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Autore: Alaska__    05/03/2016    0 recensioni
( • Long • OCs • District 6 • 56th Hunger Games • )
Cinquantadue anni dopo i Giorni Bui l'idea di rivolta sembra quasi un'utopia. Il popolo di Panem è straziato, piegato sotto i macigno del regime di Snow, costretto, ogni anno, ad assistere a ventiquattro ragazzini che si ammazzano l'un l'altro in un'Arena.
Eppure, nel Distretto 6, uno dei più dimenticati della nazione, qualcosa sta nascendo, grazie a quattro ragazzini stanchi di vedere il loro popolo costretto a tanto dolore e desiderosi di vendetta.
Questa è la loro storia.
È la storia di Franziska e Igor, i due gemelli che vogliono assicurare un futuro migliore al loro fratellino; di Aaron, i cui genitori sono stati giustiziati pochi giorni dopo la loro misteriosa fuga dal Distretto 6; di Jimmy, il figlio del sindaco, stanco del regime oppressivo di Capitol City e desideroso di poter avere un vero rapporto con suo padre.
Sono quattro ragazzini che si sentono invincibili, che sanno di poter cambiare le sorti di Panem. Ma il male c'è sempre, ed è dietro l'angolo e loro dovranno affrontare mille ostacoli.
Nel frattempo, le Mietiture si susseguono, una dopo l'altra... e le loro vite potrebbero cambiare. Per sempre.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sparks. '
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CAPITOLO XIV
 
Actors
 
«L’attore è un bugiardo al quale si chiede la massima sincerità».
-Vittorio Gassman
 
Aaron cominciava ad odiare quella situazione.
Ogni volta che pensava al piano di Jimmy sentiva un brivido percorrergli la spina dorsale; gli aveva detto di sì per farlo contento, ma più passava il tempo, più si soffermava sulle parti più pericolose del tutto e la paura che aveva continuava ad aumentare.
«Dici che la sarta ce le darà le loro uniformi?» chiese ad Igor, che camminava accanto a lui.
L’altro fece spallucce, grugnendo qualcosa. «Jimmy ci ha dato i soldi. Basterà sventolarglieli davanti e ci darà tutto quello che vogliamo» rispose. «Forse» aggiunse poi a mezza voce.
«Non sembriamo molto affidabili, in effetti» commentò Aaron, con una risatina stridula. «Magari ce le tirerà addosso e addio al bel piano di Jimmy».
Era una prospettiva positiva, quella: evitare di infilarsi in quel posto orribile e continuare ad interrogare le persone che facevano parte dei ribelli.
«Credo che in tal caso Jimmy troverà un altro piano con cui torturarci» sospirò Igor, ficcando le mani nelle tasche dei jeans.
Aaron inspirò a fondo; mille ghiaccioli si infilarono nei suoi polmoni.
Lo faceva per i suoi genitori. Per loro. Doveva ricordarselo in ogni istante, per evitare che la tentazione di mollare tutto prendesse il sopravvento.
Il negozio della sarta era dall’altra parte della strada, perso in mezzo a tante altre botteghe identiche. La porta a vetri era uno scudo contro il freddo dell’esterno; solo un piccolo cartello appeso indicava che, anche quel giorno, la proprietaria era lì a lavorare.
Arrivati dinnanzi all’entrata, i due giovani si scambiarono un’occhiata fugace; Igor prese poi l’iniziativa e – salito il gradino – diede una spintarella alla porta.
Non appena entrò, Aaron sentì una leggera e piacevole aria calda che gli fece sfuggire un sospiro. Di quei tempi, un singolo refolo di tepore era piacevole come un sonnellino al termine di una giornata di lavoro.
