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Autore: 9Pepe4    27/02/2016    5 recensioni
«Per ora, il tuo compito è aumentare la sorveglianza ed occuparti di Sméagol».
Tauriel aggrottò la fronte. «Sméagol?»
«Gollum» rispose Thranduil. «Pare fosse questo il suo nome, un tempo».
Lei pensò alla pallida creatura nelle loro segrete e rabbrividì d’inquietudine e disgusto. «Che cosa gli è accaduto, mio signore?»
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Gollum/Smeagol, Legolas, Smeagol, Tauriel, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non tutti gli erranti sono perduti'
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Terza parte

Una notte d’estate, Tauriel decise di scendere nelle segrete a controllare che fosse tutto in ordine. Oltrepassò la cella di Kíli senza guardarla, ma la pietra runica fu subito nella sua mano – era diventato un riflesso, ormai.
Le due guardie davanti alla cella di Gollum si raddrizzarono di scatto nel vederla avvicinarsi… e Tauriel si accigliò nel vedere che dietro le sbarre non c’era nessuno.
«Dov’è Gollum?» domandò, fissando le guardie con aria inquisitoria.
Loro parvero a disagio. «È sul solito albero, capitano».
«A quest’ora?» chiese Tauriel, accigliandosi.
«Si era rifiutato di scendere… Ci sono delle sentinelle con lui, però. Noi aspettiamo nel caso riescano a convincerlo a rientrare».
Delle sentinelle si trovavano con lui? Quali e quante? E soprattutto, dove avrebbero dovuto trovarsi anziché ai piedi del faggio?
«Arrampicarsi per prenderlo era così difficile?» chiese Tauriel, più aspramente di quanto avesse voluto.
Le due guardie sussultarono e lei sospirò.
«Non importa» disse, rigirandosi rapidamente la pietra tra le dita. «Voi restate qui, io vedrò cosa posso fare».
Salì i gradini per uscire dalle segrete e si infilò la pietra runica nella tasca interna all’altezza del suo seno, quindi si diresse verso le porte del Reame Boscoso. Lungo il tragitto, chiamò a sé Inhel ed un altro Elfo Silvano che stavano facendo una partita a carte.
«C’è un problema con Gollum» disse loro e spiegò cos’era successo mentre si dirigevano fuori dalle sale del Reame Boscoso.
Era una notte tranquilla; soffiava una brezza tiepida e leggera che frusciava appena tra le fronde degli alberi, e il cielo che s’intravedeva tra le foglie era blu scuro, privo di luna e stelle.
Tauriel camminava con Inhel alla propria destra e l’altro Elfo alla propria sinistra. I loro passi producevano a stento un suono.
Erano quasi arrivati al faggio, quando una freccia sibilò attraverso l’aria e si conficcò nella gola dell’Elfo Silvano alla sinistra di Tauriel.
Lui si portò le mani al collo e stramazzò a terra, e lei si sentì mozzare il fiato in gola mentre Inhel si bloccava per capire cos’era successo.
Tauriel si riscosse ed afferrò il braccio dell’altra, gettandosi a terra con lei in tempo per evitare una nuova raffica di frecce.
Col mento premuto sul terreno, Tauriel tese una mano e la mise sul collo dell’Elfo Silvano colpito. Sentì sangue sotto le dita, e nessun battito.
Tauriel avvertì un vuoto allo stomaco, poi portò le mani ai propri pugnali e si girò verso Inhel, il cui volto era diviso tra orrore e determinazione.
Dopo un istante, quattro Orchi sbucarono dagli alberi dai quali erano arrivate le frecce, e Tauriel ed Inhel si alzarono per affrontarli.
Gli Orchi parvero presi alla sprovvista – forse avevano creduto di averli eliminati tutti e tre – ma risposero con ferocia all’attacco.
Tauriel disarmò e sgozzò il primo con un gesto fluido, consapevole dei movimenti di Inhel al proprio fianco, e decapitò il secondo mentre l’altra ne uccideva un terzo.
A sostegno dell’Orco rimasto, però, ne arrivarono altri, sbucando dagli alberi. Mentre impegnava anche loro, sempre affiancata da Inhel, Tauriel si rese conto che una lotta più violenta doveva essere in corso nei pressi dell’albero di Gollum. Anche se non riusciva a vederla, udiva delle urla e un clangore di armi.
Gli Orchi erano venuti per Gollum? Intendevano catturarlo, ucciderlo? Per un istante, mentre si abbassava per evitare un colpo, Tauriel si sentì nauseata da quell’idea.
Era più preoccupata per la propria gente, ma per un istante pensò anche a tutto ciò che Gollum doveva aver passato, a quei segnali di guarigione che aveva mostrato… Nella frazione di secondo successiva, realizzò che era probabile che non fossero lì per catturarlo, ma per liberarlo. Forse avevano addirittura con la sua complicità.
Se solo fosse riuscita a guadagnare un attimo di calma per permettere ad Inhel di correre a dare l’allarme, pensò, abbattendo un altro Orco e mettendosi schiena contro schiena con la compagna così da guardarsi le spalle a vicenda.
