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Autore: Natsumi92    21/03/2016    5 recensioni
DESTIEL
Un AU nel quale Dean è un ex alcolista proprietario di una tavola calda, Sam è uno studente di legge incapace di notare il modo in cui Jessica lo guarda, e Cas? Beh, Cas mette sottosopra il mondo di Dean e forse, solo forse, gli dà un motivo per avere un po' di fede.
L'amore della durata di una vita raccontato attraverso un battito cardiaco.
Traduzione dell'opera originale "999 days from now" di Dear Collectress
Attenzione: *Major Character Death, Angst, menzione di precedenti abusi di alcol e droga e abbandono di minore*
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Jessica Moore, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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999 Giorni da Adesso

Opera originale di Dear Collectress
Traduzione di SognatriceNotturna

 



Nota della traduttrice: OKAY SONO VIVA. In realtà un po' mi pento di essermi imbarcata nella traduzione di questa mastodontica fanfic, ma sul web viene definita la "Twist&Shout 2.0" e quindi non potevo non leggerla. Sia chiaro, io non so niente di questa storia, perché la sto leggendo man mano che la traduco, ma fin ora promette meravigliosamente bene. I capitoli in tutto sono 6 (solo sei? penserete voi, ma siete dei poveri sciocchi perché sono 34MILA parole!!!!) e per tradurre solo questo ci ho messo due giorni interi, senza mai staccarmi dal pc. Perché un conto è parlare e capire l'inglese, ma l'adattamento è un altro paio di maniche. Insomma una faticaccia! 
Comunque, tornando alla storia, ci sono millemila "warning", e alcuni li ho scritti nella presentazione della fanfic. Ma sappiate solo una cosa, in breve. SI PIANGE E SI SOFFRE. Oh. 
Spero di riuscire a pubblicare una volta a settimana, spero di aver fatto un lavoro quanto meno decente [non sono una traduttrice esperta, sorry :( ] e spero che vogliate iniziare insieme a me questo percorso verso il dolore. Buona lettura!
PS: L'originale è qui e qui, se sapete masticare l'inglese e non avete voglia di aspettare i miei aggiornamenti. Alla prossima!
 


CAPITOLO 1: PREPARAZIONE


 
PROLOGO
 
La vita non era la scatola di cioccolatini che Forrest Gump ha voluto farci credere.

Dean ha capito che la vita è fatta di frammenti dei momenti più belli e più brutti che hai vissuto, ripetuti all'infinito nella memoria. E non mostravano molto, perché erano solo degli scorci -- il calore del sorriso di sua madre, Sam che perde il suo primo dentino, i ridicoli capelli di Castiel appena sveglio, le fusa del motore di Baby in una gelida mattina nel Nebraska, oppure quel pezzo della torta di noci diviso con qualcuno -- ma insieme sono rattoppati tra loro in una storia, che va dall'inizio alla fine.

Dean inizialmente non sapeva che tipo di storia potesse raccontare la sua vita. Ma col tempo lo capì, accadde in maniera così naturale che Dean non si rese quasi conto di essersi innamorato. Ma allora, non essendosi mai innamorato prima, si aspettava che l'amore fosse fatto di fuochi d'artificio, passeggiate al chiaro di luna e film smielati; invece trovò crostate e risate e film di Bruce Lee. Probabilmente il rendersi conto di essere innamorato sarebbe dovuto essere il climax della storia, perché le storie non iniziano così, e certamente non iniziano così vicine alla fine. In realtà, la storia d'amore di Dean è iniziata il giorno in cui ha messo nel caffè di Sam il sale al posto dello zucchero.


 
GIORNO 1
 
«Non così veloce,» disse Dean a Jess «Nessuno vuole un hamburger crudo. Non serviamo la bistecca alla tartara qui.»

Jess strinse la spatola con un po’ più di forza, avvicinandola al petto, trasformando la scritta “Dive Burger” sulla sua t-shirt in “Divurger”. «Girare degli hamburger dovrebbe essere più semplice che frequentare l’università.» si lamentò lei. Strinse le labbra con disgusto mentre fissava il pezzo di carne, che assomigliava più ad un cumulo di fagioli fritti piuttosto che a carne di manzo. «Forse dovrei tornare a fare semplicemente la cameriera.» disse.

«Ce la puoi fare,» insistette Dean. «Ti faccio vedere.» Afferrò un paio di guanti in lattice usa e getta e una spatola. La voce di Ellen riecheggiò nella sua testa “Pulizia extra e dovute precauzioni significano meno violazioni del codice sanitario”. Dopo aver indossato i guanti, afferrò un po’ di carne cruda dal vassoio degli ingredienti di fronte a sé, e poi una manciata di salsa verde. Massaggiò i due ingredienti insieme. Jess lo fissava con un’espressione di puro scetticismo dipinta sul bel viso. «Fidati di me.» le disse. Divise la carne a metà, piazzando un po’ di formaggio pepperjack[1] nel mezzo, e riattaccò la carne insieme, utilizzando la spatola per dargli la forma perfetta dell’hamburger. «Bello, vero?» chiese a Jess.

Lei annuì. Il resto dello staff lavorata attorno a loro, come se i due fossero dei frangiventi nel bel mezzo di una tempesta del Nebraska. Dean cosse l’hamburger per sei minuti precisi su un lato prima di girarlo, e una volta fatto aggiunse altro formaggio pepperjack in cima. Tostò leggermente un panino sulla griglia, bagnandolo con un po’ di olio d’oliva aromatizzato all’aglio per dargli sapore.

Jess sentì la salivazione aumentare quando lui assemblò l’hamburger, completandolo con un po’ di avocado, pomodori, e lattuga. «Ecco,» disse porgendole il panino, «Prova questo.»

Prese il più grande morso che lui avesse mai visto, e i suoi occhi andarono all’indietro mentre lo assaporava. «Oooh mmiooo ffioooo,» gemette.
«Beh, sono contento che ti piaccia, ora vuoi provare di nuovo? A farne uno da sola?»

Lei scosse la testa. «Non ce n’è bisogno,» disse tra un morso e l’altro. «Ho ottenuto ciò che volevo.» sorrise lei.

Ovviamente Jess l’aveva manipolato affinché lui le preparasse il pranzo. Di nuovo. «Uno di questi giorni,» giurò lui, «Cucinerò qualcosa al cavolo nero.»

«No, non lo farai, perché odi il cavolo nero tanto quanto lo odio io. Questo è delizioso, comunque. Dovresti aggiungerlo al menù del Dive Burger.»

«Grazie, forse lo farò. Per quanto riguarda il cavolo, conosco qualcuno che probabilmente potrebbe mangiarlo,» promise Dean. Afferrò un canovaccio e glielo tirò addosso. «Ora torna al lavoro.» le ordinò severo.

«Io faccio quello che voglio,» replicò lei. Si aggiustò il grembiule e andò verso la parte anteriore della tavola calda. Dean ripulì il piano di lavoro dalle sue “lezioni di cucina” con Jess, e anche se la donna era stata dietro i fornelli per circa 5 minuti, aveva combinato un pasticcio che la maggior parte dei cuochi fa in un’ora. Dopo aver finito di pulire, raggiunse Jess dalla parte opposta del bancone, per dare un’occhiata al locale. Aveva fatto un bell’affare riguardo lo staff del Dive Burger: c’erano dei problemi ogni tanto, ma il più delle volte funzionava tutto come una macchina ben oleata. Lui era il proprietario e manager, e ogni tanto soffriva di emicrania. E sapeva che la colpa era al 90% di Jessica Moore, ma non gliel’aveva mai detto per evitare di gonfiare ulteriormente il suo ego.

«Qualche segno di vita da Sammy?» le chiese.

Lei scosse la testa. «Questo semestre è stato difficile per lui, non è vero?» disse lei. «Riusciamo a vederlo qui solo quando viene a studiare.»
Dean udì una distinta nota di disappunto nella voce della cameriera, e parlando di Sam, in quel momento il suo fratellino Bigfoot entrò nel locale con una ventiquattrore. Una ventiquattrore. Solo perché studiava alla facoltà di legge non significava che doveva iniziare a comportarsi come un avvocato coglione. «Yo, Sam.» disse, «Perché quel bagaglio da vecchio?»

