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Autore: stillfreeit    16/02/2016    0 recensioni
La consolle cominciò improvvisamente a lampeggiare di rosso.
Anche lo schermo lampeggiava.
Le spie poste accanto al propulsore, lampeggiavano anche loro.
Ma il Dottore non stava guardando, troppo occupato con i suoi gessetti e la sua lavagna.
Avrebbe dovuto sentire l’allarme ma, avendo veramente cercato un po’ di silenzio e concentrazione per qualche minuto, aveva optato per l’intelligentissima mossa di spegnere tutti i fastidiosi allarmi che avrebbero potuto disturbarlo.
Col senno di poi, avrebbe sicuramente preferito essere disturbato dall’allarme, piuttosto che dal pericolo stesso per cui l’allarme l’avrebbe disturbato.
Dunque, mentre per il TARDIS la minaccia era cominciata già da qualche minuto, per il Dottore tutto iniziò con un violento scossone.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - 12
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’interno del TARDIS era la solita giostra di luci soffuse, al tempo del leggero respiro della matrice al suo interno, che ronzava placidamente.

Il Dottore, alla consolle, premeva pulsanti, ruotava manovelle e tirava leve di malavoglia, sicuramente con molto meno entusiasmo di quanto ne avesse avuto in altre innumerevoli occasioni.

Il TARDIS aveva smesso di fare capricci e questa, in teoria, avrebbe dovuto essere un’ottima notizia, dal momento che sembrava finalmente pronta a partire.

Il Dottore avrebbe avuto la possibilità di lasciarsi tutta quella storia alle spalle, insieme ai suoi dubbi ed alla sua ovvia sconfitta. Poteva finalmente lasciarsi trasportare dal vortice verso nuove meraviglie, come quel pianeta in cui il tramonto e l’alba sono realmente una coppia di sposi che passano il tempo a rincorrersi giorno dopo giorno. Oppure, avrebbe potuto fare un salto sulla Terra: chissà che cosa stava succedendo nel 1991.

Il fatto era che il Dottore era di pessimo umore. Allo stesso modo sembrava esserlo il TARDIS. Era sì, pronta a partire, ma c’era qualcosa come cupa delusione nel respiro ansimante del motore, che il Dottore distingueva chiaramente, sebbene qualcuno avrebbe potuto giudicarlo pazzo.

Il Dottore sapeva che era vero.

Conosceva la sua vecchia compagna di viaggio e sapeva che raramente aveva lasciato qualcosa al caso. E se l’aveva delusa, doveva esserci un motivo ben preciso che il Dottore era certo di conoscere, sebbene non riuscisse a capire che diamine avrebbe voluto che facesse!

Smise di pasticciare con i comandi, poggiò le mani sulla consolle e chinò il capo in un profondo sospiro sconfitto.

«Perché mi hai portato qui?».

Non che si aspettasse realmente una risposta. Lei non rispondeva mai, non aveva mai risposto.

A parte quella volta.

Be’, avrebbe volentieri desiderato un’altra eccezione, perché davvero non riusciva a capire per quale ragione la sua vecchia amica avesse deciso di trattarlo in quel modo, sottoponendolo a quella prova tanto dolorosa.

«Non avrebbe dovuto essere possibile» disse ad alta voce, dopo esserselo ripetuto per giorni nella testa, senza neanche essere riuscito a trovare una spiegazione esaustiva.

Ogni legge del Tempo e dello Spazio era stata infranta, soltanto perché lui giungesse a quell’appuntamento fatto di bastonate ed amarezza? Perché? «Temevi che mi fossi montato la testa e che avessi dimenticato tutta la morte che ho seminato? Be’, non avresti dovuto prenderti tanto disturbo!» sbottò, allontanandosi dalla consolle, prima di cedere ancora una volta alla pericolosa tentazione di colpirla con un pugno. Lo aveva già fatto e sentiva le stesse, turbolente sensazioni di quella volta a fomentargli la rabbia, dalla delusione cocente alla consapevolezza di essere stato raggirato.

Sospirò profondamente, riprendendo il controllo, appendendosi alla balaustra delle scale.

