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Autore: paoletta76    24/01/2016    1 recensioni
Ecco. Adesso sei davvero nei casini, Darcy.
Un assassino. Hai davanti un assassino senza scrupoli, ridotto al fantasma di sé stesso. Chiunque sia stato, ieri come settant'anni fa.
E tu? Sei come lui?
Fissare a lungo entrambe le siringhe, la consapevolezza di tenere una vita letteralmente fra le mani.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Stark Tower, sei mesi dopo.
 
Partire per una missione non gli aveva mai fatto questo effetto. Forse perché non era mai uscito dal proprio nascondiglio completamente cosciente di cosa stesse per fare.
Ora, invece, di fronte allo schermo olografico che illustrava status e posizione dell’obiettivo, era riuscito a rimanere privo di forza e respiro, per un istante che gli era sembrato interminabile.
 
Tutto bene?
La voce di Nat era arrivata ad accarezzargli le spalle, calda e leggera.
- Sì..- aveva risposto, raccogliendo un ciuffo di capelli fra le dita e portandoseli indietro.
- Vogliono te perché puoi interpretare il suo comportamento.
- Lo so.- Bucky sollevò di nuovo gli occhi, ritrovandosi a fissare il fermo immagine che ritraeva quell’uomo in azione – perché lui è me.
- Quello non sei tu, James. Forse eri, tu. Quello è ciò da cui siamo riusciti a scappare. Tu, l’esperimento. Io, il prototipo. Quello è l’inizio della produzione in serie.
 
Il soldato perfetto.
 
L’essere che poco meno di sei mesi prima era comparso dal nulla, e come era stato per il Soldato d’Inverno in lunghissimi decenni prima d’ora, allo stesso modo scompariva dopo ogni missione. Che fosse un assassinio mirato o un atto terroristico di massa. Senza apparente logica, senza lasciare indizi sulla posizione del prossimo obiettivo o il suo perché.
 
- Sembra che l’Hydra abbia deciso di colpire a caso.- aveva sospirato Tony, senza alcuna vena d’ironia nella voce, di fronte all’ennesima prima pagina di giornale.
- Non colpiscono mai, a caso.- gli aveva risposto Coulson, ancora intento a spaccarsi la testa sui come e sui perché, dopo aver analizzato al millimetro, insieme a Leo e Jemma, ogni fotogramma ed ogni trafiletto – c’è sempre, una logica. E’ quello che dobbiamo scoprire, prima che colpiscano ancora.
 
Poi, una scintilla.
 
C’era arrivato Leo, quasi per caso, intestardito sul cercare nella storia dell’organizzazione, nei suoi simboli e nei suoi riti. L’Hydra era nata molto prima del nazismo, le sue origini si perdevano nella storia e passavano i confini di riti ancestrali, magia e satanismo. Era arrivato anche a chiedere a Lucas di aiutarlo nelle indagini, vincendo la soggezione personale e l’imbarazzo del mettere le mani sui libri che quello aveva fatto arrivare da Asgard.
 
Il principe nero l’aveva ascoltato, con pazienza ed attenzione. Un cenno, e l’aveva guidato nella sua piccola biblioteca personale.
Ci avevano trascorso insieme parecchie notti, prima di elaborare quell’ipotesi. E Jemma aveva fatto il resto.
 
Simboli. Il logo dell’Hydra trovava ascendenze in simboli rituali medievali, tornava a riaffiorare nel seicento e nel secolo dei lumi. Si leggeva tra le righe di molti documenti di stato classificati e non, in loghi di programmi spaziali e di ricerca.
 
Diffuso dappertutto, come un malvagio e nero tumore.
 
James era rimasto ad ascoltare l’esposizione di quel lungo percorso di studi, rimanendo in disparte in un angolo della sala riunioni, in silenzio ed assorto come quando aveva trascorso mezz’ore di fronte alla propria immagine di soldato esposta allo Smithsonian.
Silenzio. Neve.
C’era qualcosa, nell’associazione e sovrapposizione dei simboli proiettati sullo schermo olografico, di orribilmente familiare per il suo corpo, la sua testa ed i suoi occhi.
 
