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Autore: Kary91    23/01/2016    2 recensioni
{Raccolta di One-Shots incentrate sui maschi della famiglia Hawthorne}
1) • Mr. Hawthorne [Pre-Hunger Games |teen!Mr Hawthorne e teen!Hazelle] ✓
2) • Vick Hawthorne [Pre-Hunger Games| Vick, Gale, Posy e Hazelle] ✓
3) • Rory Hawthorne [Post-Mockingjay | Rory, Vick e Posy] ✓
4) • Gale Hawthorne [Post-Mockingjay | Gale, Johanna e Joel Jr.] ✓
5) • The Hawthorne Family [Pre-Hunger Games |Mr. Hawthorne, Hazelle, Gale, Rory e Vick]
“Se proprio vuoi saperlo, credo che abbia qualche rotella fuori posto…” aggiunse Johanna, mentre Gale tirava fuori il bimbo dal seggiolone per evitare che cadesse. “Ha chiamato il suo amico peloso come me”.
Afferrò la volpe di peluche e la porse al piccolo. Joel, che era occupato a festeggiare il ritorno del padre accoccolato al suo petto, sorrise e strinse l’animaletto a sé.
“Jo!” esclamò allegro, appoggiando la fronte contro il suo muso peloso.
Johanna indirizzò un’occhiata eloquente a Gale, che sorrise divertito.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Mr. Hawthorne, Posy Hawthorne, Vick Hawthorne
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Premessa. Questa storia è ambientata circa otto anni dopo la Rivolta. Gale vive nel Distretto 2 assieme a suo figlio, Joel Jr., avuto da una relazione con una donna di nome Sapheen. Da quasi un anno assieme a loro vive anche Johanna Mason. Questa one-shot è stata scritta grazie al prompt Gale/Johanna – ‘Questo coso spara pappina come una macchinetta’ ‘Non è un coso, Johanna. È un bambino’ lasciatomi da Giraffetta.

 

[4]

 

Collage

Gale Hawthorne

Avrei voluto essere

in passato meno innamorato di chi non ha avuto

alcun riguardo per me

e avrei voluto dare a te

tutto quel che ho dentro e che io troppe volte ti ho negato

senza sapere perché.

Tutto ciò che ho. 883.

 

Gale rientrò in casa sbattendo la porta, la tensione incuneata in ogni suo movimento.

Stava vivendo una di quelle giornate in cui il minimo fastidio sembra urtare eccessivamente i nervi, senza un motivo apparente. Era inquieto perché non aveva dormito bene, nervoso per via di una mezza discussione con uno dei suoi superiori, e preoccupato perché suo figlio continuava ad ammalarsi di otite e il pediatra non era ancora riuscito a porvi rimedio.  Ma soprattutto non volava, non volava da giorni. Per lui, non potersi intrufolare in qualche Hovercraft per farsi un giro equivaleva a non poter gironzolare per i boschi. Il volo era diventato la sua nuova caccia: restare a terra troppo a lungo lo frustrava quanto un tempo lo infastidiva stare alla larga dalla foresta del Dodici.

Gale, tuttavia, sapeva che il suo nervosismo era riconducibile a qualcosa in particolare: non ne era stato pienamente conscio fino a quando non se l’era ritrovata di fronte sul tavolino del soggiorno, spiegazzata e gettata a faccia in giù così come l’aveva lasciata. Si trattava di una lettera di Rory che aveva letto quel mattino, giusto pochi minuti prima di andare al lavoro.

 “Non so se hai voglia di saperlo…” incominciava suo fratello, nella stessa calligrafia stretta e affilata di quando era ragazzino. “… Ma credo sia meglio che tu lo sappia da me, piuttosto che da un conduttore televisivo a caso con i capelli in technicolor tipo Flickerman. Katniss ha partorito qualche mese fa: è una bambina. Mi pare che si chiami Haley…”

Rilesse più volte il frammento di lettera legato a Katniss, scandagliandolo alla ricerca di informazioni aggiuntive: non ce n’erano. Non che gli occorresse conoscere più di quello che già sapeva. La sua migliore amica di un tempo, la ragazza che da giovane aveva giurato che non avrebbe mai avuto figli, aveva cambiato idea. O forse aveva solo trovato qualcuno con cui valesse la pena superare la sua paura più grande: qualcuno che l’aveva spinta a fidarsi di se stessa a punto tale da convincerla a compiere quel passo. Qualcuno più fortunato di lui, che aveva avuto successo dove lui aveva fallito. Qualcuno che era rimasto al suo fianco, perché non aveva colpe da espiare.

