Era una tempesta che aveva saputo
mescolare bene i suoi colori
Nella sua umile
camicetta bianca Steve Rogers camminava a passo
spedito per arrivare alla sua aula. ‘Numero
43… numero 4-3” continuava a ripetersi nella sua testa. Il suo obiettivo
era evitare il tragico momento dopo il suono della campanella, ovvero quello
che sanciva l’inizio delle lezioni. Steve ne era consapevole cosa significasse
vedersi arrivare una mandria di adolescenti in preda agli ormoni correre verso
di lui cercando di arrivare in tempo per le lezioni.
Finalmente il numero 43
gli piombò sotto gli occhi e Steve si fiondò nella classe. Il silenzio regnava
sovrano se si escludeva il ticchettio fastidioso dell’orologio.
Prese un banco in prima
fila. Si sedette e iniziò a tamburellare le dita sul legno scuro rovinato da
qualche incisione fatta da un paio di forbici.
Steve tirò fuori i
libri scolastici e incominciò a leggere qualche frase dal libro ‘Teoria atomica… leggi ponderali…neutroni…
protoni’ cercava di imprimere nella sua testa quelle parole ma un suono
fastidioso lo svegliò dalla sua lettura silenziosa. La porta aveva sbattuto
fragorosamente contro il muro e da quella porta era entrato il suo migliore
amico James.
“Ehi piccoletto come
va?” chiese scherzosamente. “Lo sai che odio quando mi chiami ‘piccoletto’”
disse Steve frustrato. “Scusami Mister Brontolone… brutta giornata?” domandò
James ancora con il sorriso sulle labbra. Odiava il fatto che il suo amico
avesse sempre quello stramaledetto sorriso, lui era sempre felice e scherzoso e
prendeva tutto sul ridere mentre Steve era quasi sempre serio e a volte
leggermente triste, ma raramente felice. I momenti di felicità erano morti
quando lui era nato, sua madre non ce l’aveva fatta durante il parto e in quel
momento drastico erano solo riusciti a salvare lui. Suo padre era quasi sempre
assente per lavoro e a volte stava fuori di casa per quattro o cinque giorni, e
quando Steve si trovava in queste situazioni l’unica scelta era rimboccarsi le
maniche e adeguarsi a quella vita se si poteva definire così.
“Allora? Ti ho fatto
una domanda Steve” disse Bucky scuotendogli un braccio per attirare
l’attenzione su di sé. Quando Steve si voltò incontrò le sue bellissime iridi
azzurre. Quello era un altro problema della sua vita: l’essere totalmente
innamorato perso di Bucky. La loro relazione era sempre stata presa alla
leggera, soprattutto da Bucky, il quale cambiava di giorno in giorno. C’erano
giornate in cui veniva beccato a baciare ragazze nel retro della scuola altre
in cui stava sempre e solo attaccato a Steve. “Si… sto bene” rispose Steve
prima di fare un lungo sospiro e perdendosi in quei pozzi blu.
La voce squillante di
Kate Alley rimbombò per la stanza. “Jamie!” urlò dopo aver avvolto le sue
braccia intorno al collo di James. Bucky le sorrise forzatamente e cercò di
staccarsi dalla sua presa soffocante. “Ehi… Kate!” disse provando a essere il
più sorpreso possibile. “Questo pomeriggio mi potresti portare alle montagne
russe di Coney Island?” chiese la mora facendo gli occhi da cerbiatto. Steve
provò un moto di gelosia immenso, non poteva sopportare tutto questo, Bucky
stava facendo come sempre il cretino di turno e in questo caso lo stava solo
usando, stava solo giocando con i suoi sentimenti. Strinse la stilografica tra le
mani cercando di non esplodere in un moto immenso di rabbia. “Mi dispiace Kate
ma oggi sono impegnato, che ne dici se facciamo un altro giorno?” chiese Bucky
speranzoso in una risposta che non fosse un’infamata da parte della Alley. “Un
altro giorno? Ma Jamie! È la terza volta che te lo chiedo! Come puoi essere
impegnato?” disse Kate spazientita. Steve fece un piccolo sorriso contento
della sconfitta della mora e della sua piccola vittoria interna. “Ti prometto
che la prossima volta ti ci porterò” disse Bucky come se stesse facendo una
promessa. “Okay Jamie… per questa volta ti perdono” disse Kate. Poggiò le sue
labbra rosso fuoco sulla guancia destra di Bucky e dopo pochi secondi
scomparve. “Contento ora?” chiese Bucky ridacchiando. Steve arrossì violentemente
e abbassò il capo per nascondere il suo rossore evidente. “Ma-ma che dici?”