Una fabbrica. La vedeva chiaramente, oscura ed abbandonata. Era stato fatto prigioniero insieme a parecchi commilitoni, rinchiuso in una gabbia fra feriti, rassegnazione e proteste. Ricordava di aver provato a rassicurare qualcuno, prima che mani robuste di uomini armati lo trascinassero laggiù.
 
Una stanza. Enorme, avvolta nella puzza di umidità latente. Una struttura che ricordava le molte, troppe lettighe da medico su cui era stato più tardi indotto o costretto a stendersi. Una luce, concentrata su quel piano di lavoro improvvisato.
 
La voce sgradevole e pungente di quel piccoletto che gli uomini armati chiamavano dottore.
 
E dolore. Un dolore orribile, dappertutto.
 
Sara lo vide abbassare il viso, raccogliere il respiro come stesse annaspando. Tese una mano, fermando il racconto di Fitz e raggiungendo lui all’angolo della porta:
- Stai bene?
 
Le rispose facendo cenno di no con la testa, senza il coraggio di sollevare il viso e guardarlo ancora.
 
Il simbolo dell’Hydra emergeva dalla sovrapposizione ed elaborazione di tutti quei loghi, gigantesco e nero.
 
- Vieni. Hai bisogno di un po’ d’aria.- la mano della ragazza lo guidava fuori, verso il perimetro sicuro del corridoio. Sollevò il viso, aggrottando le sopracciglia e chiedendosi perché si stesse comportando così con lui. Era una delle sue vittime. E lo odiava.
 
Lascia stare.
Gli sembrò intercettare il suo pensiero, rispondendo con un cenno delle dita.
- Sara..- strizzò gli occhi, portandosi le mani sul viso come per difesa.
- Sì. Lo so. Ti odio.
- Come-?
- Ti leggo nel pensiero. E’ una delle mie doti da aliena. Ma non serve farlo, trasudi sensi di colpa dalla prima seduta con la macchina dei ricordi, come.. come se avessi cancellato tutto quello che sei stato di buono.
- Non sono mai stato nulla, di buono, Sara. E’-
- Prima della guerra era un tipo simpatico. Steve potrà esagerare, perché ti vuole bene; ma le registrazioni dei tuoi ricordi non raccontano bugie. Eri un bravo ragazzo, spendevi un sacco di energie per lavorare e difendere chi vedevi in difficoltà. Ti sei arruolato per questo. E poi è venuto tutto il resto.
- Ho bisogno di.. di tornare alla macchina, ora.
- Ma.. hai chiesto di chiudere con il trattamento, Stark difficilmente-
- Ho qualcosa..- lui puntò l’indice contro la tempia – ho qualcosa che può aiutare con.. con quello che state facendo. So di essere ancora qui per aiutare la fondazione con altre cose, ma.. ma sto ricordando. Sto ricordando e voglio.. lo voglio usare.
- Aspetta.
 
La vide entrare nella sala riunioni, parlare fitto fitto con Tony. Un cenno della mano di quest’ultimo, e si avvicinava anche il dottor Banner.
- Sei sicuro? – fu lui, il primo a raggiungerlo oltre la linea d’ombra del corridoio. La risposta fu un deciso cenno di sì.
- Ok; andiamo..
 
Darcy non aveva mosso un muscolo. Appoggiata oltre il tavolo olografico, aveva assistito alla scena e non aveva neppure accennato a raggiungerlo, o preoccuparsi di come stesse, oppure offrirsi di accompagnarlo.
Forse non l’avrebbe fatto mai più.
 
I ricordi di James si erano srotolati come una lunghissima matassa dai mille toni di grigio. C’era la fabbrica, c’era il viscido dottore. C’erano siringhe e lacci e torture fisiche e psicologiche. Poi le fiamme, il viso amico di Steve e la sua voce che gridava non ti lascio indietro.
Ed alla fine tutto si faceva bianco di neve e rosso di sangue. La mano di Steve si allontanava, il treno diventava un puntino nel nulla. Due, tre uomini di cui non riusciva a leggere i tratti del viso lo trascinavano di peso lungo un sentiero, e tutto ciò che riusciva a vedere era una scia di sangue.
 
