Questa
storia è
dedicata a Ladyriddle, che ieri ha compiuto gli anni!
Auguri, tesoro!
In bianco e
nero
La prima volta che Tom sente
parlare di Gellert
Grindelwald ha quattordici anni e un’anima ancora intatta.
Tom non ha mai provato interesse per nessuno, ma, mentre Silente viene
coinvolto suo malgrado in una discussione di politica estera con il
professor
Lumacorno, manda di proposito in frantumi l’ampolla di Veleno
d’Acromantula e
si ferma ad ascoltare – la sua mente in bianco e nero si
squarcia e per la
prima volta nei suoi pensieri colano i colori, ruggine scuro per la
terra arsa
dal fuoco, bianco ghiaccio per un esercito di Inferi.
Quando si congeda, Tom ha un sorriso sottile cesellato in viso.
Quella notte sognerà Babbani che bruciano e un mondo pulito,
nuovo, in
bianco e nero.
*
Dopo la strage di Dresda,
Grindelwald è sulla bocca di
tutti – gli insegnanti, i giornali, il Ministero, Silente,
Silente che, a
ogni domanda su di lui, chiude un attimo gli occhi prima di rispondere.
Tom colleziona articoli e pensieri, trascrive le conversazioni che
coglie,
cerca notizie di Grindelwald nei libri, nelle riviste, nei quotidiani,
ovunque.
Non trova nessuna fotografia, però.
Tom è ossessionato dall’idea di morire, accarezza sogni di una vita
senza fine
e cerca di immaginare che aspetto lui possa avere.
Tom ha imparato da tempo a dissimulare quando desidera qualcosa, così
sfoggia
indifferenza ogni volta che gli domandano di cos’abbia paura, una
beneducata
incredulità ogni volta che si parla di lui – nei suoi sogni
in bianco e
nero, Gellert è una figura slanciata che irradia potere, un volto senza
lineamenti e una mano tesa verso di lui.
*
Dopo mesi di ricerca, Tom sa tutto
quello che gli
serve sapere su Grindelwald – l’espulsione da Durmstrang, i
folli progetti,
le idee innovative, il terrore, gli incendi che illuminano le città
sempre poco
prima dell’alba.
Tom non ha mai provato affetto per nessuno, ma è solo grazie a quello
sconosciuto senza volto che non impazzisce di rabbia e delusione quando
scopre
la verità sulle sue origini – la madre strega che si è
lasciata morire, il
padre Babbano di cui non sa nulla.
Grindelwald mette un freno alla sua furia, lo seduce con le sue idee
grandiose.
Il mondo non l’avrebbe mai capito e così lui ora cerca di costruirne
uno a sua
misura – è il sogno di Tom, niente più deboli a infestare la
sua vita,
niente più madri dissanguate in un tugurio Babbano, niente più orfani
abbandonati, niente più feccia.
Forse potrebbe aiutarlo, forse potrebbe far parte di quel nuovo mondo.
Forse in
futuro lo farà, ma non prima di essersi liberato della sua umanità, non
prima
di aver trovato la risposta alla domanda che lo assilla da settimane.
Quanto può osare?
Tom sfoglia libri oscuri con delusione crescente. Forse rinuncerebbe,
se là
fuori non ci fosse Grindelwald a ricordargli che la grandezza si
conquista con
l’audacia.
Tom passa le ore nel Reparto Proibito e ne accarezza le atrocità senza
più
sentirsi solo.
Anche Gellert avrà paura di morire?
*
La prima volta che apre la Camera
dei Segreti, Tom
porta con sé tutto ciò che ha collezionato su Grindelwald e lo analizza
mentre
il Basilisco affamato gli scivola attorno.
I suoi pensieri appena screziati di colore fremono di compiacimento, di
scherno, d’eccitazione. Quando manda a caccia la Regina dei Serpenti,
pensa con
un sorriso beffardo che a Hogwarts hanno paura delle persone sbagliate.
Tom scatena una guerra e scopre il piacere di terrorizzare un’intera
scuola –
Grindelwald sentirà lo stesso fremito, mentre sottomette al suo volere
una
città dopo l’altra?
Tom capisce che è arrivato il momento quando entrando nel bagno del
secondo
piano sente quei singhiozzi sommessi. Tom accarezza la testa del suo
Basilisco mentre
la ragazza apre la porta del cunicolo e incontra lo sguardo d’oro
zecchino
della belva.
Tom si concede un sorriso prima di strapparsi l’anima – i
suoi pensieri sono
straziati da un’ondata di dolore incandescente, il rosso cola
dappertutto e
qualcosa va in frantumi come vetro, ma lui ride di trionfo quando
crolla a
terra, cosparso di sudore freddo e finalmente immortale.