Qualcuno come il pane, indispensabile alla sopravvivenza.

Il pilota accartocciò il foglio lentamente, con gesti calcolati più che dettati dalla rabbia. La stanchezza del lavoro gli si appoggiò addosso come una coperta pesante e la testa incominciò a fargli male.

Non era incollerito, né triste: si sentiva risentito, afflitto dal modo in cui aveva esposto il proprio cuore più volte, ricevendo in cambio sempre e solo graffi. Con Katniss era andata così: i sacrifici che aveva fatto per lei, il suo sentirsi vulnerabile erano sempre stati a senso unico.

La seconda volta in cui aveva provato un sentimento simile a quello che l’aveva legato a lei non era andata molto meglio: sì, non era stato il solo a scottarsi, a mettere a rischio l’orgoglio, ma anche Sapheen[1] alla fine aveva scelto se stessa e non lui. Anche la madre di suo figlio se n’era andata, lasciando lui e Joel soli, a leccarsi le ferite.

Gli sarebbe piaciuto poter eliminare quei passi in avanti che aveva fatto per raggiungerle, ricucire i lembi sdruciti del suo cuore senza farli sanguinare, senza lasciare cicatrici. Ma ormai il danno era fatto. E nonostante il tempo continuasse a scorrere, il dolore e il senso di inadeguatezza restavano.

 

“Non vorrei mai avere figli.”

“Io li vorrei. Se non vivessi qui.”

“Però ci vivi.”
“Lascia perdere.”[2]

 

“Katniss ha partorito qualche mese fa.

È una bambina. Mi pare che si chiami Haley…”

 

Forse non era fatto per quel genere di sentimento, si disse, passandosi una mano fra i capelli. Forse era semplicemente destinato a tenersi certe cose per sé, a inibirle col tempo fino a farle scomparire.

Forse era un bene che restasse solo: nel corso della sua vita ogni cosa a cui aveva esposto il suo cuore aveva fatto una brutta fine o aveva concluso per complicarsi ulteriormente.

Non per altro, portava il nome della tempesta. Aveva qualcosa di violento dentro, che scuoteva le persone fino a spingerle lontane. Perfino gli alberi parevano agitarsi al suo tocco.

Chi era fatto di vento, come lui, non poteva avere una dimora vera e propria. Entrava un po’ ovunque, ma nessuno si era mai sentito sufficientemente matto o tenace da tentare di incatenarlo a sé. Come si fa, in fondo, ad abbracciare una corrente d’aria? A convincerla ad ammansirsi giusto il tempo necessario per farle capire che si è disposti ad affrontare la tempesta, pur di viverci a fianco?

 

In quel momento la porta della cucina si aprì, portandosi con sé i farfuglii di un bambino piccolo.

Gale sollevò distrattamente lo sguardo, una mano ancora stretta attorno alla lettera appallottolata.

Johanna aveva una spalla appoggiata allo stipite, lo sguardo seccato e palline di poltiglia di cibo appiccicati ai capelli.

Reggeva schifata un vasetto di omogenizzato di carne mezzo vuoto e, nell’altra mano, un cucchiaino sporco.

“Alla buon ora, Hawthorne” borbottò, immergendo il cucchiaio nel barattolo. Indirizzò poi un’occhiata bieca alla cucina, dove i gridolini del piccolo Joel avevano appena incominciato a farsi più insistenti. “Questo coso sputa pappina come una macchinetta” aggiunse, strofinandosi una guancia sulla spalla per pulirsela.

La tensione nel volto di Gale sfumò leggermente.

“Non è un coso: è un bambino, Johanna” replicò in tono di voce insolitamente inespressivo. Il suo sguardo era tornato a rivolgersi alla lettera appallottolata fra le sue mani.

Johanna se ne accorse: la sua espressione infastidita mutò, lasciando il posto a una maschera indecifrabile.

Seguì un silenzio insolito, diverso da quelli che erano abituati ad avvertire fra di loro.

Johanna si avvicinò di qualche passo, visibilmente indecisa se parlare o meno.

“Bah, probabilmente verrà su con qualche piuma al posto dei capelli” commentò infine, appoggiando i gomiti allo schienale del divano.

Gale gli rivolse un’occhiata disorientata.

“Che cosa?”

“La mocciosa. Sua madre è la Ghiandaia Imitatrice, no?”

Sorrise sarcastica, prima di grattare il fondo del vasetto di omogenizzato con il cucchiaino, per poi infilarselo in bocca.

