Titolo:
Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?
Wordcount: 1814
(Fidipù)
Introduzione: Sono
passati quattro anni da quando Ladybug e Chat Noir hanno sconfitto
Papillon, riportandolo dalla parte del bene.
Ma una
nuova minaccia giunge a Parigi e i due eroi non sanno se stavolta
riusciranno a fermarla...
Note dell'autrice: Ehm...salve! Questa è la prima storia seria che pubblico nel fandom di Miraculous Ladybug e...
Beh, niente di che! E' una what if...? che mi è venuta in mente, dove ritroverete i personaggi della serie, delle new entry e una cattiva nuova nuova di zecca!
Buona lettura!
Prologo
Secoli
fa, furono creati sette gioielli magici che donavano dei poteri
fantastici: I Miraculous.
Durante la storia, questi gioielli sono stati usati dagli eroi per
salvare l’umanità.
Due di questi erano più potenti degli altri: gli orecchini della
coccinella, con il potere della creazione; e l’anello del gatto nero,
con il potere della distruzione.
La leggenda dice che a colui, che avrebbe avuto entrambi i gioielli,
sarebbe stato donato il potere assoluto.
Solo una persona, in tutta la storia, ha cercato di prendere i due
potenti Miraculous: Papillon, il possessore del Miraculous
della farfalla.
Ma, quattro anni or sono, Ladybug e Chat Noir hanno fermato il loro
nemico e l’hanno riportato dalla parte del bene.
Plagg sbadigliò sonoramente, mentre ascoltava Nooroo raccontare loro
qualcosa che sapevano benissimo: «Non è per rovinarti la storia…» mormorò,
sistemandosi meglio contro la scatola vuota di Camembert e allungando una
zampetta all’interno, alla ricerca di qualche pezzetto superstite di
formaggio: «Ma c’eravamo anche noi.»
«Ssssh!» intimò Wayzz, il kwami del Miraculous della tartaruga, osservando
male il felino nero: «Adesso c’è la parte più interessante.»
Plagg fissò il kwami verde, sperando che non dicesse sul serio: davvero
voleva stare a sentire Nooroo raccontare la storia che avevano vissuto non
poco tempo fa?
«Quale?» commentò l’esserino nero: «Quella dove narra di come Ladybug e
Chat Noir hanno scoperte le relative identità, si sono innamorati – cioè
lo erano già l’uno dell’altra, ma troppo idioti per capire che si amavano
a vicenda – e si sono messi insieme?»
«No! Me l’hai rovinata!»
«Stai scherzando, vero?»
Nooroo sospirò, osservando Plagg e Wayzz iniziare a litigare e scosse il
capo: «Speravo fosse una cosa carina, ritrovarsi e commentare ciò che è
successo quattro anni fa…» mormorò, sedendosi accanto alla kwami della
coccinella che ridente osservava gli altri due.
«Beh, come idea non era male. Ma conosci Plagg, non è tipo da cose come
questa.»
«E Wayzz prende sempre tutto sul serio.»
Si voltarono entrambi, giusto in tempo per vedere il kwami verde lanciare
pezzi di lattuga contro il felino nero, che rispondeva a suon di
formaggio: la kwami rossa rise, scuotendo il capo: «Però è bello sapere
che siamo in pace, che la mia protetta e quello di Plagg stanno vivendo il
loro amore felici e contenti…» si fermò, sospirando: «Tutto è perfetto!»
Fu osservò i quattro kwami: Plagg e Wayzz stavano litigando come loro
solito, Nooroo cercava di placare gli animi e Tikki li osservava tranquilla.
Da quanto non vedeva quei piccoletti tutti assieme? Tanto tempo.
Con un sospiro, si voltò verso il grammofono, al cui interno era nascosto
lo scrigno dei Miraculous: tre kwami mancavano all’appello, tre Miraculous
che aveva donato a giro per il mondo.
Perché, se aveva imparato una cosa fondamentale nei suoi centonovant’anni,
era che il Male non riposava mai.
L’aeroporto di Charles De Gaulle era febbricitante: turisti che arrivavano
nella capitale francese, turisti che se ne andavano, altri che erano solo
di passaggio, altri ancora erano giunti fin lì per lavoro.
Quel luogo era pieno di vita.
E lei era giunta in quel luogo con una missione.
«Pensi sia una buona idea?» le domandò una vocina, mentre un musetto
giallo faceva capolino dalla sua borsa.
«Mikko! Potrebbero vederti!» esclamò la ragazza, guardandosi attorno.
