Il ritorno della cometa
Epilogo | Going back Not Really
Il vialetto che
portava a casa di Rory sembrava molto più familiare del solito, così
ombreggiato dal buio notturno.
Gale lo percorse
senza fretta, prendendosi il tempo per riflettere su ciò che era appena
successo.
Quando giunse nel
giardino d’ingresso di suo fratello, trovò qualcuno ad aspettarlo.
Un sorriso piegò
istintivamente le sue labbra; Joel stava facendo dei palleggi con una pallina
di plastica.
“Ehi…” richiamò
l’attenzione del bambino, chiudendosi alle spalle il cancelletto.
Nel vedere il padre,
il volto di Joel s’illuminò.
“Eccoti!” esclamò,
lanciandogli la palla.
Gale la prese al
volo, prima di far cenno al figlio di sedersi sui gradini assieme a lui.
“Dov’eri andato?”
chiese il ragazzino, appoggiandosi al suo fianco.
“A fare una
passeggiata.”
Joel gli passò una
mano sulla guancia; il suo sguardo, da allegro, si fece crucciato.
“Hai pianto, papà?”
Il senso di colpa
pungolò lo sterno di Gale.
“Sto bene, Joey” lo
rassicurò, facendogli una carezza. “Non preoccuparti per me.”
Il ragazzino tornò a
sorridere.
“Lo so che stai
bene…” rivelò, appoggiando la testa alla sua spalla. “… Sorridi. È la prima
volta che fai un sorriso vero da quando siamo arrivati.”
Il padre gli arruffò
i capelli.
“Beh, abbiamo appena avvistato una
cometa che non si faceva vedere da settantasei anni… Un evento del genere si
merita un sorriso, no?”
“Ben più di un sorriso!” confermò Joel
prendendo la mira per lanciare la pallina nel canestro posto in cortile. Esitò
per qualche istante, quasi fosse indeciso se aggiungere qualcosa o meno.
“Anche la nonna aveva gli occhi lucidi
quando mi ha dato la buonanotte” ammise infine, tornando ad appoggiarsi al
padre. “Non mi piace vederla piangere.”
“Alla nonna manchi tanto, quando non ti
vede per molto tempo” spiegò Gale, accarezzandogli i capelli. “È triste perché
sa che domani partiamo e non potrà vederci per un po’.”
Joel rimase in silenzio per qualche
istante, prima di riprendere il discorso.
“Anche io sono triste…” rivelò cauto,
quasi si sentisse indeciso se pronunciare quelle parole o meno. “… Posso essere
triste?”
Gale gli rivolse un’occhiata sorpresa;
gli sollevò poi con delicatezza il mento per poterlo guardare il bambino
negli occhi.
“Certo che puoi” lo rassicurò. Sapeva
che ogni tanto Joel frenava le proprie emozioni per paura di ferirlo e la cosa
non gli piaceva affatto: era il risvolto negativo dell’avere un figlio troppo
consapevole delle conseguenze della guerra. “Anch’io sono triste, qualche
volta.”
Joel annuì; prese una mano del padre e
ci appoggiò sopra le sua, come se volesse metterle a confronto.
“Papà…” riprese all’improvviso,
voltandosi verso di lui. “… Tu ci credi ai poteri della cometa?”
Gale aggrottò le sopracciglia.
“Quali poteri?”
“Quelli di cui parlava nonno Joel:
diceva che chi guarda la cometa poi si sente più leggero e le cose per lui
incominciano a cambiare. Secondo te è vero che cambieranno?”
Gale tacque per qualche istante.
“Tu come vorresti che cambiassero?”
chiese infine.
Joel non rispose subito: non amava
molto quel genere di domande.
“Niente più incubi” mormorò infine,
sollevando lo sguardo verso l’alto; il cielo era pulito e pieno di stelle, ma
in apparenza era lo stesso di sempre. Non v’era segno del passaggio della
cometa di Halley. “Né per te, né per Johanna.”
Ancora una volta, Gale avvertì una
morsa di dolore all’altezza del petto. Strinse a sé il bambino e lo cullò per
qualche istante, come faceva quando era più piccolo. Joel chiuse gli occhi e lo
lasciò fare, la nuca adagiata contro il suo torace. Gale l’osservò in silenzio,
contemplando con tenerezza quell’unico risvolto positivo delle sue azioni. Joel
era il frutto di un errore, ma aveva concluso per trasformarsi nell’unica cosa
veramente giusta nella sua vita.
“E oltre a questo… Che cosa
cambieresti?” insistette.
Joel si staccò da lui per guardarsi
attorno, lo sguardo velato dall’indecisione.
“Vorrei tornare qui un’altra volta…”
ammise infine, senza guardare il padre negli occhi. “Con te. Lo so che hai
detto che non ci saremmo più venuti e che siamo qui solo per la cometa. È solo
che…”
“Sei felice, qui…” lo interruppe Gale,
cercando il suo sguardo. “… Vero?”
Il bambino diede una scrollata di
spalle.
“Mi piace tanto stare con la nostra
famiglia” ammise infine, arrossendo. “Ma sono felice anche a casa.”
Era evidente che stesse cercando di
minimizzare per non farlo sentire in colpa.
Gale gli sorrise; si chinò in avanti
per sussurrargli qualcosa nell’orecchio.
“Ti andrebbe di tornare qui il prossimo
week-end?”
Lo sguardo del bambino si animò di
stupore.
“Possiamo? Davvero?” chiese conferma,
una nuova luce di vivacità a negli occhi.
Quando il padre annuì, Joel esultò e
gli gettò le braccia al collo. Gale ricambiò l’abbraccio: leggere l’entusiasmo
nel volto di suo figlio gli fece comprendere di aver preso la decisione giusta.
“Tutto ciò che voglio è vederti felice,
Joey” dichiarò infine, appoggiando il mento ai suoi capelli. “Solo questo. Lo
sai, vero?”
Il bambino annuì.
“Ed io sono felice, papà” lo rassicurò,
separandosi dall’abbraccio per poterlo guardare negli occhi. “Davvero: perché
ho te.”
Si sorrisero a lungo, prima che Joel
distogliesse lo sguardo per tornare a guardare il cielo, subito imitato dal
padre.
Il freddo stava incominciando a farsi
sentire, me nessuno dei due ci badò; rimasero a lungo sui gradini d’ingresso,
gli occhi rivolte alle stelle e la mente assorta nel pensiero di quella cometa
che, ne erano certi, stava per cambiare in meglio le loro vite.
Sicuri che, da qualche parte a poche centinaia di metri
di distanza, qualcun altro stesse facendo lo stesso: erano una donna del
Giacimento e sua figlia. Erano il passato e il presente della loro storia, il
punto da cui tutto era cominciato.
E da quella sera, forse, anche il futuro.