Sembravano arrivarne sempre di più, feroci e rumorosi. Tauriel realizzò che non erano abituati a combattere in una foresta… Le avevano attaccate in un piccolo spiazzo, e lei iniziò a spostarsi poco a poco verso gli alberi – non sapeva se Inhel avesse capito o no il suo piano, ma in ogni caso stava assecondando i suoi movimenti.
Stringendo la mascella, Tauriel conficcò i pugnali nel collo dell’Orco di turno, e del sangue nero le schizzò sulla faccia… Poi, finalmente, si ritrovarono tra gli alberi.
Era stata una buona idea: con un ridotto spazio di manovra, gli Orchi parevano più lenti ed impacciati – l’arma di uno si piantò nel tronco di un albero, e mentre lui cercava di liberarla con mille grugniti, Tauriel gli tagliò la gola.
Alla fine, forse qualcuno riuscì a chiamare aiuto, o forse dal Reame Boscoso si accorsero che qualcosa non andava, fatto sta che di lì a poco Tauriel ed Inhel furono raggiunte da altri Elfi.
Forti dell’arrivo dei loro alleati, combatterono con rinnovato vigore. Senza fermarsi, Tauriel gridò alcuni ordini in Sindarin alle guardie più vicine. Se gli Elfi Silvani avevano dapprima combattuto in modo quasi caotico, ora parvero trovare un ritmo comune, serrando i ranghi, supportandosi l’un l’altro.
Ad un certo punto, a Tauriel parve di cogliere un guizzo dei capelli biondi di Legolas con la coda dell’occhio, e provò l’impulso di andare al fianco del principe. Poi, però, rimase accanto ad Inhel. Ormai i loro movimenti si erano sincronizzati, e riuscivano ad avvertirsi di potenziali minacce con rapide gomitate o brevi esclamazioni.
Finalmente, qualche ora prima dell’alba, gli Orchi rimasti fuggirono o furono uccisi.
Tauriel si guardò attorno con aria vigile, quindi – senza rinfoderare i pugnali – si voltò verso Inhel. Quest’ultima aveva del sangue incrostato tra i capelli e lungo il sopracciglio destro, ma sembrava incolume.
«Stai bene?» le domandò Tauriel, ed Inhel annuì stringendo le labbra.
Gli Elfi attorno a loro continuavano ad osservare la foresta, per niente persuasi che lo scontro fosse davvero finito. Tauriel ricordò Gollum e, dopo aver dato ordine di occuparsi dei feriti ma di restare in guardia, si diresse verso il faggio, seguita da Inhel.
Quando giunsero alla radura dove cresceva la pianta, si arrestarono di colpo. Il terreno era ingombro dei cadaveri delle sentinelle. Erano una decina: alcune giacevano a faccia in giù, altre fissavano verso il cielo senza vederlo.
Legolas, che si trovava in piedi accanto all’albero, si volse verso Tauriel e Inhel con espressione cupa, dolorante. «Sméagol è scomparso».
Tauriel inghiottì un paio di volte, rinfoderando infine i propri pugnali. «Credi che…?»
«Sì» rispose lui, pallido in volto. «Potrebbe essersi trattato di un piano per liberarlo».
Tauriel fece per parlare, ma in quel momento udì un gemito strozzato accanto a sé e si voltò.
Inhel si era portata le mani davanti alla bocca, e fissava con orrore i cadaveri delle sentinelle. «Oh, no» la sentì dire Tauriel. «No, no, no».
Il capitano si accigliò. «Inhel?» la chiamò. Non l’aveva mai vista tanto sconvolta.
L’altra si girò a guardarla, lasciando ricadere le mani e prorompendo: «È stata colpa mia. È stata colpa mia!»
Tauriel sentì che Legolas faceva un passo in avanti. Un tempo, si sarebbe fatta da parte e avrebbe volentieri affidato al principe il compito di consolatore. Adesso, però, allungò una mano ad afferrare il braccio di Inhel.
«Sono stata io a proporre di lasciar uscire Sméagol» proseguì Inhel, gli occhi ingigantiti per lo shock. «Se non lo avessi fatto…»
Tauriel strinse la presa sul suo braccio. «Non essere sciocca» le disse. «Non è stata solo una tua idea».
«È stata colpa mia» continuava a ripetere Inhel, allora Tauriel la allontanò dalla radura e la fece sedere per terra.
«Respira» le disse, più gentilmente che poté, accovacciandosi di fronte a lei. «Respira».
«Loro non possono più farlo!» gridò Inhel, con voce strangolata. «Sono stata così stupida…»
Tauriel avvertì una fitta al cuore. «Non sei stata stupida» le disse. «Hai provato pietà, e questo non è mai stupido».
La capiva sin troppo bene. Ripensando all’empatia che aveva provato per Gollum, all’orrore davanti all’idea che gli Orchi lo catturassero, si sentì invadere da un misto di collera e vergogna.
