Serie TV > The 100
Ricorda la storia  |      
Autore: Fannie Fiffi    11/02/2016    2 recensioni
[Bellamy Blake; 3x03]
« La prima cosa che fai quando torni ad Arkadia – a casa – è gettare il fucile che ti sei tenuto stretto al petto per tutto il viaggio di ritorno senza nemmeno accorgertene. Lo fai appena varchi l’entrata, lo senti come un fardello insostenibile, come se quell’arma sia il peso di tutte le scelte che hai dovuto prendere dal primo momento in cui hai respirato l’aria vera. »
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Hero of the Story'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I am fearless

I aim to fight

I aim to die


Will You Take a Life With Me? Grounders Anthem, 3x03.








La prima cosa che fai quando torni ad Arkadia – a casa – è gettare il fucile che ti sei tenuto stretto al petto per tutto il viaggio di ritorno senza nemmeno accorgertene. Lo fai appena varchi l’entrata, lo senti come un fardello insostenibile, come se quell’arma sia il peso di tutte le scelte che hai dovuto prendere dal primo momento in cui hai respirato l’aria vera.

In cui potevi dimenticare tutto quello che di te aveva fatto il dolore per la perdita di tua madre, l’odio per quell’istituzione piena di corrotti e privilegiati che ti avevano tolto qualsiasi cosa tu avessi mai posseduto.

Lo getti da qualche parte per terra, non sai nemmeno dove, non ti importa.

Senti i passi di Kane ed Abby alle tue spalle e in loro riecheggiano i passi di Clarke.

Nemmeno ti accorgi di fare una smorfia nel momento in cui il suo nome ti attraversa i pensieri, ma lo fai.

Il tuo viso si incrina e c’è qualcosa al di là della tua bocca che brucia, amaro e velenoso e brutale incastrato fra i tuoi denti: ha il sapore di tutto quello che non le hai ancora detto.

Mi sei mancata, avresti voluto dirle in quella caverna. Sono qui e voglio portarti a casa.

Ti odio. Ti odio e non voglio mai più guardarti in faccia perché sono stanco. Sono stanco di tutto quello che siamo diventati.

Sei stanco e il tuo corpo pare nient’altro che cemento ricoperto d’argilla, vuoto ma pesante, non riesci più a trascinarlo, non hai nemmeno la forza di buttarlo a letto e perdere conoscenza e finalmente dimenticare.

Dimenticare chi sei e chi siete – tutti voi, tu e Clarke insieme, tu, Clarke, i Grounders, chiunque abbia mai incrociato il tuo cammino – e l’orrore che sembra rimasta l’unica cosa che muova le vostre azioni.

Vorresti galleggiare lontano, perderti e non trovarti mai più, rinchiuderti in qualche posto della tua mente silenzioso, buio, in cui non devi più guardarti attorno e vedere l’umanità che scorre via dagli occhi di chi ti circonda.

Già che ci sei, ora che la tua mente è offuscata e la tua testa sembra implodere ancora e ancora e ancora, e il tuo cuore frenetico e impazzito è l’unico rumore che riesci a sentire – l’unica cosa che tu riesca a sentire è dentro di te, mentre tutto quello che ti attornia è sterile e immobile e sporco – ti pervade un modo di invidia. Invidia per chi non ha vissuto a lungo da vedere tutto questo tradimento, quest’abbandono, questa solitudine da cui non puoi più fuggire.

Forse doveva andare così anche per te. Forse questo mondo pesa troppo per la tua coscienza, la tua consapevolezza, per questo sentire che ti schiaccia dentro te stesso e ti sfugge e ti soffoca, e sarebbe stato meglio se solo tu fossi esploso lontano, nello Spazio, in un silenzio che non fa male come questo in cui ti ritrovi bloccato.

La tua mente torna alle tue allucinazioni, quelle che sembrano appartenere ad una vita precedente e antica, quando tu e Clarke eravate ancora insieme, e al modo in cui sei sprofondato con le ginocchia nel fango e hai implorato la morte di fronte al simbolo di tutti i tuoi sbagli, il grande e invincibile Cancelliere.

Ti prego, uccidimi. Uccidimi! Me lo merito. Non posso farcela, avevi pregato. Non sono abbastanza forte. Non posso sopportarlo.

Hai sepolto quel ricordo lontano, in una parte della tua mente che è lo scatolone di tutto ciò che eri sull’Arca – spaventato e solo e pieno di rabbia, ed è puramente ironico che ora, in un’altra vita, in un’altra dimensione, tutto sia rimasto esattamente lo stesso – e ti sei detto di non aver paura, che ce l’avresti fatta, saresti sopravvissuto e avresti lottato, ma ora niente di tutto questo sembra lontano.