E dolore, di nuovo, a ridurlo in mille pezzi prima che quanto restava del suo corpo e della sua mente fossero rinchiusi oltre una spessa lastra di ghiaccio.
 
Aveva aperto gli occhi, lentamente, ritrovando il perimetro amico della sala e il profilo della macchina dei ricordi. Poco oltre, alle spalle di Banner, un ciuffo rosso. Dita a spostarlo, a portarlo dietro l’orecchio. Lo sguardo di ghiaccio di Nat, che si mordeva le labbra e lo lasciava, per un lunghissimo istante, con la voglia inconsapevole ed irrazionale di tendere la mano e sfiorarla.
 
Confusa in mezzo a quei ricordi di sangue e di neve, l’unica completamente nitida era solo e soltanto la sua.
 
Non c’era stata solo Odessa.
 
L’aveva conosciuta, molto prima.
L’aveva addestrata. L’aveva protetta.
 
L’aveva amata.
 
Bellissima e gelida bambina di neve.
 
- Prenditi una pausa; direi che ne hai bisogno.- gli disse Banner, allontanandosi. Come avesse intuito nell’aria qualcosa di elettrico, qualcosa che legava loro due soli e che necessitava di silenzio ed intimità.
 
L’ultima immagine impressa nella registrazione ritraeva Natasha, la sua mano che si tendeva e si perdeva oltre il profilo della neve. Tutto intorno, un oscuro groviglio di bosco.
 
Ricordava. Lo ricordava perfettamente anche lei. Ed ora, nonostante gli avesse chiaramente detto di aver voltato pagina, riusciva a provare dolore in parti del suo cuore che non avrebbe mai sospettato di possedere.
 
L’aveva voluta provare anche lei, la macchina. Aveva bisogno di sapere, bisogno di trovare risposta a quel milione di perché che le affioravano in testa ogni notte togliendole il sonno. Perché ricordava di essere stata una ballerina, perché rivedeva quelle immagini di bambine punite e ferite con cui qualcuno la obbligava a combattere. Perché c’era sempre quella voce, nella sua testa, a ripeterle la mia piccola Natalia, la mia bambina di neve. Cosa c’era di sbagliato, nel suo corpo, se non poteva invecchiare, e perché provava quella fitta di dolore e tenerezza ogni volta che Katie le si gettava fra le braccia, nonostante fosse consapevole della propria sterilità. Perché la bambina aveva scelto proprio lei, come zia preferita, se forse le aveva letto nei sogni. Se l’avevano spaventata come riuscivano a fare con lei, spingendola a scivolare fuori dalle coperte e rifugiarsi nel freddo della terrazza, a respirare l’odore della notte. E perché quella lacrima.
 
Non ricordava di aver pianto, prima. Mai.
 
Un solo, uno e semplice ed umano errore.
Aveva chiesto a Darcy di accompagnarla alla seduta.
 
Ma questo era successo molto prima che James si lanciasse nel vuoto; era successo altro, non c’era stato tempo per rimuginare, né per notare come l’amica si fosse fatta gelida e distante.
Eppure, l’avrebbe intuito anche una cretina.
Darcy Lewis che di punto in bianco si defila dal day off, di shopping o di spa che sia, non è una cosa appartenente alla logica umana.
 
Non aveva provato ad avvicinarsi o a chiederle spiegazioni: il motivo c’era, chiaro e semplice, e risiedeva negli sguardi di James.
 
Darcy non aveva neppure avuto l’energia per fare una scenata di gelosia. S’era allontanata, punto.
Anche da lui.
 
