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Autore: MerasaviaAnderson    27/02/2016    2 recensioni
•{Minilong di 3 capitoli ~ Post!Mockingjay/Epilogo ~ Pericolosamente angst ~ Leggermente OOC}
“Quando una Guerra finisce si iniziano a contare i superstiti, i vincitori, i vinti, gli orfani, chi ha perso troppo, chi non ha perso niente … o quasi.
Quando una Guerra finisce, anche i figli nati dai sopravvissuti possono perdere qualcosa. Quando una Guerra finisce si stabilisce chi sono gli eroi, chi sono i falliti, i dimenticati, i morti.
C’è chi è morto in partenza, chi resiste fino alla fine e chi sfugge alla Morte per tante volte.
E c’è solo una cosa che è certa: che la Morte non si scorda mai di chi l’ha presa in giro.”
«I ricordi ci uccideranno e ci terranno in vita al tempo stesso.»
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Cresta-Odair, Bimbo Mellark, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Unafraid

Capitolo I:
LA CADUTA
 
 
L’udir d’un colpo di tosse fece sobbalzare la donna seduta in un angolo del grande letto, facendole volgere lo sguardo verso il volto del marito che giaceva stanco accanto a lei, steso e raggomitolato nelle coperte a causa del freddo pungente che gli percorreva il corpo.
Appariva sempre giovane e bella, Katniss Everdeen, illuminata solo d’una flebile luce di una abat-jour accesa in un angolo della stanza. Ma il volto della donna – seppur giovane – appariva notevolmente provato, non da una malattia, ma d’una atroce sofferenza che ben aveva conosciuto in vita sua.
La mano dell’amato si era spostata sulla sua, stringendola flebilmente per via della poca forza che gli era rimasta in corpo.
«Katniss» mormorò il giovane, iniziando ad agitarsi e provando a sedersi mentre emetteva un gemito di dolore e una lacrima macchiava il suo volto quasi glabro.
«Peeta, non devi sforzarti.» gli disse la moglie quasi con un tono di rimprovero nella voce mentre aggiustava la coperta che stava cadendo da un lato.
«Voglio guardarti in volto, Kat.» sussurrò Peeta con voce roca, cercando di avvicinare il suo viso a quello dell’amata per poterlo vedere meglio
E anche Katniss s’avvicinò, prendendo il suo corpo febbricitante tra le braccia e posandogli un bacio sulla fronte calda. Gli accarezzava con amore i riccioli dal color del sole, mentre l’uomo era perso nel guardare il suo volto con gli spenti occhi azzurri, con quell’accesa sfumatura blu che, nonostante la malattia, nonostante le sofferenze e gli infiniti dolori mai aveva perso il suo splendore.
«Katniss, io so … »
«Peeta, ti prego, so cosa stai per dirmi, ma … » cercò di interromperlo mentre provava a trattenere le lacrime tirando su col naso. Mai aveva voluto mostrarsi debole di fronte a lui.
«No, non interrompermi, Kat. Non anche questa volta che sai già come andrà a finire.»
«Peeta … » si limitò a singhiozzare, poggiando la sua fronte su quella del marito e tempestando il suo volto bollente di dolci carezze.
«So che non vedrò la luce del giorno domani.»
«Peeta, ti prego non-» continuò a singhiozzare, ma ancora una volta l’uomo le impedì di pronunciare le sue suppliche.
«Voglio stare con i bambini.» sussurrò, sopprimendo un gemito di dolore mentre cercava di mettersi più comodo sul guanciale «Ti prego, Kat, voglio stare con i miei bambini.» due calde lacrime rigarono improvvisamente le sue guance mentre la stretta di Katniss si faceva sempre più forte sulla sua mano, decisa a non lascialo andare, a non far portar via anche lui dalla morte.
«Resta con noi, Peeta.» farfugliò la giovane, sulle guance della quale ormai le lacrime erano ben evidenti e continuavano a scendere copiose.
«Resterò sempre con voi» le rispose, facendo comparire sul volto l’ombra di un sorriso e posando una delle sue grandi mani sul cuore della donna «qui dentro, se voi lo vorrete.»