Il bancone era proprio di fronte alla porta e occupava gran parte di quel piccolo locale dove la sarta teneva gli abiti che aveva ormai finito di cucire. Seduto sulla sedia dove normalmente si sarebbe poggiata la proprietaria, c’era un gatto, che – quasi a voler fungere da campanello – balzò giù non appena vide i due ragazzi. La coda alta in un atteggiamento di fiera padronanza, il felino si recò dietro una tenda marrone che separava il negozio da quello che doveva essere il vero luogo di lavoro della sarta.
In attesa, i due giovani si sistemarono accanto al bancone, continuando a lanciarsi veloci sguardi in un dialogo non verbale.
Ed eccola arrivare dopo pochi secondi: una tozza donna di mezza età, che scrutò gli ospiti al di sopra delle lenti che occupavano gran parte del suo viso squadrato.
«Buongiorno» salutò Aaron, accompagnando il tutto con un cenno del capo. Igor lo imitò, intento a frugare nella tasca del giubbotto, mentre osservava la donna.
La sarta rispose con un veloce «a voi», senza smettere di scrutarli. «Come posso esservi utile?»
«Lei cuce anche le divise dei Pacificatori, o sbaglio?» domandò il maggiore dei fratelli Madison, continuando a girare la mano nella tasca.
La donna sembrò mettersi sull’attenti, e – incrociate le braccia al petto – sollevò il mento, fissando il giovane interlocutore. «Non sbagli» confermò. «Ma non sei un po’ giovane, per fare il Pacificatore?»
Igor fece spallucce. «Non lo so. In fondo, non abito al Distretto 2» ribatté. «Comunque, sono grande abbastanza per chiederle una cosa». Si fece più vicino ancora al bancone; l’invitante verde delle banconote si notava sotto le sue dita pallide. «Ne potremmo avere due? Facciamo che è un prestito».
«Un prestito?» sputò fuori la sarta. «Di due tute da Pacificatore?»
Aaron capì che era giunto anche il suo momento quando un rivoletto di sudore freddo lo riportò alla realtà dei fatti. «Due in prestito» confermò. «Può farlo, vero?»
La donna spostò gli occhi sul giovane. «Non posso» sillabò. «Non mi farò mettere nei guai da due ragazzini».
Igor sospirò con fare teatrale e i soldi uscirono con un invitante fruscio dalla tasca del giubbotto. Caddero poi sul bancone; ogni movimento era seguito dalla sarta, con uno scintillio negli occhi che cresceva in avidità di istante in istante.
«A mali estremi» commentò il ragazzo. «Questi e le due tute da Pacificatore in prestito. Niente soffiate. Non ci faremo beccare».
A passi ben misurati, la sarta si avvicinò ai soldi. Le sue corte dita dalle unghie rovinate si strinsero attorno alle banconote. Aprì le labbra in una veloce espressione sorpresa, prima di tornare al cruccio quasi infantile di poco prima.
«Ci sta, adesso?» la incalzò Igor, mentre la sua interlocutrice sollevava il ricco dono sotto la lampada, per osservarli meglio.
«Paion veri» borbottò, abbassando lo sguardo verso i giovani, senza tuttavia lasciar andare i soldi. «Se solo scopro che li avete rubati…»
«Oh, no, signora. Nessun furto» le assicurò Aaron – solo in teoria, aggiunse mentalmente. Jimmy li aveva solo “presi in prestito da suo padre”, come aveva raccontato.
«Allora le due tute sono vostre. Ma vi avverto» puntò l’indice verso di loro, «che le rivoglio qui entro due giorni. Ho delle scadenze da mantenere, sapete. E non voglio problemi con la giustizia».
«Perfetto». Igor sfoderò un ghigno a metà tra il malefico e il contento. «Dove le troviamo?»
«Nel retro. Potete uscire da qui». La signora si voltò a indicare la tenda che poco prima celava il suo lavoro. «Seguitemi. Svelti! Ora è il momento giusto» li esortò, e il suo capo si sollevò un poco, ad indicare il cielo scuro fuori dalla finestra. Dopodiché – seguita dall’inseparabile felino che era rimasto tutto il tempo al suo fianco – tornò nel laboratorio.
