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Autore: ScarceWordsByVain    28/01/2016    0 recensioni
Ma in quel momento non provava tristezza, no, solo spaesamento. E quel maledettissimo senso di colpa, perché lui non dimenticava mai nessuno. Mai. Avrebbe voluto che i suoi occhiali da sole nascondessero qualche lacrima, o almeno un paio di occhi lucidi, ma quello che voleva nascondere era il fatto di non essere per niente triste.
Clara Oswald. Clara Oswald era stata triste? Prima di morire?

"Same old, same old. Just the Doctor and Clara Oswald in the Tardis".
Con queste parole avevamo iniziato la nona stagione di Doctor Who, e con parole molto diverse è invece finita: anzi, è addirittura terminata con una canzone. "A sad song".
Questa vuole essere una raccolta di storie brevi con protagonisti il Dottore e Clara Oswald, "... just as it should be". Alcune sono demenziali, altre un po' più malinconiche.
Genere: Comico, Malinconico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 12
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Just the Doctor and Clara Oswald in the Tardis #2
L'uomo con una nuvola di capelli grigi





L’uomo con una nuvola di capelli grigi entrò nel cimitero, camminando con lo stesso passo zelante di uno studente che sta ritornando a casa. I pochi visitatori di quel soleggiato martedì mattina alzarono per un attimo gli occhi dalle tombe dei propri cari e,  nel notare che l’uomo non si era nemmeno fatto il segno della croce, qualcuno gli lanciò uno sguardo di disapprovazione: una mancanza perdonabile, forse, per un adolescente, ma non certo per un signore di mezza età. Da quando, però, i signori di mezza età se ne andavano in giro con una chitarra elettrica sulla schiena e un paio di ray-ban a coprire gli occhi? Quell’uomo sapeva di eccentricità lontano un miglio, e l’eccentricità era parecchio disturbante, specialmente in un cimitero: in luoghi del genere, meno ci si fa notare e meglio è. L’uomo, invece, non riusciva proprio a passare inosservato, e probabilmente non se ne rendeva nemmeno conto: l’eccentricità doveva essere qualcosa di quotidiano, per lui. Eppure, quel giorno si trovava lì per lo stesso motivo degli altri visitatori: lasciare un mazzo di fiori sulla tomba di qualcuno.       
Il mazzo di fiori in questione era stretto con una presa incerta, come se l’uomo non fosse abituato a tenere in mano qualcosa del genere. Era un mazzo decisamente vistoso, forse fin troppo: il genere di mazzo che un marito infedele regala alla propria moglie perché si sente in colpa.
L’uomo che si sentiva in colpa continuò a zampettare da una tomba all’altra, con quelle gambe e braccia così lunghe da farlo assomigliare ad una marionetta. Iniziava ad avere dei dubbi: era forse l’usanza giusta, portare dei fiori davanti ad una tomba terrestre? Non ne era certo. In effetti quel giorno era uscito dal Tardis con una scatola di cioccolatini, ma un morto che se ne sarebbe fatto? Beh, anche dei fiori non sarebbero stati molto utili, in tal senso… E i visitatori avrebbero preferito sgraffignare dei cioccolatini, al posto dei fiori. O forse sarebbe stato meglio portare una bottiglia di vino?         
L’uomo con la chitarra sulla schiena scosse la testa: ormai aveva portato i fiori, e non sarebbe tornato indietro… Anche perché temeva che, poi, non sarebbe più riuscito a rientrare in quel cimitero, nonostante non sapesse nemmeno a chi stava per fare visita.     
Oh, beh, in un certo senso lo sapeva: aveva un nome.
Clara.   
Aveva indagato su quel nome nelle ultime settimane e si sarebbe aspettato di tutto, tranne che fosse morta. Era per quel motivo, forse, che aveva deciso di dimenticare tutto? No, non era da lui: i morti sono gli ultimi a meritare di essere dimenticati. Altrimenti a cosa serviva, una tomba?        
Lui, però, questa defunta l’aveva dimenticata ugualmente. E tra poco sarebbe stato davanti alla sua lapide, e non avrebbe provato assolutamente nulla. Solo un po’ di senso di colpa.      
L’uomo si chiese: quei fiori erano abbastanza numerosi? Abbastanza belli? Abbastanza colorati? Abbastanza… abbastanza?               
Ormai, però, non poteva più perdere tempo con quei pensieri sconclusionati. La tomba era vicina: gli sarebbe bastato svoltare a destra, e poi…            
Svoltò a destra.              
Una tomba semplice, uguale a tante altre, se ne stava lì silenziosamente. Qualcuno aveva già portato dei fiori, ed erano così tanti che sulla lapide si potevano vedere le parole “Clara Oswald”, ma non la fotografia a pochi centimetri di distanza. L’uomo allungò una mano per scostarli, ma poi si trattenne. Si sentiva in sospeso, in mezzo tra due situazioni altrettanto scomode: sapere o non sapere? Vedere o non vedere? Tanto, in ogni caso, quella Clara Oswald era morta.    
A song.               
A sad song.       
Era morta: per questo quella canzone era così triste?   
Anche solo averla dimenticata, però, era abbastanza triste. Ma in quel momento non provava tristezza, no, solo spaesamento. E quel maledettissimo senso di colpa, perché lui non dimenticava mai nessuno. Mai. Avrebbe voluto che i suoi occhiali da sole nascondessero qualche lacrima, o almeno un paio di occhi lucidi, ma quello che voleva nascondere era il fatto di non essere per niente triste.    
Clara Oswald. Clara Oswald era stata triste? Prima di morire, quando si era resa conto che lui non l’avrebbe mai più ricordata? L’uomo provò ad immedesimarsi in quella ragazza che nemmeno conosceva… Gli venne in mente una certa segretaria redhead di Chiswick e si rifiutò di rimuginare oltre.  
Sì, Clara Oswald doveva aver sofferto. 
L’uomo si sbarazzò di quel pensiero poggiando il vistoso mazzo di fiori davanti alla lapide. Se ne stette a fissarlo per qualche istante, poi lo girò e lo spostò leggermente a sinistra. Ci ripensò subito e lo rimise com’era prima, per poi però ricredersi di nuovo e cercare di poggiarlo in piedi, cosa impossibile anche per lui. Cambiò posizione ai fiori più e più volte e, alla fine, li lasciò nella medesima posizione con cui li aveva appoggiati venti minuti prima.               
Nei film si vedevano i terrestri parlare alle tombe dei loro cari, ma nella pratica una cosa simile non avveniva mai. L’uomo, tuttavia, aprì la bocca per dire qualcosa, per poi richiuderla subito. Forse pensava che i fiori fossero più che sufficienti… o che nessuna parola sarebbe mai stata abbastanza.       
Da dietro le lenti scure, gli occhi dell’uomo si fissarono sui fiori che coprivano la fotografia di Clara Oswald. Fu tentato un’ultima volta di vedere in faccia colei che aveva dimenticato, ma poi con una giravolta diede le spalle alla tomba e iniziò a sgambettare verso il cancello del cimitero.        
Clara Oswald, per lui, sarebbe stato solamente un nome.          

