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Autore: Youth_    27/02/2016    0 recensioni
Qui trascritta vi è una lettera che è stata mangiata dalle lingue di fuoco pochi attimi dopo essere stata scritta. Dopo aver ucciso Alma Coin, Katniss viene allontanata e costretta a vivere nell'ombra del mostro che è diventata. Desidera che il dolore passi, che il mondo si dimentichi del suo nome: desidera abbracciare la morte e smettere di sentire la guerra infuriare dentro di lei, la stessa guerra che si è portata via quanto di più caro aveva. Eppure, in un attimo di lucidità, scrive convulsamente una lettera all'unica persona che potrebbe capirla, nonostante quelle parole siano destinate a non essere mai lette: l'alleato e amico Gale.
Dal testo: "Non sono mai stata brava con le parole e non lo sono nemmeno adesso, ma tu mi conosci, e sai che ho visto troppe responsabilità cadere nella polvere e nel fango dalle mie spalle, graffiandole, e punendomi per non essere stata abbastanza attenta, abbastanza sveglia o chissà cos’altro. Non voglio che tu sia una di quelle."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiedimi come sto.
Ti dirò che mi sento bene, come ieri e come il giorno prima di ieri, e tutti i giorni a venire che non saprò contare, che sembreranno infiniti nonostante il sole, apparentemente, cali e sorga tutti i giorni.
Sto bene, come può stare bene un animale in gabbia. Sono viva, ed effettivamente questo mi permette di pronunciare quelle due sillabe. Dirlo è molto diverso dall’esserlo veramente, ma a tutti piacciono le belle bugie. Nessuno vuole sentirsi dire che sto male, così non te lo dirò.

Chiedimi se mi manchi.
Ti dirò di no, ma anche questa parola è lungi dall’essere vicina alla realtà. Mi manchi, ma non ne soffro.
Non nel modo in cui conosciamo il dolore, e noi lo conosciamo. L’abbiamo visto e sentito, noi due.
L’abbiamo avvertito nello stomaco, mentre minacciava di farci morire di fame.
L’abbiamo visto negli occhi della gente che amavamo, mentre quelli si spegnevano, abbandonati ad un destino più grande di noi che sembrava attenderci ad ogni angolo.
Mi manchi come manca la neve agli occhi di un bambino, come mi manca sapere dove andrà a finire questo gioco. Mi manca sapere se stai bene, e quello mi fa soffrire, sì. Perché so che quello dipende da me.
Non sono mai stata brava con le parole e non lo sono nemmeno adesso, ma tu mi conosci, e sai che ho visto troppe responsabilità cadere nella polvere e nel fango dalle mie spalle, graffiandole, e punendomi per non essere stata abbastanza attenta, abbastanza sveglia o chissà cos’altro. Non voglio che tu sia una di quelle.
Il tuo viso è l’ultimo che vorrei vedere, sporco del sangue che mi ha imbrattato le scarpe, le mani, e in fondo, anche quel brandello d’anima che ho trascinato in questa guerra.
Ti spero lontano, lì dove i rumori della guerra che mi rimbombano nelle orecchie non arrivano, lì dove io non posso vederti, e dove tu non puoi vedere me.
Voglio che tu ti ricordi di me come se fossimo ancora nei boschi, a cacciare.
Voglio che ti ricordi di me con un minimo d’orgoglio.
Non so cosa succederà quando apriranno le porte del luogo in cui mi hanno confinata, ma quando lo faranno, la luce mi colpirà e rivelerà il mostro che sono, e non voglio che tu sia lì ad assistere all’ennesimo spettacolo.

Chiedimi se sono felice.
Qui non mentirò, e ti dirò di no.
Questo posso permettermelo con te.
Ricordo la felicità, Gale. Non mi hanno tolto tutto: certe cose rimangono. Sono come piccoli raggi di sole che illuminano le strade in cui mi sono persa, ma ci sono. Mi ricordo di Prim, delle giornate di caccia, e di te.
Mi ricordo di quando tutto questo non sarebbe mai esistito, nemmeno nei nostri sogni, nemmeno nei nostri incubi peggiori.
Nessuno poteva saperlo, e nemmeno tu, che sei uno stratega eccezionale, avresti previsto tutto questo.

Chiedimi se voglio tornare indietro.
Anche qui non mento. Voglio scrivere un grosso no.
Voglio che tutti sappiano che tutto ciò che ho fatto è stata una mia scelta. Voglio che sia scritto nero su bianco che la morte della Coin è stata una mia idea, che ho agito conoscendo le conseguenze quando ho sparato quella freccia nell’arena, che nessuno mi ha detto di fare spettacolo quando ho quasi mangiato quelle bacche: che ero perfettamente lucida in ogni singolo momento di questa spietata guerra.
Alla fine dei conti, la morte mi aspetta comunque. Sento i suoi denti digrignare, desiderosi del mio sangue come può esserlo una creatura della notte, una bestia, una di quelle che ho visto negli occhi dei concorrenti.
Questa è l’ultima edizione dei Giochi, Gale.
Non ci saranno trucchetti né telecamere, ma avverrà lo stesso, e così tutti i giorni a venire.
Capitol City ci ha lasciato un segno indelebile: ogni notte che trascorreremo da oggi in poi sarà un’arena con il nemico più spietato che avrebbero mai potuto metterci contro: noi stessi.
Ci chiederemo perché e non sapremo darci risposte. Compiangeremo i morti e seppelliremo i ricordi.
Una nuova era ha inizio, ma dovremo guardarci in faccia ogni giorno. Dovremo ricordare le cicatrici, il dolore, il pericolo, la fame, e il sottile confine tra la vita e la morte che in uno schiocco di dita ha deciso se farci cadere a destra o a sinistra.
E non avremo mai, mai una risposta.
Tanto vale che abbia fatto quello che dovevo fare.

Non chiedermi nulla.
So cosa vorresti sapere, per questo ti chiedo di tacere. Ci sono troppe cose da fare per porre altri interrogativi.

Puoi chiedermi solo una cosa, prima che bruci questi fogli, prima che l’uno si dimentichi dell’altro, prima che tutto questo si dissolva nel fumo del fuoco che tanto ci ha perseguitati, che ha forgiato i nostri cuori e le nostre lacrime, e proprio questi ultimi l’hanno alimentato.

Chiedimi se ne è valsa la pena.

Io ti rispondo di sì.

 
   
 
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