È qui e tu sei improvvisamente il ragazzino che eri lassù, la tua vita è di nuovo quella da cui avevi tentato con ogni energia di scappare.

C’è davvero una parte di te che ti vorrebbe morto, e non c’è niente di eroico in tutto questo. È tragico e doloroso e ti fa vergognare con ogni tua energia, non puoi scrollartelo di dosso, ti rimane intrappolato fra i pensieri e sulla pelle e non c’è niente che tu possa fare per dimenticarlo.

Quindi non ti resta che abbracciarlo. Farne tua parte e tua forza, perché non conosci altri modi per restare vivo, non ne hai mai conosciuti altri, se non accettare ciò che ti rende umano, la parte peggiore di te, la tua vergogna più grande e il rimorso con cui dovrai convivere per ciascuno dei giorni che ti restano.

Il volto di tua madre si dipinge davanti a te e ne sei quasi spaventato: i suoi occhi sono le stelle e i suoi capelli sono l’immenso cielo scuro sopra di te, e stanotte, solo stanotte, ti lasci andare. Ti permetti di pensarla.

Tua madre: la prima donna che ti hanno portato via e la prima donna che non hai mai più perdonato.

Ti autorizzi a far fluire i ricordi, le sensazioni, qualsiasi cosa lei sia riuscita a regalarti e poi a strapparti dalle mani subito dopo.

Ripensi alle sue mani sempre fredde, piene di tagli – il riflesso di tutto quello che era stata costretta a fare per sopravvivere – e al suo petto, a come il tuo capo fosse fatto per essere poggiato su di lei, pronta a cullarti, a ripeterti che cel’avreste fatta.

Ripensi alla sua pancia gonfia che protegge Octavia, e il tuo orecchio da bambino sempre poggiato lì sopra, a contare i battiti dei loro cuori, a immaginare come sarebbe se il tuo papà e il suo papà fossero lì.

Ma loro non ci sono, non ci sono mai stati, e all’improvviso non c’è più nemmeno tua madre, e tua sorella ti è stata portata via, e tu hai una pistola stretta fra i polpastrelli e non sei più un bambino.

Forse è tutta colpa sua. Aurora Blake ti ha maledetto, pensi, e ora sarai per sempre costretto a perdere le donne che ami, a vedertele trascinare via senza poter fare niente per impedirlo.

Tua sorella se ne andrà, Gina è morta, e tutto quello che vedi è Clarke che sceglie di nuovo di non restare con te.

Gina è morta.

L’amavi. L’amavi? Una parte di te sì. Una parte di te la voleva al tuo fianco perché lei era incontaminata, non era stata violata dalla brutalità e dalla ferocia di quello che eri stato costretto a fare – picchiato e malmenato e torturato da quelle stesse persone a cui sei finito per togliere la vita. Due volte.

Con lei era facile, e tu non avevi avuto bisogno di nient’altro che di un po’ di semplicità. Parlare di cose normali e banali davanti a un bicchiere di moonshine si era trasformato in un appuntamento quotidiano e privo di aspettative, spensierato, e presto la dolcezza dei suoi baci ti aveva concesso di evadere, anche solo per un’ora al giorno, da tutto ciò che la tua gente si aspettava da te.

Bellamy ci aiuterà, hai letto nei loro sguardi. Bellamy ci proteggerà. Bellamy può darci da mangiare, può guidarci, può fare di meglio che voltarci le spalle e andarsene per codardia. Bellamy ha la risposta a tutte le nostre domande.

E tu non potevi proprio dire di no. Non puoi ancora urlargli che tu sei più spaventato di quanto loro potranno mai essere, perché sai che niente di tutto quello che avete costruito può durare, proprio nulla di quello che avete è un progetto a lungo termine.

Con Gina non dovevi rispondere a nessuna di queste domande. Con Gina non dovevi essere niente, e hai egoisticamente accettato l’idea di riposarti. Di poter, in sua compagnia, adagiarti un attimo, solo un po’, e fingere di non sapere tutto. Solo un ragazzo e una ragazza insieme, una combinazione inaspettata, un abbraccio al buio e un attimo di normalità rubato.

E ora ti è stato tolto anche questo, perché forse tu devi sopportare quel peso. Devi reggerlo sulle spalle, accovacciato su di te, dietro al tuo orecchio, pronto a sussurrarti di non fermarti mai.

Non c’è riposo per te, non ci sarà mai riposo per te, e tu non puoi tirartene fuori. Non puoi ignorarlo. Non puoi scappare.