Aaron e Igor si guardarono e – fatte spallucce – girarono attorno al bancone e seguirono la donna dietro il tendaggio.
Le tute dei Pacificatori apparvero subito: erano in fondo alla stanza rettangolare, appese una in fila all’altra su un supporto. Non ve ne erano molte – giusto tre o quattro.
Aaron rimase a guardarle in una sorta di incantato stupore. Cercò di immaginarsi con addosso una di quelle, ma fece fatica. Era abituato a vedere i Pacificatori, uomini muscolosi e allenati, con quelle addosso. Altezza a parte, Aaron Kidman non sembrava affatto più grande delle sue quindici candeline appena spente.
«Quelle» le presentò la sarta. «Ne prendete due, e scappate. Le rivoglio entro due giorni». Sventolò due dita dinnanzi ai loro volti. «Due! Non di più. Se mi fate passare dei guai, vi cucio le dita».
«Signorsì, signora» assentì Igor, portando la mano poco sopra il sopracciglio, in un gesto tipico dei militari.
Un mezzo sorriso attraversò come un lampo il volto di Aaron, prima di sparire, rapido com’era giunto.
Igor si stava già calando nella parte.
 
 
*
 
«Devo anche stracciarmi le vesti, o pensi che mi basti entrare e urlare?» Franziska inarcò un sopracciglio, appoggiandosi con la schiena al muro scrostato.
Jimmy alzò gli occhi al cielo. «Con questa attitudine sarcastica non andrai da nessuna parte, temo» commentò. Poi, come ricordandosi di qualcosa, fece scorrere lo sguardo lungo i capelli della sua amica. «Ripensandoci, vediamo di darti un’aria più disperata» concluse e, senza nemmeno chiedere il permesso, cominciò a spettinare la treccia in cui Franziska aveva acconciato la sua lunga chioma.
«Ehi!» lo ammonì la ragazza, dandogli un colpetto sulla mano. «Dico, hai idea di quanto tempo ci ho messo a farmi questa roba per tenere i capelli in ordine?»
Jimmy brontolò qualche parola a bassa voce. «Se tu fossi stata veramente stuprata da qualcuno…» cominciò, «… avresti urlato perché i tuoi capelli sono in disordine?»
Questa volta toccò alla giovane alzare gli occhi al cielo. «La stai prendendo troppo sul serio questa storia della recita, e mi fai venire ansia».
«Ti ho solo detto come devi recitare, Franziska».
La ragazza emise un verso di disappunto, lasciando che Jimmy – con un sorrisino dipinto in volto – continuasse a spettinarle i capelli.
In fondo – molto in fondo – era costretta ad ammettere che quell’idea non era niente male. Certo, togliendo il fatto che, se i Pacificatori li avessero beccati, sarebbero stati uccisi o, nel migliore dei casi, puniti corporalmente, ci poteva stare.
Secondo Jimmy, Franziska doveva essere la stella di quello spettacolino messo in piedi dal figlio del sindaco nel corso di una probabile notte insonne. A detta sua, nessun Pacificatore si sarebbe fatto problemi a credere alla storia di un quasi-stupro subito da una quindicenne dall’aria innocente; e poi, lui – il figlio dell’amato sindaco Raimond – avrebbe dato quel tocco in più alla loro scenetta che avrebbe convinto del tutto le guardie nazionali.
Il tutto al solo scopo di distrarli, mentre Aaron e Igor si sarebbero intrufolati per rubare le carte relative all’esecuzione dei coniugi Kidman. Eppure – era sicura Franziska – quella scenetta non sarebbe stata una semplice recita; avrebbe scommesso il suo stipendio del mese che, il giorno dopo, ogni abitante del Distretto 6 avrebbe cominciato ad indicarla come la “ragazza dello stupro”, e ogni padre avrebbe imposto un pesante coprifuoco alle figlie adolescenti.