«Non dimentico niente» mormorò.

2.47 miliardi. Ci aveva provato a dimenticarli. Ci aveva anche creduto, tempo prima, ma la realtà era un’altra: «Non dimentico mai».

Chiuse gli occhi, aspettando che l’ondata di dolore attorno ai due cuori svanisse. Svaniva sempre, prima o poi. Non per sempre, ma gli concedeva delle lunghe tregue.

2.47. Un numero impresso a fuoco nella sua memoria, più di qualsiasi altro.

Non si era mai domandato il perché.

«Il potenziale!» eruppe all’improvviso, come se il suo cervello avesse cercato per secoli quella risposta apparentemente disconnessa e ci fosse arrivato solo in quel momento. «È quello!» continuò, entusiasta. Sebbene non ci fosse nessuno a condividere quella gioia selvaggia che riempiva quegli occhi chiarissimi. «Ho capito!».

Persino il TARDIS guizzò di approvazione, mentre lui sfrecciava di nuovo sulla consolle per bloccare i comandi e tornare indietro, senza neanche preoccuparsi se fosse possibile o meno. Lo era e basta. Perché finalmente aveva capito.

Aveva capito che quello che stava lasciando era esattamente il posto nell’universo in cui avrebbe dovuto essere.

##

Il Corsaro era rimasta inconsciamente a guardare l’immagine della cabina blu sbiadire sotto i suoi occhi, accompagnata dal suono raspante ed inequivocabile del freno a mano lasciato attivo.

Aveva sospirato ed era già mezzo passo in avanti per voltare le spalle al fantasma del TARDIS quando, prima quasi impercettibilmente e poi in crescendo, il suono della materializzazione prese ad aumentare invece che scomparire. Allo stesso modo, la cabina blu parve tornare indietro, riprendendo il proprio posto sul ponte, fuori luogo nel contesto esattamente come poc’anzi.

Prima che il Corsaro potesse fare qualcosa di più che accigliarsi senza capire, le porte si riaprirono cigolando.

Era lo stesso Dottore. Presumibilmente, non erano trascorsi che pochi istanti dal saluto, eppure sembrava una persona totalmente differente rispetto all’amareggiato Signore del Tempo che aveva deciso di partire.

«Ho cambiato idea» annunciò, chiudendosi le porte del TARDIS alle spalle. «Penso che resterò ancora un po’».

Sorrise, addirittura. Non era un brutto sorriso ma, per qualche ragione, su quel volto perennemente imbronciato era quasi strano da vedere.

Il Corsaro lo guardò a bocca spalancata - chiaramente pensando che fosse del tutto impazzito - e solo qualche istante dopo riuscì a parlare:

«Hai appena detto di non aver nulla da fare, da queste parti» gli fece notare, quasi temesse che nel giro di qualche istante il Dottore se lo fosse dimenticato. A dire la verità, per quanto ne sapeva lei, avrebbero potuto essere trascorsi secoli.

«Il Dottore trova sempre qualcosa da fare: proteggere popoli, sconfiggere il male, boicottare tornei di mimi» aveva cominciato ad elencare, parlando come un treno in piena corsa, prima di bloccarsi di fronte ad un’apparentemente geniale idea: «Ehi, vi serve per caso dell’intrattenimento serale? Posso portare la chitarra! Indovina chi era il dottore protagonista di Confortably numb! Bei momenti. A parte Roger Waters: un uomo una lagna!».

A giudicare dal modo in cui lo stava guardando, il Corsaro stava ascoltando solo a metà i suoi deliri e, di quella, capendone un’ulteriore metà, ma non pareva importarle granché: quell’allegria quasi isterica del Dottore era esilarante e, forse, addirittura contagiosa, dal momento che anche lei sembrò inspiegabilmente colma di entusiasmo.

«Avevo dimenticato il tuo lato iperattivo» commentò, senza trattenere una risata. Sebbene, appena un istante più tardi parve ricomporsi, pur non riuscendo a cancellare il sorriso dalle labbra, ed aggiunse in modo quasi sospettoso: «Senti, per me puoi restare quanto vuoi, ma promettimi che non hai intenzione di ostacolare il nostro lavoro: non facciamo nulla di male».