«Peeta, perché proprio a noi?» gli chiese da donna, prendendogli la mano che lui aveva poggiato sul cuore.
«Sono scappato alla morte così tante volte, Katniss … Forse è così che doveva andare.» sul volto di Peeta Mellark si formò un sorriso rassegnato, ormai consapevole che la sua vita sarebbe finita a breve, che il destino lo stava richiamando a sé per essergli sfuggito fin troppe volte.
«Vado- Vado a chiamare i bambini.» si riprese Katniss, alzandosi dal letto mentre si liberava da ogni contatto fisico che aveva con il marito «Saranno felici di stare con te.»


Katniss sentiva chiaramente le risate e i suoni divertiti dei suoi figli provenire dalla camera da letto. Non aveva coraggio di entrarci, di poter godere della dolce immagine di Peeta che giocavano con i loro bambini per quella che forse sarebbe stata l’ultima volta. Non voleva neanche pensarci.
S’alzò dal divano e si mosse velocemente verso il telefono che era posizionato su un mobiletto lì vicino, compose distrattamente un numero e aspettò con le lacrime agli occhi fino a quando qualcuno non le rispose dall’altro capo.
«Pronto?»
«Mamma, devi venire subito qui.»
«È successo qualcosa Katniss?» domandò la donna assumendo un tono preoccupato nella voce.
«Tu vieni e basta, ti prego.» Katniss tirò su con il naso, asciugandosi l’unica lacrima che aveva osato varcare la soglia dei suoi occhi grigi.
«D’accordo, sto arrivando.»
Katniss riattaccò senza neanche salutarla, appoggiandosi al mobile un po’ traballante e coprendosi il volto con le mani.
Ellen Everdeen si era trasferita provvisoriamente al dodicesimo distretto qualche mese prima, quando la malattia di Peeta si era aggravata e lui aveva rifiutato di farsi curare a Capitol City. Katniss aveva bisogno di una mano esperta in medicina e la signora Everdeen aveva colto quell’occasione per provare a riallacciare i rapporti con la sua unica figlia rimasta.
Il campanello suonò e Katniss si vide costretta a distogliersi dai suoi pensieri per andare ad aprire: Haymitch.
Era leggermente brillo e teneva in mano la sua solita fiaschetta argentata, aveva diminuito le dosi di alcool dopo che erano nati Katherine e Ryan Mellark, ma nei momenti più brutti continuava a trovare consolazione in una bottiglia di liquore.
«Buon pomeriggio, Dolcezza, che si dice?» esordì il mentore entrando in casa e gettandosi a capofitto sul divano.
«Non si dice niente, Haymitch.» rispose lei con un tono duro e intransigente, era evidente che in quel momento non volesse avere a che fare con le solite battutine del suo mentore.
«Che succede, Dolcezza, ci siamo svegliate con il piede sbagliato stamattina?»
«Potrebbe non arrivare a domani mattina.»
Haymitch comprese all’istante … E fu in quel momento, dopo quella dura affermazione, che il viso dell’uomo cambiò completamente. L’espressione mezza rilassata che aveva scomparve e con lentezza e incredulità s’alzò dal divano scomodo, posando la fiaschetta sul tavolino basso di fronte a lui.
«Dov’è adesso?» domandò l’uomo, strofinandosi gli occhi che sentiva pungere.
Il suo ragazzo.
Nel cuor suo, Haymitch Abernathy aveva sempre avuto una flebile speranza che Peeta sopravvivesse, nonostante sapeva bene che l’unica possibilità di guarigione sarebbe dovuta essere un miracolo.
«È in camera, con i bambini.» disse Katniss, strofinandosi le mani sui pantaloni e tenendo lo sguardo basso «Dice di voler stare un po’ con loro prima di … »
Il campanello suonò nuovamente e bloccò le parole di Katniss, che repentinamente s’alzò per aprire alla madre che era appena arrivata.