 

Oppure no?      
L’uomo con una nuvola di capelli grigi in testa fece dietrofront e, con un paio di movimenti veloci della mano, spostò i fiori che stavano coprendo la fotografia che lo stava ossessionando. La sua espressione fu di pietra per un istante, poi fece qualcosa che, fino a un secondo fa, non avrebbe considerato come reazione.
Sorrise.
Il senso di colpa dell’uomo con la chitarra si fece un po’ meno pesante: Clara Oswald, la ragazza che aveva dimenticato, non era affatto morta. No, non ancora. E, nonostante tutti i suoi viaggi con lei fossero stati cancellati, un ricordo di lei rimaneva: l’estremo addio, quello che lui non aveva nemmeno saputo riconoscere come tale. E il senso di colpa ritornò ad essere insistente, se non di più.              
Ma non era morta, no. Era là fuori, da qualche parte: non riusciva a spiegarsi come, ma non aveva importanza. Clara Oswald arebbe morta quell’anno, sì, ma avrebbe fatto il giro lungo… E, forse, la ragazza morta e l’uomo con il senso di colpa si sarebbero rivisti. E lui, questa volta, l’avrebbe riconosciuta. 

Alla fine della giornata, l’uomo che non aveva fatto il segno della croce fu l’unico ad uscire dal cimitero con un sorriso sulla faccia.

 

   
 
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