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Autore: 9Pepe4    13/02/2016    7 recensioni
«Per ora, il tuo compito è aumentare la sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel aggrottò la fronte. «Sméagol?»
«Gollum» rispose Thranduil. «Pare fosse questo il suo nome, un tempo».
Lei pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e rabbrividì d’inquietudine e disgusto. «Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Gollum/Smeagol, Legolas, Smeagol, Tauriel, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non tutti gli erranti sono perduti'
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Domani è un altro giorno

Prima parte

Quando Aragorn giunse dinanzi all’ingresso delle sale del Reame Boscoso, gli Elfi Silvani di guardia incrociarono le loro lance davanti alla porta con un clangore metallico.
L’intimazione a non entrare era chiara, sebbene la diffidenza delle loro espressioni fosse sfumata d’incertezza.
Era possibile che fosse la prima volta che vedevano un uomo così da vicino. O forse la loro perplessità non era dovuta allo sconosciuto con capelli e barba scura, ma alla creatura che si trascinava dietro.
Col passare dei giorni, Gollum si era fatto più docile. Al momento, giaceva di fianco ad Aragorn come un intrico biancastro di arti lunghi e sgraziati.
Pareva impossibile che una simile, rachitica creatura fosse riuscita a fuggire da Mordor. Il Ramingo sospettava che non fosse scappato, ma che fosse stato rimesso in libertà perché aveva un qualche malvagio incarico da portare a termine.
Finalmente, una delle guardie parlò. «Chi siete?»
Siccome aveva posto la domanda nella lingua corrente, seppur con un accento abbastanza marcato, fu nella lingua corrente che Aragorn gli rispose. «Potete chiederlo al vostro principe, Legolas Verdefoglia. Lui sa bene chi sono, ed attende il mio arrivo ormai da giorni».
Le guardie si scambiarono uno sguardo, chiaramente incerte sul da farsi. Non sembrava che stessero davvero considerando di lasciarlo passare, però.
«Cosa succede?»
Al timbro di comando di quella nuova voce, i due Elfi sussultarono e spostarono le lance per permettere ad una terza persona di uscire dalle sale del Reame Boscoso.
Si trattava di un Elfo-femmina dai capelli ramati, vestita di colori scuri. Il suo volto aveva zigomi alti, un po’ angolosi, e lei incontrò gli occhi di Aragorn con uno sguardo vibrante.
«Chi sei?» lo interpellò.
L’uomo fece per rispondere, ma in quel momento udì un suono di zoccoli lungo il ponte alle sue spalle, ed una voce melodica e familiare che lo chiamava.
«Aragorn!»
Si voltò, in tempo per vedere Legolas – ormai giunto dietro di lui – smontare agilmente da un cavallo bianco.
Il principe gli rivolse un sorriso luminoso, e si salutarono stringendosi gli avambracci in un gesto cameratesco. «Ti aspettavo da giorni, ormai, cosa ti ha trattenuto?»
Aragorn si limitò a fare un gesto eloquente verso Gollum. L’espressione di Legolas si fece seria, e lui si voltò un attimo per affidare il destriero ad una delle guardie, che lo condusse via senza una parola.
«E così» esordì poi Legolas, «questa è la creatura».
Aragorn annuì. «Come ti ho scritto, mi occorre un luogo dove rinchiuderla e poterla interrogare».
«Io ed il re mio padre ti daremo volentieri il nostro aiuto» asserì Legolas senza indugio.
Si voltò verso la giovane dai capelli ramati, che aveva seguito in silenzio il loro scambio, e lei annuì. Col mento, fece cenno alla guardia rimasta e poi alla creatura accasciata a terra. L’Elfo scattò subito in avanti per ricevere la cavezza di Gollum dalle mani di Aragorn. Poi, dietro un secondo ordine, trascinò la creatura all’interno del Reame Boscoso, diretto alle segrete.
A quel punto, Legolas esordì: «Tauriel, questo è Aragorn, figlio di Arathorn. Il ranger che mi recai a cercare anni fa».
Tauriel guardò l’uomo, e i suoi occhi si allargarono appena per la comprensione.
«Aragorn» proseguì Legolas, «permettimi di presentarti Tauriel, capitano delle guardie e mia vecchia amica».
Aragorn la guardò. «È un onore, mia signora».
Le labbra di Tauriel ebbero una breve contrazione. «Preferisco essere chiamata capitano».
Aragorn non abbassò gli occhi, ma inclinò appena il capo. «Perdonate, capitano».