«Eh?»

«La ventiquattrore. Perché?» chiese Dean.

«Ci hanno assegnato tipo dieci casi per questo weekend, e mi sembrava il modo migliore per trasportarli,» spiegò Sam. Posò la valigetta sul bancone, e per un istante Dean pensò di trovarsi in una realtà parallela, perché, esattamente, quando era cresciuto Sam? Ricordò la volta in cui Sam si era ostinatamente rifiutato di farsi aiutare a trasportare i libri di testo. Lui aveva quattordici anni più o meno, e Sam dieci, e il ragazzino non aveva capito che non servisse riportare tutti i suoi libri a casa ogni giorno.

Adesso Sam era più alto di lui e indossava solo delle polo e andava in giro con una ventiquattrore. Certo, il “ragazzino” aveva ventotto anni ormai, e, dio, quando era successo? Suo fratello aprì la valigetta e allineò metodicamente tutti i documenti di lavoro sistemandoli sul bancone, nessun pezzo di carta era fuori posto. Ogni foglio era diviso per colore con un’enorme quantità di note scritte ai lati, tutte firmate dalla stenografica calligrafia di Sam. Dean ne apprezzò l’organizzazione, ma non i due metri del bancone che i documenti di Sam avevano occupato.

«Sammy, questo è un ristorante, non una biblioteca. Puoi andare a studiare da qualche altra parte?» in realtà Dean non voleva che Sam se ne andasse – la tavola calda era praticamente deserta alle 2 di venerdì pomeriggio – ma l’istinto da fratello maggiore non si lasciava mai sfuggire la possibilità di rendere la vita di Sam un po’ più complicata.

Sam sbuffò, le sue guance si gonfiarono leggermente. «Prenderò un caffè,» disse. «Vedi? Adesso sono un cliente. Fammi studiare in pace.»
Dean fece un sorrisetto e arruffò i capelli di Sam. Sam se lo scrollò di dosso e passò le dita attraverso la sua criniera. Dean scoppiò a ridere perché anche se suo fratello stava per entrare nella Legione degli Avvocati Coglioni, non si sarebbe mai tagliato i suoi capelli da hippie. Glieli arruffò di nuovo.

«Dean. Piantala.»

«Perché porti i capelli lunghi se non vuoi che la gente ci pasticci un po’?»

«Dean!»

«Va bene, va bene,» disse. Alzò le mani ed indietreggiò. «Non studiare troppo, okay? È venerdì.»

«Già, ma alla facoltà di legge non interessa.»

«Beh, forse dovrebbe? C’è molto altro nella vita oltre i libri e le aule di tribunale.» Non che Dean potesse rendersene davvero conto, in realtà. Possedeva forse tre libri nella loro casa. Versò il caffè di Sam e piazzò la tazza di fronte a suo fratello. Sam sembrava stanco; non come se volesse dormire, ma più come se gli servissero un abbraccio e sei doppi bicchieri di Jack Daniel’s.  «Fammi sapere se hai bisogno di altro, okay? Sarò sul retro. Jess è qui da qualche parte.»

Sam non alzò lo sguardo dal suo fascicolo mentre diceva, «Grazie, Dean.»

Dean si diresse verso il retro-bottega della tavola calda, raddrizzando i portatovaglioli e le posate mentre passava. Jess, che si era autodefinita “cameriera superiore e assistente manager non ufficiale”, spesso gli diceva che c’era un qualcosa di militare nella sua pignoleria. Le loro discussioni il più delle volte andavano in questo modo: lui minacciava di licenziarla, lei gli ricordava quanto fosse inutile perché per la contabilità aveva bisogno del suo aiuto, poi bevevano un frullato insieme (che poteva anche contenere qualcosa di più forte al suo interno quando Jess era in vena) parlando di stronzate fino all’orario di chiusura. Se Jess non fosse letteralmente impazzita per Sam la prima volta che l’aveva visto, Dean ci avrebbe provato con lei molto tempo prima. Nonostante Sam fosse intelligentissimo, non lo era abbastanza da accorgersi della bionda sexy che lo guardava costantemente con gli occhi a cuoricino.

Esattamente come stava facendo in quel momento.

La cameriera bionda era poggiata sul bancone di fronte a Sam, cercando di coinvolgerlo in una conversazione. In tutta risposta Sam le rivolgeva dei monosillabi sotto forma di grugniti, finché Jess non fu chiamata da un gruppo di sei liceali, che avrebbero ordinato sicuramente della coca-cola e delle patatine fritte da condividere. A Jess avevano sempre dato fastidio gli adolescenti che entravano nel Dive Burger, diceva che erano solo una perdita di tempo e di energie, finché Dean non le circondava le spalle con un braccio e le diceva, «Potrebbe anche andare peggio.»

Dean si piazzò alla fine del lungo bancone, facendo finta di pulire delle briciole. Stava solo tenendo d’occhio il suo fratellino, si disse, e tirò fuori il suo telefono per controllare dei messaggi che non avrebbe mai ricevuto. Nessuno gli scriveva mai degli sms, ad eccezione di Sam e Jess. E ogni tanto di Ellen. E di Jo, una volta l'anno per il suo compleanno. O quando aveva bisogno di una diagnosi per quell’ "irritante strano suono" che aveva fatto la sua auto.

Jess mise nella lista degli ordini una porzione di patatine fritte e si spostò accanto a Sam, con occhi speranzosi. Quando Dean si diresse in cucina per mettere le patatine nella friggitrice, si chiese mentalmente se quello fosse finalmente il giorno nel quale Sam avrebbe tolto la testa dal suo culo e avrebbe notato la ragazza.

«Ehi Sam,» disse Jess, «come va l’università?»

Sam grugnì in risposta e voltò un’altra pagina. «Bene.» disse con l’entusiasmo di un ateo che entra in chiesa.

«E come va in generale?» riprovò lei.

«Il solito. Sai, scuola, lavoro, dormite,» rispose Sam. Non guardò Jess, mentre evidenziava delle sezioni di un documento legale che stava leggendo.«Mi dispiace, Jess, ma non ho davvero tempo per parlare. Magari un’altra volta.»

«Non preoccuparti,» disse lei. «Lo vedo che sei frak[2]impegnato.» Mentre Dean avrebbe voluto applaudire a quella citazione di Battlestar Galactica, decise invece di stare in silenzio e notare come Jess scrollasse le spalle mentre gli passava davanti.

Lui seguì Jess nell’ufficio sul retro della tavola calda dove lei passò l’ora successiva a far finta che non le importasse di come Sam l’aveva spazzata via come se fosse lanugine su una vecchia felpa. Quindi cosa sarebbe accaduto se Sam non si fosse mai accorto di lei? Lei sapeva divertirsi e aveva una vita, a differenza del fratello più giovane-più stupido-più deficiente di Dean. Non aveva bisogno di Sam per essere felice, disse lei, perciò poteva andarsene e vivere per sempre da solo con i suoi stupidi casi e i suoi stupidi libri e i suoi stupidi capelli perfetti.

«Uhm, Jess, ti ricordi che stai parlando di mio fratello, vero?»

Prese un sorso dal suo più-rum-che-milkshake. «Sì. Quindi? Ciò che è stupido è stupido. E questo è ciò che è Sam. Stupido. E non ho intenzione di sprecare il mio tempo ad essere gentile con uno stupido.»

Dean non si sentiva in vena di dissentire. «Sì, stupido,» mormorò. Prese un lungo sorso dal proprio milkshake. Il Rum bruciava in fondo alla gola. Non era più abituato a bere quella merda. John Winchester si sarebbe rivoltato nella tomba ridendo e l’avrebbe chiamato rammollito.