«Cosa è successo Katniss, mi vuoi spiegare?» domandò Ellen Everdeen con il fiato corto, mentre legava i capelli ingrigiti dal tempo.
«Peeta sta morendo.» disse secca mentre chiudeva rumorosamente la porta di casa «Peeta sta morendo e … » copiose lacrime iniziarono a bagnarle il viso, i singhiozzi avevano iniziato a scuoterle il corpo, stringeva fitti i pugni lungo i suoi fianchi.
«Katniss, vuoi che faccia qualcosa? Vuoi che lo visiti? Che-»
«No, mamma. È in camera con Katherine e Ryan, vuole stare con loro.» voltò le spalle a sua madre ed Haymitch per asciugarsi le lacrime e tornò ad incamminarsi verso il mobiletto del telefono «Scusatemi, devo chiamare Johanna.»
Katniss frugò tra le pagine della rubrica telefonica per trovare il numero della donna che si sentiva in dovere di chiamare. Johanna Mason aveva fatto molto per Peeta e lui aveva fatto tanto per lei, si erano sostenuti a vicenda, si erano aiutati.
Anni e anni prima, quando Peeta era caduto in una profonda depressione Katniss era stata costretta a chiamarla. Solo lei poteva comprenderlo, solo lei aveva passato ciò che aveva passato il suo Ragazzo del Pane.
Compagni di urla.
E non erano state poche le volte in cui Peeta era dovuto correre d’urgenza al Distretto 4, dove Johanna viveva assieme ad Annie e il piccolo Finnick jr, per metterla di forza sotto una doccia e risvegliarla dai suoi incubi che qualche volta andavano a trovarla.
Passò un po’ di tempo prima che Johanna rispondesse con la solita voce acuta e menefreghista, la sua solita risata camuffata.
«Pronto?»
«Johanna, sono Katniss.»
«Oh, ma guarda tu chi si fa sentire! La ragazza di fuo-»
«Johanna devi venire subito qui.» la interruppe bruscamente, con un tono di voce che non sembrava neanche suo.
«Calma, calma, Everdeen. Cosa succede?» chiese e immediatamente il suo tono di voce si fece più serio.
«Peeta sta molto male, devi venire qui.»
«D’accordo,» rispose prontamente Johanna Mason, una leggera ansia si poteva percepire nella sua voce e il menefreghismo che Katniss sentì all’inizio della chiamata era completamente scomparso «prendo il primo treno, uno di quelli veloci che vengono da Capitol. Dovrei essere lì entro un’ora.»
Effettivamente il Distretto 12 e il Distretto 4 non erano molto lontani.
«Grazie, Johanna.» riuscì a mormorare Katniss quando ormai il suo volto era nuovamente rigato di lacrime e la sua voce rotta da esse.
«Cerca di non prosciugarti i condotti lacrimali, Everdeen. »
«Ti aspetto Johanna, ti prego fa’ presto.»
«Non preoccuparti, Ragazza di fuoco» stranamente Katniss riuscì a sentire una strana premura verso di lei nella voce della vincitrice «sarò lì al più presto.»


«MAMMA! MAMMA!» una minuta bambina dalle treccine scure correva piagnucolante per il corridoio della piccola casa Mellark-Everdeen, correva più veloce che poteva e urlava quanto più forte potesse urlare, fino a quando Katniss non le andò incontro allarmata e la strinse tra le braccia.
Batteva forte il cuore di Katniss. Fortissimo.
«Cosa succede, Rirì?» le domandò con un bruttissimo presentimento nel cuore.
«Papà sta tanto male mamma! Stavamo giocando con Ryan e … » 
Katniss non aspettò neanche che sua figlia finisse di parlare, si staccò da lei e si precipitò immediatamente nella camera da letto.
Il cuore della donna ebbe un tuffo, sprofondò in un baratro profondo nel vedere il corpo del marito scosso da numerosi spasmi, la voce che provava ad uscire invano, qualche rivolo di sudore che scendeva sulla sua fronte e bagnava i riccioli biondi.
