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Autore: dilpa93    30/01/2016    2 recensioni
"La casa era nella penombra, il portico illuminato esclusivamente dalla flebile luce posta sopra la veranda. Era strano uscire in giardino e non trovare il Tardis, scorgerlo anche solo in lontananza, intravedere la lampadina sul tetto che cominciava a sfarfallare perché sicuramente, dopo l’ultima volta che lei l’aveva cambiata, lui non se ne era più occupato.
Sorrise pensandoci quando un brivido le carezzò la schiena."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, River Song
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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-He'll find a way-


 

“Prossima fermata… ovunque”, alzò il capo costatando che i tre bambini si erano addormentati profondamente. Sorrise, si sistemò appena i capelli dietro l’orecchio e chiuse il diario.
Non si stancava mai di leggergli qualche avventura per farli addormentare, adorava vedere lo stupore sui loro visi ogni qualvolta leggeva di imprese sensazionali, e allora alzava di sottecchi lo sguardo per notare la buffa espressione di meraviglia sulle loro bocche spalancate e gli occhi sgranati ed increduli.
Spense la luce della cameretta, lasciando così che sul soffitto bianco si riflettessero unicamente le stelle della lampada che ruotava lentamente per tutta la notte, dipingendo l’Universo nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle, vi si poggiò contro e sospirando forte  strinse il diario al petto.
Scosse la testa tirando su col naso e dirigendosi verso la propria camera.

Lesse ancora un paio di pagine di diario, quelle parti che solitamente con i piccoli saltava passando a qualcosa di più consono alla loro età. Lo mise sul comodino, spense l’abat-jour stiracchiandosi un’ultima volta, chiudendo poi gli occhi in attesa che il sonno la raggiungesse. Ma quella notte non c’era verso di riuscire a dormire. Era stanca, lo sentiva, eppure c’era qualcosa, una strana sensazione alla bocca dello stomaco che le impediva di rilassarsi completamente.
Infilò le pantofole ed indossò la vestaglia stringendola bene in vita, diede una veloce passata di dita tra i capelli, ravvivandoli, e si diresse verso la cucina.

Sulla superficie cristallina dell’acqua messa sul fornello iniziarono a formarsi piccole bolle scoppiettanti.
Un tè, non c’era niente di meglio nelle notte insonni.
Affondò la bustina nella tazza facendola oscillare dentro e fuori dall’acqua per far sì che disperdesse la sua essenza.

Inspirò a fondo… limone.

Gusto classico, ma sempre nuovo. Dolce e al contempo amaro. Un frutto dalla buccia dura, ma morbido dentro, con quella punta di aspro che stuzzica le papille ma non dà mai fastidio sul serio. Si, decisamente le ricordava lui.

Le era capitato spesso di pensarci.
In verità, le capitava di pensare a lui ogni giorno e ogni notte.

Com’era buffa la vita, era stata salvata dal solo uomo che avrebbe potuto farlo, eppure lui nemmeno aveva idea di chi lei fosse a quel tempo. E nonostante anche in quel momento lo avesse amato, non aveva potuto fare a meno di sentire la mancanza del Dottore, il suo Dottore.
Pensando a lui, mentre il calore sprigionato dalla bevanda le scaldava le mani attraverso la ceramica e le solleticava dolcemente il viso, sentì un rumore alle sue spalle che la costrinse a voltarsi.