«E un’altra cosa,» continuò Jess. «Tu, tu non sei migliore di lui. Vieni semplicemente qui a cucinare e a comandarmi a bacchetta e a preoccuparti di Sam, e davvero, che razza di vita è questa? Tu sei stupido. I Winchester sono stupidi.» Si voltò col viso arrossato, e lo infilzò con i suoi occhi azzurri.

«Beh, è proprio questo il punto,» disse lui. «Tutto quello che faccio è preparare frullati e pagarti.»

Lei lo fissò e gli tolse il frullato dalle mani. Lo bevve svogliatamente e alzò la voce per dimostrare la sua tesi. «Non devi berlo così velocemente,» disse a mo’ di spiegazione.

«Mocciosa.»

Lasciò Jess in ufficio e si diresse nuovamente nella sala per affrettarsi a prepararsi per l’ora di cena. I venerdì sera i ragazzi di Stanford si recavano lì per fare un party pre-partita con un paio di cheeseburger con pancetta del Dive Burger. Il sabato mattina invece, Dean serviva loro gli stessi panini, con la differenza che venivano definiti “toccasana per la sbornia”.

Beh, tutti i ragazzi di Stanford eccetto Sam, ovviamente.

Sam era ancora seduto al bancone, con carte e documenti sparpagliati attorno a lui, per un raggio di due metri di noiosa merda da avvocato. La tazza di caffè era vuota. Suo fratello a quanto pare non aveva preso in considerazione il discorso da “È il Funday Friday[3]!” che gli aveva fatto. «Ne vuoi un altro?» gli chiese Dean.

Sam lo guardò con aria assente.

Dean prese una tazza e la sventolò davanti la faccia del fratello. «Un’altra cup o’ joe[4]

«Oh. Certo. Grazie.» e dopo tornò a studiare.

Lui versò il caffè di Sam – nero con due zollette di zucchero – ma poi cambiò idea e lo svuotò nel lavandino.

Sam non se ne accorse.

Dean si sarebbe dannato se suo fratello avesse trascorso tutto il venerdì sera sui libri. Jess aveva ragione: lui aveva bisogno di vivere. Ne versò una seconda tazza – in quel momento Jess lo raggiunse e gli lanciò uno sguardo di pura confusione – ma questa volta invece di due zollette di zucchero, mise due cucchiaini di sale. Jess gli si affiancò e sussurrò non-proprio-sommessamente, «Cosa stai facendo?»

Dean la ignorò e mise la tazza davanti a suo fratello. «Ecco a te, amico.»

«Grazie.» borbottò Sam.

E poi prese un sorso.

Dean avvertì Jess trattenere un respiro, come se Sam fosse una granata senza linguetta di sicurezza e le fosse stata lanciata in grembo. Ma Sam continuò a sorseggiare il suo caffè, e se non fosse stata una scena maledettamente triste, Dean sarebbe scoppiato a ridere. Così aggirò il bancone, raccolse i documenti di Sam, e iniziò a rimetterli nel bagaglio da vecchio.

«Che stai facendo?» chiese Sam. Non sembrava particolarmente infastidito, solo stanco.

«Andiamo a giocare a basket. Sei stato su questa spazzatura legale per troppo tempo.» replicò Dean.

«No, non è vero. Devo leggere le note di questa sentenza,» piagnucolò Sam. Tentò di riprendersi la ventiquattrore indietro, dando vita ad un tira e molla tra fratelli. Quello ricordò a Dean un Natale della loro infanzia quando ricevettero abbastanza regali da farci a botte.
«Sammy, ce ne andiamo. Hai finito.»

«Dean, non posso. Ho troppe cose da fare. E anche tu.»

«Il mio bar. Le mie regole. Jess può coprire il mio turno.»

«Questo non è un bar.»

«Sai cosa intendo.»

La discussione andò avanti finché Jess, infastidita dal loro litigio, non si mise in mezzo. «Tu» disse, rivolta a Dean, «hai ragione. Sam sta lavorando troppo.»

«Sentito? Ho ragione.»

«Chiudi il becco, Dean.» disse lei. «Invece tu» indicò Sam, «hai bisogno di una pausa. Non discutere; questa non è un’aula di tribunale. Inoltre, ho l’arringa conclusiva: non hai notato che Dean ha “addolcito” il tuo caffè con il sale, invece dello zucchero. Ciò significa che è arrivato il momento di fare una pausa, signore. Quindi va’ fuori a giocare. Farebbe bene al tuo cervello.» Beh, Jess non scherzava quando diceva che ne aveva abbastanza della stupidità di Sam. Spinse Sam giù dallo sgabello. «Adesso fuori di qui.»

Sam era stato davvero un idiota a non togliere quella fantastica ragazza dal mercato.

«Dài, Sammy,» disse Dean, «ho intenzione di stracciarti.»

Sam ci pensò un po’, rivolgendo i suoi grandi occhi da cucciolo a Jess – che dal canto suo, non ci cascò e lo spinse praticamente fuori dalla porta – e una volta all’interno dell’Impala di Dean, si rilassò. Apparentemente.

Dean portò suo fratello in una palestra nelle vicinanze. Era una cosa che facevano spesso, una promessa che si erano fatti quando si trasferirono per la prima volta in California dal Nebraska; la vita prima, il lavoro (o lo studio) dopo. Arrivarono sul campo da gioco, e non si sentiva nient’altro se non il cigolio delle suole di gomma sul pavimento di legno e l’energia che trasmetteva la rivalità tra fratelli. Anche se Sam era più alto di Dean di pochi centimetri (maledetto Bigfoot), Dean era solitamente il più agile dei due. Sam gli diceva che era a causa delle sue gambe storte. Stronzo.
Normalmente, Dean avrebbe potuto dirigere tranquillamente il gioco, ma quella volta Sam gli stava sopra di venti punti. «È questo il meglio che sai fare?» lo insultò Sam.

Quello non era il suo meglio, e lo sapevano entrambi.

«Ci sto andando piano con te oggi.» mentì Dean. «Quando diventerai un vero avvocato, talmente grasso da non riuscire a prendere in mano una penna, allora non mi batterai più.»

«Staremo a vedere.» disse Sam. «Non ho intenzione di diventare quel tipo di avvocato.»

«Che intendi?» Dean colse l’occasione per riposarsi, gettandosi su una panchina. Se si stavano prendendo un time-out non ufficiale, lui aveva tutta l’intenzione di riprendere fiato. Sam lo stava davvero prendendo a calci in culo.

«Prima di tutto, non voglio essere quel tipo di avvocato che si dimentica perché la legge è stata creata. La legge è fatta per difendere le persone e non ho intenzione di stare seduto nel mio ufficio e guidare una Mercedes dimenticandomi tutto questo.»

Per un momento, Dean dimenticò che Sam era uno studente di legge di 28 anni. Vide il Sammy capellone e topo da biblioteca, di 12 anni che, il giorno in cui il loro padre decise di uscire dalla porta di casa per l’ultima volta, aveva detto, “Ho intenzione di cambiare le cose un giorno. I bambini come noi dovrebbero essere protetti da persone come lui”.

Dean non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva iniziato ad ammirarlo da allora, in tutti i sensi.

«Andiamo, Bigfoot,» disse Dean «Puoi provare a cambiare il mondo dopo che ti avrò battuto nell’uno-contro-uno.»

Sam gli rivolse lo stesso sorriso appena abbozzato che aveva quando erano piccoli. «Sì, giusto. Preparati ad essere annientato.»
 
 
GIORNO 57

Dean era steso a faccia in giù sul divano, quando Sam uscì dalla sua stanza in tarda mattinata. «Ehi, amico, non vai al lavoro oggi?» gli chiese Sam.

«Nah,» disse Dean nel cuscino del divano dove aveva affondato la faccia. «Non mi va.»

«Beh, cos’ha da dire Jess in proposito?»

