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Autore: Koome_94    30/01/2016    5 recensioni
Tooru Oikawa è ricoverato in ospedale. Una sciocchezza, lo dice sempre, ma intanto è costretto a starsene a letto fino a nuovo ordine e per uno come lui, rimanere da solo è veramente una gran noia.
Per fortuna, nonostante si impegnino stoicamente a dimostrare il contrario, Tooru ha molti amici, e non è mai davvero solo.
Non finchè Iwa-chan continua a venire a trovarlo, a sedersi sul bordo del letto e a parlare con lui.
Finchè Iwa-chan è con lui, Tooru non è solo.
Finchè Iwa-chan è con lui, Tooru può continuare a raccontarsi anche questa bugia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Yaoi | Personaggi: Akira Kunimi, Hajime Iwaizumi, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Yuutarou Kindaichi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Filling the Silence















I fiori sul comodino erano freschi e profumati, e Tooru Oikawa era felice.
La finestra era chiusa, ma la luce del sole filtrava attraverso i vetri bagnando la stanzetta come una carezza. Era primavera, e le giornate iniziavano ad allungarsi.
- Oggi è proprio una bella giornata, vero Iwa-chan? – domandò retorico, lo sguardo perso fra le nuvole sfilacciate che si rincorrevano in quota.
Hajime Iwaizumi non rispose. Dopotutto quando mai si dimostrava d’accordo con lui?
Tooru alzò gli occhi al cielo e sorrise, il suo solito sorriso infantile che tanto infastidiva l’amico.
- Piantala, se fai quella faccia mi viene voglia di prenderti a pugni! – sbraitò alla fine, con il solo risultato di ottenere un sorriso ancora più sfacciato da parte di Tooru.
- Non puoi picchiarmi, siamo in ospedale! – cinguettò con un occhiolino ben piazzato.
Hajime non si fece scoraggiare e alzò un pugno con aria minacciosa, mentre l’altro si riparava con le braccia in segno di difesa.
- Cretino! Pensavi che ti avrei picchiato davvero? –
Iwaizumi abbassò lo sguardo, e Oikawa si rabbuiò appena.
- Non ti preoccupare, Iwa-chan. Non è nulla di grave, non mi tratterranno ancora a lungo. – spiegò nel giocherellare distrattamente con i bordi del lenzuolo pulito.
Fuori dalla finestra i rami del ciliegio accarezzavano l’azzurro del cielo, sospinti dolcemente dalla brezza, e tutto era come immerso in un’atmosfera statica, quasi surreale, come se si fossero trovati all’interno di un sogno.
- Smettila di chiamarmi così, è imbarazzante. – si decise infine a replicare l’altro con un’espressione stizzita.
Tooru scoppiò a ridere e si lasciò cadere con la testa fra i cuscini, portando poi una mano fra i folti capelli castani.
La porta si aprì e un’infermiera giovane fece capolino con un sorriso gentile.
- Tooru, è l’ora delle medicine. – spiegò accondiscendente.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo spaesato e vagamente interdetto. Non aveva visto che aveva una visita? Avrebbe almeno potuto aspettare che Iwaizumi se ne andasse!
L’amico, che doveva aver intuito l’aria che tirava, decise saggiamente che si era trattenuto anche troppo.
- Ah, le giornate qui sono una vera noia! Non succede mai niente di bello! Verrai a trovarmi anche domani, vero? –
Iwaizumi si alzò dalla seggiola e raccolse la sua giacca, scuotendo la testa rassegnato.
- Sei veramente un bambino, Oikawa. –
- Ma tu verrai? –
Per un istante Tooru fu attraversato da un senso di profonda inquietudine,  ma il sorriso sfottente di Hajime fu sufficiente a tranquillizzarlo.
- Secondo te? –
L’infermiera gli piazzò le pastiglie in una mano e un bicchiere d’acqua nell’altra.
Chiuse gli occhi e sospirò, non aveva assolutamente nulla da temere.
Senza troppe storie, prese un sorso d’acqua e ingoiò le pastiglie.
Quando riaprì gli occhi,  Iwa-chan se n’era già andato.
 