Inhel emise un suono sarcastico sul fondo della propria gola. Aveva gli occhi lucidi. «Davvero?» Affondò le mani nei propri capelli setosi, e una lacrima di rabbia e dolore sfuggì al suo controllo, rigandole la guancia. «Davvero?»
«Inhel…» iniziò Tauriel. Forse si era sbagliata. Forse avrebbe dovuto lasciare che fosse Legolas a cercare di consolarla.
«Tutte quelle sentinelle uccise, e… per i Valar, quello che è successo nel bosco!»
Tauriel ricordò l’Elfo morto nella foresta, e al modo in cui l’aveva trovato a giocare a carte con Inhel. Erano rilassati e sereni, e lui stava sorridendo. E poi era arrivata lei, che li aveva trascinati dritti in una carneficina.
Contrasse la mascella. «Non è colpa tua» affermò. «Non puoi biasimarti per cose che sono fuori dal tuo controllo».
Qualcosa nel suo tono indusse Inhel a sbattere le palpebre e a guardarla. Tauriel distolse gli occhi, indurendo il proprio volto.
In quel momento, una voce le raggiunse. «Tauriel?»
Al suono del proprio nome, lei scattò subito in piedi.
Thranduil era a pochi metri da loro, una spada nella mano destra. I suoi occhi azzurri sembravano bruciare.
Inhel aggrottò la fronte davanti alla reazione di Tauriel e si girò per controllare cosa avesse visto. Nel riconoscere il re, emise un’esclamazione sorpresa e si affrettò ad alzarsi a propria volta.
«Mio re?» chiese Tauriel, avanzando verso di lui ed indagandolo con gli occhi per accertarsi che non fosse ferito.
«Legolas mi ha detto che eri già nella foresta» affermò lui. «Cos’è successo?»
«Avevo appena scoperto che Gollum era ancora fuori dalla sua cella, così ho preso con me Inhel e… e…» La sua voce vacillò nel ricordare di nuovo la guardia che era stata uccisa.
Thranduil indirizzò un’occhiata ad Inhel prima di riportare lo sguardo su Tauriel.
Lei trasse un respiro. «Eravamo in tre. Uno di noi è stato ucciso mentre ci stavamo dirigendo verso il faggio, poi sono iniziati ad arrivare un Orco dopo l’altro».
Thranduil non rispose. La sua espressione non rivelava nulla, ma la sua mano si contraeva sull’elsa della spada. «Siete ferite?» domandò alla fine.
«No, mio signore» rispose Tauriel.
In quel momento, arrivarono Legolas e Feren.
«Padre» disse il principe, e Thranduil si voltò verso di lui. «I morti ammontano a sedici, più undici feriti. E uno dei feriti ha detto di aver visto degli Orchi catturare tre guardie nei pressi del faggio».
Tauriel sussultò, mentre il sovrano considerava velocemente le notizie.
«La priorità va alla difesa del Reame Boscoso e dei villaggi» disse poi Thranduil. «Se l’obiettivo degli Orchi era davvero liberare Gollum, non credo torneranno, ma la prudenza non è mai troppa. Feren» aggiunse, guardando il proprio ufficiale, «raduna quante guardie puoi ed organizza il trasporto dei feriti e dei caduti».
L’Elfo Silvano annuì con serietà, quindi fece un mezzo inchino e si allontanò per eseguire l’ordine ricevuto.
Thranduil si rivolse a suo figlio. «Legolas. Prendi con te qualche guardia. Cercate di ritrovare Gollum, di riportarlo qui».
Legolas annuì, ed Inhel si fece avanti.
«Se posso, mio signore» disse, rivolgendosi al re, «vorrei partecipare alla ricerca di Sméagol».
Thranduil la guardò, e Tauriel abbassò il capo in un discreto cenno affermativo. Il re non mancò di notarlo, ed annuì.
«Molto bene».
Inhel si spostò per affiancare Legolas.
«E per quanto riguarda le guardie catturate?» chiese Tauriel.
«Prendi con te Merion e almeno altri due soldati» rispose Thranduil, «e seguite le tracce degli Orchi».
«Non servo qui, mio signore?»
«Per organizzare e dare ordini?» replicò il re. «Prendo io il comando delle mie guardie».
«Sì, mio signore» rispose lei, e fece per allontanarsi.
«Tauriel» la fermò Thranduil. «Normalmente invierei più guardie per questa impresa, ma al momento mi servono le mie forze qui. Sarà rischioso. Siate prudenti».
Lei annuì con serietà. «Certo, mio signore».
A quel punto, si inoltrò nella boscaglia per cercare Merion. Lo trovò quasi subito: un Elfo Silvano dai capelli scuri e gli occhi grigi, che sembrava piuttosto scosso dal recente attacco.
«Merion» lo chiamò Tauriel, avvicinandosi, «mi servi per un incarico».
Sapeva che lui aveva meno esperienza di lei nei combattimenti, ma sapeva anche che aveva un buon talento nel seguire le piste. Thranduil, ovviamente, non aveva preso una decisione senza riflettere.