Il Dottore sorrise, raddrizzò le spalle ed alzò le mani come in un segno di resa. Poi, con voce chiara e profonda, rispose con un’unica, inequivocabile parola:

«Assolutamente!».

Il Corsaro ne sembrò parecchio soddisfatta.

D’altra parte, era stata Madame Vastra ad insegnargli quanto le persone tendessero a fidarsi meglio, di fronte ad un’unica parola.

Ma lui restava pur sempre il Dottore ed aveva le sue personali regole. Tra queste, la numero uno spiccava inesorabilmente.

##

Esistevano persino in quella nave TARDIS dei momenti di quiete. Poteva sembrare impossibile, a giudicare dalla quantità di gente che trasportava, eppure, se si decideva di salire sul ponte al momento giusto della giornata, non vi si trovava altro che la vasta moltitudine di stelle, galassie e nebulose.

Se si era veramente nel giorno fortunato, si poteva incontrare una pensierosa Corsaro, intenta a manovrare l’apparentemente inutile timone.

Se l’allineamento dei pianeti era quello corretto, poi, si poteva osservare il Dottore porgerle una tazza fumante.

«Oh, grazie mille» disse il Corsaro, dopo un attimo di sorpresa nello scoprire di non essere da sola. Accettò la tazza con un sorriso e l’annusò. «Ma questo è Earl Grey!» esclamò, stupefatta come se le fosse stato appena offerto un metallo raro e prezioso.

Il Dottore ne fu piuttosto compiaciuto, sebbene cercasse di nasconderlo - male! - perdendo lo sguardo verso l’enormità dell’universo che si parava dinanzi.

«Ci ho messo un po’ ma l’ho convinto» disse, ripensando con soddisfazione all’enorme fatica quanto ai rischi di perdere denti - o, peggio, arti - nel discutere con quel nerboruto locandiere.

Dopo averne inalato profondamente l’aroma ancora una volta, il Corsaro ne bevve un sorso, lasciandovi la lingua immersa a lungo, prima di deglutire con evidente soddisfazione.

«Pensavo di non ricordare più che sapore avesse» commentò, quasi commossa.

Il Dottore ed il Corsaro ridacchiarono, poi fu di nuovo il silenzio, quello assoluto di una nave addormentata nel mezzo del nulla cosmico in cui alcun suono può propagarsi.

Il Corsaro continuò a sorseggiare il suo tè. Nessuno dei due sembrava aver fretta di rompere la quiete, per quanto l’intenzione fosse indubbiamente quella.

Il Dottore continuava a guardare avanti, oltre il parapetto. Quell’universo, lui, l’aveva girato a lungo nella sua fuga forsennata. Così uguale a se stesso ma sempre così differente, esattamente come lui. Ricordare tutto era impossibile ma dimenticare, lo stesso.

«Uh, non credevo che questa tua nuova faccia fosse capace di esprimere tanto sentimentalismo» disse improvvisamente il Corsaro, dopo lunghi minuti, forse ore.

Il Dottore si voltò verso di lei, faticando a mettere a fuoco quell’immagine così vicina dopo aver perso lo sguardo verso luoghi così lontani.

Si accorse che lo stava osservando attentamente, chissà da quanto tempo.

«Cosa?».

Il Corsaro ridacchiò sulla tazza ormai tiepida che sorseggiava con calma.

«Ecco che è andato via» commentò. Il Dottore si passò una mano sul viso inconsciamente, chiedendosi effettivamente che tipo di espressione potesse aver attirato tanto la curiosità della Signora del Tempo. Non faceva mai in tempo a conoscere adeguatamente uno dei suoi volti che già ne aveva uno nuovo. «Se esiste un cliché più romantico di una persona pensierosa che guarda le stelle, io non lo conosco» spiegò il Corsaro, guardandolo come chi la sa lunga.