La folletta gialla ridacchiò, ritornando nel suo antro: la ragazza sbuffò,
ricordando di come la kwami era uscita da una strana scatola nera, che
aveva trovato nella sua camera, qualche tempo fa; legata dalla magia a un
pettinino a forma di ape, Miko le aveva detto di essere un Kwami e che le
avrebbe donato dei poteri.
Da quel giorno era diventata Bee, paladina della giustizia e del bene.
E per la giustizia e il bene era giunta fino a Parigi.
Perché la sua nemica era lì.
E lei l’avrebbe fermata.
Sorrise, osservando la calca di gente che affollava la pista da ballo,
sotto il balcone vip che aveva prenotato per quella sera; sentì le mani
della sua compagna scivolargli sulle spalle, mentre il profumo costoso gli
arrivava alle narici: sapeva benissimo cosa voleva lei.
Era bello e lo sapeva.
Era ricco e la sua partner lo sapeva.
Si portò il bicchiere colmo di liquore e lo buttò giù in un sorso,
voltandosi poi verso la sua partner: «Che strano ciondolo…» commentò
la donna, facendo scorrere le dita laccate di rosso sul ciondolo che
teneva al collo.
«E’ un ciondolo magico.» dichiarò lui, sorridendole e allontanandole le
mani dal monile, baciandole uno a uno i polpastrelli: «Dentro c’è un
folletto che mi fa trasformare in un supereroe.»
«Come Ladybug e Chat Noir?»
«Esattamente come loro.» dichiarò, sorridendo convinto: «Ma io sono più
bello di Chat Noir. E più potente.»
La donna rise, gettando la testa all’indietro e, quasi sicuramente,
pensava che lui stesse scherzando.
Non sapeva quanto distante dalla realtà era.
Sospirò, mentre il suo datore di lavoro avanzava verso di lui, pronto
all’ennesima strigliata: non poteva dirgli che aveva capito male
l’ordinazione. Era a Parigi da parecchio tempo ormai, abbastanza per aver
imparato le basi della lingua e non fare un errore scemo come quello di
capire pesce per acqua.
Il proprietario del ristorante si fermò davanti a lui, alzando la testa
per fissarlo negli occhi: tentennò, come faceva sempre di fronte a lui.
Essere grandi e grossi aiutava ogni tanto.
«Dimmi cosa devo fare con te!» esclamò il suo capo, portandosi il pollice
e l’indice alla base del naso: «Dimmelo. Perché io non so più cosa fare!»
Il kwami della volpe la osservò: «Perché sei voluta venire a Parigi?» le
domandò, mentre la ragazza si appoggiava al balcone del piccolo
appartamento che aveva preso in affitto.
«Non lo so. Sentivo di dover venire qua.»
«Sentivi di dover venire qua?» la parafrasò il kwami, soppesando poi
quelle parole e rimanendo in silenzio.
«Sì, Vooxi. Era come se qualcosa mi stesse chiamando.»
Era così strano ritrovarsi da sola nel terrazzino della sua camera, pensò
Marinette mentre si accomodava meglio sulla sdraio e osservava il cielo
notturno di Parigi: Notre Dame illuminava la notte, imponendosi nel
panorama parigino.
Tikki era andata a una specie di ritrovo fra Kwami.
Chat – o meglio Adrien – non sarebbe venuto a trovarla, poiché anche Plagg
era a quel ritrovo.
Quella sera era tutta per lei, per Marinette.
Abbassò lo sguardo sul blocco da disegno che teneva in mano, osservando i
vestiti che aveva disegnato in quella serata di solitudine: avrebbe dovuto
effettuare qualche modifica qua e là ma, tutto sommato, le piacevano.
Quasi quasi avrebbe convinto qualcuno ad accompagnarla a comprare le
stoffe per poterli cucire.
Ovviamente quando avrebbe concluso il disegno.
Il suo cellulare vibrò, distraendola dai suoi piani: si allungò, prendendo
l’apparecchio abbandonato sul tavolinetto di legno e sorrise alla vista
del mittente: Dì la verità, ti manca
quel meraviglioso e sensualissimo gatto nero che sa come rendere
bollenti le tue notti.
Arrossì, rileggendo il messaggio: sapeva sempre come sorprenderla, anche
dopo quattro anni che si conoscevano e nonostante il fatto che aveva
imparato a placare i tentativi di seduzione di quel gatto nero.
Beh, tentativi placati finché non aveva scoperto che dietro la maschera
nera c’era l’amore della sua vita.
Un nuovo vibro l’avvisò di un nuovo messaggio.
Oh oh. Il gatto ti ha forse mangiato la
lingua?