 
*
 




La musica era sempre cosa gradita.
L’ospedale gli aveva concesso di farsi portare un piccolo lettore CD con gli amplificatori, a patto che non lo utilizzasse a volume troppo alto.
A dire il vero non aveva ben capito perchè non gli avessero permesso di usare un normalissimmo iPod con le sue sacrosante cuffiette, ma poco importava. Negli interminabili tempi morti dell’ospedale, quello che aveva andava più che bene.
Quel giorno, per esempio, aveva messo su un vecchio CD di Madonna che gli aveva provvisoriamente prestato sua sorella e che Takeru aveva ampiamente criticato.
Certo non era propriamente in linea con la moda del momento, ma non ne avrebbe avuto bisogno per troppo tempo...
Due colpi alla porta lo informarono che aveva visite.
- Buongiorno Iwa...! Ah, siete voi, ragazzi! –
Che stupido, era ovvio che non poteva essere Iwaizumi: lui non bussava mai!
Kunimi e Kindaichi entrarono nella stanza guardandosi i piedi, visibilmente a disagio.
- Allora? Cosa sono quei musi lunghi? Su, sedetevi, fra poco dovrebbe arrivare anche Iwa-chan! – esclamò, facendo loro segno di prendere posto accanto a lui sulla seggiola o sul bordo del letto.
Non notò che Kindaichi aveva stretto i pugni lungo i fianchi, troppo concentrato sulle calendule che Akira stava sostituendo ai nontiscordardime appassiti nel vasetto sul comodino.
- Oh, grazie Kunimi-chan. Di solito se ne occupa Iwa-chan, ma stamattina non è passato... – osservò, vagamente impensierito.
- Che voi sappiate aveva qualcosa di urgente da fare? Non mi ha nemmeno avvisato... – aggiunse.
- Oikawa! – incominciò Kindaichi, ma il compagno fu più svelto a rispondere.
- Non ne ho idea, avrà avuto qualche impegno dell’ultimo minuto... Vedrai che arriverà! – concluse con un sorriso.
Oikawa si rese conto in quel momento che, probabilmente, non aveva mai visto Akira sorridere prima di allora. Decise di non badare alla strana sensazione che quell’espressione gli aveva fatto sorgere dai recessi del cuore e sorrise di rimando.
- Giusto! Allora, che raccontate? Come procedono gli allenamenti? – domandò, stringendosi di più nella giacca della tuta della Seijoh.
- Beh, come al solito... Non succede niente di interessante... – commentò Kunimi stringendosi nelle spalle.
Ma lo sguardo di Oikawa sembrava passargli da parte a parte, puntato verso la porta.
- Iwa-chan, finalmente! – lo salutò il capitano, agitando una mano e facendogli segno di sedersi sul letto fra lui e Kindaichi.
Quest’ultimo rivolse uno sguardo freddo e risentito al nuovo arrivato e scattò in piedi.
- Scusatemi. – sibilò, i muscoli del collo tesi e la mascella serrata.
Senza nemmeno salutare, circumnavigò il letto e se ne andò sbattendo la porta.
Oikawa strabuzzò gli occhi, rivolgendo un’occhiata stupita ad Hajime.
- Che c’è, avete litigato? – domandò.
Quello si strinse nelle spalle, elusivo come sempre.
Fu Akira a rispondergli, con una pacatezza meccanica, quasi innaturale.
- Non farci caso, è Yuutarou che è stressato in questo periodo. Comunque si è fatto davvero tardi, eravamo passati solo per fare un saluto.– si alzò in piedi e posò una mano sulla maniglia.
- Ci vediamo presto, Capitano. –
Kunimi si chiuse la porta alle spalle in un movimento fluido, e all’interno della stanza Hajime e Tooru restarono a fissare attoniti la superficie di legno laccato di bianco.
Dall’altro lato proveniva la voce dura e carica di rabbia di Kindaichi.
- No, Akira, no! Questa è l’ultima volta! Ci ho provato, te lo giuro, ci ho provato, ma non lo sopporto più! Non puoi chiedermi di fare questo! Non puoi... –
Le sopracciglia di Oikawa si arcuarono e le sue spalle si curvarono verso il basso.
- Ma cosa succede?  Perchè fa così? – sussurrò, colpito dal vacillare della voce del compagno al di là dell’uscio.
Iwaizumi scese dal letto e andò ad alzare il volume del lettore CD.
- Non pensarci ora, Oikawa. Guarda, non è una bellissima giornata? – commentò nell’indicare con un cenno del capo il tramonto che lentamente scivolava lungo i profili delle case.
Tooru Oikawa alzò una mano per afferrare il polso dell’amico, ma non portò a compimento il gesto.
Lasciò che il braccio ricadesse inerte sul materasso, nel cuore qualcosa che ancora strideva nonostante il tramonto.
- Già, davvero bellissima, Iwa-chan... –
 