Merion ascoltò in silenzio mentre Tauriel gli spiegava cosa avrebbero dovuto fare. Dopodiché, lei si guardò attorno alla ricerca di altre due guardie per quel compito, e gli occhi le caddero su un paio di identiche teste rossicce.
I gemelli erano appena più vecchi di lei, sebbene i loro volti avessero tratti delicati e quasi femminei che li facevano apparire come due ragazzini. Era raro vederli l’uno lontano dall’altro, e tra le guardie venivano chiamati semplicemente Gwanunig, gemello, e Pîn Gwanunig, piccolo gemello.
Era inusuale, ma loro lo trovavano calzante, perché si sentivano definiti l’un dall’altro. Non perché non potessero sopravvivere se separati, ma perché sentivano che senza il fratello con cui avevano condiviso il grembo materno e la loro intera esistenza sarebbero stati persone completamente diverse.
Tauriel e Merion li avvicinarono, e i gemelli li guardarono con uguali espressioni interrogative. Dopo una breve spiegazione, si diressero tutti e quattro verso il faggio dal quale Gollum era sparito.
I corpi delle sentinelle erano già stai spostati, ma dalle silenziose reazioni dei suoi compagni – occhi che si chiudevano, labbra che si serravano – Tauriel capì che sapevano delle uccisioni avvenute in quella radura.
Fu Merion ad individuare le tracce degli Orchi. C’erano anche quelle di Gollum, ma Tauriel disse agli altri di ignorarle – «Se ne sta già occupando il principe Legolas».
La pista che interessava a loro si dirigeva verso sud, in direzione di Dol Guldur. Tauriel, Merion ed i gemelli la seguirono in silenzio, facendosi strada nella foresta con facilità.
Dopo qualche tempo, giunsero ad un punto in cui gli Orchi si erano divisi in due gruppi. A giudicare dalla terra spostata e dall’abbondante numero di tronchi e rami spezzati, doveva esserci stata una sorta di schermaglia.
«Sembra si siano divisi anche i prigionieri» osservò Merion, dopo aver esaminato le tracce con aria accigliata.
Tauriel inveì mentalmente, poi guardò gli altri. «D’accordo» disse. «Gwanunig, Pîn Gwanunig, voi procedete in quella direzione, io e Merion andremo per di qua. Siate prudenti».
I gemelli annuirono e si allontanarono mentre Tauriel e Merion si incamminavano nell’altro senso. Il loro gruppo aveva deviato verso ovest. Forse era per questo che si erano separati, perché una manciata di Orchi aveva preferito uscire da Bosco Atro anziché tagliare sino a Dol Guldur attraverso la foresta.
«Meglio per noi» si limitò a dire Tauriel, in risposta allo sguardo di Merion.
Avrebbero avuto a disposizione più tempo per raggiungerli e liberare le guardie prigioniere.
Ben presto, giunsero al limitare della foresta, e sbucarono all’aperto con una certa prudenza. Si vedevano alcuni segni sulla terra e sull’erba, e una traccia di sangue, come se qualcuno avesse cercato di lottare.
Tauriel si morse le labbra, e lei e Merion ripresero a seguire la pista ad un ritmo più sostenuto. A quel che sembrava, gli Orchi avevano deciso bene di fiancheggiare il limitare del bosco.
Ad un certo punto, Merion si bloccò e si inginocchiò per studiare alcune tracce più da vicino.
Tauriel lo guardò. «Che succede?»
Lui alzò gli occhi su di lei. Era stranamente pallido. «Quanti hai detto che sono gli Elfi che sono stati catturati?»
Tauriel si accigliò. «Tre» rispose, «perché?»
«Prima, nel bosco, mi sono sbagliato» disse Merion, con l’aria di sentirsi male. «Non si sono divisi i prigionieri. Vedi queste tracce?» Fece segno verso il terreno. «È chiaro che gli Elfi con questo gruppo d’Orchi sono tre».
Tauriel inspirò bruscamente. «Ne sei certo?»
Merion indugiò un istante solo. «Sì».
«Va bene» disse Tauriel, raddrizzandosi. «Va bene». Considerò la situazione, e prese in fretta la sua decisione. «Io continuo a seguirli. Tu va’ a chiamare i gemelli. Portali qui».
Forse un altro Elfo avrebbe obbiettato, ma Merion era di natura accomodante.
«D’accordo» disse, alzandosi in piedi.
«Fa’ più in fretta che puoi» gli raccomandò Tauriel, e l’altro le rivolse un sorriso tirato prima di inoltrarsi di nuovo nella foresta.
Rimasta sola, Tauriel riprese a camminare. Ogni tanto si fermava per controllare di star seguendo la pista giusta, ma tutto sommato procedeva in modo abbastanza spedito.
Dopo un po’, scorse del fumo in lontananza, ed aggrottò la fronte. Gli Orchi erano così stupidi da accamparsi e accendere un falò?
Non si era aspettata che fossero ancora più vicini. Forse sarebbe riuscita ad assalire gli Orchi e a liberare i prigionieri prima ancora che Merion tornasse con i gemelli.
