Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Kary91    19/03/2016    3 recensioni
[One-Shot | Pre-Saga | Gale/Mr. Hawthorne | Introspettivo | Missing Moment]
Certe volte, le persone devono sopportare un po’ di male per poter ottenere quello che vogliono” spiegò, arruffando i capelli del figlio. “E altre volte bisogna prendersi il cielo sulle spalle per alleggerire quelle degli altri.”
Gale assunse un’espressione meditabonda per qualche istante, prima di tornare a voltarsi verso il padre.
“È una cosa da eroi?”
Joel sorrise.
“Una cosa da eroi, sì. Ma va fatta più spesso di quanto credi.”
“Tu l’hai mai preso il cielo sulle spalle, papà?” lo interrogò Gale, esaminando la cicatrice in rilievo sul palmo della mano del padre.
Joel lo fisso a lungo prima di rispondere.
“Tutti lo fanno prima o poi” rivelò.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Mr. Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Prompt Utilizzato:Gale Hawthorne – Quando Ercole prese il cielo sulle spalle”, di Tinkerbell92.

 

 

Quando Ercole prese il cielo sulle spalle;

 

Al signor Hawthorne piaceva molto raccontare storie. Da ragazzo si era nutrito di quelle recitategli dal padre la sera, per calmare la sua iperattività, e crescendo le aveva tramandate alla sua fidanzata, poi divenuta moglie e infine madre di suo figlio.

Il momento più bello per Joel Hawthorne, tuttavia, era stato quello in cui Gale era diventato abbastanza grande da poter comprendere a pieno le storie che aveva da raccontargli. A tre o quattro anni, suo figlio era già in grado di trascorrere intere mezzore ad ascoltare le favole del padre. Adorava i racconti più irriverenti, quelli che parlavano di imprese folli per raggiungere il cielo, di burattini ribelli ed eroi disposti a tutto pur di salvare gli indifesi.

La figura di Ercole incominciò a figurare nelle storie di Joel quando il figlio aveva poco più di quattro anni: Gale aveva ascoltato rapito i racconti delle dodici imprese impossibili affrontate dall’eroe e chiedeva spesso al padre di ripeterglieli prima di andare a letto. Ad affascinarlo più di tutto era stato l’incontro fra Ercole e il gigante Atlante, il ribelle condannato da Zeus a reggere il cielo sulle spalle: l’immagine di Ercole che si caricava il cielo sulla schiena per mandare Atlante a cogliere dei frutti d’oro, l’aveva sorpreso molto.

“Ma papà, non gli faceva male?” aveva chiesto una sera, aggrottando le sopracciglia.

 

“Da morire” confermò l’uomo, il braccio a circondare le spalle del figlioletto. “Probabilmente gli si stava spezzando la schiena da quanto era pesante il cielo, ma era un male indispensabile.”

“Che vuol dire?” chiese ancora Gale.

“Certe volte, le persone devono sopportare un po’ di male per poter ottenere quello che vogliono” spiegò, arruffando i capelli del figlio. “E altre volte bisogna prendersi il cielo sulle spalle per alleggerire quelle degli altri.”

Gale assunse un’espressione meditabonda per qualche istante, prima di tornare a voltarsi verso il padre.

“È una cosa da eroi?”

Joel sorrise.

“Una cosa da eroi, sì. Ma va fatta più spesso di quanto credi.”

“Tu l’hai mai preso il cielo sulle spalle, papà?” lo interrogò Gale, esaminando la cicatrice in rilievo sul palmo della mano del padre.

Joel lo fisso a lungo prima di rispondere.

“Tutti lo fanno prima o poi” rivelò, indirizzando un’occhiata pensierosa a Hazelle, appena visibile attraverso la porta socchiusa che dava sulla cucina. “Ma tu non ci pensare, per ora. Sta’ a sentire come va avanti la storia, invece.”

Gale annuì e appoggiò la nuca al braccio del padre.

Mentre raccontava, Joel non poté fare a meno di notare l’espressione distante del bambino: stava rimuginando sulle sue parole, ne era certo, anche se non era ancora abbastanza grande per poterle comprendere.

Il senso di colpa stuzzicò appena lo stomaco di Joel, e poi si spostò poco sopra la sua schiena.

Per un istante, un istante solo, il peso del cielo tornò a depositarsi sulle sue spalle.