“Ciao tesoro, sono a casa”.
Appoggiato allo stipite, con sorriso beffardo ad adornargli il viso e il solito papillon attorno al collo, c’era lui. Raddrizzò la postura, sistemandosi il cravattino con un pizzico di disappunto negli occhi. “Come… niente ‘ciao’, niente ‘ti sembra questa l’ora di tornare’? Mi ero affezionato a quella frase. Lo sai...”, River abbandonò la tazza sul tavolo avvicinandosi a lui ammutolita. Sguardo serio, occhi lucidi che tradivano ciò che provava in realtà, cosa che non sfuggì certo al Dottore che era tornato ad avere quel sorrisino compiaciuto sulle labbra. “...sono un abitudinario in certe cose”.
Fece appena in tempo a terminare la frase che un sonoro schiaffo gli fece voltare la testa dall’altra parte. Si massaggiò la mascella, scuotendo poi il capo e tornando a guardarla. “Ma cosa?!”.
“Scusa dolcezza, volevo controllare che non fosse un sogno”, si giustificò spavalda con una scrollata di spalle. Lui digrignò leggermente i denti poi, sorvolando sulla bizzarria della spiegazione appena ricevuta, arricciò le labbra, sornione, portando le braccia al petto.
“Non ti avevo detto di non aspettarmi alzata?”, chiese.
“Oh beh, non riuscivo proprio a prendere sonno, avrei dovuto immaginare che c’entrassi tu in questo”, vedendolo aggiustarsi il cravattino, soddisfatto, lo colpì nuovamente sull’altra guancia. Ancora una volta l’Undicesimo si ritrovò a carezzarsi la gota arrossata, sfiorandosi la mascella pronunciata con la punta delle dita.
“E questo per cos’era?”, domandò con voce stridula, aprendo e chiudendo poi più volte la bocca nel tentativo di riacquistare sensibilità.
“Shhh, finirai per svegliare i bambini!”, lo ammonì afferrandogli la mano con prepotenza e trascinandolo fuori.

La casa era nella penombra, il portico illuminato esclusivamente dalla flebile luce posta sopra la veranda. Era strano uscire in giardino e non trovare il Tardis, scorgerlo anche solo in lontananza, intravedere la lampadina sul tetto che cominciava a sfarfallare perché sicuramente, dopo l’ultima volta che lei l’aveva cambiata, lui non se ne era più occupato.
Sorrise pensandoci quando un brivido le carezzò la schiena.
L’aria era fredda, pungente, il Natale era alle porte e l’indomani si sarebbe messa ad addobbare la casa facendosi aiutare dai piccoli, ma adesso tutto questo passava in secondo piano. Era davvero arrabbiata con lui.
“River, si gela qui fuori!”, balbettò incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio da dodicenne.
“Non provare a cambiare discorso signorino. Cosa diamine ci fai qui? Come puoi essere qui?”.
“Beh, ecco…”, aveva alzato il dito indice, come di consueto quando provava ad iniziare un discorso serio, ma quella volta non sarebbe riuscito di certo a portarlo avanti, né tanto meno a concluderlo.
“Non saresti dovuto venire! Mi hai fatto la ramanzina così tante volte. Quando volevo tornare da Amy e Rory”, iniziò contando sulle dita. “L’ultima volta che ci siamo visti e mi hai detto addio, pronto a lasciarmi alle spalle e salvare ancora una volta l’Universo.”

E come avrebbe potuto dimenticarlo.

Tu sei un’eco, River.

Lo aveva detto, aveva dovuto. Per riuscire ad andare avanti, per staccarsi da lei perché ormai sapeva che non l’avrebbe più rivista. La sua precedente rigenerazione aveva dovuto bruciare un Sole per dire addio a Rose Tyler, lui aveva avuto bisogno di qualcosa di un po’ più drastico, perché i suoi due cuori, ormai, cominciavano a risentire di tutti quegli addii lasciati a metà.
Era stata dura quella volta, più di quanto avrebbe mai immaginato, ed ora non poteva starla ad ascoltare mentre tentava di insinuare il contrario. Prima che River potesse accennare al terzo punto del suo elenco, le prese il viso tra le mani baciandola con forza e trasporto. Ci fu uno sguardo alla fine, lungo e profondo, silenzioso ma pieno di parole.
River si allontanò da lui, scendendo i tre gradini che la separavano dal giardino, mettendosi a guardare un punto imprecisato all’orizzonte e portandosi le mani sui fianchi indispettita non appena lo udì avvicinarsi alle sue spalle.

Aveva cominciato a nevicare.