Le notizie correvano velocemente, per essere un posto dimenticato da Dio.
«Perfetta!» esclamò infine Jimmy, con le mani piantate sui fianchi. «Per quanto riguarda il resto…» fece scorrere le iridi azzurre sui vestiti della sua amica, «… direi che va più che bene».
«Stai dicendo che mi vesto male?» protestò Franziska.
«Placa la tua ira». Il figlio del sindaco espose le mani come a volersi difendere. «Ti sto solo prendendo in giro; anche io non sono vestito proprio al massimo delle mie possibilità». Le fece l’occhiolino, prima di voltarsi verso la piazza.
«È ora?» Franziska si sollevò dal muro, agitata. Non vedeva di togliersi dalle scatole tutta quella storia umiliante; era pur vero che da una parte desiderava non arrivasse mai il momento della recita.
«Sì» annuì Jimmy, all’improvviso serio. «Ripassiamo velocemente il programma» ordinò, facendole cenno di seguirlo.
Sospirando, la bionda cominciò a camminare, in direzione del basso edificio accanto al Palazzo di Giustizia, dove i Pacificatori organizzavano i loro sporchi affari.
Nessuno si avvicinava mai troppo alla Caserma; i ragazzini, addirittura, scherzavano, dicendo ai più piccoli che fare un piede di troppo nella sua direzione innescava un marchingegno per cui loro venivano arrestati all’istante.
Bugie a parte, anche in età adolescenziale Franziska preferiva tenersi alla larga. C’era qualcosa che la respingeva; una sorta di campo magnetico cui l’accesso da parte sua era vietato. Essere cosciente del fatto che ben presto non solo ci sarebbe entrata, ma addirittura avrebbe preso in giro i Pacificatori a quel modo la terrorizzava ed eccitava al tempo stesso.
«Dunque…» cominciò il figlio del sindaco, camminando accanto a lei con le mani in tasca.
«… entro e urlo, facendo finta di essere quasi stata stuprata da un tizio strano e incappucciato» concluse la ragazza; glielo aveva ripetuto per una ventina di volte nell’arco di sessanta minuti: ormai dimenticarlo era quasi impossibile.
«Ottimo». Jimmy fece un cenno di assenso. «E io faccio finta di averti salvata».
«È un caso che tu abbia proprio la parte dell’eroe?» Franziska diede voce ad una domanda che le premeva fare da quando il suo amico l’aveva resa edotta di quel piano; le sembrava ingiusto che mentre lei dovesse fare la figura della povera pazza spettinata, lui facesse Cuor Di Leone.
«No. È realistico» rispose lui; un mezzo sorrisino di scherno fece intuire a Franziska che quella non fosse la vera motivazione.
Stette zitta, però. Camminando a lunghe falcate, erano ormai nei pressi della Caserma. Fuori dal portone non c’era nessuno – i Pacificatori lì si fidavano molto della debolezza dei cittadini.
Franziska fece un bel respiro. I suoi occhi fecero appena in tempo ad incontrare quelli di Jimmy e il capo del ragazzo si abbassò in un lieve annuire.
Poi, la ragazza lanciò l’urlo peggiore che mai avesse prodotto in quindici anni di vita.
Non pensava di avere così tanta voce; i polmoni parvero svuotarsi, mentre chiedeva aiuto, implorava che qualcuno la salvasse da uno stupratore fantasma.
«Ci penso io!» strillò Jimmy, e la prese sottobraccio, portandola fino al portone. Nel frattempo, un incuriosito e vistosamente spaventato Pacificatore aveva spalancato la porta, per vedere cosa stesse succedendo.
«Signore, signore!» Il figlio del sindaco attirò la sua attenzione. «Abbiamo bisogno di lei!»
Senza dir niente di più, l’uomo si fece da parte, permettendo che i due adolescenti entrassero.
