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Autore: Severia85    27/01/2016    4 recensioni
Un momento di serenità familiare viene sconvolto da una notizia terribile e tutta la vita di Augusta Longbottom cambia in un momento.
Questa storia è stata scritta per il "Contest dei premi speciali" di L@dyriddle
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Augusta Paciock, Neville Paciock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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QUANDO TUTTO CAMBIA
 
Augusta strinse la chiusura del biberon e ne provò la temperatura, spruzzandosi un po’ di latte sul polso. Soddisfatta del risultato, lo appoggiò sulla tavola: sapeva che tra non molto suo nipote avrebbe iniziato a piagnucolare per la fame, ma lei non si sarebbe lasciata impietosire e avrebbe lasciato che il bambino trovasse da solo la soluzione al suo problema. Voleva essere lei ad assistere alla prima manifestazione di magia di Neville: era certa che il nipote avrebbe fatto levitare il biberon, per poterlo afferrare e così, una volta ritornati a casa i suoi genitori, lei avrebbe potuto raccontargli l’episodio nei minimi dettagli. Era così orgogliosa di quella faccina rotonda e paffuta e di quegli occhi brillanti, tanto simili a quelli del padre. Non pensava di poter provare un sentimento così forte, eppure Neville era la gioia del suo cuore.
Come previsto, pochi minuti dopo, la vocina di Neville cominciò a farsi sentire.
“Nonna ... ‘atte.” Balbettò incerto.
Aveva quasi un anno e mezzo e sgambettava in giro per casa, sorridente. Ora, il suo stomaco reclamava la merenda.
“È pronto, è in cucina.” Rispose la nonna, andandogli incontro e  indicandogli la stanza con un dito.
Il bambino piegò la testa di lato, con aria seria e corrucciata.
“È in cucina.” Ripeté, scandendo bene le parole.
Il bambino si illuminò e si incamminò un po’ barcollante verso la sua meta. La nonna lo seguì silenziosamente, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Neville individuò il biberon in cima al tavolo: la distanza sembrava incolmabile. Sgranò gli occhi, si alzò sulle punte dei piedi e allungò il braccio corto, muovendo la manina come se dovesse salutare qualcuno. Niente: mancavano ancora diversi centimetri. Deluso, il bambino si girò a cercare la nonna.
“’atte.” Disse, indicando l’oggetto dei suoi desideri.
“Coraggio, prendilo: ce la puoi fare.”
Il bambino tentò di nuovo, ma invano.
“Usa la tua magia.” Gli sussurrò nell’orecchio Augusta.
Senza capire, il bimbo fece un ulteriore tentativo, tuttavia il biberon restava lontano dalla sua portata e lo stomaco cominciava a brontolare sonoramente.
“’atte.” Chiese di nuovo, con tono lamentoso.
La nonna scosse la testa e incrociò le braccia al petto: “Prova ad usare la magia.”
Gli occhi del piccolo mago si spalancarono e divennero lucidi, mentre il labbro inferiore cominciava a tremare visibilmente.
Augusta rimase ferma per qualche secondo, battendo nervosamente la punta del piede destro. Quando però una grossa lacrima rotolò sulla guancia arrossata del nipote, si decise: prese il biberon e lo diede al bambino, sospirando. Neville smise immediatamente di piangere e si infilò la punta di gomma in bocca, succhiando avidamente. La nonna posò su di lui un lungo sguardo amorevole: la prossima volta non si sarebbe lasciata impietosire e avrebbe portato a termine il suo piano.
 