Tutto bene?
La voce di Nat era vicina, era presente. Bastava tendere una mano, e sarebbe tornato tutto come in un tempo lontanissimo, loro due soli e niente altro, in fuga dal nemico in mezzo al gelo ed alla neve.
- James..- lo vide assorto, piegato a fissare un punto all’infinito lungo il pavimento, e cercò d’indagare nei suoi occhi.
- Oggi andremo a prenderlo e non ci sarà nessuno a raccomandarmi di non farmi ammazzare.- replicò, con la voce ridotta ad un velo.
- Non le hai ancora parlato?
- Tu ci sei riuscita?
- Ci ho provato. Mi evita. E comunque dovrebbe capirlo, che fra noi due non c’è più niente. In fondo non è un problema mio.
- Questo tuo cinismo lascia capire perché hai così tanti amici, Natasha.
La donna rispose sollevando le spalle:
- Mi vuoi sincera? Ok, mi dispiace. Ma non posso farci niente, se è convinta che io e te abbiamo ancora una storia. Certo, avrei preferito che gridasse, almeno si sfogava; gridavo anch’io e alla fine davamo la colpa a te e uscivamo a comprarci un bel paio di scarpe assieme. Ma non siamo più bambini, James. E ci sono affari più importanti di quelli del cuore.
 
L’aveva lasciato solo, per l’ennesima volta. Solo a decidere, solo a pensare. E per l’ennesima volta era comparsa, al momento e nel posto giusto, una presenza inaspettata nel suo schermo visivo.
- Ehi.- Sara l’aveva raggiunto, lì di fronte all’ascensore, e senza guardarlo aveva premuto l’indice sul pulsante – sei pronto?
- Tu?
- No.- era stata la risposta, decisa, mentre le porte si aprivano e la ragazza scivolava oltre, lasciando che la seguisse affiancando al sua uniforme tattica, prima di premere il tasto ground floor. James aggrottò le sopracciglia.
- La realtà e che non sono pronta. Mai. Non lo ero neppure quando siamo usciti per catturare te. E’ armato, è pericoloso ed apparentemente senza niente da perdere, il che lo fa ancora più pericoloso. In più, non sappiamo neppure chi sia; nessuno l’ha mai visto in faccia, prima d’ora.
- Ero la stessa cosa, quando siete venuti per me
- Già. Ma alla fine non ti è praticamente rimasto neanche il mio segno.- gli indicò il collo, lasciandolo annuire.
- Uno pari, direi.
Sara si limitò ad un sospiro, mentre l’ascensore rallentava ed effettuava una fermata intermedia, annunciata dalla vocina elettronica.
 
Floor twenty.
- Abbiamo visite dal settore ricerca. Speriamo che sia Fitz coi nani.
 
Le porte si aprirono, e fece capolino proprio lui. Sorriso leggero, valigetta con l’attrezzatura.
Ed un’ospite inattesa.
 
Sara gli lanciò uno sguardo che voleva dire tutto, mentre Darcy salutava opaca e prendeva posto di fronte alla porta, appoggiandosi alle fedeli stampelle e dando le spalle a tutti. Leo rispose con uno dei suoi fantastici ed imperdibili bluff.
- Ops..- uno sguardo verso la valigetta, tastare tutte le tasche che aveva addosso, come fosse alla ricerca di qualcosa di indispensabile ed inesorabilmente dimenticato – il..
Un dito a premere il tasto del piano diciotto, costringendo l’ascensore ad un’altra fermata.
- Che c’è? – Sara si fece appena avanti.
- Ho dimenticato il..- replicò lui, continuando la ricerca – oh, cacchio, era per te.. ti scoccia? – lei indicò l’uscita, la vide annuire e si fece seguire oltre le porte nuovamente aperte.
- Aspettami nell’atrio.- lei fece cenno a James, che non poté fare altro che rassegnarsi a restare solo con la donna che lo evitava da mesi.
 
Silenzio.
 
Silenzio.
 
Darcy continuava a dargli le spalle, non accennava ad un movimento né ad una parola. Nulla, neppure una sillaba. Sembrava quasi non respirare.
 