Un accogliente tepore – quello che normalmente ti aspetteresti da una casa – accolse i due non appena oltrepassarono l’uscio. Franziska fu, per un solo istante, distratta da quel senso di piacevolezza che le attraversò le membra, ma cercò di tornare subito con il pensiero a ciò che stava facendo. Lì fuori morivano di freddo – pensò un attimo prima – e lì si scaldavano senza badare a spese.
La luce era anch’essa diffusa e calda; persino quel piccolo atrio combatteva una dura battaglia con l’immagine che Franziska aveva sempre avuto della caserma. Le piante accanto alla scrivania all’ingresso, il piccolo cactus posto su di essa, quella luce, e il tepore, per non parlare delle pareti che parevano tinteggiate a nuovo: era simile all’atrio di una qualsiasi abitazione – eccetto la scrivania, dietro cui stava seduto un panciuto soldato sulla cinquantina, dal volto rubicondo.
Quello che li aveva fatti passare chiuse con un colpo secco il portone, mentre l’altro si alzava dalla sedia sulla quale – seduto come un pascià – stava consumando una birra al nascosto da occhi indiscreti.
Nascosta la bottiglia sotto il tavolo, in tutta fretta, si rivolse al commilitone. «Che sta succedendo?»
Nonostante sembrasse un mollaccione, il suo timbro aveva una cert’aria autorevole. La voce dell’altro, invece, era ben più tranquilla e rilassante.
«Me lo chiedo anche io, Fabius».
«Mi hanno... quello!» strillò Franziska, interrompendolo. Sgranò gli occhi, ansimò con forza, fece di tutto per apparire disperata. «È scappato!» urlò poi, seguendo il consiglio di Jimmy di qualche ora prima, ovvero dire frasi sconnesse e senza alcuna apparente logica.
«Cosa “quello”?» Fabius squadrò i due giovani. «Chi è scappato?»
«Le posso spiegare tutto, signore» s’intromise Jimmy. «Però… le spiace?» Con un cenno della testa, indicò la sedia dalla quale il Pacificatore si era appena alzato. «La ragazza è molto provata, come le spiegherò ora».
Fabius fece un cenno di assenso – a Franziska non sfuggì l’occhiatina nervosa verso la sua amata bottiglia di birra.
«Su, Franziska» la esortò Jimmy, con un braccio a cingere in una presa salda le spalle tremanti. «Siediti, e calmati».
Mentre il ragazzo sistemava la sedia per l’amica, un gruppetto di altri soldati emerse dal corridoio, lanciando occhiate curiose ora ai Pacificatori, ora ai due adolescenti.
«Ora mi spiegate cosa succede, per favore?» chiese ancora Fabius.
Sospirando, Jimmy raddrizzò la schiena e i suoi occhi lanciarono a Franziska un messaggio importante: ci vuole di più.
Afferrato il concetto, la giovane si sforzò di pensare alle cose più tristi mai accadute nella sua vita, o a qualcosa di tragico che avrebbe mai potuto macchiare la sua esistenza con sofferenza e paura.
Si prese il volto tra le mani, nascondendo il cambio repentino di espressione, mentre tendeva il suo corpo verso lo sforzo di emettere dei potenti e finti singhiozzi.
«È stata quasi stuprata» spiegò Jimmy, carezzandole piano la schiena.
«Mi ha… mi ha colta di sorpresa!» aggiunse Franziska. «Io… io stavo solo… passeggiavo come ogni sera e stavo per tornare…» Il suo finto pianto interruppe il racconto, lasciando spazio ancora alla voce di Jimmy.
«Non ho visto tutto, ma credo che un ragazzo l’abbia colta di sorpresa, mentre passeggiava. Io l’ho colto sul fatto, per fortuna, altrimenti chissà cosa avrebbe potuto farle… signore, quando sono arrivato, quel ragazzo stava cercando di abusare di lei, minacciandola con un coltello!»