Dean si sforzò di aprire un occhio. I capelli di suo fratello erano arruffati in una sorta di ridicola pettinatura afro. Doveva essere rimasto a studiare fino a tardi di nuovo. «Sono io il capo,» disse Dean. «Significa che faccio quello che voglio.» si trascinò fino a mettersi seduto, sbadigliando e stiracchiando le braccia. «Le ho detto che ho dovuto tener d’occhio il mio stupido fratello che non riesce a smettere di studiare.»

Sam arcuò le sopracciglia. «Stupido?»

«Parola sua. Non mia.»

Dean si spostò in modo tale da permettere a suo fratello di crollare sul divano accanto a lui. «C’è una cassa di birra nel frigo per te.» riprese lui.

«Amico, sono tipo le 10 del mattino.»

«Mi stai dicendo che non vuoi divertirti con tuo fratello? Quello che si è preso un giorno libero per guardare film di Bruce Lee con te?»

Sam esitò esattamente 0.23 secondi prima di dire, «Metti I 3 dell’operazione drago. Vado a prendere le birre.»
 
GIORNO 126
A Ellen: sei sicura di venire questo mese, quindi? 9:17 a.m.

Da Ellen: non potrei mai perdermi il tuo compleanno. 11:27 a.m.
 
GIORNO 195

Dean decise che la vita di Sam aveva raggiunto un livello pericolosamente patetico; e non era nemmeno sicuro che si potesse definire “vita”. Sam non era stato da nessuna parte eccetto che all’università, alla tavola calda e nell’appartamento, per settimane. Aveva rifiutato un invito ad una festa più o meno elegante per il martedì grasso, organizzata da due studentesse davvero attraenti (Dean gli aveva servito solo caffè decaffeinato nei giorni successivi, per punizione). Avevano il frigo di casa infestato da broccoli, sedano e cavolo nero, perché Sam li definiva "cibo per la mente”. Ed adesso? Adesso il Gigantor si era addormentato di faccia sui libri mentre studiava alla tavola calda. Alcuni clienti avevano scosso la testa ridacchiando, mentre una ragazza di nome Becky (che diceva di essere una compagna di studi di Sam) gli aveva scattato una foto col suo telefono. Dean sperò con tutto il cuore che lei non aggiungesse quella foto in un qualche santuario di Sam Winchester che teneva nascosto nel suo armadio di casa.

Jess sarebbe tornata da un momento all’altro e anche se Dean era davvero tentato di versare dell’acqua gelata sulla sua schiena, pensò che il risveglio di Sam Winchester sarebbe stato meglio nelle mani della bionda insolente. Non era un patetico tentativo di matrimonio combinato, si disse, ma se Sam si sarebbe dovuto svegliare come la Bella Addormentata ed innamorarsi di un bel viso, sarebbe potuto essere quello di Jess.

No, sicuramente doveva essere quello di Jess.

Jess arrivò a piedi dieci minuti dopo. «Sembri un merdoso pancake fritto che è stato messo sotto da un autocarro,» disse Dean, «Che ti è successo?»

Lei lo fissò, e anche il più tenero dei coniglietti non sarebbe sfuggito al suo sguardo assassino. «Sta zitto, Dean. Non è affar tuo.» I suoi occhi si ammorbidirono quando vide Sam. Dean era sempre stupito dal modo in cui Jess diventava più felice, più leggera quando c’era Sam nei paraggi; a volte sembrava come se brillasse, non che Dean avesse intenzione di farglielo notare. Lui ci teneva ai suoi gioielli di famiglia.

«Studia davvero troppo,» disse lei gesticolando in direzione del gigante che russava leggermente.

«Già.» concordò Dean.

«Lo sveglierai? Non puoi farlo dormire così. Gli farà male al collo.» lei aleggiò verso Sam con un’espressione da Mamma Orsa.

«L’ultima volta che l’ho svegliato, mi ha rivolto la Faccia da Stronzo per circa un’ora. E non ho tempo per questo. Sveglialo tu.» disse Dean.

«D’accordo.» Jess strusciò la punta delle dita sulla spalla di Sam, delicatamente. Dean non era certo che questa donna – che nei giorni buoni aveva la forza di un uragano e in quelli brutti era qualcosa di molto più terrificante – era la stessa che arrivava in ritardo ogni mattina perché i suoi esercizi di Jiu Jitsu l’avevano sopraffatta. Improvvisamente, l’immagine di una donna che svegliava suo figlio di quattro anni nello stesso modo, balenò nella mente di Dean, e in quel momento un’ondata di dolore lo fece annegare. Jess era come lei, in qualche modo, come quando riusciva a versare il caffè in una tazza guardandoti negli occhi senza farlo cadere, o come tutto il suo corpo tremava mentre rideva ogni volta che Sam faceva delle battute da avvocato. Nello stesso modo Mary Winchester rideva alle battute di suo marito riguardanti i proprietari delle auto su cui aveva lavorato. Il ricordo di sua madre, anche adesso, dopo quasi trent’anni, gli faceva stringere il petto al pensiero di come sarebbe potuta andare diversamente.

Questo era il motivo per il quale Dean era certo che non ci fosse nessun Dio: Sam non ricordava la loro mamma; l’infanzia di suo fratello era cucita col dolore di essere stato dimenticato a scuola, col suono che la cintura del loro padre produceva al contatto con la pelle nuda e con l’odore di Whiskey che proveniva dal respiro di John Winchester.

«Sam,» disse Jess. Lei si sporse facendo passare le dita attraverso i suoi capelli. «Sam, svegliati.»

«Mmmmmmmnggh,» gemette Sam. «Non voglio.»

Dean guardò l’inaffondabile Jessica Moore portare il Gigantor fuori dal suo coma, come Bilbo aveva risvegliato il drago[5], e quando Sam sbatté le palpebre e Jess portò una tazza di caffè non salato sotto il suo naso, Dean rimase colpito da quanto tutto quello gli sembrasse normale. Lui avrebbe potuto immortalare centinaia di mattine come quella – un Sam con gli occhi assonnati e un battibecco pre-caffeina con Jess su chi avesse finito il latte o chi non avesse pulito il filtro del caffè o qualsiasi altra cosa. Se Sam non avesse tolto la testa dai suoi libri e non avesse chiesto a Jess di uscire, Dean si sarebbe assicurato di fargliene pentire per il resto della sua vita, non importava quanto tempo ci avrebbe impiegato. Per dimostrare la cosa, anche se Sam non ne sapeva niente, gli tirò un calcio allo stinco. Sam imprecò e alzò la testa dal libro, col rischio di cadere all’indietro mezzo addormentato.

«Sveglia e risplendi, Sammy-boy.» cantilenò Dean a suo fratello.

Sam si accigliò. «Non chiamarmi Sammy.»

«Permaloso. Permaloso.»

«Sparisci.»

«Territorio mio. Significa che faccio quello che voglio.»

Sam alzò la testa tanto da lanciargli il suo Sguardo da Stronzo. «”Territorio mio”? Sei un mafioso degli anni ’30 adesso?»

Jess intervenne prima che Capitan Faccia da Stronzo diventasse più irrequieto, il che fu fantastico perché Dean non aveva abbastanza energie da sprecare per litigare col fratello.

«Che ne dici di mangiare, Sam?» disse lei, «Hai bisogno del tuo cibo per la mente se hai intenzione di continuare a studiare sodo.» Lei mise un braccio attorno alla spalla del minore dei Winchester e lo strinse delicatamente. Sam si cullò in quell’abbraccio, poggiando la testa nell’incavo della sua spalla. Dean desiderò fare “aaaawwww” come un adolescente. E così lo fece. Jess allontanò il braccio dalle spalle di Sam come scottata. «Uhm, vado a prepararti qualcosa da mangiare.» disse lei.

Dean la seguì in cucina. «Cos’era quello?» le chiese.

«Niente.» protestò lei. Incrociò le braccia di fronte a sé, «Sembrava come se Sam avesse bisogno di un abbraccio.» Lei scrollò le spalle come se non fosse importante.

Entrambi sapevano che stava mentendo.

«Sei strana oggi,» disse Dean. «Tu non… Tu non sei una tipa da abbracci.»