Il piccolo Ryan picchiettava la manina sulla spalla del padre e lo chiamava ripetutamente, completamente inconscio della situazione.
Era arrivato il momento.
Katniss si gettò sul corpo di Peeta, stringendolo forte al suo, provando a godere di quegli ultimi momenti in cui poteva dargli ancora una volta il suo amore. Quanto avrebbe voluto scambiare la vita di Peeta con la sua …
«Amore mio, va tutto bene.» farfugliò tra i singhiozzi e le lacrime mentre si inebriava per l’ultima volta del suo persistente odore di lievito e cioccolato. Posò qualche bacio sul suo collo e il suo animo crollò completamente quando con le ultime forze che Peeta aveva in corpo provò ad accarezzarle i capelli.
Erano sciolti.
Peeta amava quando portava i capelli sciolti.
Peeta amava farle la treccia la sera.
Peeta l’amava.
«Ti amo, Kat.» mormorò flebilmente, la sua voce era stanca, spezzata … ma per Katniss restava sempre la voce che le aveva dato la possibilità di rinascere, di riemergere dagli incubi, di vivere una vita che lei pensava di non meritare.
«Shh, Peeta» gli intimò di far silenzio portando una mano sul suo viso sudato, accarezzandogli milioni di volte quelle guance magre, con poca barba, che tante volte aveva baciato «non devi sforzarti, okay?»
«Gu-Guardami negli occhi.» era ormai allo stremo delle forze, Peeta sentiva la vita che stava lasciando il suo corpo, la stanchezza che lo stava atterrendo, ogni emozione che lo stava abbandonando.
«Sì, ti guardo negli occhi.» gli rispose Katniss che, per quanto doloroso fosse per lei, aveva puntato il suo sguardo nelle iridi azzurre del marito.
Quei meravigliosi occhi con le sfumature blu, che troppe volte erano diventati neri, adesso facevano una fatica immane a restare aperti.
Da quegli occhi sgorgavano lacrime, lacrime di un uomo troppo giovane per lasciare la vita, per essere costretto ad abbandonare le persone amate.
E mentre Katniss accarezzava i suoi capelli biondi e il suo viso latteo, mentre gli sussurrava parole che non riuscivano ad arrivare più alle sue orecchie Peeta la rivide: rivide il suo innocente volto da bambina, le sue lunghe treccine scure, il suo acceso vestito scozzese.
Rivide la Katniss Everdeen di cui per la prima volta in vita sua si era innamorato.
Così, con quell’immagine ancora impressa nella mente, il suo sguardo s’appannò, fino a diventare completamente bianco e nullo.
Si beò di quel ricordo, e poi smise di guardarla.*
E quando sentì l’ultimo respiro esalarsi dalla bocca di Peeta, quando percepì il suo petto che non s’alzava e non s’abbassava più, quando tutti i suoi muscoli si rilassarono Katniss lanciò quell’urlo.
Un urlo di dolore, di frustrazione, l’urlo di una persona che aveva perso il suo appiglio in mezzo al cielo e che ora stava cadendo a picco verso un qualcosa di sconosciuto.
Tra le braccia dell’inferno.
Le lacrime non si fermavano più, ma non le importava … Non quando stringeva al suo corpo il cadavere del marito.
Continuò a piangere fino a quando un rumore di singhiozzi la fece voltare.
E li vide tutti lì: Katherine che si nascondeva terrorizzata dietro le gambe di Ellen Everdeen, Haymitch che piangeva lacrime amare mentre stringeva a sé il piccolo Ryan, che fortunatamente non era grande abbastanza da comprendere la situazione
«Che cosa ci fate tutti qui?» riuscì a sussurrare a mala pena Katniss, non cercando neanche più di asciugarsi le lacrime, di trattenere quell’immane dolore che le stava facendo scoppiare l’animo dall’interno, che poco a poco stava consumando anche lei nelle sue fiamme roventi, le fiamme della Madre Suprema.
«Katniss, tesoro … » Ellen Everdeen provò a consolare la figlia avvicinandosi a lei, ma ella repentinamente la bloccò con un brusco cenno di mano.