«Io sono sempre pensieroso e - nel caso non te ne fossi accorta - siamo nello spazio profondo, non c’è nient’altro da guardare se non le stelle» si giustificò il Dottore. Minimizzare. Minimizzare sempre.

Il Corsaro parve cogliere al volo quella familiare strategia.

«Va bene, va bene… come ti pare» rispose, condiscendente. «Pensavo solo che ti mancasse qualcuno».

Il Dottore trattenne a stento una risata triste. Invece scrollò le spalle con il suo solito atteggiamento indifferente.

«Bah. Storia della mia vita» disse.

«Direi più destino dei Signori del Tempo» lo corresse lei, poggiando la tazza ormai vuota sul banco del timone, sul quale non subiva alcuna forza trainante di alcuna marea.

Il Dottore poggiò le mani sul legno levigato del parapetto e fece un lungo sospiro.

«Mi dispiace» si decise a dire, infine.

«E ci risiamo» rise il Corsaro, dopo averglielo sentito così tante volte da quando si erano rincontrati.

Il Dottore si rese conto solo allora del fraintendimento.

«No…» disse in fretta, scuotendo una mano. «No, mi dispiace di essermi comportato in modo così…» spese qualche secondo a cercare il termine più adatto, visto che la maggior parte delle parole che aveva in mente non erano affatto civili. «Ah: conservatore» giunse infine, piuttosto calzante.

Il Corsaro l’accolse con un sorriso indulgente.

«Grazie» rispose. Inspirò a fondo anche lei quell’aria artificiale che così facilmente si associa al profumo dello spazio che, in realtà, non esiste affatto. «I Signori del Tempo si sono sempre comportati in modo così distaccato. Regole, divieti… soltanto che, a volte, non puoi solo stare fermo a guardare» spiegò, celando in quelle parole qualcosa che alle orecchie del Dottore suonò come stantia frustrazione.

Infine, scrollò le spalle: «I paradossi si risolvono da soli, nella maggior parte dei casi».

Sì, anche il Dottore lo aveva studiato e visto succedere. Spesso le conseguenze degli interventi temporali non sono così catastrofici come si è abituati a pensare, o la sola esistenza dei TARDIS dovrebbe essere un pericolo costante per l’universo.

Be’, in effetti questo dipende anche dal pilota del TARDIS…

Il Dottore aveva piena fiducia nel Corsaro e nella sua buona fede.

Diverso era il discorso per quel Nicholas Winton. Era lui a non convincerlo per niente, a solleticare il suo istinto per il pericolo e, senza alcun dubbio, quello della sua amica blu che l’aveva condotto fin lì.

Ma non era il momento di esporre tutte le sue teorie al Corsaro. Per il momento, aveva bisogno della sua piena collaborazione: c’erano ancora tante cose che il Dottore aveva bisogno di comprendere ed analizzare.

Era fiducioso che, una volta ottenute le prove che stava cercando, avrebbe capito anche lei e sarebbe stata disposta ad ascoltarlo.

«Solo una domanda, e rispondimi sinceramente, ti prego» le disse, dopo aver scelto accuratamente le parole perché non trasparisse quanto ancora fosse diffidente a proposito della loro insolita attività. «Sopravvivono tutti al processo?».

Il Corsaro aveva preso nuovamente in mano il timone - naturalmente, questo non aveva alcuna autorità sulla rotta della nave - e si prese del tempo, prima di parlare:

«Conosci già la risposta, Dottore» rispose infine, non senza un velo di rammarico. «Non esiste una tecnica sicura al cento percento. Stiamo parlando di vite fragili, che hanno subito traumi orrendi. Ma perlomeno possiamo dire di averci provato».

Già. Proprio come aveva immaginato.

Non era ancora niente rispetto a ciò che sperava di ottenere, ma già significava guardare nella direzione giusta.

Si concesse del tempo per far volar via quella nota triste, prima di riprendere:

«Vorrei conoscere meglio i meccanismi» propose, con fare noncurante.

Il Corsaro non rispose. Lo guardò, inarcando un sopracciglio in un modo che lo fece perlomeno sorridere: non era ancora sicura di potersi fidare di lui in quell’ambito. Avrebbe dovuto metterci tutto il proprio fascino, per convincerla.