Dal sorriso che Legolas si affrettò a nascondere, l’uomo ebbe l’impressione che non fosse la prima volta che assisteva ad una scena simile.
Entrarono nel Reame Boscoso, e Tauriel si rivolse ad un paio di guardie che sostavano poco lontano, impartendo qualche ordine in Sindarin, e loro andarono immediatamente a sistemarsi davanti alle porte.
Sebbene Aragorn non fosse certo estraneo all’architettura elfica e Legolas gli avesse già parlato della propria casa, non poté che rimanere impressionato dallo spettacolo che si presentò ai suoi occhi.
In un certo senso, varcare le soglie del Reame Boscoso fu come entrare in un altro mondo. Un mondo selvatico ed armonioso al contempo, colmo di alberi e arcate e ponti e ruscelli, dove era difficoltoso distinguere tra elementi naturali ed architettonici.
Legolas e Tauriel lo condussero sino al cospetto del sovrano. Re Thranduil, seduto su un trono rialzato, era ammantato in abiti scuri striati d’argento. I suoi lunghi capelli biondo platino erano tenuti indietro dalla corona di rami e foglie autunnali che gli cingeva la fronte.
Nel vedere suo figlio ed il suo capitano che si avvicinavano scortando Aragorn, ebbe un moto di sorpresa e si alzò in piedi, per poi scendere gli scalini che portavano al suo trono.
«Re Thranduil» disse Aragorn, con un breve inchino, «vi sono grato per il vostro aiuto».
«Sei il benvenuto, Aragorn, figlio di Arathorn» replicò il sovrano, con voce cadenzata. «È un piacere fare la tua conoscenza, finalmente».
«Conoscere voi è un onore, mio signore».
Thranduil sorrise impercettibilmente. «Ti abbiamo già fatto preparare delle stanze». Diede un’occhiata al figlio come per leggere la sua espressione, e concluse: «Suppongo che Legolas sarà lieto di mostrartele».
«Vi sono grato per la vostra ospitalità» affermò Aragorn, «ma se non vi dispiace prima di tutto vorrei recarmi ad interrogare Gollum».
Thranduil gli rivolse uno sguardo indagatore. «Come desideri» acconsentì comunque.
Legolas si fece avanti. «Ti mostro la strada per le segrete».
Si congedarono dal sovrano, e mentre si allontanavano Aragorn lo sentì rivolgersi al capitano delle guardie: «Tauriel, ho bisogno del tuo rapporto sulla situazione lungo i nostri confini».
«Sembri davvero ansioso di ottenere informazioni» commentò Legolas, quando si furono allontanati dalla sala del trono.
Aragorn annuì, ma non parlò dell’anello o dei sospetti di Gandalf. «È vero» rispose. «Gandalf verrà lui stesso ad interrogare la creatura, ma se riuscissi ad ottenere qualche risposta prima di allora sarebbe tempo guadagnato».
Legolas sbatté le palpebre con una strana espressione. «Anche Gandalf sta venendo qui?»
Aragorn aggrottò la fronte. «Credevo vi avrebbe avvertito». Tacque un istante. «È un problema?»
«No» disse Legolas, forse troppo in fretta, «è soltanto che mio padre… non nutre… particolare simpatia verso gli stregoni».
Il modo in cui pronunciò quella frase, come se cercasse il modo più gentile di dirlo, strappò ad Aragorn un breve sorriso.
«Credi non vorrà ospitarlo?» domandò l’uomo, tornando serio mentre iniziavano a scendere lungo una scalinata.
«Credo lo tollererà» sospirò Legolas, corrucciandosi lievemente.
Svoltarono, camminando per un breve tratto, quindi imboccarono un’altra scalinata – più stretta, stavolta – e ripresero a scendere.
Le segrete erano le viscere del Reame Boscoso, illuminate da alcune torce. Legolas lo accompagnò sino alla cella di Gollum, chiamando il custode delle chiavi perché la aprisse, dopodiché se ne andò per svolgere i doveri che lo attendevano.
Una volta rimasto solo con la creatura, che si era rintanata in un angolo della cella e lo fissava con occhi malevoli, Aragorn si abbassò poggiando un ginocchio a terra e parlò con voce calma ma inflessibile.
Gollum non rispose alle sue domande, sibilando furioso a proposito di ladri dalle mani grassocce.
Ad un certo punto, si scagliò contro Aragorn, protendendo le dita ossute come per cercare di cavargli gli occhi.
L’uomo lo respinse con facilità, e la creatura si appallottolò piagnucolando sul pavimento.