Il sangue di Gina si è guadagnato un angolo delle tue mani, si è incastrato fra le cicatrici e mischiato insieme a tutte le persone che non esisteranno mai più per colpa tua, e tu sei in gabbia.


Arkadia è silenziosa attorno a te, e tu continui a camminare senza sapere dove andare. Non vuoi stare qui, ma non c’è altro posto in cui potresti essere.

Mentre i tuoi pensieri galleggiano nella tua mente e tutta la tua stanchezza sembra essersi sospesa sulle tue ginocchia, aggrappandosi alla forza di gravità e tenendoti giù, un ricordo ancora vivo sulla tua pelle si fa spazio prepotente e dispotico e capace di oscurare tutti gli altri.

Non ne hai mai parlato, ma se ti concentri abbastanza riesci ancora a sentire l’acqua nella gola, così tanta da bruciarti fino allo sterno e uscirti a rivoli pesanti dal naso. La catena stretta al collo, il sangue che cola giù per la grata, la benda stretta dietro la nuca sono ancora lì, e tu sei costretto ad affondare le unghie contro i palmi delle mani per evitare di portartele fra i capelli e strapparli fino a farlo smettere.

 Il tuo corpo dolorante e insanguinato chiuso in una gabbia per animali, le scosse elettriche per impedirti di parlare, le ossa così fragili da potersi spezzare con il minimo di pressione, la stanza vista sottosopra e l’aria che scompare magicamente dai tuoi polmoni, il naso rotto, improvvisamente qualsiasi dolore tu abbia mai provato ti attanaglia i sensi ed è vivo e pulsante e reale tanto da farti credere di stare davvero per morire.

Stai morendo, Bellamy! Ti urla il tuo cervello in tilt. Respira. Qualsiasi accada tu respira.

E nonostante questo, nonostante ogni singolo orrore di cui la tua pelle sia ancora testimone, non c’è niente che non rifaresti, se dovessi.

Il volto di Clarke Griffin marchiato a fuoco nella tua memoria è sufficiente per spiegare che non esiste assolutamente nulla che tu non sia disposto a fare per tenerla al sicuro.

Yu ge flosh oma klin, Wanheda. Ai gonplei ste odon.

E provi disprezzo per te stesso, disgusto perfino, perché è stato facile accettare di entrare in quella Montagna. È stato così dannatamente facile abbandonarla una seconda volta e correre da lei, semplicemente correre e salire i gradini e puntare la pistola alla testa di un uomo.

Nessuna domanda, nessuna esitazione, solo la tua testa che vorticava così veloce e ti gridava di raggiungerla, di non perderla, che quasi te lo ordinava.

Ti ordino di non perderla! Non puoi perderla di nuovo, Bellamy, o stavolta non rimarrà niente. Te ne andrai per sempre.

Non c’è niente che non faresti per proteggerla, anche morire dissanguato in una foresta o rischiare di far uccidere chiunque tu abbia mai conosciuto, infrangere una Coalizione o qualsiasi patto umano mai stretto.

E guarda il ringraziamento che ha ricevuto, stavolta è la voce di Octavia, un ricordo lontano e sfumato, a infierire. Ad affondare il coltello un po’ più in profondità, un coltello che tu stesso hai tenuto nel tuo cuore per fin troppo tempo.

Improvvisamente ti raggiunge l’idea che forse le cose dovevano andare così fin dal principio. Fin dall’Arca, quando lei era la Principessa di Phoenix e tu un insignificante nessuno, e la vostra presenza sulla Terra non è altro che uno spiacevole bastone fra le ruote del destino.

Forse anche il solo fatto che vi siate incontrati è stato il motore di tutto quello che è successo dopo. La morte, la perdita, la sofferenza, l’abbandono. Forse niente di tutto questo sarebbe successo se tu non l’avessi mai vista, e lei non ti avesse mai sorriso, e tu non avessi mai perso te stesso pur di trovare lei.

È l’unico motivo che ora riesci a trovare per dare un senso, una direzione o una qualsiasi spiegazione a questo pezzo mancante dentro di te, questo vuoto che si fa giorno dopo giorno un po’ più profondo, un po’ più scuro.

Non era così che sarebbero dovute andare le cose, ora lo sai. E non commetterai di nuovo quest’errore, dovesse costarti l’ultimo briciolo d’umanità che ti resta.






 


Yu ge flosh oma klin, WanhedaAi gonplei ste odon = Tu mi hai distrutto, Wanheda. La mia battaglia è finita.



 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: Fannie Fiffi