 

***

 

 “Ti avevo detto di non farlo!”

L’espressione incollerita di Joel ne induriva i lineamenti generalmente allegri.

Il minatore continuava a fare avanti e indietro per la radura: quando era nervoso o su di giri per qualcosa avvertiva il bisogno istintivo di muoversi senza riuscire a fermarsi.

Il qualcosa in questione, quel pomeriggio, era il pezzetto di carta che aveva sorpreso in mano al suo primogenito qualche minuto prima. Erano giorni che teneva d’occhio Gale per assicurarsi che non decidesse di fare qualcosa di stupido, di troppo avventato perfino per un tipetto impulsivo come lui.

Per quello non si era stupito nel riconoscere il ragazzi fuori dal Palazzo di Giustizia, lo sguardo teso ma risoluto. In mano aveva una ricevuta, un rettangolino di carta in cui veniva attestato che Gale Hawthorne, dodici anni appena compiuti, aveva richiesto cinque tessere: una per ciascun membro della sua famiglia.

Con i denti digrignati e i muscoli serrati per lo sforzo di mantenersi calmo, Joel gli aveva strappato il foglietto di mano e aveva guidato bruscamente Gale  fino alla recinzione di filo spinato e poi nel bosco, alla ricerca di un posto in cui poter gridare indisturbato la propria collera.

Ed erano ancora entrambi lì, padre e figlio, accomunati dalla stessa fiera determinazione tratteggiata nello sguardo.

“Abbiamo bisogno di soldi, papà” replicò Gale, incrociando le braccia sul petto. “Con le tessere ci danno i cereali e l’olio. Possiamo tenere il denaro per le altre cose e perfino comprare delle medicine. Vick ne ha sempre bisogno.”

“Le medicine di Vick non sono un problema tuo, ma mio” ribatté Joel, battendogli più volte le dita contro il petto. Era talmente arrabbiato che avrebbe volentieri sferrato un pugno a qualcosa e non osava immaginare che sarebbe successo se si fosse trovato di fronte uno di quei vecchi funzionari che registravano i ragazzini tesserati.

Cercò di calmarsi, ispirando con forza; i suoi occhi fiammeggiavano di rabbia.

“Adesso torni indietro” ordinò infine, in tono fermo ma autoritario. “Torni indietro e fai strappare ogni singolo bigliettino col tuo nome sopra: fatti revocare le tessere.”

Lentamente, Gale scosse la testa.

“Non posso.”

“Non solo puoi: devi” replicò furente l’uomo, stringendogli le spalle. “Perché te lo sto ordinando io.”

L’espressione decisa di Gale mutò, riflettendo l’ira del padre:  Adesso anche lui era arrabbiato.

Joel non gli aveva mai parlato in quei termini. Lo aveva rimproverato spesso, questo sì, ma non aveva mai dettato ordini ai propri figli. Per lui, che poneva il concetto di libertà sopra ogni cosa, esclusa la sua famiglia, sarebbe stato un controsenso.

“Non posso, invece” ribatté il ragazzino, squadrandolo sfrontato. “Ho fatto la cosa giusta per la mamma, per Rory e per Vick. Non m’importa se non sei d’accordo, non tornerò indietro.”

La mano di Joel scattò in  aria prima che l’uomo potesse fare in tempo a trattenersi.

L’aria riottosa di Gale svanì, lasciando il posto alla sorpresa, ma il bambino si riprese in fretta: sollevò le braccia per ripararsi da uno schiaffo che non giunse mai.

Il padre ritirò la mano e diede un calcio al terreno, mutilando manciate di fili d’erba.

“Ma perché?” sbottò infine, rivolto a se stesso più che a Gale. “Perché ti ho riempito la testa di storie inutili? È colpa mia se sei così.”

Spinse la schiena contro un albero e si lasciò scivolare a terra, scuotendo rassegnato la testa. La rabbia nei suoi occhi si stava spegnendo e, attraverso il fumo che si erigeva sulle sue ceneri, era possibile intravedere una velatura di tristezza. “Dovevi prendere dalla mamma, non da me.”

“La mamma avrebbe fatto la stessa cosa” replicò Gale, ripristinando il cipiglio risoluto. La sua voce, tuttavia, aveva perso la sfumatura decisa di poco prima.