Aragorn la contemplò in silenzio, e a quel punto udì un lieve colpo sulle sbarre della prigione. Si voltò; fuori dalla cella sostava il capitano Tauriel, che gli fece segno di raggiungerla.
Con un’ultima occhiata a Gollum, Aragorn si alzò in piedi ed uscì dalla cella. «Sì, capitano?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle.
«Il principe Legolas è stato trattenuto» replicò Tauriel, «per cui mi ha chiesto di venirvi a chiamare al suo posto. Vi vedrà più tardi a cena».
«A cena?» chiese Aragorn, accigliandosi.
«Può essere rimandata di un’ora, se avete bisogno di più tempo».
L’uomo indugiò un istante. In ogni modo, dubitava che quel giorno sarebbe riuscito a strappare a Gollum una qualsiasi informazione. «Non è necessario».
«Vi accompagno nelle vostre stanze» asserì allora Tauriel.
Aragorn si rese conto che lei si stava rigirando qualcosa nella mano destra con fare distratto. Non riuscì a vedere di cosa si trattasse, però.
In silenzio, presero a salire i gradini. Mentre oltrepassavano una delle celle, Aragorn fu quasi certo che Tauriel si irrigidisse, ma quando la guardò lei teneva gli occhi puntati davanti a sé con determinazione. Aveva smesso di rigirarsi l’oggetto tra le dita; ora lo teneva stretto nel pugno.
«È un talismano?» le chiese Aragorn, rompendo il silenzio.
Tauriel lo fissò, poi i suoi occhi guizzarono sul suo pugno chiuso. Le sue labbra si contrassero. «È solo un ricordo» rispose, e dal suo tono era evidente che trovava la situazione in qualche modo ironica.
«Posso vederlo?»
Erano ormai fuori dalle segrete; imboccarono un corridoio, e Tauriel sollevò la mano e schiuse le dita per mostrare brevemente l’oggetto ad Aragorn.
Era una pietra scura e levigata, dagli angoli accuratamente smussati, e recava incise alcune rune.
Non erano parole elfiche.
«È nanico?» domandò Aragorn, lanciando a Tauriel uno sguardo inquisitorio.
Lei si fece scivolare la pietra in una tasca. «Sapete cosa significa?» chiese di rimando.
L’uomo scosse il capo. «Il riserbo dei Nani sul loro linguaggio è davvero estremo».
Tauriel tornò a guardare in avanti, emettendo una sorta di «mmm». Capendo che lei preferiva lasciar cadere l’argomento, Aragorn non insistette.
Tra Elfi e Nani non scorreva buon sangue. C’erano delle eccezioni, certamente, Elfi tolleranti come Elrond di Imladris, ma la gente di Bosco Atro non pareva rientrare in quella categoria.
Aragorn pensò a Legolas. Negli anni in cui avevano viaggiato insieme e combattuto fianco a fianco, aveva notato che il principe del Reame Boscoso sembrava nutrire nei riguardi dei Nani un’ostilità particolare.
Non se n’era stupito. In fondo, Thranduil del Reame Boscoso era stato un tempo Thranduil del Doriath, ed il re del Doriath era stato massacrato per mano dei Nani, così come molte delle sue genti.
Tauriel si fermò ad aprire con disinvoltura delle porte intagliate. «Questi sono i vostri alloggi».
Aragorn entrò guardandosi attorno. Stanze spaziose e ben arieggiate, colonne che sembravano – o forse erano – alberi dai tronchi sottili che erano cresciuti aggrovigliandosi gli uni agli altri.
«Dovrebbero esserci degli abiti, sul letto» lo informò Tauriel, prima di ritirarsi per lasciargli qualche momento in privato.
Non sembrava proprio il genere di persona capace di parlare del più e del meno.
Gli abiti, scoprì Aragorn, non erano la sola cosa ad aspettarlo in camera da letto. C’erano anche due catini, uno pieno di acqua calda e l’altro di acqua fredda, un pezzo di sapone particolarmente grosso ed una salvietta morbida.
Aragorn si lavò con cura, per poi asciugarsi ed indossare gli abiti puliti. Erano esattamente della sua misura, ma lui aveva trascorso abbastanza tempo con gli Elfi per non stupirsene.
Quando uscì, Tauriel era ferma davanti alle sue stanze. Lo guardò sbattendo le palpebre, ma non offrì alcun commento e la sua espressione rimase indecifrabile.
«Da questa parte» si limitò a dire, guidandolo con sicurezza lungo i passaggi del Reame Boscoso.