«Potrei aiutarvi» disse, con tutta quella poca innocenza che dopo più di duemila anni ancora gli apparteneva. «Potremmo raggiungere una percentuale più alta. La più alta possibile. Dopotutto, sono un genio». Si arrischiò a sorridere, tutto denti. Ancora non conosceva abbastanza la sua faccia da sapere se una cosa del genere potesse funzionare.

Ma, apparentemente, funzionava con lei, che scoppiò a ridere.

«Sì, avevo dimenticato anche la tua modestia» commentò.

Fu solo dopo un’ultima, lunghissima occhiata penetrante, in cui presumibilmente aveva cercato minuziosamente la fregatura, che si decise a cedere: «D’accordo, allora. Dobbiamo recuperare un carico sul pianeta Joob. Abbiamo ben quattro anni di guerriglia, per un numero di 4716 bambini».

Il Dottore fece un movimento strano, come se avesse avuto intenzione di battere le mani o alzare i pollici o comunicare con qualsiasi tipo di gesto prettamente terrestre della gioia, per poi ripensarci a metà strada.

Si accigliò di nuovo, come soltanto lui poteva fare.

«Sono un po’ confuso, non so se è il momento di mostrare entusiasmo o rammarico. Non sono ancora molto ferrato sulle emozioni adeguate da esprimere».

Per tutta risposta, il Corsaro dovette aggrapparsi al timone per non cadere dal ridere.

«Prova a chiudere il becco e seguimi, Doc» disse infine.

Il Dottore fece una smorfia.

«Non chiamarmi Doc».

«Zitto».

##

Il trucco si svelò agli occhi del Dottore tanto velocemente da lasciarlo sbigottito. Con un semplice gesto, il Corsaro aveva sollevato il timone con tutto il sostegno, svelando la presenza di una consolle non troppo dissimile da quella del TARDIS.

Quasi deluso da quel contesto molto meno piratesco del solito, il Dottore la guardò armeggiare con dei pulsanti di cui lui non conosceva la funzione - ed anche questo dettaglio, era molto simile a ciò che spesso accadeva all’interno della cabina blu - finché non la vide spingere con forza un grande disco giallo, da cui scaturì il rumore infernale di una sirena.

Appena qualche secondo dopo, il fiume di marinai si riversò nuovamente sul ponte, turbandone definitivamente la quiete, probabilmente richiamati da quel suono che per loro doveva essere familiare e che il Dottore considerava solo fastidioso.

Il Corsaro voltò le spalle alla consolle per guardare verso la ciurma, in un atteggiamento composto con le mani dietro la schiena dritta, in cui pareva trovarsi parecchio a proprio agio:

«Tutti in formazione, feccia stellare!» urlò a gran voce alla folla già operosa, dall’alto della sua postazione. Ancora una volta, il Dottore ebbe di che stupirsi di come tutti fossero entrati così profondamente nella piratesca parte.

«Ai posti, Capitano!» gracchiò la voce di una specie aliena tutta tentacoli ed occhi ma con una bandana rossa stretta proprio dove avrebbe dovuto esserci la testa.

Il Corsaro sembrava parecchio soddisfatta della celerità del tutto.

Girò ancora qualche manopola ed il Dottore la vide inserire le coordinate del pianeta che anche lui riconobbe come quelle dello sfortunato pianeta Joob, e la data del periodo in cui indicativamente si erano concluse le sue sfortune.

Il Dottore doveva ammettere di sentire anche lui il fremito dell’avventura sul fondo dello stomaco, l’eccitazione di addentrarsi in quel meccanismo. Soprattutto, quella di dimostrare di avere ragione.

«Gentilmente questa volta, razza di incapaci!» continuò il Corsaro rivolta alla ciurma, dopo aver abbassato la leva. Il motore cominciò gradualmente a rombare sempre più forte e il cielo fino ad ora trapunto di stelle e galassie, a farsi più luminoso man mano che si addentravano nel tunnel spazio-temporale. «Un solo graffio sulla mia nave e vi troverete a sguazzare nella materia oscura insieme ai pesci gantalisiani!».