“La mamma piangerà quando scoprirà quello che hai fatto” ribatté il padre, passandosi le mani fra i capelli. “La farai crepare di preoccupazione. È questo che volevi? Farla soffrire?”

Gale scosse la testa; il suo sguardo, adesso, si era fatto esitante.

Joel sospirò nell’osservare quel ragazzino maturo e ostinato farsi improvvisamente confuso e insicuro, come qualsiasi ragazzino di dodici anni dovrebbe essere.

“Voglio che la mia famiglia stia bene” rispose infine Gale distogliendo lo sguardo,  i pugni serrati e le braccia abbandonate lungo i fianchi. “Voglio che Rory smetta di avere sempre fame e che Vick incominci a stare meglio. Voglio cacciare con te la Domenica e non da solo perché vai a lavorare anche il tuo giorno libero. Voglio anche che tu e la mamma siate orgogliosi di me, ma se proprio devo scegliere preferisco vedervi stare bene.”

Joel rimuginò per qualche istante sulle sue parole, giocherellando con un bastone che aveva raccolto da terra.

“Vederci stare bene…” ripeté con una punta di cinismo nel tono di voce. Sorrise amaro, cancellando con quel gesto la poca determinazione che ancora resisteva nel volto del figlio. “… Vuoi vederci stare bene e allora vai a giocare cinque biglietti con il tuo nome nella lotteria dei pazzi. Hai anche solo mezza idea di che mi succederebbe a me se ti estraessero?” riprese, tornando ad alzare il tono di voce. “Se ti spedissero a quegli stupidi giochi per farti la festa come facciamo noi con i conigli? Morirei anch’io, Gale.”

Spezzò il bastoncino e il suono secco che produsse sembrò enfatizzare le sue parole.

“Morirei con te in quei giochi, in quell’Arena. Perché non c’è niente che mi fa paura più del pensiero di perdere voi tre e la mamma. Nessuno – nessuno, Gale – deve toccare i miei figli, tanto meno Capitol City. Nessuno deve anche solo arrischiarsi a pensare di potervi fare del male e quelle tessere fanno proprio questo: ti vendono il cibo e in cambio si comprano te. Ma tu da quelli non ci andrai mai: piuttosto ci vado io a fargli una visitina e poi vediamo se avranno ancora voglia di giocare con le vite dei nostri figli…”

Un lieve sorriso arricciò le labbra di Gale. Visibilmente rassicurato, il ragazzino si avvicinò cauto al padre e si sedette accanto a lui, stringendosi le ginocchia al petto.

Rimasero entrambi in silenzio per qualche istante, intenti a rimuginare sulle parole dell’altro.

“Mi dispiace, papà” spezzò infine il silenzio Gale, appoggiando la nuca al tronco dell’albero. “Ma non ho cambiato idea e non penso che la cambierò più avanti: dovevo prendere le tessere. Lo sai bene anche tu e forse è proprio per questo che sei così arrabbiato.”

Joel scosse la testa ancora una volta e fece per rispondergli, ma all’ultimo cambiò idea. Posò invece la mano sulla nuca del figlio e gli fece alzare la testa: il sole era ancora bello alto e Gale fu costretto a socchiudere gli occhi per ripararli dai raggi più intensi.

“Lo vedi il cielo, ragazzo?” chiese a quel punto il padre, alzando a sua volta la testa. “Sta in piedi da solo, mi pare, no?”

Gale gli indirizzò un’occhiata cauta, prima di annuire.

“E allora non c’è bisogno che tu ti sforzi di tenertelo sulle spalle” concluse Joel, arruffandogli i capelli prima di lasciarlo andare.

Gale sospirò.

“Ma tutti devono farlo prima o poi, papà” rispose, tornando ad appoggiarsi all’albero. “Me l’hai detto tu.”

Joel lo fisso con aria triste, un accenno di avvilimento nuovamente aggrappato al grigio dei suoi occhi.

“Tutti i genitori, forse, ma non tu” spiegò, sfilando dalla taschino della camicia Gale la ricevuta spiegazzata. “Non Rory o Vick. Non i miei figli.”

La sua voce s’incrinò, nel pronunciare quelle ultime parole. Gale, che se ne accorse, gli posò una mano sulla spalla.

“Lo sai? La Mietitura quest’anno cade il quattro di giugno” rivelò poi, fissandolo con risolutezza. “E il quattro è il nostro numero portafortuna, no? Non mi estrarranno, vedrai.”