“Che vuoi?” chiese poi a bocca piena, ricambiando lo sguardo di Gale. “Se tuo figlio questo non lo mangia, cavoli suoi. Me lo mangio io: devo ammettere che non è così male come sembra.”

Un abbozzo di sorriso eliminò finalmente un po’ di ombra dallo sguardo stanco del pilota.

Tutto a un tratto, avvertì il bisogno di alzarsi da quel divano e andare a prendere in braccio Joel.

“Come è andata oggi? Ha ancora mal di orecchie?”

Johanna scosse la testa con fare esasperato.

“E come diavolo faccio a saperlo? Non fa altro che blaterare cose senza senso” replicò, guidandolo verso la cucina. Trovarono Joel intento ad allungarsi sul seggiolone, gli occhi grigi spalancati per lo smarrimento: il suo peluche preferito era caduto per terra e stava cercando di liberarsi per recuperarlo.

Sia il bambino che il pupazzo – così come il tavolo e il pavimento – erano puntellati di grumi di pappetta.

“Se proprio vuoi saperlo, credo che abbia qualche rotella fuori posto…” aggiunse Johanna, mentre Gale tirava fuori il bimbo dal seggiolone per evitare che cadesse. “Ha chiamato il suo amico peloso come me”.

Afferrò la volpe di peluche e la porse al piccolo. Joel, che era occupato a festeggiare il ritorno del padre accoccolato al suo petto, sorrise e strinse l’animaletto a sé.

Jo!” esclamò allegro, appoggiando la fronte contro il suo muso peloso.

Johanna indirizzò un’occhiata eloquente a Gale, che sorrise divertito.

“Johanna… Guarda” esordì, rubandole di mano il cucchiaio. “Joel, che cos’è questo?” chiese poi, mostrandolo al piccolo.

Joel gli rivolse un sorriso furbetto.

Jo!” ripeté, cercando di afferrarlo.

“E quello?” chiese ancora il padre, indicandogli il frigorifero.

Jo!”

Il sorriso di Gale si allargò; baciò il bimbetto sui capelli e aggrottò le sopracciglia, nell’accorgersi che erano appiccicaticci per via della pappetta.

“È  l’unica parola che sente dire di continuo in questa casa” spiegò poi a Johanna, facendosi passare un tovagliolo per ripulirlo. “L’ha imparata bene.”

Johanna alzò gli occhi al cielo, per nulla impressionata dal fatto che il suo nome fosse stato scelto dal piccolo come parola universale per indicare tutto.

“E questo povero idiota chi è?” domandò poi, cercando l’attenzione di Joel e indicandogli Gale.

Il visetto del bimbo si fece raggiante.

“Papà!” esclamò, tornando ad appoggiare la testa contro il petto del padre.

Gale rinsaldò l’abbraccio, adagiando il mento sui suoi capelli. Il calore emanato dal corpicino del piccolo era una delle poche cose in grado di allentare il nervosismo che avvertiva in giornate come quella.

Joel era il motivo per cui non rinnegava il suo essere nato vento e tempesta. Essere quello che era gli aveva inferto molte  ferite, ma aveva anche contribuito a portare al mondo suo figlio.

“I-dio-ta!” scandì ancora Johanna, appoggiandosi a Gale con il gomito. Guardava Joel, che stava ricambiando con gli occhi sgranati e la volpe ancora ben stretta al corpicino.

Jo!” replicò dopo qualche istante, suscitando l’irritazione della donna.

“Se non impara almeno a dire idiota continuerà ad essere un moccioso inutile” osservò a quel punto, tirando giocosamente i capelli di Gale. “Ho bisogno di qualcuno con cui poterti insultare.”

“E a me serve qualcuno che ti insegni a mangiare come si deve” ribatté lui, grattando via un po’ della pappetta di Joel dal mento di Johanna. “Magari fra un paio d’anni potrà farlo lui. Che ne dici, ometto?”

Il bimbo gli sorrise, prima di incominciare a mordicchiare un’orecchia della sua volpe.

Johanna roteò gli occhi e gli diede una gomitata.

“Tuo padre è un vero stronzo, lo sai, Hawthorne?” borbottò poi, rivolta a Joel.

Gale sorrise divertito: in quel momento avrebbe volentieri attirato a sé il volto di Johanna per baciarla, noncurante dei grumi di pappetta e della bava di Joel. Erano in momenti come quelli, quando tornava a casa in un fascio di nervi e trovava ad attenderlo le premure ruvide, ma sentite, di Johanna, che ricordava di aver trovato qualcuno in grado di accettare di vivere nel mezzo della tempesta.