In quel momento, le sembrò di udire una voce alle proprie spalle.
Chi è spericolato, adesso?
Il cuore le balzò in gola e lei si girò di scatto, un pugnale nella mano destra… Ma non c’era nessuno. Ovviamente.
Tauriel sbatté le palpebre e tornò a guardare avanti, rimettendosi in cammino.
Dopo un po’, iniziò ad intravedere il falò da cui si levava il fumo, ma attorno non sembrava esserci nessuno… O forse c’era qualcosa dall’altra parte delle fiamme?
Tauriel aggrottò la fronte, inclinando la testa… E in quel momento un Orco emerse dalla foresta, scontrandosi con lei.
L’impatto le strappò un grido smorzato e la mandò col sedere a terra, ma fortunatamente aveva già un pugnale tra le dita. Riuscì a mantenere la presa e a sporgersi in avanti per menare un fendente e costringere l’Orco ad indietreggiare.
Quel momento era tutto ciò che le serviva; fu subito in piedi, evitò con facilità il colpo d’ascia dell’avversario e lo sgozzò.
L’Orco cadde a terra con un tonfo, e Tauriel strinse gli occhi. Gli Orchi… avevano acceso un falò e poi uno di loro si era inoltrato nel bosco, tornando indietro ad aspettare eventuali inseguitori?
Era un piano sorprendentemente elaborato, per i loro standard.
Forse sarebbe dovuta tornare nella foresta anche lei… Ma del resto avrebbe corso il rischio di perdere le tracce del gruppo.
Con un sospiro, riprese ad avanzare. C’era davvero qualcosa dall’altra parte del falò, come una sagoma distesa a terra… Era troppo piccola per essere quella di un Orco.
Tauriel affrettò il passo, e quando capì di cosa si trattava si mise a correre.
Disteso sul terreno si trovava un Elfo Silvano dai capelli castano scuro. Sul suo petto era aperta una larga ferita che sanguinava abbondantemente.
Tauriel lo riconobbe subito. Era Magoldir, ed era stato il suo primo istruttore in materia di armi e combattimenti. Si inginocchiò accanto a lui, cercando di fermare il sangue con le proprie mani.
Magoldir mosse appena la testa, e a Tauriel parve che lui la guardasse tra le palpebre socchiuse. Una mano si alzò per sfiorare debolmente le sue, e le labbra dell’Elfo si schiusero. «Gli altri» sussurrò. «Sono ancora vivi».
«Va bene» disse Tauriel, lanciando uno sguardo verso il limitare del bosco. Dov’erano Merion e i gemelli?
Magoldir trasse un respiro faticoso. «Va’ da loro» mormorò. «Qui non c’è… molto da fare».
Tauriel scosse la testa. Aiutandosi col pugnale, lacerò una striscia di stoffa dei propri abiti e la utilizzò per tamponare la ferita.
«Magoldir» lo chiamò, poiché le sue palpebre si erano chiuse. «Magoldir, apri gli occhi. Guardami».
In quel momento, sentì un rumore alle proprie spalle e dovette cacciare indietro un gemito. Se erano tornati gli Orchi…
“Non adesso” implorò mentalmente, frustrata.
Si voltò, e la sua schiena tesa si rilassò immediatamente, mentre un barlume di speranza si accendeva nel suo petto. Le figure che si stavano avvicinando erano tre Elfi: Merion e i gemelli erano tornati.
Nel notare lei e Magoldir, accelerarono il passo e la raggiunsero in poco tempo, fermandosi a fissare l’Elfo moribondo.
«Merion» disse Tauriel.
Lui si inginocchiò davanti a lei, mettendo le mani sulla garza improvvisata in modo da permetterle di togliere le proprie.
«Ce la fai a riportarlo nel Reame Boscoso?»
«Da solo?» domandò l’altro.
Tauriel si voltò verso i gemelli. «Pîn Gwanunig» disse, alzandosi in piedi. «Tu rimani con loro. Aiutalo».
L’interpellato diede un’occhiata al suo gemello, poi annuì. «Sì, capitano».
«Bene» disse Tauriel, «io e Gwanunig continuiamo l’inseguimento».
Prima di rimettersi in marcia, guardò Magoldir. Era cinereo, e sembrava respirare sempre più a fatica.
Tauriel inspirò profondamente mentre Pîn Gwanunig si chinava accanto a Merion, quindi fece cenno a Gwanunig di seguirla, e si allontanarono a passo spedito.
Sperava di aver fatto la scelta giusta, lasciando indietro Merion. Dopotutto, la pista era ormai chiara, ed i migliori combattenti tra loro quattro erano senza dubbio lei e Gwanunig.
Era agitata per Magoldir, ma si costrinse a relegare quel pensiero in un angolo della propria mente. Merion e Pîn Gwanunig l’avrebbero riportato al Reame Boscoso. Sarebbe andato tutto bene.