«Sei ferita, ragazza?» A parlare, questa volta, fu l’uomo che li aveva fatti entrare.
Franziska tolse le mani dal volto arrossato, guardandolo. Scosse il capo in un’espressione di diniego. «No, per fortuna… lui mi ha salvata in tempo».
«Bene». Fabius guardò prima i ragazzi, e poi l’uomo della porta. «Bene» ripeté, «l’importante è che tu non sia ferita. Sapresti descrivermi quel ragazzo, per favore?» La sua voce aveva assunto un tono più dolce, nonostante serbasse una sbiadita ombra della rudezza di poco prima.
«Era incappucciato…» Franziska tirò su con il naso, accettando un bicchiere d’acqua offertole da un giovane soldato dai capelli rasati e gli occhi gentili. Gli rivolse un leggero sorriso, prima di tornare a Fabius. «Il suo volto era in gran parte coperto da una sciarpa» continuò, dopo aver bevuto un piccolo sorso d’acqua fresca.
«Ti ricordi almeno dei suoi vestiti? E sapresti darmi un’indicazione del suo aspetto fisico aldilà del volto?» la incalzò il Pacificatore. «Avverti il capo» aggiunse poi a bassa voce, rivolgendosi ad un giovane uomo vicino a lui.
«Era… era alto. E mi sembrava ben piazzato, nel senso che era muscoloso. I vestiti… erano neri. Sulla felpa aveva un disegno bianco, però, anche se non sono riuscita a capire bene cosa, ma sembrava una sorta di drago».
«È scappato verso la stazione, signore, se può esserle utile questa informazione» aggiunse Jimmy. «Diretto verso un’altra zona del Distretto, evidentemente».
«Grazie. Perfetto, ho bisogno di alcuni di voi. Controllate i dintorni, la zona B e la D. E se notate qualcuno di sospetto, fermatelo» ordinò Fabius ai suoi, i quali annuirono e cominciarono a disperdersi, probabilmente per prendere le loro cose.
«Mi perdoni, signore!» esclamò Jimmy all’improvviso, alzando la mano. «Ma mi sento in dovere di dissentire dal suo ordine». Si portò la mano al cuore. «Qui siamo dinnanzi a un gravissimo fatto: una ragazza che è quasi stata abusata! Credo che come uomini, non capiamo molto bene la situazione, ma posso testimoniarle, signore, che Franziska è scossa da tutto ciò e ne resterà turbata per lungo, lunghissimo tempo». Fece un lungo sospiro, e tornò a carezzare la schiena della sua stupita amica, che tornò a nascondere l’improvvisa ilarità suscitata dalla recita di Jimmy dietro le mani, imitando un nuovo attacco di isteria.
«In qualità di figlio del primo cittadino» proseguì, «mi sento in dovere di chiederle di aumentare le pattuglie e cercare questo delinquente. Ho già detto più e più volte a mio padre che le misure in tal senso andrebbero migliorate. Lo stupro è equivalente a un delitto, signore, il delitto di aver ucciso la dignità di una donna e il suo normale vivere».
«Il ragazzo ha ragione» concordò la voce di qualcuno.
Un uomo emerse dal corridoio, affiancandosi a Fabius. Doveva essere quello che aveva chiamato prima “capo”. Franziska lo squadrò, nascosta dalle dita: sulla quarantina, alto, snello, mascella squadrata e portamento militare. I capelli sale e pepe erano pettinati alla perfezione, con la riga da un lato, e gli occhi erano due pozzi di petrolio.
«Capo» lo salutò Fabius. «Aumento le pattuglie, dunque?»
«Una squadra di dieci uomini girerà per la zona C. Altri, in squadre da cinque, nelle restanti zone. E che al giovane figlio del sindaco e alla fanciulla sua amica venga offerto un passaggio a casa. Mi premuro io di accompagnarli».