«SÌ, CAPITANO!» risposero ad una sola voce quei poveri disgraziati, probabilmente abituati a ricevere ridicoli insulti e minacce.

«Avanti tutta, allora!».

Fu esattamente allora che la nave entrò alla massima velocità all’interno del flusso caotico del tempo e dello spazio che, mai come in quel momento, il Dottore associò ad uno sciacquone, pentendosi, immediatamente dopo, di averlo anche solo pensato.

Aveva sempre trovato fondamentalmente inutile la presenza del timone esattamente quanto quella delle vele, soprattutto in quella fase particolare del viaggio. Dunque considerava completamente vani tutti gli sforzi dei marinai che si gettavano da un albero all’altro tra i cordami come scimmie, per spiegarle.

Infine capì.

Capì che quella procedura serviva per rendere l’attraversamento del tunnel ancora più turbolento di quanto non fosse normalmente, come un mare in burrasca.

I pirati - Corsaro compreso - sembravano divertirsi un mondo a farsi sballottare da una parte all’altra dalle forze contrastanti e completamente imprevedibili a cui era sottoposta la nave. Il Dottore, come si poteva immaginare, si stava divertendo molto meno. Specialmente quando l’atterraggio e la conseguente forza di inerzia - era inerzia? - lo buttò a terra facendolo quasi ruzzolare giù per le scale.

Ma perlomeno erano arrivati.

«E dire che River mi rimproverava di non saper guidare il TARDIS» commentò con un gemito, mentre si rimetteva in piedi tutto imbronciato. Be’, più del solito.

«River?» domandò il Corsaro, senza capire. Il suo caschetto si era lasciato scompigliare appena, mentre le guance arrossate del suo volto erano quelle entusiaste da foto sulle montagne russe al Luna Park (una lunga storia anche questa, il Dottore sperava che Clara ne avesse bruciato ogni traccia).

«River Song, mia moglie» rispose il Dottore, scuotendosi via la polvere dalle maniche.

«Cosa?!» esclamò il Corsaro, strabiliata. «Sei sposato?».

«Oh, tranquilla» rispose lui indolente, con un gesto casuale della mano mentre scendeva i gradini verso il ponte. «Non è gelosa».

Il Dottore dava le spalle alla vecchia amica, dunque non la vide fissarlo con la bocca aperta, colma di domande in sospeso. Troppe, anche solo per pensare di pronunciarle tutte.

«Lasciamo perdere!» si arrese infine, senza sapere neanche lei quanto questa fosse un’ottima idea, dal momento che non avevano tempo per tutti i diagrammi di flusso che sarebbero stati necessari alle spiegazioni.

Il Dottore preferì impiegare questo tempo in tutt’altra occupazione. Tipo guardarsi intorno.

Erano in una grotta di pietra di cui a stento si riusciva a distinguere il soffitto nero come la pece e rilucente di umidità. Sarebbe stato completamente buio, se non fosse stato per la luce emanata dalle lanterne della nave che si rifletteva sulla roccia umida delle pareti e sull’acqua.

Ecco, l’acqua era stata una bella sorpresa: Joob non aveva oceani, mari né piccoli laghetti e sicuramente nessuna caverna marina, su tutta la superficie del piccolo pianeta.

Il Dottore, per un momento, pensò che ci fosse stato un qualche tipo di errore. D’altra parte, non poteva essere solo il suo TARDIS a trasportarlo a casaccio, nelle zone più remote dell’universo senza alcuna apparente ragione.

Non impiegò molto a capire che, invece, non c’era alcun errore. Era semplicemente qualcosa a cui non era più tanto abituato: un sistema di occultamento del TARDIS funzionante.

Si era portato dietro la sua pozza d’acqua.

Sì, e allora?

Con un sospiro nostalgico, ma neanche troppo, visto quanto aveva imparato ad affezionarsi alla sua cabina blu, scese dalla nave insieme al Corsaro ed a tutti gli altri marinai richiamati alla missione.