In quel momento, lei e Gwanunig udirono delle grida. Si fermarono e Tauriel si schermò gli occhi con una mano. Aguzzando la vista, scorse in lontananza un gruppetto di sagome scure. Allora si girò verso il suo compagno, accennando al bosco.
Gwanunig capì senza bisogno di parole. Insieme, rientrarono nella foresta, e camminarono tra gli alberi sinché non giunsero all’altezza degli Orchi.
Con loro, si trovavano i due Elfi Silvani che erano stati catturati. Il più vicino al limitare della foresta doveva da poco aver tentato di fuggire, poiché era accasciato a terra mentre un Orco gli tirava indietro la testa per i capelli castani, esponendo alla loro vista il suo labbro spaccato e sanguinante.
Tauriel estrasse i suoi pugnali, e Gwanunig fece lo stesso. A quel punto uscirono allo scoperto: Tauriel si lanciò sull’Orco che aveva atterrato una guardia, mentre Gwanunig attaccava quello che teneva ferma l’altra.
L’Elfo col labbro spaccato incespicò nel rimettersi in piedi. Tauriel tagliò rapidamente le corde che gli imprigionavano i polsi, per poi lanciargli uno dei propri pugnali.
Approfittando di quell’istante di distrazione, un Orco le si scagliò contro e la fece cadere lungo distesa sul terreno. Lei si girò rapidamente su un fianco, evitando la sua lama e colpendolo alle ginocchia con un calcio furioso, per poi balzare in piedi e affondargli il proprio pugnale nel collo scuro e tozzo.
Si sarebbe scagliata subito su quello successivo, ma si costrinse a dare una rapida controllata all’Elfo che aveva liberato. La priorità, si ricordò, era il salvataggio dei prigionieri.
Si accostò al compagno in modo da poterlo aiutare – sembrava infatti che lui ne avesse bisogno: da come si spostava, era probabile che avesse una gamba fratturata.
Tauriel si passò il pugnale da una mano all’altra e trafisse l’Orco più vicino.
Gwanunig non era molto lontano, e Tauriel gli gettò una breve occhiata per accertarsi che accanto a lui ci fosse l’altro prigioniero. Era così, ma l’attenzione di lei venne subito catturata da un altro dettaglio. Un Orco si era distanziato dal gruppo, ed ora stava puntando contro Gwanunig un arco rozzamente intagliato.
Tauriel si abbassò per evitare un colpo, e si risollevò gridando: «Gwanunig! Dietro di te!»
Lui sgranò gli occhi e si voltò di scatto, prendendo coscienza del pericolo… per poi lanciarsi di lato quando la freccia partì.
Tauriel era quasi certa che lui l’avesse evitata, ma non ebbe il tempo di fermarsi a controllare. La lama di un Orco le lacerò il fianco, e lei annaspò per la sorpresa ed il dolore, incespicando di lato per sottrarsi all’arma. Fu un movimento goffo, ma servì allo scopo.
Stringendo una mano sul pugnale, Tauriel portò istintivamente l’altra alla ferita, e sentì il sangue bagnarle le dita.
L’adrenalina alleviava il dolore, però, e la aiutò a finire l’Orco che l’aveva colpita. Un altro prese il suo posto, e Tauriel lo affrontò con determinazione, sinché l’Elfo dal labbro spaccato non spuntò alle spalle del nemico e lo decapitò.
A quel punto, i loro occhi si incrociarono per un istante, poi loro due si guardarono attorno, ma degli Orchi non erano rimasti che i cadaveri sul terreno.
Tauriel si lasciò cadere seduta sull’erba, respirando appena troppo affannosamente e premendo una mano contro il proprio fianco.
«Capitano?» chiamò l’Elfo di fronte a lei, ignorando il sangue che gli era colato dal labbro e gli aveva impiastricciato il mento. «Sei ferita».
Tauriel lo fissò. «Senti chi parla» borbottò, e lui sorrise.
Lei era meno incline a farlo. A parte il bruciore del taglio, le era appena sovvenuto che sarebbe stato meglio tenere in vita almeno un Orco, così da poterlo interrogare.
«Che è successo?» domandò Gwanunig, la preoccupazione dipinta sul volto fanciullesco mentre si avvicinava seguito dall’altro prigioniero.
Tauriel sentì una fitta di immotivata irritazione. «Niente di ché» rispose, inspirando dal naso.
Gwanunig guardò prima lei e poi la gamba spaccata dell’altro Elfo con una punta di incertezza. «Riuscite a camminare?»
Tauriel soffocò l’impulso di rispondergli male. Tendeva a diventare alquanto indisponente quando era ferita, e ne era consapevole.
Senza staccare la mano dal proprio fianco, si alzò con cautela. Fortunatamente la ferita non era troppo profonda. Faceva male, specie quando lei si muoveva, ma non così tanto da impedirle di stare in piedi.
«Io ce la faccio» affermò, decisa, poi si voltò verso l’Elfo con la gamba rotta. «Tu?»
Lui fece una smorfia. «Con qualche difficoltà».
