomani sarebbe andato dal tanto odiato ed evitato barbiere, quando improvvisamente il suo cellulare si illuminò.
Certo come non mai che fosse un insulto a random di Regina, si sporse verso di esso con poco entusiasmo.
Invece vi era un nome diverso, stampato in grassetto vicino alla una piccola icona verde dei messaggi. Un nome che non leggeva da mesi sul suo schermo. Un nome che fece fare al suo cuore almeno cinque capriole.

Belle

 -Hai ancora un mio paio di guanti. Quando pensi di ridarmelo?

Robert fissò lo schermo interdetto, felice, felicissimo ma anche confuso. Che razza di messaggio era?

- Quando preferisci! 

Attese impaziente la risposta, il cuore che batteva ad una velocità tre volte più forte del normale.

- Domani fuori da scuola? Prima delle lezioni.

Sempre più confuso, rispose.

- Va bene. 

Non giunse più risposta.
Deluso, appoggiò il cellulare, incerto se essere comunque un po’ più felice di prima.
E lo schermo si illuminò di nuovo.

- Come stai?

Respirò a fondo.

- Tutto bene…circa. Tu? Tuo padre?

- Sopravviviamo entrambi.


Valutò se rispondere ancora. Decise di tentare.
Scattò una foto a Bobik e gliela inviò.

- Puliscigli quel musetto, è lurido.

Robert controllò l’animale. In effetti era vero.

- Ora lo faccio. E’ che si rotola sempre nel fango!

- Mmmh. Io non ho foto di animali da inviarti di rimando, scusa…

- Va bene anche così

- Vado a leggere qualcosa e poi dormo, sono sfinita. Buonanotte, a domani!


A domani.
Robert rilesse quelle due semplici parole un sacco di volte. Erano così piccole. Eppure così belle e luminose. 
Era successo qualcosa?
Cos’era cambiato in una giornata?
Forse Belle aveva deciso che voleva dare una chance alla loro amicizia? Che ciò che c’era e che c’era stato tra loro meritava un’altra possibilità? Qualcuno le aveva detto qualcosa?
Di sicuro non voleva vederlo per i guanti, si disse. Era una scusa, era maggio ed era molto caldo, quei guanti di lana poteva farseli ridare in un qualsiasi momento, anche usare Killian come tramite e farseli dare da lui…
No. Belle aveva voluto vederlo. Si sarebbero visti domani, questa volta ne era certo. 
Belle gli aveva scritto. Aveva cambiato idea. Forse davvero non era troppo tardi per cercare di costruire almeno una bella amicizia, per riconquistare la sua fiducia, per aiutarla. 
Sorrise.










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Riptide - Vance Joy



Hellooooo
it's meeeee.
Credevate che fossi morta? E invece no. BUON NATALE! E buon anno nuovo. Ormai rinuncio a scusarmi delle tempistiche con cui scrivo e aggiorno. Ma pian pianino aggiorno e arrivo alla fine. Perchè vi avviso che non manca tantissimo. Non so se sia una buona o una cattiva notizia.
Dunque, questo capitolo è molto importante per me e vi spiego perchè. Avevo in mente una cosa simile anche prima che lo show prendesse una certa direzione - 5x10 sto parlando con te - cioè una scena in cui Belle dice di non essere pronta. È la cosa che a me sembra più IC, quindi avevo deciso di scriverla. Dopodichè l'ho vista su schermo. Non mi è piaciuta per il semplice fatto che prima sembrava che Belle fosse pronta a voltare pagina, mentre dopo pochi episodi è tornata sui suoi passi. Poi la 5x11 l'abbiamo vista tutti quindi le cose si sono sistemate.
Nel capitolo ho cercato di essere coerente con Belle, di far capire che è combattuta e lo è sempre stata. Insomma, non come nella serie tv che hanno reso male - a mio parere - il conflitto interno, rendendola semplicemente bipolare da un episodio all'altro. 
Chiusa parentesi IL COMPORTAMENTO DI BELLE E LA PAZZIA DI ADAM HOROWITZ ED EDDY KITSIS.
Il primo grande piccolo passo Swan Queen è avvenuto e ora vedremo a cosa porterà. 
Altra cosa a cui tengo, l'inserimento di Ruby. Ho deciso di darle una sorta di ruolo "guida" per Belle, ma non troppo rompiballe, a differenza di Tink che tende ad intromettersi un po' troppo. Spero di non essere andata troppo OOC, ma è tanto difficile scrivere di personaggi a cui purtroppo è dato poco spazio.
Sono stata anche troppo seria in questo commento.
Quindi?
Vi saluto, vi ringrazio IMMENSAMENTE per il vostro sostegno e anche per gli MP minatori che ogni tanto ricevo su Twitter "ma quando aggiorni?". Mi fa piacere vedere che nonostante tutto, seguiate sempre la fanfiction. Quindi alla prossima, presto, forse, non si sa, si spera. Fatemi sapere, se vi va, se vi è piaciuto il capitolo, se non vi è piaciuto, critiche, recensioni postive...
Un bacio sciaoBELI.
seasonsoflove

 

   
 
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