«Le persone cambiano.» afferrò alcuni pomodori e iniziò ad affettarli per preparare un’insalata, «Sto bene, Dean» insistette lei. «Ho appena... rotto con quel tizio con cui uscivo.»

«Oh, il Signor Coglione? Già, era proprio un buon partito.»

Gli tirò un pungo sulla spalla, e fece più male di quanto Dean ebbe il coraggio di ammettere. «So di avere un pessimo gusto in fatto di uomini, okay? Ho solo- ho solo pensato come sempre “andrà diversamente questa volta”, sai? Ma non succede mai. Non è mai fottutamente diverso.» sospirò. Dean non l’aveva mai vista così triste. «Forse dovrei uscire con te.» continuò lei. «Potrei tenerti testa.»

Dean scoppiò a ridere. «Sì, funzionerebbe finché non ci ammazzeremmo a vicenda.»

«Ma avremmo dei bambini così belli.» puntualizzò lei.

«Già,» concordò Dean. «Dei bambini meravigliosamente testoni.»

Continuarono a ridere e scherzare per qualche minuto sui loro potenziali disastri domestici. Jess cucinò a Sam un piatto di “cibo per la mente” (Dean non aveva idea di dove lei avesse trovato tutta quella roba verde); Dean preparò ad entrambi poi, dei frappè alla vaniglia, e Jess versò un po’ di Rum al loro interno perché aveva bisogno di sentirsi come se fosse “nei peggiori bar di Caracas[6]”, e alla fine, Jess gli raccontò tutto.

Dean sorseggiò lentamente il suo frullato, come faceva sempre quando Jess li correggeva. Lei l’aveva notato una volta, e lui era riuscito ad elaborare una scusa del cazzo sul fatto che non gli piacesse bere “roba leggera”. Non le aveva mai raccontato nulla dei giorni in cui beveva “roba forte” come un neonato che non riesce a staccarsi dalla tetta della madre. Quel Dean era morto e sepolto al centro di riabilitazione Hallmark Healthcare di Omaha.
Tornando a rivolgere l’attenzione a Jess, Dean capì che il Signor Coglione – seriamente, in che altro modo puoi chiamare qualcuno che indossa i mocassini e si vanta di mollare le ragazze tramite un sms? – l’aveva lasciata perché lei era troppo concentrata sui suoi studi e non abbastanza su di lui. «Credo mi piacesse solo perché è un tipo disponibile, sai?» disse Jess. «Lui era, dio, era così carino. E i tipi carini sono sempre stupidi.»

Dean si trattenne dal dirle che c’era un gigante “carino” mezzo addormentato sui suoi libri a circa sei metri da lei, che a parte il fatto che fosse completamente ignaro di tutto, era ben lontano dall’essere stupido. Invece le disse, «Beh, non ho molta esperienza riguardo le relazioni durature, sai, ma credo che quando si ami qualcuno – sì, ho detto “ami”, non ne sono allergico – si desideri il meglio per quella persona, anche se ciò significa non vederla così spesso. Non so se Sam te l’ha mai raccontato, ma io stavo quasi per rimanere nel Nebraska.»

«Hai quasi lasciato che Sam attraversasse il paese senza di te? Perché?»

Dean sospirò. La Breve Storia dei Winchester, capitolo quattro. «Immaginavo che sarebbe stato troppo impegnato con gli studi, e che non avesse avuto bisogno di me. E poi un giorno, arriva nel nostro appartamento di merda e mi dice che rinuncerà alla borsa di studio di Stanford. Che non ci sarebbe andato senza di me. A quel tempo ero in una brutta situazione, ma ciò che disse mi fece aprire gli occhi, sai? Non si trattava di me, se Sam voleva andare all’università, avrebbe dovuto farlo, e non potevo comportarmi da egoista. Il giorno dopo comprai i biglietti aerei.»

«Pensavo aveste guidato fin qui.»

«E l’abbiamo fatto. Quando siamo arrivati all’aeroporto, ho dato un’occhiata all’ammasso di latta che avrebbe dovuto trasportarci in volo per cinque miglia, e mi sono fiondato fuori di lì più in fretta di quanto tu possa dire “Heidenberg”.»

Jess ridacchio. «Allora non dovrò preoccuparmi di vederti partire per le Hawaii senza fare mai più ritorno, eh?»

«No, non dovrai farlo. Le Hawaii non sono il mio genere. Però potrei guidare fino a Redwoods e sparire per sempre.» scherzò Dean. «Oppure potresti preoccuparti del fatto che io e Sam potremmo tornare nel Nebraska, se è quello che lui vuole fare dopo la laurea.»

Jess non disse nulla per un minuto o due, sorseggiando il suo frullato. «Che ne dici di quello che vuoi tu, Dean?» chiese infine. «Non è importante anche quello?»

Dean strinse le spalle. «Mi sono preso cura di Sam da quando avevo sedici anni. Io non sono come lui. Non sono abbastanza intelligente per l’università o altro. Tutto quello che ho sempre voluto è stato far sì che avesse tutto il meglio. Mi ci sono voluti degli anni per capirlo, però. Angosce adolescenziali e tutto il resto.»

«Non parli molto del Nebraska.»

«Non ne ho motivo.»

«Non ti sei mai pentito di nulla?» infierì Jess. «Di non aver fatto niente per te stesso?»

«Prendermi cura di Sam è tutto quello che faccio. Sia per me stesso che per lui, ma non so,» ammise Dean. «Cerco di non pensarci troppo.» Che poi era una mezza verità. Lui non aveva mai avuto dei rimpianti riguardo l’essersi preso cura di Sam, ma a volte, a volte si era chiesto che tipo di persona sarebbe adesso, se i venerdì sera della sua infanzia non fossero stati consumati da bottiglie di Jack Daniels e dal vomito di John Winchester.

Jess disse, «Beh, hai fatto un buon lavoro con lui.»

«Ho fatto del mio meglio.»

«Dean, accetta i complimenti. Sam è un brav’uomo proprio perché l’hai cresciuto come tale.»

«Già, e neanche tu sei male, quindi smettila di uscire con i coglioni.»

Jess scoppiò a ridere. «Beh, se un giorno tuo fratello decidesse di svegliarsi e di notarmi, ha il mio numero.» afferrò il piatto di cibo che aveva preparato per lui e lasciò la cucina. Dean rimase lì un altro po’, assicurandosi che tutto funzionasse senza intoppi.

Poche ore più tardi si trovava ancora sul divanetto del suo ufficio, odiando l’idea che aveva avuto di passare l’intera giornata a riorganizzare la cella frigorifera. Non aveva più sedici anni, e le gambe glielo ricordavano dolorosamente. Gemette stiracchiandosi, allungandole sopra i braccioli e facendole penzolare di lato. Già, non aveva decisamente più sedici anni.

Il suo cellulare vibrò, ma si trovava sulla scrivania dall’altra parte dell’ufficio così Dean decise di ignorarlo finché Sam o Jess non fossero arrivati e glielo avessero dato.

Cosa che, ovviamente, Sam fece poco dopo.

«Ehi, Sammy! Puoi prendermi il telefono?»

Sam gli fece la Faccia da Stronzo per un minuto ma poi afferrò il cellulare di Dean. «A volte sei così pigro.» Suo fratello guardò il telefono e si accigliò. «Chi ti sta inviando queste foto di gatti?»

«Non tutti siamo dei secchioni che studiano legge. E piantala di spiare i miei messaggi.» glielo strappò via da Sam. Oh. Un Gollum-gatto. Lui scrisse una rapida risposta. Qualcuno gli ha rubato il suo puurrrresoro? ;)

«Con chi stai messaggiando?»

Dean nascose il suo telefono in tasca, il che non fu un’impresa facile data la sua posizione. «Nessuno.»

«Le uniche persone a cui mandi sms siamo io, Jess, e Ellen. E qualche volta Jo. Stai messaggiando con Jo? Sai che Ellen potrebbe ucciderti se uscissi con sua figlia, vero?»

Dean sospirò. «Non sto messaggiando con Jo.»