«Lo aiuto io» intervenne l’altra guardia, facendo un passo in avanti. Aveva splendidi occhi marroni, contornati da lunghe ciglia nere, ed i capelli molto scuri.
Quando l’altro Elfo gli passò un braccio attorno alle spalle, lui lo guardò con sollievo e preoccupazione, e gli rivolse un borbottio. Suonava sospettosamente come «idiota, ti sei quasi fatto ammazzare».
Tauriel distolse lo sguardo. «Va bene» mormorò, mentre Gwanunig la affiancava.
«C’era un altro con noi» disse l’Elfo dai capelli castani e il labbro spaccato. «Magoldir. Si era ribellato e lo hanno ferito, per poi lasciarlo indietro».
«Lo sappiamo» disse Tauriel, voltandosi a guardarlo. «Lo abbiamo trovato. Altri due Elfi lo hanno riportato a Bosco Atro».
Il suo interlocutore annuì, appoggiandosi all’Elfo dai bellissimi occhi scuri.
Erano un gruppetto un po’ malconcio e procedettero con una certa lentezza, ma alla fine giunsero al Reame Boscoso. Avvertiti dal corno di Feren, degli Elfi Silvani accorsero per accogliere i feriti, e Tauriel si fece da parte per mandare avanti i prigionieri che avevano liberato.
Giunse anche Pîn Gwanunig – seguito a breve distanza da Merion – e corse incontro al suo gemello, abbracciandolo.
Tauriel sorrise appena e si rivolse a Merion. «Magoldir?» domandò.
La sua espressione fu una risposta sufficiente, e le fece morire il sorriso sulle labbra.

Quella sera, Tauriel si trovava nelle proprie stanze, seduta sull’orlo del letto.
Aveva cercato di sgusciare via subito, ma aveva avuto la sfortuna di essere intercettata da una guaritrice, che l’aveva guardata con occhi di falco e si era subito accorta della sua ferita.
Una volta sistemato il fianco, Tauriel si era recata a far rapporto a Thranduil. Dopodiché, nonostante le fosse stato raccomandato di non muoversi troppo almeno sino al mattino successivo, aveva cercato di dare una mano coi feriti, per poi recarsi a parlare coi propri uomini e con le famiglie delle guardie uccise.
Alla fine, Galion le aveva suggerito di andare a riposare nelle proprie stanze.
Tauriel strinse la mano sulla pietra di Kíli, così forte che le parve che le rune si incidessero sul suo palmo. Nel sentire un rumore leggerissimo, sollevò il capo.
Sulla soglia della sua camera da letto si trovava Legolas. A giudicare dal suo aspetto un po’ scarmigliato, non doveva essere rientrato da molto dalla sua ricerca.
«Galion mi ha detto che eri qui» disse, semplicemente.
Tauriel abbassò gli occhi e si rimise in tasca la pietra. «Avete trovato Gollum?»
Ci fu un momento di silenzio.
«Abbiamo perso le sue tracce verso Dol Guldur».
Tauriel strinse le labbra ed annuì, sempre senza guardarlo.
«Ho saputo di Magoldir» disse poi Legolas, pesantemente, e lei lo sentì trarre un respiro prima di domandare: «Stai bene?»
Tauriel si morse il labbro inferiore, spostandosi appena come per cercare una posizione più comoda, poi alzò gli occhi sul principe e scosse la testa. «No» mormorò.
Legolas, allora, lasciò la soglia della stanza e venne a sedersi di fianco a lei. Le circondò le spalle con un braccio, e Tauriel posò la testa sul suo petto come faceva quando era bambina e lui le narrava una storia.
«C’erano troppe sentinelle ai piedi dell’albero di Gollum» gli disse. «Alcune guardie avevano abbandonato le loro postazioni per sorvegliarlo».
«L’avevo immaginato» rispose Legolas, quasi con cautela, lisciandole un ciuffo ramato.
Tauriel trasse un respiro. «Avrei dovuto accorgermi prima che Gollum non era nella sua cella».
Le mani del principe si fermarono sui suoi capelli. «Non è stata colpa tua».
Tauriel si raddrizzò per poterlo guardare in faccia, e Legolas la lasciò andare. «Ma è una mia responsabilità. Sono il capitano delle guardie, dovrei proteggere la nostra gente».
“Dovrei mostrarmi degna” aggiunse col pensiero, “della fiducia che tu e tuo padre riponete in me”.
Erano morti una ventina di Elfi, Magoldir tra loro. Tauriel non poteva dire di conoscerli perfettamente, ma aveva pur sempre combattuto al loro fianco per secoli. Faceva male.
«E io sono il loro principe» ribatté Legolas. «Credi che il mio dovere verso di loro sia minore del tuo?» I suoi pugni si serrarono sulle sue gambe. «Mi daresti la colpa di quanto è accaduto?»
Tauriel fu colpita dalla sua veemenza. Per un momento, si sentì la bambina che si contorceva e si accigliava di fronte ad un rimprovero.
«No» disse poi. «Certo che no».
Legolas esalò un respiro, rilassando le mani, e la sua espressione si addolcì. «Hai fatto tutto quello che potevi. Con Gollum, e con Magoldir».