 
 
 
*
 
«C’è qualcosa lì dentro?» La voce di Igor emerse da un’alta scaffalatura dai cassetti debordanti di carte.
Aaron – le mani che correvano veloci a spostare cartellette – scosse la testa. «Niente» rispose, chiudendo il cassetto. «E lì?»
Si alzò, sbuffando. Entrare lì non era poi stato tanto complicato: per loro fortuna, era appena arrivata una squadra di giovani Pacificatori, ed era bastato mischiarsi con quelle facce nuove per accedere alla Caserma. Il piano di Franziska e Jimmy doveva anche essere riuscito, perché in giro c’era poca gente e gli era parso di udire – mentre attraversava un corridoio con gli altri – che diverse pattuglie erano state mandate in giro per il Distretto a cercare uno stupratore.
«Niente di niente» rispose Igor. «Ascolta: controlliamone ancora uno ciascuno, poi ce ne andiamo».
Con una punta di delusione, Aaron dovette assentire. Gli spiaceva mollare tutto proprio in quel momento, ma Igor aveva ragione: non potevano trattenersi più di tanto. Erano già stati fin troppo fortunati a trovare l’archivio in tempo e ad avere via libera – per esperienza, era giunto alla conclusione che troppa fortuna spesso nascondeva insidie troppo grandi.
Sconsolato, aprì l’ennesimo cassetto ricolmo di cartellette. C’erano dati risalenti ad ogni anno, anche date che lui non aveva mai vissuto, ma il tutto era immerso nel caos più totale. I Pacificatori non dovevano essere gente che badava molto all’ordine, nonostante fossero soldati – oppure, ipotesi ancora più probabile, erano talmente certi delle loro azioni che poi non gli serviva tornarci sopra perché sapevano che non avrebbero mai avuto torto. Non a Panem, almeno.
Fece scorrere le cartelle. Su ognuna era scritto il caso a cui si riferiva: esecuzioni per omicidi, per tentativo di colpo di stato, condanne per furto, mancata presenza alle Mietiture… lì dentro erano nascosti migliaia di cadaveri, di innocenti, di persone che cercavano solo di salvarsi la pelle.
Poi, comparve un fiore nel deserto.
Aaron rimase talmente colpito da averla trovata, talmente sorpreso, che trattenne il fiato per alcuni secondi, prima di ricordarsi che respirare gli sarebbe servito.
Jonathan e Keira Kidman, era scritto in un ordinato stampatello, condannati per fuga e attività illecite contro la Nazione.
«Oh… oh mio Dio» balbettò il quindicenne, estraendo la cartelletta dal cassetto. «Igor, Igor!»
«Non me lo dire!» Igor apparve da dietro la scaffalatura dove era impegnato; gli occhi verdi mandavano lampi di speranza. «L’hai trovata?»
Aaron non disse niente. Gliela mostrò e basta, un’espressione inebetita stampata in volto.
Il suo amico sorrise. «Perfetto. Ora nascondila, Kidman. Si torna in scena».
 
 
*
 
«Ebbene, signori» Jimmy si alzò in piedi sul letto scassato dell’Officina Abbandonata; in mano stringeva la preziosa cartelletta, «il mio piano è riuscito!»
Un piccolo applauso partì dal gruppetto, in piedi davanti al figlio del sindaco.
«Nella tua stupidità, ogni tanto fai qualcosa di buono, hai visto?» scherzò Aaron, scompigliando i capelli del suo migliore amico non appena scese dalla branda.
Jimmy si inchinò. «E ora, mio vassallo, ti cedo l’arma del potere» proclamò, cedendo ad Aaron la cartelletta.
Il ragazzo rise. «In realtà lo sappiamo tutti che è merito di Franziska, ma per una volta ti farò credere di essere bravo». Fece l’occhiolino alla ragazza, che rispose con un sorriso mesto.
«Lei deve ringraziarmi perché le ho fatto ottenere un passaggio dai Pacificatori» aggiunse Jimmy.