«Andate tutti via!» esclamò all’improvviso, mentre la piccola Katherine scoppiava in lacrime affondando il viso nella gonna della nonna «Andate via, vi prego, voglio restare da sola con lui.»
«Ma Katniss» provò a controbattere nuovamente la donna, inginocchiandosi un po’ a fatica per consolare la nipotina «non puoi … Insomma, Katniss non credo che … »
Haymitch la forza di parlare non l’aveva nemmeno, piangeva silenziosamente stringendo a sé il bambino che per lui era come un nipotino, che somigliava così tanto al padre, al suo ragazzo, al sedicenne Ragazzo del Pane spaventato che aveva conosciuto per gli Hunger Games, al diciassettenne che ha dovuto passare le pene dell’inferno nella Capitale, che aveva perso se stesso, all’uomo meraviglioso che era diventato trovando dentro di sé il coraggio di rinascere e vivere di nuovo.
«Tu sai come ci si sente, mamma» gracchiò Katniss con la voce spezzata. Tutto di lei sembrava cadere a pezzi «tu sai quanto avremmo voluto piangere accarezzando un’ultima volta il volto di papà. Tu sai cosa si prova a perdere una delle persone che hai amato più di ogni altra cosa al mondo.» si voltò verso il letto, non riuscendo più a sostenere lo sguardo della madre che si era inumidito nel sentir la figlia parlare del suo defunto padre. Katniss sedette accanto al corpo del marito e gli prese una delle grandi mani, costellate di cicatrici, bruciature e le grosse vene in cui lei tanto amava immaginare sentieri sconosciuti, guardava con rassegnazione il suo volto pallido e le labbra incrinate in un debole sorriso.
Sapeva che sarebbe successo, eppure perché faceva così male?
«Io adesso ho solo bisogno di piangere Peeta, quindi – vi sto pregando – andate via.» e non guardò nessuno negli occhi quando lo disse, tenne lo sguardo puntato sul volto del suo Amato e mentre iniziò a carezzargli i riccioli riuscì a sentire i singhiozzi di Katherine mentre usciva dalla porta assieme ad Ellen Everdeen, Haymitch e di conseguenza il piccolo Ryan.
Cosa avrebbe ricordato quel bambino di suo padre?


Katniss era ancora chiusa nella camera da letto quando il campanello di casa suonò nuovamente, subito Ellen Everdeen andò ad aprire e una donna da un caschetto biondo acceso e una vistosa pelliccia fece capolino nella casa.
Effie Trinket non era cambiata molto in quegli anni, ma un’ingenua espressione nel suo volto truccato faceva trasparire una notevole preoccupazione per la chiamata che precedentemente aveva ricevuto da Haymitch.
Ormai lo conosceva troppo bene per comprendere dalla sua voce che qualcosa non andasse per il verso giusto.
Entrò lentamente nel salotto dove vi era anche il mentore che scambiava indiscreti sguardi di intesa con la signora Everdeen.
Allora, cercando di celare ogni sua emozione e di nascondere i residui di lacrime sulle guance, Haymitch accolse la vecchia collega, stringendola in un caloroso abbraccio.
Strano, per Haymitch.
«Haymitch, c’è qualcosa che non va?» chiese subito la donna, guardandosi intorno.
«Senti, dolcezza, devo parlarti un secondo di una cosa. Seguimi.»
Con timore Effie seguì l’uomo lungo una parte dell’adiacente corridoio decisamente poco illuminato, notò l’espressione impaurita di Haymitch mentre sembrava cercar le parole nella sua testa di quello che sembrava essere un discorso molto difficoltoso.
«Okay, Effie, diciamo che il Panettiere ci ha giocato un brutto scherzo.» dichiarò, cercando di guardare la donna negli occhi mentre tirava su con il naso.
«Oh Santo Cielo! Povero Peeta! Adesso sta bene? Sta riposando? Katniss è con lui?» iniziò una serie di assillanti domande con il suo leggero accento capitolino e la sua voce molto squillante. Ogni domanda era come una coltellata al cuore per il mento.