Tauriel abbassò il capo, sentendo la forma della pietra runica contro il martellare del proprio cuore.
Subito dopo aver ricevuto la notizia della morte di Magoldir, era tornata indietro con la mente. Aveva pensato a tutto ciò che aveva fatto, a tutto ciò che avrebbe potuto fare. Aveva solo cercato di fermare l’emorragia; forse avrebbe dovuto dare ordini differenti a Merion e Pîn Gwanunig. Alla fine, aveva concluso di aver fatto tutto quel che poteva.
Ora combatté l’impulso di digrignare i denti per la rabbia e la frustrazione. Tutto quel che poteva. Perché sembrava non essere mai abbastanza?
«Lo so» mormorò comunque, guardandosi le ginocchia. Si morse le labbra e cambiò argomento: «Come stava Inhel?»
«Sembrava provata» ripose Legolas dopo un attimo. «E penso che in parte si senta ancora responsabile di quanto è successo».
Tauriel scosse impercettibilmente la testa. «Che sciocca».
«Già» concordò Legolas, «somiglia al suo capitano più di quanto avessi notato all’inizio».
A quel commento, Tauriel aggrottò la fronte, ma continuò a fissare le proprie gambe.
Legolas, allora, sospirò. «Comunque, dopo aver fatto rapporto abbiamo incrociato Merilwen, e Inhel è andata con lei».
Per un istante, Tauriel si chiese chi era Merilwen… Poi ricordò una giovane dai capelli castani che talvolta raggiungeva Inhel alla fine degli allenamenti. Di consueto, la sua presenza era sufficiente a rendere il sorriso di Inhel abbacinante.
«Mi auguro che lei abbia più successo a consolarla».
Ci fu un istante di silenzio. «Ti ricordi» chiese poi il principe, in tono pensoso, «cosa diceva Magoldir quando veniva sconfitto in un duello, o nel tiro con l’arco, o… In qualsiasi cosa?»
Tauriel aggrottò la fronte ed annuì. «Domani è un altro giorno. Me lo diceva anche quando ero bambina e non imparavo subito quel che cercava di insegnarmi». Tacque un istante, alzando lo sguardo su Legolas. «Era una cosa che odiavo. Pensavo che sì, sapevo che avrei avuto altro tempo per correggere i miei sbagli, ma io volevo essere brava subito».
Legolas sorrise mestamente, le perdite vive e presenti nei suoi occhi azzurri. «Povero Magoldir» disse, «gli hai dato del filo da torcere…»
«Neanche troppo» replicò Tauriel. «Ero molto interessata a quello che mi insegnava».
«Pensa se non la fossi stata».
I due giovani tacquero e si sorrisero, ed altrettanto rapidamente tornarono seri.
Tauriel abbassò di nuovo lo sguardo sulle proprie mani. «Galion mi ha offerto del vino» borbottò. «Il suo rimedio a tutti i mali».
«Non mi stupisce affatto. E tu hai accettato?»
Tauriel alzò di colpo gli occhi sul principe. «No!» esclamò, sin troppo sulla difensiva. «Ecco… quasi. Ma poi ho cambiato idea».
Legolas la trasse a sé per stamparle un bacio sulla tempia. «Brava bimba».
Tauriel gli indirizzò una smorfia, ma non mancò di notare la tensione sotto il suo tono scherzoso. Senza dir nulla, allungò una mano a stringere quella del principe.
Lui non si mosse. Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno immerso nei propri pensieri.
Per qualche motivo, Tauriel ricordò Tilda. A volte, di notte, la bambina si infilava nel suo giaciglio e la pregava di raccontarle una storia.
Una storia sugli Elfi, o una storia che facesse paura.
Tauriel poteva parlare di mostri e battaglie, e Tilda ascoltava avidamente. Non aveva paura perché le storie non potevano ferirla. Non aveva paura perché c’era sempre un lieto fine.
Legolas sospirò. «Domani è un altro giorno» disse, accarezzando col pollice il dorso della mano di Tauriel. «Domani è un altro giorno».
Lei non rispose. Il cuore le picchiava contro il petto, e lei si sentiva stanca e prosciugata, e pensò che in realtà il lieto fine non esisteva. Esistevano solo altri giorni. Potevano essere sereni. Potevano essere pessimi e pieni di morte.
Per un istante, cercò di riportare alla mente lo sguardo di Kíli. Lui sarebbe riuscito dove lei stava fallendo, ne era sicura. Lui avrebbe avuto fiducia, senz’ombra di dubbio, nel fatto che l’indomani sarebbe stato migliore.









Note:
E così, ecco anche l’ultima parte.
Spero non sia stata una delusione (non so ancora perché ho voluto scrivere delle scene di combattimento, visto che le scene d’azione sono tutto fuorché il mio forte).
Chiedo scusa per il finale non esattamente consolatorio, e ringrazio tantissimo tutti i lettori e recensori e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/scelte.
Alla prossima!
  
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