«Non perché ora sono sotto chiave, sicuramente» sospirò la giovane. «Mia nonna mi proibisce di uscire appena fa buio, da quando sembra che io sia stata stuprata».
«E non abbiamo nemmeno potuto spiegarle che era un gioco» raccontò Igor. «Sarebbe stato peggio, perché allora ci saremmo sorbiti un sermone sul fatto che non si scherza su certe cose». Lanciò poi un’occhiata ad un trepidante Aaron. «Adesso ascoltiamo lui, però».
«Giusto!» Jimmy si voltò verso l’amico. «Dicci i crimini dei tuoi genitori».
Aaron fece un mezzo sorriso. Era la prima volta anche per lui; non aveva voluto controllare prima, temeva che – senza i suoi amici – il vetro già crepato come una ragnatela che si era posto tra lui e l’assassinio dei suoi genitori si sarebbe rotto del tutto.
Prese un bel respiro e aprì la cartella, in un’atmosfera di totale sospensione.
«Dunque?» Franziska si sedette accanto a lui, dandogli una stretta incoraggiante sul braccio. «Cosa dice?»
Aaron fece scorrere gli occhi lungo il primo foglio, dove si parlava dell’identità dei giustiziati e i perché che avevano portato all’esecuzione.
«Jonathan e Keira Kidman – ovvero mamma e papà – erano un ingegnere e un meccanico del Distretto 6, nell’officina immatricolata come DA43. Vivevano una normale vita con il sottoscritto e suo fratello Brenton. Nessun sospetto, ma sono stati arrestati perché si è poi appurato che tentavano, illegalmente, di effettuare una colpo di stato al fine di rovesciare il potere di Snow. La loro casa è stata perquisita, ma non è stato trovato nulla». Aveva raccontato tutto d’un fiato. Dovette fare un profondo respiro, prima di proseguire. Guardò gli altri fogli, ma non c’era scritto nient’altro di nuovo: erano stati impiccati sulla pubblica piazza e il medico aveva certificato la loro morte.
«Dunque abbiamo scoperto tutto» disse alla fine. «O quasi. I miei genitori probabilmente tentavano un colpo di stato».
«Non ne siamo ancora certi, però». Jimmy rubò i fogli dalle mani dell’amico. «Non so quanto fidarmi dei Pacificatori. E perché tentavano un colpo di stato? Solo un gruppetto? Cos’avevano in mente?»
«Chiedi troppo» sospirò il maggiore dei Kidman. «E soprattutto, come avevano in mente di effettuarlo? Quando? Con che mezzi? Questo ancora non lo sappiamo, ed è la cosa che cerchiamo da settimane».
Cos’avevi in mente, papà



 


Alaska's corner

*emerge da dietro un cespuglio*
Eh, già. Sono ancora qua. Un altro capitolo. The show must go on.
Sono mesi che non pubblico e mesi che non scrivo - e credo che quest'ultima cosa si sia notata in questo capitolo... - ma finalmente mi sono, più o meno, rimessa in carreggiata. Purtroppo, la maturità non si vive solo a giugno/luglio, ma anche nei mesi precedenti e sono stata sempre super impegnata - lo sono anche attualmente, ma sto cercando di rimettere ordine della mia vita (la maturità non è l'unica cosa che mi preoccupa, ma questa è un'altra storia).
Però, ora ho  scritto questo capitolo, in cui vediamo i nostri protagonisti alle prese con una recitina... un po' pericolosa. Mi sono divertita molto soprattutto a scrivere la parte di Jimmy e Franziska - spero l'abbiate apprezzata anche voi!
Questo capitolo è scritto maluccio e credo si noti, dopo un bel po' che non scrivo. Ogni suggerimento per migliorare è sempre ben accetto!
Un abbraccio e alla prossima - spero presto!
Alaska. ~
   
 
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