Il padre tornò a stropicciarsi i capelli, lasciandosi andare a un sospiro rassegnato.

“Certo che proprio un bel tipo, tu” osservò infine con un mezzo sorriso, prima di dare un buffetto sulla guancia al figlio. “Il mio Ercole.”

Gale ricambiò il sorriso e distolse lo sguardo, girandosi fra le mani il bastone che il padre aveva spezzato poco prima.

“Forse un giorno anch’io dovrò affrontare dodici fatiche” mormorò infine il ragazzino, lanciando il rametto nel folto della radura.

Il padre tornò ad arruffargli i capelli.

“Beh, chi può sapere a cosa siamo destinati?” rispose, riesumando il sorrisetto allegro che esibiva spesso. “Di certo non il tuo vecchio… Ma una cosa te la posso promettere: se un giorno sarai costretto a fare l’eroe o a compiere qualche impresa, io sarò lì con te.”

Tornò a circondare le spalle del figlio e, quando notò che la sua espressione si era rilassata,  lui si sentì più tranquillo. “Insomma, mica posso lasciarti da solo a prendere tutto il merito, no?” aggiunse, sdrammatizzando. “Chi è che ti ha fatto, in fin dei conti? Il sottoscritto!”

Gale ricambiò il sorriso.

“Allora lo reggeremo assieme…” propose, dando un pugnetto scherzoso al padre. “… Il cielo sulle spalle.”

Joel annuì, lo sguardo occupato a contemplare l’espressione allegra del primogenito. Era una di quelle rare occasioni in cui nel suo sguardo riusciva a scorgere l’intelligenza e la bontà d’animo di Hazelle, al di là dell’orgoglio testardo che aveva ereditato da lui.

“Puoi giurarci, ragazzo” promise, posandogli con affetto una mano alla base del collo.

Non riusciva a immaginare un giorno in cui avrebbe lasciato che i suoi figli venissero schiacciati dal peso di un fardello troppo grande. Joel avrebbe retto per loro qualsiasi cielo, finché sarebbe stato al mondo. A costo di doverci finire, nel cielo.

“Puoi giurarci.”

 


thec


 

Note Finali.

Oggi è la festa del papà e quindi ci tenevo a pubblicare qualcosa sul babbo di Hunger Games a cui voglio più bene. Joel nella mia testa è un papà che sbaglia spesso, un papà imperfetto ma follemente innamorato dei suoi figli, che lo considerano un po’ un eroe. Insomma, un papà come tutti!  Ho impiegato anni a decidermi quali scene inserire in questa storia per analizzare la figura di Gale con il cielo sulle spalle, ma alla fine ho deciso di fermarmi a una sola. Probabilmente prima o poi scriverò un seguito, perché ci sono innumerevoli momenti in cui ha dovuto sopportare un fardello troppo grande sulla schiena (primo fra tutti quello della morte del padre), ma per questa volta ho preferito soffermarmi sulla sua prima decisione sofferta e sul rapporto fra Gale e Joel. Ringrazio tanto Tinkerbell92 per il suo prompt, perché l’ho amato e mi ha ispirato molto. Spero tanto che questa storia possa esservi piaciuta!

 

Storie in cui fa comparsa Mr. Hawthorne:

 

§  Il Ribelle [One-Shot| Gale/Hazelle/Joel/Mr. Everdeen]

§  The Miner Saw a Comet [One-Shot | Joel/Gale | Mr. Everdeen/Katniss]

§  Four Children. Four Names. Four Letters [Raccolta di one-shots | Famiglia Hawthorne]

§  Baby Lince [Flash Fiction | Joel/Hazelle/baby!Gale]

§  Hazel Proposal [One-Shot| Joel/Hazelle]

§  Dance with my father [One-Shot | Famiglia Hawthorne]

§  Tutto ciò che ho [Raccolta di one-shots | Famiglia Hawthorne]

§  Daddy’s Hands [Raccolta di drabbles]

§  Ti porto a volare [Flash-Fiction | Gale/Joel]

§  Tutto per un’arancia: per lei [One-Shot | Mr. Everdeen/Mr. Hawthorne/child!Gale]

§  Four Children. Four Names. Four Letters [Raccolta di one-shots | Famiglia Hawthorne]

§  Wayward One [One-Shot | Hazelle/Gale/Joel]

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Kary91