«D’accordo. Ho visto che hai mandato una faccina ammiccante. Tu non mandi la faccina con l’occhiolino a “nessuno”.»

«Quanti anni hai, dodici? Chi dice “faccina ammiccante”?»

Sam sospirò, e Dean giurò di aver avvertito la Faccia da Stronzo nel suo respiro. «È una ragazza carina, perché non vai là fuori a parlare con lei? Messaggiarci è un po’ inutile.» disse Sam. Sembrava come sconfitto.

«Aspetta, cosa? Chi è carina?»

«Jess.»

Dean quasi soffocò. E lo incenerì con lo sguardo. «Cosa intendi dire con questo, Sammy?»

«Niente. Sto solo dicendo che lei è carina. Tutto qui.»

Dean sarebbe scoppiato a ridere se non fosse tutto così dannatamente triste. «Già… questo non accadrà. Tipo mai.»

«Perché no? È una brava ragazza.»

«Nulla da obiettare.»

«Allora qual è il problema?»

«Devi smetterla di studiare così tanto.»

«Piantala di cambiare argomento.»

«È solo… Jess non è il mio tipo, okay?» Dean voleva sgattaiolare via dal suo ufficio, ma quell’alce di suo fratello gli bloccava la via di fuga.

«E allora a chi stai mandando i messaggi?»

Wow, suo fratello non aveva nessuna intenzione di lasciarlo andare. «Perché è così importante, Sammy?»

Lo sguardo che rivolse al volto di Sam gli fece capire che la conversazione aveva preso la strada sbagliata che portava a Merdopoli. Lui si rese conto che la Faccia da Stronzo di Sam sarebbe andata avanti finché non gli avesse dato il proprio telefono, in modo tale da fargli leggere con chi stesse messaggiando. Sapeva che Sam stava ripensando ai giorni nel Nebraska, quei giorni nei quali lui diceva a Sam di mandare messaggi agli “amici” al posto suo, perché lui era troppo impegnato ad organizzare degli incontri nel parcheggio del Lion’s Den.

«Stai mentendo. Forse non sul fatto di Jess, ma lo stai facendo su qualcosa.» disse Sam infine. Si chinò verso di lui e annusò deliberatamente il suo fiato. «Hai bevuto

«No.»

Sam sprofondò nel divanetto. Lo sguardo che Dean vide sul volto di Sam, lo fece sentire come se avesse preso a calci un cucciolo con degli stivali dalla punta di metallo. Era lo stesso sguardo che aveva Sam quando il loro padre tornava a casa con le bottiglie di Jack Daniel’s invece che con del cibo. «Pensavo avessimo superato tutto questo.» disse Sam. La voce del minore dei Winchester tremò, solo leggermente. Ma quanto basta da far capire a Dean quanto grave fosse la cazzata che aveva fatto.

«Jess e io abbiamo bevuto dei frullati leggermente corretti, ma niente di peggio di uno sciroppo per la tosse.» giurò Dean.

«Oh, quindi è stata un’idea di Jess?»

«Lei non sa niente, Sammy.»

«E perché non glielo dici, Dean

Dean si ricordò improvvisamente una notte di cinque anni prima, quando suo fratello gli stava accanto mentre guardavano degli orribili film di Nicholas Cage sulla tv via cavo. Sam non l’aveva mai lasciato solo, nemmeno una volta. Né allora, né i giorni che seguirono. Così in quel momento gli giurò che non era niente di serio. Non era come l’ultima volta.

Non era come loro padre.

«Allora perché l’hai fatto, Dean? Non capisco.»

«Non è niente. Jess aveva avuto una pessima giornata e aveva bisogno di bevuta in compagnia, sai.»

Lo scintillio che balenò negli occhi di Sam avrebbe fatto sì che anche il diavolo rivalutasse le proprie scelte di vita. «Perciò, piuttosto che ammettere che sei un ex drogato in via di recupero, permetti ad una tua dipendente di portare dell’alcol sul posto di lavoro? Questo è stupido, Dean, persino per te.»

Cinque anni prima, Dean aveva promesso che non avrebbe mai più bevuto alcol (o assunto pillole, o qualsiasi altra sostanza di cui aveva abusato quella settimana). Fu la sua decisione. Mentre due anni prima, avevano ricevuto la notizia della morte del loro padre. John Winchester era andato a sbattere con la sua auto contro un albero, con una bottiglia di Jack Daniel’s in mano. “Almeno è morto con l’amore della sua vita” aveva detto Sam amaramente. Quell’evento aveva cancellato in Dean qualsiasi desiderio di ritoccare una bottiglia, ma non aveva minimamente pensato che bere un goccetto di nascosto con Jess fosse sbagliato.

La faccia di Sam gli disse che sì, era incredibilmente sbagliato ciò che aveva fatto.

Crollò sul divanetto accanto a suo fratello. Cazzo. Si passò una mano sul viso. Quando erano piccoli, Sam aveva l’abitudine di leggergli le avventure degli Hardy Boys ogni volta che Dean si ammalava. Sognava spesso di essere come quei due fratelli, che andavano in giro a risolvere crimini e a vivere mille avventure, ma poi si svegliava e vedeva il loro padre svenuto nel suo vomito. Erano stati imbrogliati. Non avevano avuto un’infanzia fatta di staccionate bianche e felicità[7]. Avevano avuto solo merda. E Sam che leggeva per lui? Era quello che più si avvicinava alla normalità, finché John Winchester non aveva deciso di uscire per sempre dalle loro vite. La California era stata la loro possibilità di avere una vita normale, ma gli sembrava come se il passato fosse sempre dietro di lui, pronto a strisciare fuori da un momento all’altro e a mordergli il culo.

Mise un braccio attorno alla spalla di Sam, il che era difficile dato che era alto dieci centimetri più di lui, ma era una cosa da fratello maggiore che doveva fare. «Ho fatto una cazzata, okay? So cosa stai per dire: avrei dovuto dirlo a Jess. Non avrei dovuto fare una cosa del genere. Mi sono lasciato trascinare. Bla bla bla. Lo giuro Sammy, spaccherò la prossima bottiglia che Jess porterà qui.» promise.

Si aspettò un ripasso delle Lezioni del Nebraska, dove Sam diceva che le droghe fanno male, che lui poteva essere migliore di così, che il modo di merda in cui John Winchester li aveva cresciuti non doveva condizionare le loro vite. Ma ciò che invece Sam disse, lo sorprese.
«Non sei come lui, sai. Non hai niente in comune con lui.» disse Sam.

Dopo la morte di John Winchester, ne avevano riparlato solo tre volte. La prima quando dovevano organizzare il suo funerale, la seconda quando dovevano discutere dei debiti che gli aveva lasciato, e la terza quando scoprirono di avere un fratellastro nel Minnesota. Questa era la quarta volta, e c’era una sensazione che gli fece capire che si trattasse dell’ultima. Sam probabilmente avrebbe nominato il loro padre per un’ultima volta. Dean invece, ne avrebbe approfittato per rispondere a quella domanda lasciata aperta cinque anni prima, pronto a chiudere la porta che riguardava il loro passato incasinato con John Winchester, con chiodi e bulloni.

«Mi dispiace.» disse Dean. Si contavano sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva detto pensandolo seriamente. La ragazza che in secondo superiore (di cui non ricordava più il nome) gli aveva detto di amarlo e l’unica cosa che rispose fu “Mi dispiace”, dopo essersi tirato su la zip dei pantaloni ed averla lasciata sola sul sedile dell’auto di lei. La prima volta che Ellen e Sam gli erano andati a fargli visita al centro di riabilitazione, quando gli aveva sbattuto talmente forte la porta in faccia da creare una crepa sul muro. Poco dopo aveva chiamato Ellen per scusarsi, e la trovò sorpresa di sentirsi dire quelle parole. Mentre Sam ritornò il giorno successivo e l’aveva guardato proprio come guardava loro padre. Quel “mi dispiace” non fu mai detto ad alta voce, ma rimbombava ogni volta che andava ad un incontro degli Alcolisti Anonimi e ogni volta che passava davanti ad un bar o un negozio di liquori senza mai fermarsi.