 
*




 
Tobio-chan era strano.
Era venuto il giorno prima a trovarlo, non l’aveva mai fatto prima di allora, ma si era fermato pochissimo, ancora meno di Kunimi e Kindaichi.
Lo aveva accompagnato quel nanerottolo pel di carota, lo aveva visto seduto su una panchina giù in giardino, ma non era salito con lui fino alla sua stanza.
Tobio-chan era entrato da solo, con la sua solita faccia da schiaffi, le guance pallide e gli occhi arrossati.
- Che c’è, Tobio-chan? Sei venuto a farti un altro selfie con me? –
Non gli aveva nemmeno risposto, era rimasto lì impalato sulla porta a morsicarsi l’interno della guancia senza guardarlo in faccia.
- Sono diventato Capitano. – aveva sentenziato, la voce ferma nonostante recasse evidente una spaccatura nel cuore.
- E quindi? Daichi si è rotto di fare da balia a voi poppanti del primo anno? – aveva replicato Tooru inarcando un sopracciglio.
Tobio aveva aperto la bocca, ma l’aveva richiusa subito.
Oikawa si era accorto che respirava male, ma aveva deciso di non darvi troppo peso.
Poi però Tobio aveva ripreso la parola.
- Non alla Karasuno. Io... Noi abbiamo... -
Oikawa si era voltato verso Iwaizumi in cerca di spiegazioni, ma quello aveva scosso la testa, confuso almeno quanto lui.
Il Re del Campo aveva avuto un debole sussulto, poi aveva chinato la testa, le mani e la voce che tremavano sempre di più.
- La coppa l’abbiamo dedicata a te. Pensavo che fosse giusto dirtelo. – a quel punto era successa una cosa che aveva lasciato Oikawa spiazzato e terribilmente a disagio.
Tobio-chan si era inchinato.
Un gesto rapido, solo il tempo di un battito di ciglia,  ma si era inchinato, e il Grande Re non ne aveva capito il motivo, così come non aveva capito il motivo delle lacrime che grondavano lungo il viso del suo kohai.
Tobio era uscito di corsa, senza voltarsi, senza nemmeno salutarlo, e Tooru l’aveva rivisto spuntare in giardino, dove lo scalpitante gamberetto si era limitato ad abbracciarlo in silenzio.
A quel punto un dubbio aveva preso a farsi strada dentro di lui, sempre più fastidioso, sempre più doloroso.
Non aveva degnato Iwaizumi nemmeno di uno sguardo e aveva aperto la porta, muovendosi come un fantasma lungo il corridoio.
C’era qualcosa di strano nell’aria. Qualcosa di strano e di incomprensibile.
Lo sguardo gli era caduto su un giornale abbandonato su un seggiolino azzurro ancorato al pavimento e improvvisamente aveva sentito di non appartenere più al suo corpo, quasi come se la mente gli avesse dato un violento strattone per separare le sue membra dalla coscienza.
In prima pagina, vestiti della divisa della nazionale giapponese, Tobio-chan e i suoi compagni alzavano al cielo la Coppa del Mondo.
Spaesato e colpito da una violentissima nausea, Tooru Oikawa si era voltato per chiedere spiegazioni, ma dietro di lui il corridoio era vuoto.
Hajime Iwaizumi se n’era andato.
 