disse Steve con la sua voce sottile che lo fregava sempre. “Lo so che sei
geloso della Alley e hai tutte le tue buone ragioni. Ma cavolo! Prima o poi
dovrò pur uscirci Steve!” disse Bucky provocandolo. “Guarda che nessuno ti
costringe a non uscirci!” lo rimproverò Steve. “Dio… se mi fai impazzire!”
disse Bucky facendo la voce provata dalla fatica. Si alzò e si diresse verso la
porta dell’aula, diede un piccolo sguardo fuori e poi se la chiuse alle spalle,
girò la chiave nella serratura e si avvicinò a Steve. Il biondo si irrigidì e
cominciò a mordersi violentemente il labbro inferiore. “Lo sai che così mi
faresti solo venir voglia di baciarti Stevie” disse Bucky in modo provocante.
Lo fece alzare dalla panca di legno e lo avvicinò a sé. “Smettila di torturati
il labbro. Mi fai venire pensieri poco coerenti a quello che si pensa oggi”
disse Bucky facendo sfiorare i loro nasi. Le loro labbra erano a pochi
millimetri di distanza e Steve poteva sentire il fiato caldo di Bucky sulla sua
bocca. Sapeva di menta e di tabacco. “Lo sai che fumare non fa bene” lo
rimproverò Steve cercando di essere il più convincibile possibile. “Lo vedi
come sei? Vedi solo il lato brutto delle cose… ad esempio ora cosa vedi?”
chiese Bucky avvicinandosi lievemente al suo viso. Steve aprì leggermente la
bocca per esprimere il suo pensiero ma fu subito fermato da Bucky. “No, lo so
io cosa pensi: due froci che scambiano effusioni in un’aula scolastica dove si pratica
la regione cattolica e certe cose sono vietate in questi tempi… non è così
Stevie?” gli chiese fissando le sue labbra rosee. “Cazzo Bucky smetti di fare
giri di parole e baciami!” disse Steve capriccioso. “Mmm…
ti adoro quando sei così… così… esigente” disse Bucky facendo un piccolo
sorriso. Steve lo prese per il colletto della camicia e fece unire le loro
labbra in un bacio meraviglioso dove le loro lingue erano due perfette
ballerine classiche. Bucky avvolse le sue braccia intorno al suo esile corpo
per stringerlo a sé, come se quel bacio fosse una richiesta di non andarsene,
di restare con lui. Nonostante Bucky fosse considerato un vero e proprio
donnaiolo, non era così. Steve era l’unico che conosceva il suo lato dolce e
amorevole. Era protettivo, sempre preoccupato e cercava in ogni modo di
aiutarlo e di consolarlo. Bucky c’era sempre stato per Steve e Steve c’era
sempre stato per lui.
Quando il bacio finì
per mancanza d’aria Bucky appoggiò la sua fronte a quella di Steve e lo fissò
negli occhi. Gli occhi di Steve erano occhi insoliti ma che sapevano stregarti.
Erano una tempesta verde, azzurra e grigia che aveva saputo mescolare bene i
suoi colori. Bucky amava i suoi occhi perché era quello che lui aveva sempre
cercato: qualcosa di complicato. “Non dovremmo aprire la porta?” chiese Steve
visibilmente preoccupato. “Si… solo un secondo” rispose Bucky fissando i suoi
occhi. Secondi che si allungarono troppo perché Bucky iniziò a parlare in modo
tenero e premuroso e Steve riuscì solo a trattenere a stento le lacrime.