«Vedi, Effie, io … Senti, dolcezza» cercò di trattenere le lacrime il più possibili e abbassò lo sguardo verso il pavimento «il Panettiere ci ha giocato un brutto scherzo e … Questa volta non ce l’ha fatta, Effie.»
Un’espressione di incredulità si formò sul volto della donna, numerose lacrime iniziarono a rigarle il viso mentre si lanciava tra le braccia di Haymitch che la stringeva forte. Come avrebbero fatto a reggere una pena così grande?
«Dove- dove sono i bambini?» Singhiozzò la donna sulla spalla del mentore.
«Sono in camera loro, Ryan non ha capito cosa è successo, ma Katherine … Lo sai, entrambi erano molto affezionati a Peeta. Forse lei ha già capito tutto, ma non sappiamo come dobbiamo spiegare a Ryan che non vedrà più suo padre. È ancora così piccolo … »
A interrompere quel momento fu nuovamente il suono insistente del campanello, era lungo, continuo ed Haymitch immaginava già chi potesse essere.
Johanna Mason fece la sua entrata in scena con uno zaino blu in spalla, i capelli scompigliati e un gran fiatone.
«Scusate, ho cercato di fare il prima possibile, ma Finn jr ha iniziato a fare storie che voleva venire anche lui e … Niente, è successo uno dei soliti bordelli.» spiegò affannata per poi gettare malamente lo zaino sul divano «Cosa è successo? Peeta sta meglio?»
Ellen Everdeen, Effie Trinket ed Haymitch Abernathy subito calarono lo sguardo amareggiati: come spiegare a Johanna Mason che Peeta era morto quando neanche loro riuscivano ad accettarlo?
Come spiegare a quella donna distrutta che l’uomo che tante volte l’aveva aiutata e che a cui aveva dato aiuto a sua volta ormai non era altro che un corpo pallido?
«Johanna, ascolta,» iniziò Ellen, forse la persona più adatta per quella situazione e con più sangue freddo, essendo la più distante a Peeta «purtroppo questa volta Peeta non ce l’ha fatta.»
«Cosa cazzo significa che non ce l’ha fatta?» urlò, mentre spalancava gli occhi e si girava bruscamente verso la signora Everdeen.
«Johanna, mi dispiace … So quanto eravate legati, ma è successo: Peeta non ha superato la crisi.»
«Le dispiace?» biascicò la donna con gli occhi gonfi di lacrime «Lei l’ha sempre odiato.»
«Mi sono-» cercò di giustificarsi, ma fu bloccata immediatamente da Johanna che la guardò con disprezzo.
«Senta, eviti giustificazioni e parole di conforto. Non servono.» le rispose mentre le lacrime iniziavano a scorrere sul suo volto.
Se era uno scherzo era decisamente di cattivo gusto.
«Dov’è ora?» continuò «Dov’è Katniss?»
«Sono in camera da letto.» ammise Haymitch, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento.
Non voleva vedere il dolore, non negli occhi di Johanna Mason.
Johanna iniziò a correre verso la camera da letto, gettando incurante il giubbotto di pelle sulla testiera del divano e asciugandosi le lacrime sulle gote rosse dal freddo.
Non poteva essere morto, non Peeta.
Voleva pensare che fosse semplicemente svenuto, che si fossero sbagliati tutti … Voleva pensare che fosse soltanto un incubo e che presto si sarebbe svegliata nella sua casa al Distretto 4.
Fece irruenza nella camera dalle pareti verdi, dove vi era ancora l’abat-jour accesa a dare un po’ di luce … e lo vide: vide Peeta steso sul letto, la sua carnagione troppo pallida per essere normale, la testa in una posizione quasi innaturale, un ricciolo biondo che cadeva sulla sua fronte.
Il suo respiro si fece ancor più affannato, non si curò di Katniss che si era girata per farle qualche domanda, non la voleva ascoltare.
Nuovamente le lacrime iniziarono a bagnare il suo volto, si portò le mani alla bocca incredula, voleva solo cadere a terra e piangere.