«Allora, questo è il piano…» cominciò il Corsaro rivolta al Dottore, unico principiante della squadra, mentre tutti gli altri parevano già abbastanza edotti su come comportarsi.

«No, no, non infastidirmi con i piani» la interruppe lui, immediatamente.

Probabilmente fu in quel momento che il Corsaro cominciò a pentirsi di esserselo portato dietro.

«Dottore, se combini qualche guaio…» cominciò, cercando di portare pazienza, ma neanche questo tentativo valse a qualcosa.

«Ehi, senti, sono qui per osservare, va bene?» disse il Dottore, alzando le mani in maniera innocente, mentre guadagnavano l’uscita della caverna alla volta del pianeta Joob, smosso da guerriglia.

I soli splendevano alti nel cielo insieme a quattro o cinque satelliti visibili, dandogli l’aspetto di un enorme faccina sorridente. Una roba da ridere ed una gran meta turistica, non fosse stato per la puzza di bruciato, polvere e sangue che si respirava su quel pianeta principalmente roccioso e desertico. «Sono certo che in questa particolare fase, siate tutti abbastanza esperti da…».

«A TERRA!!».

Un’esplosione preoccupantemente vicina li aveva sfiorati, coprendoli di una pioggia di terra.

Il Dottore si era ritrovato improvvisamente spalmato al suolo a respirare la sabbia, integro e illeso - soprattutto in confronto ai malcapitati che erano capitati sulla traiettoria della granata - e con la mano del Corsaro che premeva fastidiosamente contro la sua nuca per mantenerlo fuori dalla portata di altri oggetti volanti e possibilmente contundenti.

Urla agguerrite e spaventate, fischi di granate e pallottole fendevano l’aria, ma per fortuna abbastanza lontani dal perimetro da permettere loro di rimettersi in piedi ed organizzarsi sul da farsi.

«Dannazione!» imprecò il Corsaro, impallidita e sporca di terra. «Siamo atterrati troppo presto!» annunciò (sottolineando l’ovvio, avrebbe commentato il Dottore, se avesse voluto vedersi recapitare un bel pugno sul naso) mentre guardava il disastro che avevano intorno.

«La situazione è ancora troppo calda?» disse il Dottore, immaginando che, normalmente, i loro tempi di intervento li portassero sul luogo in momenti molto più tranquilli e, in un certo senso, pacifici. Quando erano già morti tutti, insomma.

Quell’errore, tuttavia, avrebbe potuto essere provvidenziale per i propositi del Dottore. L’occasione ideale.

Certo, se ne fosse uscito vivo, aggiunse quando una seconda granata finì per esplodere, non tanto vicina come la precedente, ma ad una distanza preoccupante da loro.

«Tutti dentro! Avanti!» urlò il Corsaro, sospingendo la ciurma di nuovo all’interno della caverna del suo TARDIS. «Non dobbiamo farci vedere!». Tutti obbedirono immediatamente, felici di levarsi da quella pericolosa situazione.

Tutti, naturalmente, tranne uno. «Dottore!» esclamò il Corsaro - non esattamente con la pazienza che l’aveva contraddistinta finora - quando lo vide sgattaiolare dalla parte opposta rispetto all’entrata del TARDIS. «Da questa parte! Ora!» gli disse, afferrandolo per un braccio.

«Sì» mormorò il Dottore distrattamente, come se fosse stato del tutto ipnotizzato dal contesto e si fosse accorto con qualche secondo di ritardo che la donna lo stava trascinando da tutt’altra parte rispetto alle sue intenzioni. «Anzi, a dire il vero no» si riscosse, liberandosene.

Anche il tacco dello stivale dell’ultimo componente della ciurma era sparito oltre l’entrata nascosta e, in mezzo al campo - amico o nemico, in quel momento non faceva poi tutta questa differenza - rimanevano soltanto i due Signori del Tempo.

«Dottore, è un intralcio…» cominciò il Corsaro, avendo capito al volo le sue intenzioni e tentando di farlo ragionare.