Quelle scuse Dean avrebbe dovuto dirgliele anni prima. Era ancora troppo poco, ma sapeva essere meglio di niente.

Sam sembrò capire, perché era la maledetta persona migliore che fosse capitata nella vita di Dean. «Parla a Jess del Nebraska.» fu tutto quello che suo fratello gli disse.

E così fu. I momenti da film smielati non erano nello stile dei Winchester. Ci avrebbero litigato ancora in futuro, probabilmente dopo un mese o due, quando avrebbero finito le cose stupide su cui essere pignoli. Un’ora più tardi, Dean rinunciò a suo “lavoro” (ovvero stare seduto sulla sedia del suo ufficio) e lasciò a Jess la direzione della tavola calda. Sam era ancora chino sul bancone a studiare, e Jess era poggiata di fronte a lui, mentre con le mani mimava la storia che stava raccontando a suo fratello. La cameriera era riuscita a farlo ridere e sorridere, nonostante la serietà della conversazione che avevano avuto prima, con degli aneddoti sugli scherzi alle sue due sorelle minori (Dean fu colpito dall’uso creativo che Jess poteva fare del filo interdentale).
 
 
 
 
Dean si chiese se la loro vita fosse come quella dei film smielati, e se quello fosse finalmente il momento nel quale Sam avrebbe capito i sentimenti della ragazza. Afferrò il proprio cellulare, scattò una foto ai due e la allegò ad un messaggio. Ci credi che questi due non stanno insieme? Idioti ;)
 
GIORNO 200

A Cas: potrebbe sembrare strano chiederlo via messaggio ma non conosco i tuoi orari di lavoro 7:46 p.m.

A Cas: ti andrebbe un caffè domani? 7:47 p.m.

Da Cas: a che ora? 7:50 p.m.

A Cas: alle 9 al Douce France? 7:52 p.m.

Da Cas: sarò lì. 7:53 p.m.

A Cas: a domani, allora :) 7:54 p.m.

Da Cas: non vedo davvero l’ora. 7:55 p.m.

 
GIORNO 220

Da Jo: sbaglio o non mi hai mai chiamato per parlarmi di questo Castiel che mette mi piace a tutte le tue foto su FB? 2:17 p.m.

A Jo: no non l’ho mai fatto.  3:02 p.m.

Quella sera, Dean modificò le impostazioni della privacy a tutte le sue foto.
 
 
GIORNO 261

«Lo so che è imbarazzante. Voglio dire, so che ci conosciamo da un po’ ormai, ma si sa. È diverso. Questo è diverso.» disse Dean. Guardò il bordo di cartone del suo bicchiere di caffè, carezzandolo con la punta del dito. «Io, oh non lo so. Credo che io volessi solo parlare?» non era sicuro di aver formulato l’ultima frase come una domanda o meno. Non c’erano dubbi nella sua mente sul perché volesse essere lì al Douce France.

L’uomo di fronte a lui sorrise, in maniera genuina. «Va tutto bene, Dean.» disse. «Non dobbiamo dirci niente, se non vuoi. Godersi il caffè e la presenza l’uno dell’altro è abbastanza per me.» E poi, come per dimostrarlo, prese un lungo sorso del suo caffè macchiato.

«Castiel--» riprese Dean.

L’uomo lo zittì. «Ci siamo già passati, giusto? Non ti avevo detto che “Cas” andava bene?»

«Dicesti che non ti piacevano i soprannomi.» protestò Dean.

«Infatti,» disse Castiel, «ma le persone possono cambiare, no? Inoltre il fatto che tu mi abbia dato un soprannome mi fa sentire molto più a mio agio quando sono con te, come se fossimo dei veri amici.»

«Ovvio che siamo amici, Cas.»

«Allora dimmi cosa ti passa per la mente.» disse Cas, «Questo è quanto, se ti senti abbastanza a tuo agio da parlarmene.»

«Pensavo a ciò che mi hai detto per messaggio l’altro giorno, su come dovrei uscire di più. Godermi davvero la vita e tutto il resto.» si fermò per fare un respiro. O forse dieci. Odiava davvero parlare dei propri sentimenti, anche se era con Cas (con Sam era anche peggio). Dean continuò, «E non lo so, forse dovrei fare di più.» Certo, l’altro uomo gli aveva dato la possibilità di stare lì seduti in silenzio, ma Dean voleva sentire la voce di Castiel, per memorizzare le piegoline delle sue labbra quando parlava, per vedere come i suoi occhi blu si illuminavano davanti a qualcosa di divertente. Sam probabilmente l’avrebbe definita una cosa da film smielato. Dean decise di rivalutare completamente la qualità dell’intero genere cinematografico.

Il sorriso di Cas riempì il locale. «Ne sono felice. Meriti di goderti la vita.» disse. Si fermò, le parole rimasero in bilico sulle sue labbra come dei subacquei pronti ad un’immersione. Cas però non parlò più. Dean sapeva che se di fronte a lui si fosse trovato Sam, le sue parole sarebbero state un trampolino di lancio per discorsi sul “benessere emotivo” o sulla “resilienza psicologica”, che si concludevano col fatto che Dean avrebbe dovuto prendersi una vacanza. Anche se conosceva Cas da pochi mesi, l’aveva spinto a fare il passo più lungo della gamba. Sam era come la marea, un interminabile tira e molla su Dean, una presenza sempre costante e rassicurante. Cas, beh, Cas era diverso. Pensava che Cas fosse come il suo battito, morbido e silenzioso e sempre presente. Forse faceva molto film smielato, perché paragonare Cas ad un battito cardiaco era una cosa che si avvicinava parecchio alla merda di Nicholas Sparks.

«Non credo di averti mai visto sorridere,» disse Dean. Lui non stava assolutamente deviando il suo monologo interiore. «È strano.»

«Forse è solo una giornata insolita. Siamo venuti qui in sacco di volte, e oggi per la prima volta non hai ordinato la torta.»

«Beh, sì, forse voglio tenere sotto controllo la mia linea.»

Lo sguardo che gli lanciò Cas voleva dire per due terzi “Che stronzata” e per un terzo era chiaro flirt. Cas parlò lentamente, in modo tale da permettere a Dean di assimilare ogni parola. «Posso assicurarti che il tuo fisico è perfetto esattamente quanto lo era quando ci siamo incontrati per la prima volta. Anzi forse di più, adesso che ti conosco meglio.» si alzò, spazzolandosi delle pieghe immaginarie sui pantaloni blu. «Noci o ciliegia?»

«Noci.»

«Sarò di ritorno celermente.» disse Cas. Camminò fino in fondo alla pasticceria e si mise in fila dietro ad un considerevole numero di persone in attesa di acquistare i dolci.

Celermente. Dean non sentiva quella parola da quando, dieci anni prima, aveva aiutato Sam nella preparazione dei test attitudinali. Significava “presto”… oppure “da un momento all’altro”? A volte Castiel – Cas – aveva un vocabolario che solo Sam avrebbe potuto apprezzato a pieno. Sam. Oh merda, era martedì. Martedì era il giorno nel quale Sam doveva andare al Douce France a prendere l’ordine dei pasticcini per la tavola calda. Controllò la fila alla cassa, e notò che Cas era a metà strada. Sperò con tutto il cuore che avrebbe capito il perché se ne dovevano andare da lì, dato che Sam ancora non sapeva.

Quando aveva sette anni, Sam ruppe un vecchio specchio appartenuto alla loro mamma, una delle poche cose che il loro padre non aveva ancora venduto per l’alcol. Sam pianse per ore, convinto che avrebbe avuto una vita di sfortune, finché Dean non gli aveva detto che la vita di sfortune se l’era presa tutta lui, al posto del fratellino.

Sam entrò nel Douce France e si diresse verso il suo tavolo, convincendo Dean che la maledizione che si era preso quella volta era davvero reale. Come gli avrebbe spiegato di Cas? Non era ancora pronto ad avere quella conversazione.