Stavano salendo verso l’alto, notò Aragorn.
Dopo qualche momento, giunsero a quella che doveva essere la sala dei banchetti. Era delimitata da innumerevoli colonne, simili a fusti di alberi altissimi, e ciò dava l’impressione che si trattasse di una radura circolare.
Il pavimento era venato di grigio e verde, ed il lungo tavolo era riccamente imbandito.
Thranduil, ora vestito di porpora, gli venne incontro seguito da Legolas. Il principe indossava un paio di pantaloni azzurri finemente ricamati ed una sovratunica bianca con decorazioni dorate.
«Confido che le stanze che vi ho assegnato siano di vostro gradimento» esordì Thranduil, apparendo quasi compiaciuto dell’aspetto ora più pulito del suo ospite.
«Non potrei chiederne di migliori» gli assicurò Aragorn.
Un sorriso incurvò le labbra del sovrano. «Mi auguro che questa cena non sarà da meno».
A quel punto, Legolas si fece avanti, chiaramente costernato per non essersi fatto più vedere. Mentre Aragorn gli assicurava che non gli doveva alcuna scusa, Tauriel affiancò il sovrano del Reame Boscoso.
Thranduil inclinò il capo verso di lei per mormorarle qualcosa, e Tauriel si lasciò sfuggire un sorriso. Era la prima volta che Aragorn la vedeva sorridere.
Un momento dopo, si mossero per andare a sedersi. Il re si sistemò a capotavola, ovviamente, mentre ad Aragorn spettò il posto d’onore alla sua destra. Credeva che Legolas sarebbe stato alla sinistra del re, e invece il principe si accomodò accanto a lui mentre l’altro posto vicino a Thranduil veniva occupato da Tauriel.
Aragorn si domandò se lei pranzasse e cenasse sempre con la famiglia reale. Legolas gli aveva parlato di lei, della bambina che aveva perso i genitori in un’imboscata di Orchi ed era stata accolta da re Thranduil. Ad Aragorn era parso subito chiaro che il principe la considerava parte della propria famiglia, ed ora si chiese se anche il sovrano condividesse quel sentimento.
Alcuni Elfi Silvani iniziarono a servire loro le prime portate. Erano deliziose, i sapori forti e gustosi.
Thranduil s’informò sul viaggio di Aragorn, ed intavolò con lui una cortese conversazione, per poi lasciarlo libero di chiacchierare con Legolas.
Tauriel era abbastanza silenziosa, e mangiava a testa china, ma quando Legolas la chiamava a supportare uno dei suoi aneddoti, lei offriva dettagli o commenti senza farsi troppo pregare.
In piedi alle spalle di Thranduil si trovava un Elfo Silvano dai capelli castani, che riempiva di vino il bicchiere del sovrano ogni volta che lo vedeva vuoto, e che si mise a fare lo stesso con quello di Aragorn.
Ad un certo punto, l’uomo coprì il calice con la propria mano. «Sono a posto così, grazie».
L’Elfo scosse la testa con rammarico e disse: «Ma questo vino è deliziosamente fruttato. Dovete provarlo».
«L’ultimo bicchiere» cedette Aragorn, e l’altro parve alquanto lieto di quel compromesso.
«Galion» sussurrò Legolas all’uomo un momento più tardi, accennando all’Elfo Silvano. «Non si farebbe remore nemmeno a tentare di far ubriacare i Valar in persona».

Il giorno successivo, Aragorn tornò ad indossare i propri vestiti. Trascorse la mattina nelle segrete, ma Gollum rifiutava ancora di rispondere alle sue domande.
Alla fine, stanco e quasi frustrato, l’uomo concluse che Gandalf avrebbe dovuto ottenere per conto proprio le informazioni che gli interessavano.
Uscì dalla cella e chiese ad una guardia se poteva mostrargli dove si trovava il centro di addestramento. L’Elfo lo condusse nel luogo richiesto senza alcun commento.
Si trattava di una sorta di arena molto ampia, e disseminati qua e là si trovavano bersagli di varie forme e dimensioni e fantocci di legno e paglia. C’era anche una pista ad ostacoli – per i cavallerizzi, immaginò Aragorn.
Si guardò attorno, soffermandosi per un istante su un gruppo di Elfi Silvani che si stava esercitando nel tiro con l’arco, poi notò una figura familiare che si allenava in disparte. Dopo un momento, si diresse verso di lei.
Tauriel si muoveva fluidamente. Armata di due pugnali, tracciava spirali nell’aria e mimava affondi e parate.