******
 
Le ombre della sera erano già calate e l’orologio segnava le otto. Augusta sedeva sul divano con un libro in grembo, apparentemente tranquilla. In realtà, era inquieta: Alicia e suo figlio avrebbero dovuto essere di ritorno a casa già da un pezzo. Capitava a volte che venissero trattenuti in ufficio o che qualche missione si prolungasse, ma, soprattutto la nuora, tendeva a tornare a casa in tempo per dare la buonanotte al figlio, invece Neville dormiva già da un pezzo nel suo lettino, la nocca del pollice premuta contro le labbra.
Augusta finì il capitolo, poi si alzò e andò a sbirciare dalla finestra del salotto, sperando di sentire il suono della Smaterializzazione e vedere apparire il figlio. Durante la guerra, non c’era stato un solo momento in cui non fosse stata in pensiero per Frank e sua moglie: ricordava ancora quando il suo ragazzo era ritornato a casa ferito e sanguinante, dopo uno scontro con Lord Voldemort in persona. Le era mancato il respiro e il cuore le era impazzito nel petto: aveva creduto di morire lei stessa. Ma quella volta Frank non era morto. Era stato trasportato d’urgenza al San Mungo e curato dai migliori Guaritori. Augusta era rimasta al suo capezzale, fino a quando non si era ripreso del tutto, mentre Alicia faceva avanti indietro da casa all’ospedale, esibendo già una bella pancia.
Il giorno in cui era stato dimesso, Augusta aveva confessato al figlio la sua preoccupazione:
“Non so come farei a vivere, se ti capitasse qualcosa! Sono certa che morirei anch’io.”
“Mamma,” le aveva detto Frank, con un’espressione talmente seria da farla preoccupare di nuovo. “Mamma, se mi dovesse accadere qualcosa, tu devi stare vicino ad Alicia e a nostro figlio. Promettimelo, mamma: devo sapere che, se anche io non ci sarò più, qualcuno penserà a mia moglie e a mio figlio.”
Augusta era rimasta colpita da quelle parole: “E a me non pensi? Chi si occuperà di me?”
Frank le aveva sorriso dolcemente.
“Tu sei più forte di una roccia. So che ce la farai. Ma Alicia è fragile e con un bimbo piccolo potrebbe non farcela tutta da sola. Avrà bisogno di aiuto. Promettimelo, mamma.”
Con un sospiro, Augusta aveva promesso.
Ora la guerra era finita: un bambino dell’età di suo nipote aveva sconfitto il mago oscuro più potente di sempre. C’erano ancora dei suoi seguaci da catturare, ma i pericoli erano sicuramente minori, negli ultimi tempi. E allora perché non erano ancora tornati?
Ritornò sul divano e riprese la sua lettura, sforzandosi di concentrarsi sulle parole.
 