 
*




 
Tooru Oikawa è sdraiato a letto, e il CD di Madonna continua a cantare come se niente fosse.
L’ha acceso sua sorella prima di andarsene via, e lui non l’ha più spento.
E’ già la terza volta che la riproduzione parte da capo.
Fuori piove, sente l’acqua schiantarsi contro il vetro della finestra, e assurdamente si trova ad invidiarla
Sono passati cinque giorni dalla visita di Tobio, e Iwa-chan non è più venuto a trovarlo.
I fiori però sono sempre freschi, sempre profumati, ogni giorno un mazzo diverso.
E’ Kunimi a portarli.
Non Iwa-chan. Iwa-chan non è più venuto a trovarlo. A dire il vero ormai sono sette anni che Iwa-chan non viene a trovarlo.
Oikawa è stanco.
Adesso ricorda. Ricorda perchè ha dimenticato. Ricorda perchè ha voluto farlo.
All’inizio era stato esattamente come cinque giorni prima.
Era consapevole, e il silenzio lasciato da Iwa-chan lo faceva crollare a terra senza preavviso, la nausea a bloccargli il respiro e i tremori a impedrigli di pensare.
Gli avevano detto che sarebbe passato, che avrebbe dovuto darsi tempo, ma gli avevano mentito, perchè anzichè curare le ferite, il tempo non faceva altro che gettarvi sopra sale.
Lo aveva trovato sua sorella sdraiato sul pavimento della cucina, e non aveva nemmeno avuto bisogno di vedere il sangue per capire.
Il resto era venuto da sé.
In quella stanza pulita e profumata di fiori nuovi ogni giorno finalmente aveva potuto tentare una nuova via, e Iwa-chan era tornato da lui,  perchè lo avevano promesso: ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro.
Ma adesso Oikawa ricorda, e non ha più voglia di prendersi in giro, di ascoltare le sue voci, di assecondare le sue allucinazioni.
E’ facile scivolare fuori dal letto e sgattaiolare in corridoio.
E’ l’ora della pausa sigaretta, e gli infermieri sono tutti nella sala fumatori. Non dovrebbero, qualcuno dovrebbe stare a guardia, ma nessuno lo fa mai. Si tratta solo di cinque minuti, nulla di grave.
Tooru è svelto, è silenzioso.
La porta non è nemmeno chiusa a chiave, e si ritrova a salire le scale senza alcun impedimento.
Il terrazzo lo accoglie con una folata di vento gelido, così come è gelido l’intonaco sotto i suoi piedi nudi.
Piove, e l’acqua scivola sul suo volto come una vecchia canzone.
- Ti ricordi, Iwa-chan, di quella volta che avevo paura che mi rapissero gli alieni? – inizia a parlare, ma questa volta sa che Hajime non è lì accanto a lui.
Hajime è sdraiato sull’asfalto, con un telo a coprirgli il viso e i segni neri della sterzata a qualche metro da lui.
- Ti chiesi che cosa avresti fatto se un giorno, all’improvviso, io fossi sparito. –
All’improvviso, proprio come il colpo di clacson, proprio come lo stridio dei freni che non reagiscono in tempo.
Dall’altra parte della strada tutto è improvviso e surreale.
E’ surreale il rumore violento del colpo, è surreale il grido del passante che ha visto tutto, è surreale il caldo che sale dall’asfalto.
Per Tooru ogni istante di quella scena è surreale.
- Mi dicesti che era assurdo, che una cosa simile non sarebbe mai potuta succedere. E sai cosa? Ci ho creduto. –
Il cielo si sta facendo buio, è quasi ora di cena, e la pausa sigaretta è di certo finita. Fra poco arriverà l’infermiera gentile a portargli la sua medicina, la sua pillola per dimenticare. Ma Tooru non sarà nel suo letto.
Tooru è sul terrazzo, la mano stretta attorno alla stoffa della sua vecchia felpa dall’azzurro sbiadito dagli anni.
Il vento fischia, e le macchine proiettano le luci tremolanti dei fanali sulle gocce che cadono fitte.
Ormai Tooru è bagnato fradicio, e i capelli gli si sono appiccicati al viso.
Sette piani lo separano dalla strada. Sette piani e sette anni di menzogne e negazione.
Basta un sorriso, un respiro profondo, e il gioco è fatto.
Si guarda indietro, la terrazza è vuota.
Hajime Iwaizumi se n’è già andato.
Adesso tocca a lui.
 
 

















 
Note


Salve a tutti!
Siamo Ame e Koori e questa è la nostra fanfiction d’esordio nella sezione di Haikyuu!
Sì, d’accordo, è vero, potevamo decisamente scegliere qualcosa di meglio come biglietto da visita rispetto a questo... questa... non lo so, sta cosa.
Porto le mani avanti e do la colpa ad Ame, che come al solito è quella che prova un insano godimento nell’ammazzare i suoi (e i miei) personaggi preferiti. Peccato solo che io finisca sempre per darle corda e mettere su carta tutte le idee più drammatiche che la sua mente malata osa partorire. xD
Perciò non so bene come mai sia stata prodotta questa one-shot, ma per questo vi chiedo umilmente perdono.
E’ che insomma... piove, siamo in piena sessione invernale e la tristezza cronica si è ormai impadronita di noi.
Non so veramente cos’altro dire se non grazie di essere arrivati a leggere fin qui e vi prego non uccideteci, possiamo rimediare, lo giuro! xD
Aspettiamo pareri e sassate! <3

Un bacione,

Koome
 
   
 
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