Lo sentì fermarsi a pochi centimetri dietro di lei, riuscì persino a percepirne i movimenti.
Il suo abbassare il capo arrivando a sfiorarle a malapena i capelli ricci ed indomabili. Quel suo fissare i fiocchi di neve che si depositavano sulle sue scarpe fino a vederli sciogliersi e tornare ad essere nient’altro che acqua, perdendo la loro magia. L’avvicinarsi delle mani alle sue braccia per poi ritirarle indietro con la paura di sbagliare, senza sapere, dopo quel bacio, quale sarebbe stata la mossa giusta da fare.
“River…”
“Come.Puoi.Essere.Qui?”, scandì dolcemente, tornando a guardarlo, non riuscendo nella sua testa a trovare una spiegazione neanche tra le idee più assurde, e quell’uomo, di idee assurde, ne aveva avute davvero tante nel corso dei suoi duemila anni.
Ma lei avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto sapere che la soluzione che il Dottore aveva trovato non era stata poi tanto diversa da quella da lui adoperata per salvarla.
Ci aveva messo del tempo per arrivarci ma per sua fortuna aveva avuto anni per riflettere. Nelle notti solitarie, quando i Pond o Clara erano a dormire o ad occuparsi delle loro vite da umani e lui era solo a gironzolare nel suo Tardis, era allora che ci pensava.
Per ore.
Ed una sera, bloccato nella città chiamata Natale, c’era finalmente arrivato.
Ci aveva dovuto lavorare parecchio. Era rimasto per giorni interi rintanato nel Tardis, le dita che scorrevano sui tasti della consolle, il cacciavite collegato all’interfaccia e finalmente il trillo che indicava il completamento dell’opera. La sua coscienza, i suoi anni da Undicesimo Dottore, i suoi viaggi, i suoi incontri, ma soprattutto lei, River Song, tutto registrato nel suo cacciavite sonico, tutto collegato al frame della Biblioteca.
Sarebbe dovuto morire prima o poi, lo sapeva.
Anni in quella città sperduta e stava invecchiando, portando gioia ad i bambini del villaggio e continuando la sua battaglia contro antichi nemici. Ciò che ignorava era che Clara -oh Clara- sarebbe riuscita ad aiutarlo, l’avrebbe salvato dalla morte, ormai cosa certa anche per lui, ultimo Signore del Tempo.
Del resto era la ragazza impossibile.
Ma era riuscito comunque nel suo intento prima che ogni cosa cambiasse e che il suo nuovo corpo prendesse il sopravvento ed ora, dopo aver lasciato cadere il cravattino viola sul pavimento del Tardis, aver salutato per l’ultima volta la sua Amelia Pond, ed aver detto addio -almeno come Undicesimo- a Clara, si era risvegliato in quel giardino e aveva capito che gli sforzi degli ultimi anni erano serviti, il suo piano aveva funzionato.
Lui e River, ancora una volta, insieme. Niente più rincorrersi, niente più sincronizzazione dei diari, niente più spoiler accidentali. Solo loro, una casa, ed un’enorme Biblioteca da esplorare.

“Ci sarà tempo per spiegarlo ma, moglie, sono qui ora”.

Avrebbe potuto aggiungere per sempre, ma non si era rivelato necessario dirlo, dal suo sguardo capì che lei aveva compreso.

Dal canto suo, River non poté che sorridere davanti a quegli occhi soddisfatti e compiaciuti e al suo dondolare sulle punte dei piedi, proprio come un bambino che ha appena ricevuto la ricompensa che da tempo aspettava. E poi c’era la neve, che cadeva soffice fino ai loro piedi posandosi all’altezza delle sue spalle sulla giacca in tweed, imbiancandogli i capelli e quel ciuffo sbarazzino donandogli un’aria ancor più innocente.
“Oh, ti odio”.
“No, non è vero”.





Diletta's coroner:

Latito da un po' su efp, ma quando su facebook mi è capitata un'immagine che insinuava la possibilità che Eleven avesse collegato la sua "anima" alla Biblioteca, beh, non ho potuto fare a meno di scriverci un fanfic.
Ringrazio chiunque abbia trovato tempo e abbia avuto il coraggioo di leggere fino in fondo questa follia!
Baci
 

  
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