«Buon mattino, capitano» disse Aragorn, per annunciare la propria presenza.
Tauriel si bloccò e si voltò verso di lui. «Buon mattino, mio signore» replicò.
«Potete indicarmi dove posso trovare un arco per fare un po’ di esercizio?»
Tauriel non seppe nascondere il proprio scetticismo. «Non sembrate un tipo da arco e frecce».
«Può darsi» rispose Aragorn, chiedendosi cosa le avesse dato quell’impressione. «Ma allenare la propria mira non fa mai male».
«Certo…» Lei lo scrutò per qualche istante, poi – i pugnali ancora in mano – gli fece cenno di seguirla.
Lo guidò sino all’altro capo dell’arena, dove su un muro sottile, sorvegliato da due Elfi Silvani, erano esposti alcuni archi di varia fattura.
Aragorn prese quello delle dimensioni che più gli si confacevano, raccolse una delle faretre posate a terra, e tornò indietro con Tauriel.
«Il principe Legolas ha detto che hai talento con arco e frecce» le disse.
Tauriel gli rivolse un’occhiata di traverso, ma sembrò gradire quel complimento sottinteso.
«Parla di te con grande affetto» aggiunse Aragorn.
Tauriel si fermò. «Non morirò del mio dolore, se è questo che credi» gli disse, quasi bruscamente.
L’uomo si arrestò a propria volta, preso in contropiede da quell’uscita. Di cosa stava parlando?
«Mi dispiace» disse dopo qualche momento, con franchezza. «Non intendevo essere indiscreto».
Tauriel strinse appena gli occhi, poi spostò l’attenzione sui propri pugnali. Li soppesò come per valutarne l’equilibrio, li fece roteare un paio di volte, quindi tornò a guardare Aragorn.
«Ho vissuto a Dale, per qualche tempo» affermò.
Lui aggrottò la fronte. «La conosco» rispose, cautamente.
Era una città che sorgeva presso la Montagna Solitaria… La patria del popolo di Durin. Se si aspettava che Tauriel gli stesse per parlare di un Nano, però, si sbagliava.
«Avevo compiuto alcune… azioni… che avevano portato re Thranduil ad esiliarmi per dodici anni. Sono stata ospitata da un uomo. Io mettevo le mie conoscenze militari a disposizione sua e dei suoi soldati, e lui mi ripagava con vitto e alloggio». Fece una pausa e la sua espressione si fece distante. «Aveva tre figli: Bain, Sigrid e Tilda. Mi ero… affezionata a loro, e loro a me».
Un sorriso affiorò alle labbra di Tauriel, e due fossette le comparvero sulle guance.
«Erano dei ragazzi intelligenti, buoni e generosi. Mi hanno aiutata durante un periodo difficile, quando sentivo di non aver più uno scopo».
Aragorn non disse nulla.
«Tilda aveva l’abitudine di sedersi nel mio grembo quando le sembrava fossi infelice, Bain mi chiedeva delle usanze del mio popolo per distrarmi, e Sigrid… mi raccontava della sua giornata, e mi ha insegnato come prendermi cura di una casa».
L’uomo annuì, passando una mano sulla curva dell’arco.
«Ho insegnato a combattere anche a loro» proseguì Tauriel. «Bain conosceva già i rudimenti della spada, Sigrid si è rivelata portata per il tiro con l’arco, mentre Tilda… lei preferiva i pugnali». Si fermò di nuovo, ed ogni traccia di sorriso scomparve dal suo volto. «Alcuni anni più tardi, c’è stata un epidemia di febbre. Sono morti alcuni bambini. Alcuni mesi dopo, me ne sono andata».
Pronunciò l’ultima frase con una nota definitiva nella voce, ma Aragorn le domandò con cautela: «Posso chiedervi come mai, mia… capitano?»
Tauriel incontrò il suo sguardo. «Era da tempo che il mio cuore desiderava viaggiare, ma continuavo a rimandare. Quell’episodio mi ha ricordato quanto sia fragile la vita degli Uomini, ed ho compreso che se mi fossi attardata ancora me ne sarei andata soltanto quando fossero morti. E non volevo che fosse quella la ragione della mia partenza».
Aragorn annuì. «Non è stata una separazione dolorosa?»
«Certo che la è stata» disse Tauriel, dandogli un’occhiata quasi incredula. Poi si irrigidì. «Ma loro avevano la loro vita, che cambiava molto più in fretta della mia. In soli quattro anni, erano maturati moltissimo… Bain aveva addirittura trovato una fanciulla da corteggiare… mentre io ero sempre uguale. Avevo l’impressione di tenerli bloccati».