*
Tom uccide suo padre per ultimo,
per lasciargli il
tempo di provare l’ebrezza del puro terrore.
Tom fa saltare la porta dietro la quale si era rifugiato e lo ammazza
senza
alcun rimpianto, sorride persino un po’.
Non sa ancora se il suo esperimento riuscirà, ma il suo
sguardo cade
sull’anello che porta al dito, l’anello dei Gaunt, il suo retaggio,
e
d’improvviso ripensa a Grindelwald e alla sua grandezza, così squarcia
la
propria umanità ancora una volta.
Rinviene sul tappeto persiano, ha il corpo ghiacciato e le gambe
instabili, le
ombre attorno ai suoi occhi nere come abissi – ma la sua
mente ora è di
nuovo calma, niente più stridii di furia, niente più lampi di luce
verde
smeraldo, solo una calma inumana che ronza di soddisfazione.
Tom si chiede se anche Gellert abbia distrutto il suo passato
per avere un
futuro.
*
Tom si infila nell’accampamento appena prima dell’alba, danzando tra le
ombre
senza fretta. Inganna le guardie con un sussurro e scivola, scivola
come un
serpente – il Basilisco, a volte, gli manca, gli manca sedere
tra le sue
spire accarezzando con la punta delle dita quel diario che mormora
fioco, con
costanza, l’inflessione vuota della sua rabbia.
Quando Tom viene catturato, si arrende senza una parola. Ha un sorriso
freddo
inciso in viso e le guardie non capiscono che non l’avrebbero mai
visto, se lui
non lo avesse voluto.
In piedi nel vento gelido, Tom osserva la grande tenda rosso rubino.
Attende
celando l’impazienza dietro un sorriso cortese, ma i suoi pensieri
appena
screziati di colore si mischiano, si inarcano d’aspettativa, febbrili,
irrequieti, onde di nero cobalto che circondano fiamme danzanti.
Dall’interno della tenda, sente il raschiare di una piuma, i mormorii
incerti
del soldato, improvvisamente spaventato – la belva nel suo
cuore esplode di
gioia, Tom ha il petto invaso dal tepore e vorrebbe ridere fino a non
avere più
fiato.
Una nota cristallina si leva, autoritaria. È la sua voce, nessun dubbio.
Una sedia raspa il terreno brullo, passi misurati, fruscii di stoffa.
La tenda
si apre e sulla soglia si staglia Gellert Grindelwald.
Tom ha sempre desiderato dargli un volto, così beve i suoi lineamenti
con un’insistenza
che sfocia nella scortesia.
La vecchiaia l’ha toccato ben poco, Grindelwald ha la pelle d’alabastro
e
tratti taglienti e diritti che formano un viso da cui è impossibile
distogliere
lo sguardo. Gli occhi sono verdi come quelli di un gatto, le labbra
morbide ne
fanno risaltare la bellezza affilata come un coltello. Il tempo ha
avuto la
meglio soltanto sui suoi capelli, riccioli candidi come la neve gli
crollano
fino alle spalle.
Tom lo guarderebbe per mesi, ma cerca di riacquistare un briciolo di
controllo
per sfuggire al pericolo – ma Tom non ha paura, Tom non ha
più paura da
tanto tempo, non dopo aver dormito tra le spire di un Basilisco, non
dopo aver
visto il corpo della ragazza cadere a terra con un tonfo sordo che
sembrava
musica, non dopo aver massacrato la sua famiglia, non dopo essersi
spezzato
l’anima, non ora che ha una vita immortale davanti.
Tom sorride del suo sorriso senza inflessioni e i suoi colori suonano
gli
accordi di qualcosa che forse potrebbe essere definito felicità.
Gellert gli rivolge un’occhiata fredda.
“Der Störenfried, ist er ein Knabe?”
La sua voce gronda biasimo, i pensieri di Tom vibrano di miele e veleno
in una
sinfonia assordante.
“Le tue guardie non si sarebbero nemmeno accorte di me, se io non lo
avessi
gradito.”
Gli occhi verdi di Grindelwald scattano nei suoi con rinnovato
interesse.
Abbandona la soglia della tenda e gli si para davanti.
Profuma di menta.
“Non sento parlare inglese da tanto tempo... Tu saresti?”
Tom sfoggia la sua espressione di trionfo e studia Grindelwald mentre
il
silenzio si dilata, carico d’elettricità – lo guarda e gli
sembra di
ritrovare un vecchio amico, il suo conforto nei momenti più bui, la sua
fonte
di ispirazione, il genio senza volto che lo ha condotto verso strade
inesplorate, verso mondi in bianco e nero nemmeno mai immaginati, il
tiranno
che ha screziato i suoi pensieri di colore.