La vasca idromassaggio. Rivedere il suo sguardo, imbarazzato a morte e divertentissimo, impegnato a sfuggire dalle sue nudità, gli fece mordere le labbra quasi a sangue.
Non è possibile, James. Non puoi lasciarla finire così.
 
Si allungò e premette il pulsante di arresto d’emergenza, causando una botta improvvisa e costringendola a vacillare. Tese la mano, pronto a sorreggerla, e tutto quello che ottenne fu uno scatto a respingerlo.
- Che diavolo-?
- Un guasto, temo.
- Non dire stronzate, James.- broncio teso, sguardo cattivo, Darcy provò a raggiungere la pulsantiera, ma lui ci si parò davanti:
- Dobbiamo parlare.
- Non dobbiamo parlare proprio di un bel niente, io e te.
- Darcy, per favore.
- Lasciami in pace, James.
- Avrei preferito sentirti urlare.- lui aprì le mani, lasciandola sollevare uno sguardo interrogativo – sì, urlare, farmi una scenata di gelosia. Mi avrebbe fatto meno male di questo silenzio. Mi fa male, Darcy.
- Piantala, James. Non ci perdo tempo, con l’uomo di un’altra.
- Io non sono-
- Ah, no.- lei si mantenne a stento gelida, rigida – e lei non è nessuno.
- Lei è il mio passato, Darcy. Il mio passato. Non c’entra niente, con quello che-
- Avete avuto una figlia, James! Come cazzo fai a dire che non c’entra niente con te? Come fai a dire che non senti niente, quando la guardi? Piantala, sei diventato patetico..
Adesso aveva alzato la voce, ma solo un po’, prima che le si incrinasse del tutto.
- E’ successo. Ma ora non.. ora la mia vita è questa, Darcy. E nella mia vita ci sei tu. E se anche dovesse finire fra un’ora, ci rimarresti sempre e solo tu.
- Tu.. ti sei buttato dalla terrazza della lounge per-
- Non è stato per lei, Darcy. E’.. per tutto quello che ho fatto, e che non riuscirò mai a rimediare. Tu ci sei ancora, perché mi sono fermato. Perché TU mi hai fermato. Perché sei qualcosa, qui.- si chiuse il pugno sul petto, piegandosi appena verso di lei – dall’inizio. Una cosa che non ho mai provato e che non so spiegare. Sono un essere orribile, Darcy. Un assassino ed un peccatore. Ma c’è una cosa, una, che vale davvero in questo schifo che è la mia vita. E sei tu. Non lei, e nessun altro. Sei tu.
 
Senza parole. Adesso lei lo fissava da sotto in su, senza più neanche lo straccio di una parola.
- Non.. e tu non dici nulla.- lui piegò le labbra in una smorfia amara, prima di voltarsi e premere di nuovo il pulsante rimettendo in moto l’ascensore – già. Ok..
 
Le porte si riaprirono sull’atrio, lasciando che il sole di metà mattina gli ferisse gli occhi.
Avanzò una manciata di passi, verso l’immagine di Sara. Addosso, l’espressione triste e cupa di chi non ha più niente da perdere.
- Ehi.
- Sono pronto. Andiamo.
- Ok.- il tempo di controllare le armi che portavano al fianco, e Sara sollevò lo sguardo in attesa di un cenno di conferma.
 
Aspetta.. puoi aspettare un attimo?
La voce di Darcy arrivò completamente improvvisa.
 
Sì, le replicò, con un cenno del viso, indicando al collega il SUV in attesa oltre il profilo delle vetrate e lasciandolo annuire.
 
Lui si voltò verso la ragazza arrivata al suo fianco, e non poté impedire al proprio cuore di mancare un battito, lasciandola sollevarsi sulle punte e raggiungergli le labbra con le proprie.
Tese le mani, la strinse ai fianchi raccogliendosela addosso.
 
Un istante, interminabile, in silenzio. Spezzato dall’incanto della voce di Darcy, non più nera ma solo ancora appena velata di lacrime.
 
Vedi di non farti uccidere, là fuori.
  
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