******
 
Doveva essersi addormentata perché il campanello la svegliò di soprassalto. Che ora era? Non fece in tempo di guardare la pendola che il campanello suonò di nuovo.
“Sveglieranno Neville.” Ebbe modo di pensare, prima di rendersi conto che non aspettava visite e che Frank e Alicia non erano ancora tornati.
Si affrettò ad aprire la porta. Sulla soglia vi erano due maghi: uno, basso e muscoloso con una folta barba nera, lo conosceva solo di vista, ma l’altro era il migliore amico di suo figlio.
“Marcus.” Sussurrò, rendendosi conto che espressione del giovane non prometteva niente di buono.
“Augusta, possiamo entrare?”
La strega non voleva: lasciarli fuori, impedire loro di entrare in casa avrebbe tenuto lontano anche le cattive notizie che sapeva che i due portavano con sé. Lo sentiva nel suo cuore che qualcosa non andava, lo sapeva per istinto. Così, ancora sulla porta, chiese:
“Dov’è Frank?”
Un silenzio grave seguì la sua domanda.
“Marcus, dimmi dov’è Frank!”
“Lasciaci entrare, Augusta.” Disse in risposta il mago, facendosi strada verso l’interno. Era alto e magro, con lunghi capelli neri che gli scendevano ben oltre le spalle; gli occhi scuri erano velati di preoccupazione.
“Siediti.”
La strega si sedette sul bordo del divano, già scossa da fremiti.
“Sono stati attaccati.”
“Da chi? Dove sono ora? Come stanno? Sono in ospedale?”
“Sono stati portati al San Mungo.”
“Devo andare là.” Affermò, alzandosi dal divano.
Con una leggera pressione sulla spalla, Marcus la spinse di nuovo a sedere.
“È meglio se mi ascolti prima.”
Il giovane mago parlava con voce calma e un tono quasi paterno. Augusta ripensò alle estati in cui il ragazzo veniva a casa sua per giocare con Frank. Andava matto per la torta di mirtilli e lei faceva in modo di preparargliela ogni volta.
“Sono stati colpiti con la Cruciatus.”
Quella parola la riportò al presente.
“Sono stati torturati?” chiese con orrore. “Ma adesso come stanno?”
“I Guaritori stanno facendo del loro meglio: non hanno subito gravi ferite, ma...”
“Ma...”
Marcus prese un lungo respiro e fece per parlare, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Fu il suo amico a prendere la parola. Aveva una voce profonda e bassa.
“Non hanno ancora ripreso conoscenza. Ci vorrà un po’, o almeno così dicono i Guaritori.”
“Voglio andare là.” Ripeté decisa.
Mentre superava i due uomini per recuperare la borsa e il mantello, una vocina richiamò la sua attenzione.
“Nonna, nonna...”
Si voltò: suo nipote era in piedi sulla soglia del salotto, con il pollice in bocca. La guardava con gli occhi spalancati e un’espressione spaventata. Sulla guancia aveva ancora il segno del cuscino.
“Neville.”
Le sue mani strinsero convulsamente il mantello, mentre cercava una soluzione: non poteva portare fuori il bambino a quell’ora della notte e non poteva nemmeno lasciarlo a casa da solo.
“Potresti andare domani mattina: troveremo qualcuno che si occupi di lui, domani.”
“Ma io...” provò a protestare. Guardò Marcus, poi Neville. Il bambino le andò incontro e stese le braccia per essere sollevato. Augusta posò il mantello e prese il nipote. Il suo pensiero era rivolto a Frank, suo figlio, la sua anima. Avrebbe voluto correre da lui, stargli vicino, tuttavia aveva fatto una promessa.
“Vieni, tesoro, torniamo a letto.”
 
******
 
Augusta appoggiò la propria mano sul petto, a sinistra: non riusciva a capire come il suo cuore potesse continuare a battere. Si era spezzato e lei lo sapeva bene. Lo aveva sentito rompersi proprio nel momento in cui aveva guardato suo figlio e aveva visto il suo sguardo vuoto e perso. Aveva passato giorni a chiamarlo per nome, a dirgli chi era lei, a raccontargli episodi felici, a parlargli di Neville, tuttavia era stato tutto inutile. E il suo cuore si era spezzato. Eppure continuava a battere. In quelle settimane, aveva trascorso momenti difficilissimi, in cui nulla aveva più senso. Il dolore l’aveva travolta e sconvolta. Neville, o meglio, la promessa che aveva fatto a Frank l’aveva tenuta in vita. Ora, gli occhi del suo nipotino erano una fitta al petto ogni volta che incrociavano i suoi: una morsa le comprimeva il corpo, togliendole il respiro e impedendole di muoversi. Amava ancora Neville con tutta se stessa, tuttavia non riusciva più a trasmettergli i suoi sentimenti. Il dolore l’aveva spenta e trasportata lontano, proprio come era successo a Frank e Alicia, l’aveva costretta a erigere una barriera invalicabile dietro cui nascondere la sofferenza. Aveva preso le distanze da tutti e persino dalla vita stessa. Avrebbe comunque continuato a prendersi cura di Neville perché lo aveva promesso e, chissà, un giorno forse avrebbe rivisto in lui il figlio perduto.
Aggrappandosi a quella fragile speranza, andò in cucina a preparare il biberon.

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N.d.A
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