Quando sentirono il
suono della campanella, Steve con un’abile mossa si sciolse dalla morsa di
James e girò la chiave per aprire la porta. Dopo pochi secondi gli studenti
cominciarono ad entrare in classe e Steve tirò un sospiro di sollievo quando
notò che nessuno si era accorto della strana situazione tra lui e il suo
migliore amico. Il professore entrò con passo deciso e si sedette alla
cattedra. Se ne uscì con un “Bene… oggi interroghiamo”. La classe cadde in un
silenzio pieno di tensione e il professore trasse un po’ di soddisfazione da
quella situazione: aveva lui il manico del coltello. Fece scivolare l’indice su
registro cartaceo e dopo aver saltato una decina di nomi, fermò il dito su un
nome. “Barnes” disse chiaro e tondo. Il moro aprì
leggermente la bocca, dall’inizio dell’anno non aveva aperto un solo libro ed
era Steve che gli passava sempre i compiti. “Alla lavagna per favore” disse
professore in tono solenne. Bucky si alzò dal suo banco e si diresse alla
lavagna. Prese un gessetto bianco tra le dita e osservò il professore in attesa
di qualche richiesta. “Ora le detterò un problema di chimica sulle ultime cose
che abbiamo fatto”. Cazzo, Bucky non capiva niente di quella, come la definiva
lui, “roba stupida e insensata”. L’unica chimica che conosceva era quella che
c’era tra lui e Steve.
Il professore iniziò a
dettare il problema e Bucky rimase fisso davanti alla lavagna senza muovere un
muscolo. “Barnes, mi sta seguendo?” chiese il
professore. “Oh certo… se solo sapessi farlo” disse Bucky facendo un piccolo
sbuffo. Steve si trattenne a stento per non ridere, era esilarante osservare il
suo migliore amico alle prese con un esercizio che secondo lui era la cosa più
facile al mondo.
“Basta! Ne ho
abbastanza delle sue lacune! Lei verrà bocciato e vedrà che si troverà con un
fucile molto presto! Glielo garantisco!” urlò il professore in preda ad una
rabbia incontrollabile. La classe rimase in silenzio, quelle del professore
erano state parole dure ma estremamente vere. Bucky lo guardò in modo ferito e
allo stesso tempo arrabbiato prima di camminare velocemente fuori dalla porta e
sbattersela alle sue spalle. Il professore si ricompose e continuò la lezione
come se non fosse accaduto niente ma Steve non poteva. Non riusciva a fare finta
di niente, si alzò dal suo posto e uscì dalla classe sotto gli occhi stupiti
dei compagni e quelli del professore.
Bucky era uscito dalla
scuola e si era appoggiato alla balaustra dell’entrata. Gli occhi gli
bruciavano a causa delle lacrime, non voleva piangere, anche se quello che il
professore gli aveva rinfacciato facesse molto male. Tirò fuori una sigaretta
dalla tasca dei pantaloni e con un fiammifero l’accese. Diede un lungo tiro e
chiuse gli occhi per sopportare il dolore della gola in fiamme. Fumare era
veramente schifoso ma era l’unica via di uscita che trovava per sfogarsi. La
guerra era imminente e questo lo sapevano tutti, la paura aleggiava sopra le
loro teste ma non era di questo Bucky che soffriva. Suo padre era morto in
guerra quando lui era solo un bambino di pochi anni. Non lo aveva mai
conosciuto e solo una foto scolorita gli mostrava chi fosse. L’istantanea
mostrava un uomo sulla quarantina con due grandi occhi azzurri e i capelli
castano chiaro, la barba era stata lasciata crescere un po’ e il tutto era
decorato dalla divisa militare.