In giornate simili gli capitava anche di sentirsi in difetto per il poco peso a cui dava, sebbene solo in apparenza, alla presenza di  Johanna: per la gratitudine che avvertiva pulsante in ogni vecchia ferita, ma che non sempre riusciva ad esprimere. Per le parole e i gesti di affetto che gli ronzavano dentro e che teneva da parte per loro – per lei e per Joel – ma che non era ancora riuscito a far emergere.

Perché in situazioni come quella si rendeva conto, più che mai, che loro due erano tutto ciò che aveva . Joel e Johanna erano gli unici che avevano il diritto di appropriarsi delle cose che si portava dentro. E presto, o almeno così sperava, avrebbe imparato a dirglielo.


“Questo stronzo è tutto vostro” esclamò stringendosi nelle spalle. Sollevò Joel per fargli fare l’aeroplano e gli venne da sorridere, nell’ascoltare la sua risata. “Dovrete tenervelo, mi sa.”

Johanna finse una smorfia di sufficienza, mentre lo esaminava con le mani sui fianchi. La maschera indossata, tuttavia, lasciava gli occhi scoperti e da essi emergeva una sfumatura insolitamente affettuosa, che per Gale ebbe un che di rassicurante.

“Faremo lo sforzo” concluse Johanna, afferrandogli il mento un po’ bruscamente. Lo baciò all’angolo della bocca, là dove le manine appiccicose di Joel avevano sparso un miscuglio di pappina e saliva.

E, grazie a quel bacio, Gale decise che poteva anche arrischiarsi a crederle.

 

Note Finali.

*Balle di fieno rotolano qua e là per il Distretto 2*

Buonasera!
Ogni tanto mi sveglio con il pallino di riprendere qualche storia lasciata indietro da anni e questa mattina è toccato a questa raccolta dedicata ai maschietti di casa Hawthorne. Mi vergogno tanto quando realizzo che sono passati non solo mesi, ma addirittura anni, tra i vari aggiornamenti delle mie storie e sono consapevole del fatto che ormai questa raccolta sia morta e sepolta e che nessuno la leggerà. Tuttavia, mi dà davvero fastidio lasciare le vecchie storie incomplete. Per questo, ho deciso di cercare di ultimarla. Ed è così che è spuntato fuori questo capitolo – il penultimo – dedicato al maschietto più conosciuto (e amato/odiato c.c) della famiglia Hawthorne. La strofa che ho scelto per aprire questa one-shot non poteva che essere associata al nostro friendzonato per eccellenza. Ci tenevo ad inserirla in un momento in cui Gale è già più grande e ha una vita avviata e una propria famiglia, un po’ per mostrare che le ferito del passato comunque restano e ogni tanto tornano a far male, ma un po’ anche per incominciare a tirare le fila della raccolta (e della canzone in sé). Anche Gale, come i suoi fratelli e babbo Hawthorne prima di lui, sta incominciando ad apprezzare se stesso un po’ di più e ad aprirsi con chi ha a fianco. Il rapporto fra Gale e Johanna nel periodo incluso in questa one-shot è abbastanza particolare. Non sono ancora una vera e propria coppia, sono vicini sul lato fisico ma non ancora del tutto per quanto riguarda quello emotivo, ma ci stanno arrivando. E Joel, che inizialmente sembrava essere la cosa che li avrebbe separati fin da subito (visto l’odio di Johanna per i bambini) sta finendo per essere un po’ uno dei collanti principali che li lega assieme.

E niente! Ringrazio davvero tanto chiunque avrà il coraggio di fare una visitina qui. Nonostante abbia brutalmente ignorato questa raccolta per mesi, ci sono davvero affezionata, un po’ per il tema trattato e un po’ perché la canzone che mi ha ispirato è una di quelle in cui mi rispecchio di più. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo e ci sarà un gran bel salto indietro nel tempo, perché si parlerà della nascita di Vick! A fare comparsa sarà tutta la famiglia Hawthorne (meno Posy, patatroccola, perché ovviamente non era ancora nata!)

Un abbraccio e a presto!

Laura

 



[1] Sapheen è la mamma di Joel. Ha avuto una storia di diversi anni con Gale, ma per una lunga serie di ragioni, quando è rimasta incinta ha deciso che avrebbe tenuto il bambino solo se ne sarebbe preso carico lui; in un certo senso ha scelto la carriera alla famiglia (è un soldato, nel periodo in cui è ambientata questa storia occupa un posto di rilievo nella neonata Accademia di Aeronautica Militare del Distretto 5).

[2] Questo scambio di battute fra Gale e Katniss è tratto dalle primissimo capitolo di Hunger Games.

   
 
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