Adrien ridacchiò, abbandonando il cellulare sul ripiano di marmo del
lavabo e osservando il proprio riflesso allo specchio: i capelli biondi
erano sparati in tutte le direzioni, come ogni volta che usciva dalla
doccia. Afferrò l’asciugamano bianco, frizionando la testa e aspettando
una risposta dalla sua principessa.
Perché, era sicuro, che dopo il momento d’imbarazzo iniziale, gli avrebbe
risposto pan per focaccia.
Era questo che adorava di lei: sapeva essere estremamente timida e, allo
stesso tempo, audace.
Finì di asciugare i capelli con la salvietta, osservando poi il cellulare:
non gli aveva ancora risposto.
Possibile che, questa volta, era riuscito a zittirla?
Sorrise e prese il telefono, aprendo il registro delle chiamate e
selezionando poi il numero della ragazza: rimase in linea un po’, prima
che lei rispondesse – quasi sicuramente aveva dovuto cercare il coraggio
per rispondergli –: «Salut, Marinette.» la salutò innocente, come se non
avesse spedito nessun messaggio.
Che poi non è che fosse chissà cosa quel messaggio, avrebbe potuto fare di
peggio se ci si fosse messo d’impegno.
La sentì respirare profondamente e poi iniziare a balbettare
qualcosa: quattro anni di conoscenza lo avevano reso un perfetto
traduttore degli sproloqui senza senso di Marinette.
Rimase ad ascoltarla, poggiato contro il lavabo e osservando i piedi
scalzi contro le mattonelle scure del pavimento: «Pensavo che la mia lady
non si scandalizzasse per così poco…» commentò alla fine, quando la
ragazza ebbe finito di balbettare quello che stava dicendo.
«Ladybug non si scandalizza.» bofonchiò la voce femminile all’altro capo
del telefono: «Marinette sì.»
Adrien alzò gli occhi al cielo, sospirando: ancora non capiva perché si
ostinava a dire che Ladybug e lei erano diverse.
«Sai, dovremmo lavorare su questa tua tendenza a sminuirti.» mormorò,
dirigendosi verso la porta e passando in camera sua: «Visti i nostri
genitori, dovrei essere io quello con poca autostima.»
«Tranquillo, ce l’hai per tutti e due.»
«Beh, in fondo dove si può trovare un altro come? Bello, intelligente,
sexy…»
«Rompiscatole, fin troppo sicuro di sé...»
«Sono purr-fetto. Che posso farci?»
Adrien ascoltò la risata di Marinette, lasciandosi andare sul letto:
«Questa è vecchia, Adrien.»
«Ma sempre d’effetto.»
«Se ne sei convinto tu.»
«Hai appena riso, Marinette.» la riprese lui, sorridendo e osservando
l’enorme finestra della sua camera.
«Non è vero!»
«My lady, non pensavo fossi una bugiarda!» dichiarò, ascoltando poi un
borbottio confuso dall’altra parte della linea: «Hai riso al mio gioco di
parole, che può essere vecchio ma efficace. Fine.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«Marinette…» mormorò tranquillo, chiudendo gli occhi: «…sai cosa succede
alle coccinelle bugiarde?»
«Non sono più fortunate?»
«No, vengono punite dal gatto nero.» dichiarò, lasciando intendere doppi e
tripli sensi con quella frase.
Mmh, dal vivo avrebbe reso di più, perché ci sarebbero stati sguardi e
postura ad aiutarlo, nonché un certo contatto fisico.
Vabbè, ormai era andata così.
Marinette respirò profondamente e balbettò il suo nome, facendolo
ridacchiare: «Cosa ti stai immaginando, piccola coccinella pervertita?»
domandò innocente.
«Io?» strillò la ragazza all’altro capo: «Sei tu quello che…»
«Ho forse detto qualcosa io?» Ghignò, mentre la immaginava cercare
qualcosa con cui accusarlo e non trovando niente: alla fine lui aveva
detto solo una frase innocente: «Beh, my lady, dovrei andare a dormire:
sai com’è, domattina c’è scuola…» si fermò, sorridendo e buttò l’ultima
battuta prima di chiudere la chiamata: «Ah, mi raccomando, nei tuoi sogni
porno, preferirei stare sopra.»
«Adrien!»
Parigi.
La capitale della Francia.
Per tanti anche la città dell’amore.
Alzò il bicchiere di vino bianco, osservando la Tour Eiffel attraverso il
liquido e sorridendo, mentre rimaneva comodamente distesa sulla chaise
longue: «Il luogo dove sono apparsi i Miraculous...» dichiarò,
portandosi il bicchiere alle labbra e sorridendo.