Perché Peeta?
«Everdeen … » singhiozzò, incrociando gli occhi grigi di Katniss.
«Johanna, mi dispiace … » tentò di rispondere la donna «In fondo è colpa mia, Johanna. Non ha voluto andare a Capitol a curarsi ed io non ho battuto ciglio. Prenditela con come, merito di morire anche io.»
Johanna restò stupita a quella frase, ma non esitò a prendere tra le braccia Katniss quando scoppiò in un lungo e doloroso pianto.
«Non è colpa tua, Everdeen.»
«Avrei potuto cercare di convincerlo, sarebbe potuto vivere di più, avrei … ma ero spaventata anche io Johanna! Ero spaventata di tornare lì quanto lui!» quasi urlò, stringendosi tra le braccia di quella che poteva considerare una specie d’amica.
«Peeta ha solo fatto le sue scelte, Katniss.» la voce della Mason si incrinò, le lacrime ancora non la lasciavano andare «E tu gli sei stata accanto fino alla fine, non devi darti nessuna colpa. L’hai salvato dalla morte centinaia di volte, stavolta non hai semplicemente potuto far nulla. Nessuno poteva.»
Calò il silenzio nella stanza, riempito solo da i respiri di Johanna e Katniss che davano una delle ultime carezza al volto freddo dell’Uomo del Pane.
Johanna non riusciva a darsene pace, poche volte nella sua vita aveva sentito un dolore così grande.
Come lo avrebbe detto ad Annie?
La dolce e fragile Annie, che poteva commettere una sciocchezza in qualsiasi momento … come avrebbe resistito ad una notizia tale?
Finnick jr ne sarebbe morto.
Il suo amato zio Peeta, l’uomo che l’aveva cresciuto come se fosse suo figlio, l’uomo in cui vedeva una vera figura paterna fin da quando era bambino … lui, che era stato il primo – dopo Katniss – a sapere della sua malattia e di quanto poco tempo gli restasse da vivere.
Si era preoccupato tantissimo quando Johanna gli aveva detto che sarebbe dovuta andare al Dodicesimo distretto, aveva iniziato a inveire contro la donna, pretendendo di andare con lei.
Ma Finnick jr sapeva.
Sapeva che il tanto temuto momento stava per arrivare e che non avrebbe avuto più l’occasione di essere stretto tra le braccia dallo zio Peeta.
Da un lato, Johanna si pentì amaramente di non averlo fatto venire con sé.
Continuava a voler pensare che tutto quello fosse solo un incubo, ma quando poggiò la sua piccola mano su quella gelida di Peeta s’accorse che mai si sarebbe svegliata sudata e impaurita nella sua camera da letto.
La mano fredda di Peeta era reale, il suo volto pallido era reale, il suo petto immobile era reale.
Quella non era altro che l’amara realtà.


Katniss era seduta sul letto di Katherine, con la bambina all’apparenza terrorizzata tra le sue braccia, assieme a Ryan che giocherellava con il lembo del suo maglioncino.
Come avrebbe potuto dire quelle cose ai suoi figli?
Come avrebbe potuto dire loro che il loro padre non sarebbe tornato mai più perché la Morte l’aveva preso con sé?
Non si era mai preparata a quel momento, non ci aveva mai voluto pensare.
«Rirì, ascoltami.» disse improvvisamente alla bambina, cercando di mantenere la voce ferma «Tu sai che papà stava tanto tanto male, vero?»
Katherine annuì, tenendo lo sguardo basso e stringendo le mani della madre.
«Lui è andato nel Cielo, mamma?» le domandò, asciugandosi una lacrima con un braccio «Quel Cielo dove c’è il Prato della canzone?»
«Sì, amore mio.» le confermò, prendendola nuovamente tra le braccia e stringendola forte a sé «Ora lui è nel Prato della canzone e protegge tutti noi da lassù.»
«Non può tornare, vero mamma?»
«No, Rirì, ma continua ad amarti, proprio come ama me e tuo fratello.»