«Ehi, Dean, che ci fai qui?» si buttò sulla sedia vuota di Cas. «Credevo avessi la mattinata libera.»

«Ce l’ho. Tu no. Vattene.» rispose Dean, con il tono di voce ruvido e carico di irritazione. Notò Cas ancora in fila, a chiacchierare goffamente con la donna di fronte a lui.

Sam scosse la testa, e Dean giurò di aver visto un paio di adolescenti dietro di lui sospirare alla vista del fruscio dei suoi capelli. Forse era una buona cosa che suo fratello fosse ignaro dell’effetto che aveva sulle donne. «Mi hai chiesto di ritirare l’ordine in pasticceria martedì, ricordi?» gli ricordò Sam. «Non capisco perché mi hai chiesto di farlo se ci sei già tu qui.»

Perché Dean aveva dimenticato di averglielo detto, in primo luogo. Invece gli disse, «Un uomo può venire a prendersi un caffè senza subire un interrogatorio?»

Sam guardò il bicchiere di caffè di Dean, e poi posò lo sguardo sulla tazza di caffè macchiato mezza terminata di fronte a sé. Il caffè macchiato ovviamente non era il suo: Sam una volta gli aveva detto che non pensava che suo fratello potesse bere qualcosa di più dolce dell’acido di una batteria (Dean non gli aveva mai parlato del suo amore segreto per il frappè al caramello). Sam fissò il caffè macchiato finché Dean non pensò che stesse assorbendo la caffeina tramite l’uso della telepatia, telecinesi o quant’altro. «Okay, penso che ti lascerò al tuo caffè.» gli disse poi, senza smettere di guardare il macchiato. «Mi limiterò a ritirare l’ordine e andarmene.» Il Gigantor si alzò, in maniera goffa come se fosse una giraffa che si alza in piedi per la prima volta. «Ci vediamo dopo.» Il modo in cui gli occhi di Sam girarono per il locale affollato fecero capire a Dean che stava chiaramente cercando il proprietario del caffè macchiato. Gli occhi di Sam non si fermarono mai su Cas.

«Ci vediamo.» disse Dean. E cacciò via suo fratello.

Sam guardò la tazza un’ultima volta, e poi uscì dalla pasticceria. Per poi rientrare trenta secondi dopo quando aveva capito di essersene andato senza aver ritirato l’ordine. Dean si dispiacque per lui, ma se Sam non aveva voluto chiedere, lui non aveva motivo per parlargliene. Parola di scout.
Quando Cas tornò al tavolo, con in mano il piatto con una giga-enorme fetta di torna di noci, Dean sputò tutto, «Sam è stato qui. Non sapevo come dirgli di te. Di me. Di noi. Quello che è.»

Nessuno avrebbe mai potuto descrivere Dean come una persona “eloquente”.

Cas posò la torta davanti a Dean. Poi gli diede una forchetta. Silenzioso ed efficiente. Cas afferrò la propria forchetta e prese il primo morso della torta. Dean lo lasciò fare. Mentre masticava, guardò Dean, come se il Winchester fosse un cavallo impazzito da dover domare.
E Dean ci aveva pensato. Più di una volta.

«Ti mette ancora a disagio l’idea di dirlo a Sam.» disse Cas. «È perfettamente normale. Tuttavia desidererei che tu ne potessi parlare con qualcuno. Un amico o un confidente importante.» fece scivolare la torta più vicino a Dean, in un gesto semplice e familiare, ma che acquisì una grande importanza per Dean. Non aveva mai incontrato nessuno come Cas; le persone che entravano nella vita di Dean generalmente era divise in due categorie: Sam o Non Sam (le ex spesso non finivano nemmeno in quest’ultima categoria). Dean, dal momento in cui aveva incontrato Castiel Novak, aveva capito che c’erano ben tre categorie nella sua vita: Sam, Castiel e Chiunque Altro. Dean pensò che ciò era dovuto al modo in cui aveva incontrato Castiel per la prima volta. La maggior parte delle persone entrano ed escono dalla vita, come uno staff che lavora dietro le quinte a teatro, ma conoscere Cas è stato come trovarsi di fronte ad un’eruzione vulcanica, che aveva completamente scombussolato il paesaggio, che era la vita di Dean.

«Non so come dirlo a Sam.» disse Dean. «Ma Ellen lo sa. La scorsa settimana era in città, e con un solo sguardo ha capito che stava succedendo qualcosa.» Prese un boccone di torta alle noci. Dio, era deliziosa.

«E come ti senti in proposito? So quanto sia importante Ellen per te.» disse Cas. I suoi occhi blu erano grandi e seri, e Dean si chiese come fosse affogarci dentro.

Questa era una cosa che prima o poi avrebbe raccontato a Cas: se non ci fosse stata Ellen Harvelle, lui non sarebbe stato niente. Era stata Ellen a prenderli con sé, quando John Winchester se n’era andato lasciandogli solo un mezzo sacchetto di Cheetos e una vecchia Impala del ’67. Era stata Ellen a prenderlo a schiaffi e a trascinarlo a centro di riabilitazione, quando era stato troppo ubriaco per rimettersi in piedi. Era stata Ellen ad insegnargli a cucinare e a gestire un ristorante, ed era stata Ellen ad aver investito dei soldi per permettergli di aprirsi il Dive Burger, così che Dean potesse stare in California assieme a Sam. Lui doveva ad Ellen molto più del semplice denaro, quindi quando gli aveva chiesto di dirle la verità, lui non aveva potuto far altro che farlo.

E lui non le aveva chiesto di non dirlo a Sam.

Il cellulare di Cas cinguettò, e lui aggrottò la fronte guardando i messaggi. Dean aveva catalogato le espressioni facciali di Castiel in base all’intensità dei solchi sulla sua fronte. Questo era il Cipiglio #5: il “devo-andare-a-lavoro-ma-non-voglio-farlo”, accompagnato dall’alzata di sopracciglia “spero-che-starai-bene”.

«Vai,» disse Dean. «Starò bene. Promesso.»

Cas rimase fermo. Poi si chinò in avanti e prese un altro pezzo della torta alle noci di Dean. «Ora capisco perché ti piace così tanto.» disse.

«Smettila di rubare la mia torta, amico.» non si mosse di un centimetro mentre Cas prendeva l’ultimo pezzo, però.

Cas sistemò il suo trench ambrato, quello che Dean scherzosamente chiamava “coperta di sicurezza”, dal momento che appariva ogni volta che andavano assieme a prendersi un caffè o una torta o un cheeseburger. Prima di lasciare la pasticceria, Cas portò una mano sulla spalla di Dean, stringendola in maniera rassicurante, e gli disse, «Considera l’idea di parlarne ancora con Ellen. Per quanto apprezzi il nostro tempo insieme, credo dovresti beneficiare anche del fatto di parlare con qualcun altro, di tutto.»

«Ci penserò.» promise Dean.

Osservò Cas allontanarsi e dirigersi verso l’uscita della pasticceria, con i passi veloci ma costanti, proprio come un battito cardiaco, e wow, che cos’era quello?

Fu allora che Dean realizzò come la sua vita fosse diventato un film smielato.

Mandò un sms a Sam: se dovessi mai incontrare Nicholas Sparks lo prenderò a pugni 9:42 a.m.

Da Sam: ??? 9:43 a. m.
 

[1] Formaggio piccante tipicamente americano.
[2] “Frak” è il modo in cui la parola “Fuck” veniva censurata in Battlestar Galactica. Ho pensato di lasciarlo in questo modo per intendere “fottutamente impegnato”.
[3] Gioco di parole per indicare il divertimento del venerdì sera.
[4] Slang militare che si riferisce ad una tazza di caffè.
[5] Lo Hobbit
[6] L’ho riadattato perché la versione originale nominava uno spot americano di un Rum.
[7] Riadattamento di “White picket fence and apple-pie childhood”.
 
   
 
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