Un altro tiro alla
sigaretta per seppellire quell’immagine di suo padre. Strinse le mani alla
cancellata e appoggiò la testa alla grata. Chiuse gli occhi e cercò di
respirare profondamente, maledisse il professore e sputò per terra per
orgoglio. Alcuni passi impercettibili attirarono la sua attenzione, si voltò e
incontrò lo sguardo di Steve visibilmente preoccupato “Bucky…” riuscì solo a
dire. Bucky lo guardò in malo modo e gli diede le spalle. “Lo sai che Rumlow è un grandissimo stronzo” disse Steve per
consolarlo. Bucky tirò su col naso e portò entrambe le mani ai capelli
scompigliandoseli. “Steve… ti prego… vattene” disse Bucky in tono
supplichevole. Il cuore di Steve si bloccò per un millesimo di secondo, il suo
migliore amico lo aveva intimato di andarsene. Non era arrabbiato era solo
deluso, Bucky non si era mai comportato così con lui. “Okay…” disse
flebilmente. Si voltò versò la scuola e con passo lento e scoordinato ritornò
sui suoi passi.
Una lacrima bagnò la
guancia di James, non voleva dire quelle cose a Steve. In verità ne aveva
bisogno, lui aveva sempre bisogno di Steve anche quando era felice, la sua
felicità doveva condividerla con qualcuno. Steve era l’unico che poteva capirlo
e questo lo sapeva bene, anche la sua famiglia lo aveva fatto soffrire. Si
voltò verso Steve che gli stava dando ancora le spalle e corse verso di lui.
Steve si voltò pochi secondi prima di ritrovarsi tra le braccia di Bucky.
Avvolse le sue piccole braccia ai fianchi del suo amico e fece sprofondare la
sua faccia nel suo petto. Rimasero così per pochi istanti e poi Bucky
parlò “Sono uno stronzo… come sempre.
Scusami Steve” disse Bucky stringendoselo ancora di più. “Ti capisco Buck…
davvero non ti preoccupare” lo assicurò Steve. “Così però mi soffochi” disse
Steve poco dopo cercando di far sorridere il suo migliore amico. E fu quello
che successe Bucky fece un piccolo sbuffo accompagnato da una piccola risata.
Si staccarono e si guardarono negli occhi sorridendo. “Se solo tutti sapessero
quanto io ti ami, tutto sarebbe dannatamente più facile” disse Bucky con una
punta di dolcezza mescolata a tristezza. “Tu… tu mi ami?” chiese Steve con
stupore. Bucky lo guardò in modo tenero e poi si abbassò leggermente
all’altezza delle sue labbra. Steve avvampò e abbassò gli occhi verso
l’asfalto. Quando li rialzò trovò il calore e la morbidezza delle labbra di
Bucky sulle sue. Steve posizionò le sue mani sulla mandibola del compagno e lo
avvicinò di più a sé. Non gli importava che qualcuno potesse vederli, potevano
andare in galera o persino essere uccisi ma sarebbero stati sempre insieme.
Quando si staccarono si
resero conto che i loro cuori battevano ad un ritmo veloce e intenso e il loro
corpo era invaso da una sensazione di piacevolezza. Bucky prese la mano di
Steve e la posizionò sopra al suo petto dove batteva il cuore. Steve riuscì solo
ad arrossire. “Io sono pazzo di te… Dio se sono pazzo!” disse Bucky perdendosi
nei suoi occhi.
Steve si morse un
labbro e fece un piccolo sorriso “Bucky io ti amo e so che a questa età la
nostra potrà essere solo un’infatuazione. Ma io so che quando ti guardo negli
occhi mi sento a casa e non vorrei essere da nessun’altra parte” disse Steve
con tono dolce. Bucky in risposta lo abbracciò teneramente e avvicinò la sua
bocca al suo orecchio sussurrandogli “Io sarò con te alla fine di tutto”
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Amo la gente innamorata,
innamorata di
una persona, di un’idea
del suo
lavoro.
Amo la gente
innamorata perché viaggia a due metri da terra, in una nuvola di luce, fatta di
stelle ed arcobaleni e se ci stai a parlare, oltre alle parole le brillano gli
occhi, i gesti, i silenzi.
Stephen Littleword