La bambina scoppiò in un sonoro pianto, stringendosi al petto della madre che piangeva mentre abbracciava i suoi due bambini.
Katherine non riusciva ad accettare quell’idea, voleva trovare un modo per andare a trovare il suo papà in quel Prato, voleva poterlo abbracciare di nuovo, ridere quando le gote del suo volto latteo diventavano rosse in contatto con il freddo.
Era un’idea inammissibile per una bambina così piccola accettare la morte del proprio padre.
E Katniss conosceva fin troppo bene quella sensazione.
«Pa-pa Pra-to?» balbettò Ryan, alzando lo sguardo inconsapevole verso la madre.
«Sì, tesoro, è nel Prato.»
Katniss Everdeen stringeva forte a sé i suoi figli, in quel momento la paura di perdere anche loro era tale che se avesse potuto li avrebbe fatti entrare dentro il suo cuore solo per saperli più a sicuro.
La casa era silenziosa, Effie dormiva nella stanza degli ospiti, Johanna si era arrangiata nel divano … Haymitch forse era tornato in casa propria ad ubriacarsi, a scordare quel maledetto giorno.
Nessuno aveva avuto cuore di allontanarsi da quella casa, solo Ellen Everdeen era dovuta correre in città per curare un bambino.
Poco prima avevano chiamato Finnick jr per avvisarlo, la sua reazione era stata indescrivibile, quasi peggio di quella di Johanna.
Le urla del ragazzo al telefono si erano sentite per tutto il soggiorno, faceva così male per tutti sentirlo urlare in quel modo.
Lui ed Annie sarebbero arrivati la mattina per il funerale.
Katniss si chiedeva come sarebbe riuscita a sopportare tutto quel dolore per l’ennesima volta, si chiedeva come sarebbero cresciuti i suoi figli senza Peeta accanto, come sarebbero trascorsi i giorni da quel momento in poi.
Si chiedeva chi l’avrebbe protetta dagli incubi la notte, a chi avrebbe accarezzato i capelli la mattina … quanto le sarebbero mancati i baci del Ragazzo del Pane, il loro amore, i loro momenti con i bambini.
Ma ormai la Chera era arrivata e non v’era più nulla da fare.
Adesso era lei a cullare Peeta tra le sue braccia.


 
FINE CAPITOLO I


 
 
*Cit. di “Peeta la guardava”.

 


Note d’Autrice:
Sì, questa Minilong si è fatta attendere un po’, lo ammetto, ma vi assicuro che non è stata sicuramente semplice da scrivere e ha bruciato cinque dei sei neuroni attivi che mi erano rimasti.
Ma parliamo del capitolo, non voglio stare qui a dilungarmi: sì, ho ucciso Peeta.
Chi mi segue, già conoscerà la mia teoria dei 37 anni di Peeta, ma la spiego per qualche evidente nuovo lettore che si è imbattuto in questa storia.
Nella mia testa malefica Peeta Mellark muore giovane, precisamente a 37 anni per il semplice motivo che le torture subite nella Capitale sono troppo per il suo corpo e per la sua mente, anche perché sono del parere che il depistaggio lo danneggerà permanentemente.
Come dico sempre, penso che sia un ragazzo che deve imparare a convivere con un maledetto demone dentro l’anima.
Lo so, Johanna è un tantino OOC, ma sotto certi punti di vista vedo lei, Peeta ed Annie così legati che non riuscivo ad immaginare una reazione diversa ad una tale notizia.
Come avrete anche capito, Peeta era una figura di riferimento per Finnick jr, quindi vi lascio solo immaginare la sua reazione … be’, vi dico solo che nella mia testa è così straziante che non sono riuscita a scriverla.
Ci tenevo a precisare che per l’introduzione sono stata ispirata dalla Storia dei Tre Fratelli di J. K. Rowling e niente, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e di ricevere qualche parere.
Be’ … Adesso non credo di aver nient’altro da dire.
Alla prossima settimana!
E possa la fortuna sempre essere in vostro favore.
_merasavia.

 
   
 
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