«… alla storia» concluse lui al suo posto, con una certa noncuranza per essere un argomento così importante. «È il mio quinto o sesto nome. Non so mai dove collocarlo. Tempesta che avanza mi piaceva di più».

«Che cosa vorresti fare?» esclamò infine lei, esasperata.

Il Dottore gettò uno sguardo verso il centro abitato, epicentro del terremoto, dentro il quale si concentravano le due forze opposte della guerriglia, che nel respingersi a vicenda, seminavano morte e distruzione.

Che domande…

«Perdonami» rispose il Dottore. La luce luminosa nel suo sguardo avrebbe potuto sembrare fuori luogo in un contesto del genere, ma erano proprio queste le condizioni che permettevano al Dottore di operare la sua magia. «…ma questo è il mio campo».

Ciò detto, si avviò a passo svelto tra polvere e macerie per raggiungere l’attuale posto più pericoloso dell’intero pianeta.

«Oh, per l’amor del Cielo, Dottore!» esclamò il Corsaro, apparentemente raggiungendo nuovi livelli di esasperazione.

Evidentemente, pensò anche che qualcuno avrebbe dovuto essere presente per raccogliere i suoi pezzi, una volta fatto esplodere, perché decise di seguirlo. «Cortesemente, dimmi che intenzioni hai» disse, chiaramente invocando pazienza, una volta raggiunto.

«Più o meno quello che avevate intenzione di fare voi, solo che a me piace giocare d’anticipo sulla morte».

Il Corsaro alzò gli occhi al cielo. Giusto in tempo per godersi la scena di una granata che volava sulle loro teste per atterrare ed esplodere - fortunatamente - molto più in là.

«Lo sai che teoricamente non possiamo, vero?» gli fece notare, quando l’eco dell’esplosione le permise di farsi sentire.

«Lo so» rispose lui, con la stessa snervante noncuranza di poco prima.

Erano entrambi piuttosto tranquilli, per essere nel bel mezzo di una storica rivoluzione che contava numerose vittime in un bagno di sangue tanto famoso da far parte di proverbi oscuri in almeno quattro sistemi. «Ehi, sono io quello che lo dice, di solito» aggiunse, quasi offeso, come se lo avesse appena notato.

Come aveva appena notato quanto fosse decisamente fastidioso sentirselo dire.

Proseguirono alla svelta per qualche centinaio di metri, tra fischi ed esplosioni, facendo in modo di tenersi meno in vista possibile in un momento in cui entrambe le fazioni si stavano divertendo ad eliminare qualsiasi cosa si muovesse.

«Dottore, storicamente queste persone sono morte!» continuò il Corsaro, quando l’aria cominciò ad essere così satura di morte, polvere ed adrenalina da diventare quasi irrespirabile. C’era ancora, probabilmente, la possibilità di tornare indietro, ma era veramente difficile che ormai questo accadesse. Ciononostante, il Corsaro sembrava voler fare un tentativo: «Il Tempo ha già inglobato la loro morte».

«Cosa, ora ti preoccupi dei paradossi?» le fece notare il Dottore, non senza gongolare. «Credi che sia più grave salvare delle persone e lasciarle nel proprio tempo, nella loro storia, piuttosto che resuscitarle da tutt’altra parte?».

Il Corsaro avrebbe chiaramente preferito avere qualche buon argomento con cui poter dissentire.

Ma non lo trovò.

Dunque sospirò, chiudendo gli occhi e, a giudicare dalla maniera furibonda con cui guardò il suo attuale compagno, sperando di sopravvivere abbastanza da poterlo uccidere lei con le sue stesse mani.

«Va bene ma… l’esplosione che li… be’, che li ucciderà… è essenziale che abbia luogo! Sarà ciò che porterà alla catena di eventi fino alla pace e la costituzione della nuova democrazia!».

«Ah, buon per loro!» rispose il Dottore, guardandosi intorno dal nascondiglio in mezzo alle macerie che avevano trovato per poter studiare meglio la situazione.

Era l’esplosione, il punto. Non le vittime. «Ho afferrato il concetto, Corsaro. Vuoi l’esplosione? Avrai un’esplosione».

   
 
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