«Capisco» mormorò Aragorn, aggrottando la fronte.
Avrebbe voluto domandare cosa ne era stato dei tre ragazzi. Vivevano ancora? Erano morti da tempo?
Guardando il volto tirato di Tauriel, improvvisamente pensò ad Arwen ed ebbe un attimo di vertigine. Non era un bene, per gli Elfi, permettersi di amare i mortali.
Tauriel gli aveva detto che non si sarebbe lasciata sopraffare dal dolore… Ma non era raro che agli Elfi accadesse il contrario, dato quanto profondamente sentivano le proprie emozioni.
Il loro spirito era più forte del loro corpo, e se da una parte questo impediva loro di essere contagiati da malattie e li aiutava a guarire più in fretta, dall’altra un dolore profondo poteva cambiarli nel fisico e nell’aspetto. Poteva ucciderli.
Per tentare di distrarsi da quei pensieri tumultuosi, Aragorn si volse verso il bersaglio più vicino ed alzò l’arco.
Tauriel non parve prendere a male l’interruzione della loro conversazione. Semplicemente, ritornò a concentrarsi sui propri pugnali.
Poco dopo, Legolas li raggiunse. Fece a Tauriel un cenno col capo, quindi si rivolse ad Aragorn.
«Il centro era più a destra» lo informò, con la sua voce melodica.
L’uomo abbassò l’arco e guardò il principe inarcando le sopracciglia. Legolas sorrise.
Aragorn tornò a voltarsi verso il bersaglio, puntando la freccia un po’ più a destra… Lasciò andare la corda, e fece un centro perfetto.
«Sono colpito» commentò Legolas, con un largo sorriso, e Aragorn gli sbatté arco e faretra contro il petto, ma non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Vuoi mostrarmi un’altra parte del tuo regno, prima che me ne vada?»
Legolas tornò serio, chiudendo le mani attorno all’arco. «Devi lasciarci?»
«Temo di sì».
«E per quanto riguarda Gollum?» domandò Tauriel, aggrottando la fronte.
«Dovrebbe arrivare Gandalf a proseguire l’interrogatorio» rispose Aragorn.
L’espressione di lei si fece imperscrutabile. «Mithrandir?» chiese. Spostò gli occhi su Legolas. «Il re ne è al corrente?»
Il principe indugiò. «Non ancora».
Tauriel arricciò il naso – ad Aragorn ricordò molto l’espressione di Legolas davanti a qualcosa di disgustoso. «Non dirmi che intendi fargli una sorpresa».
«Certo che no» rispose Legolas, e parve un po’ offeso da quell’ipotesi. «Ho intenzione di dirglielo subito dopo la partenza di Aragorn».
Tauriel scoccò un’occhiata all’uomo. «Capisco».
«Vuoi unirti a noi, adesso?» le propose il principe.
Lei scosse il capo. «Ho altri impegni».
Così la salutarono, dopodiché riportarono arco e faretra al loro posto e si incamminarono. Conversarono tra loro, passeggiando nelle meravigliose sale del Reame Boscoso.
Talvolta, Legolas accompagnava il loro itinerario con qualche aneddoto, accennando ad una colonna su cui si era arrampicato da bambino, o parlando di quando aveva fatto da palo mentre Tauriel sgraffignava dei dolci in cucina, o indicando ad Aragorn il luogo in cui riceveva le lezioni in caso di maltempo. Gli parlò anche del proprio padre, con un affetto e un orgoglio quasi palpabili.
Alla fine, giunse il momento della partenza dell’uomo.
Aragorn passò a porgere i suoi ringraziamenti a re Thranduil, dopodiché Legolas lo accompagnò fuori dal Reame Boscoso.
«Buon viaggio» gli augurò, «e buona fortuna».
«Alla prossima avventura» replicò Aragorn, senza sapere quanto presto sarebbe cominciata.













Note:
Non lo so. Davvero, non lo so.
Probabilmente avrei fatto meglio a lasciare questa storia nella mia cartella per sempre. Ma uhm, okay. Ho deciso di darle una chance.
Un grazie ENORME ad Echadwen per la sua fiducia che non mi meritooo D:
La seconda parte (saranno tre in tutto) arriverà venerdì 19 febbraio.
(Comunque posso sempre cancellarla dalla faccia della Terra. Si può fare. Niente è irrimediabile.)
  
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