Tom sbatte le ciglia una sola volta, mentre affila un sorriso.
“I nomi sono qualcosa di importante, Grindelwald” la sua voce è appena
più
bassa del normale, “Vengo da lontano. Vengo per imparare.”
Gellert lo osserva col capo inclinato, i riccioli appena smossi dal
vento, e
Tom si rende conto all’improvviso di aver sbagliato ogni cosa, quando
quegli
occhi verdi lo scavalcano con freddezza.
“Questa non è una scuola, straniero” calca quella parola con forza,
l’inflessione tedesca gli conferisce un suono quasi brutale, “Nehmen
ihn
heraus.”
Tom strattona il braccio dalla presa del soldato, soffiando a denti
stretti.
Grindelwald si concede un breve sorriso di divertimento, e Tom pensa
con rabbia
e una punta di nostalgia al Basilisco, al terrore sul volto di suo
padre, alla
diffidenza dello straccione Gaunt – ma Tom non è più a
scuola, dove bastava
una sua parola per suscitare timore e rispetto in egual misura, Tom è
solo un
ragazzo con l’anima a brandelli al centro di una guerra non sua, sogni
che
bruciano e mondi in bianco e nero che entrano in collisione con la
realtà.
“Se avessi voluto una scuola, sarei rimasto a Hogwarts” sibila, nel
tentativo
di prolungare la conversazione – e Tom si ritrova
d’improvviso a odiarlo,
perché Tom non ha mai dovuto faticare per sedurre nessuno, Tom non ha
mai
nemmeno dovuto chiedere.
Gellert si immobilizza quando è già sulla soglia della tenda, le sue
spalle si
irrigidiscono e le sue dita si serrano ad artiglio. Si volta a
guardarlo come
se non potesse credere a chi ha davanti, con un gesto secco ordina ai
suoi
soldati di lasciarlo andare.
Il sorriso è sfiorito sul suo volto, chiude un istante gli occhi prima
di
parlare.
“Puoi restare.”
*
Tom segue la campagna militare
senza troppo interesse,
sono giorni piatti, scontri insignificanti con la resistenza, nulla di
troppo
avvincente – niente città rase al suolo dal fuoco mentre
l’alba squarcia il
cielo, nessun esercito di Inferi.
Tutta la sua attenzione è concentrata su Grindelwald, sulla sua figura
slanciata, inconfondibile col mantello nero drappeggiato sulle spalle e
i
capelli candidi sempre smossi dal vento.
Tom segue i suoi movimenti come un gatto e misura la propria pazienza
luna dopo
luna.
Grindelwald non gli ha più rivolto la parola da quel mattino, ma ogni
volta che
Tom compare nel suo campo visivo il suo volto senza tempo si contrae in
una
smorfia rabbiosa.
Tom non ha fretta, si è appena diplomato ed è senza un futuro
– i suoi
pensieri in bianco e nero esplodono di colori ogni volta che assiste ad
un’esecuzione, ogni volta che la voce di Gellert frana ordini e
sentenze in
quel tedesco così sferzante, ogni volta che il sangue di qualche
traditore
schizza sul terreno cosparso di brina in un silenzio surreale da altro
mondo.
Tom cammina per l’accampamento come un fantasma nel regno dei morti,
solo che
Tom non può più morire.
*
Grindelwald lo invita nella sua
tenda una sera di un
giorno qualunque.
I pensieri di Tom arpeggiano soddisfazione e curiosità, spirali cremisi
su uno
sfondo di ombre.
L’arredamento è essenziale, un letto in un angolo, un divano di
broccato rosso
sangue, una scrivania d’ebano, diverse piante di menta e qualche
candela a
mezz’aria, Tom lo liquida con la sua solita indifferenza e si avvia
senza
aspettare un invito verso Gellert, abbandonato sui cuscini.
Quegli occhi verdi lo studiano con una punta di divertimento, un ampio
sorriso
gli spunta sulle labbra.
“Il mio giovane straniero desideroso di imparare... accomodati.”
Tom si siede senza levargli un attimo gli occhi di dosso.
Ricorda la sua vita quando ancora non si era fatto a pezzi l’anima e
pensa a
Gellert, Gellert senza volto che gli faceva compagnia mentre sfogliava
un libro
dopo l’altro alla ricerca del segreto per vivere per sempre.
Tom sorride di rimando.
“Sono lieto di essere qua.”
Grindelwald si raddrizza sul divano, ha una luce irriverente negli
occhi e
d’improvviso non sembra affatto il mago straordinario che ha rovesciato
una
nazione in nome di ideali di perfezione – “Per il Bene
Superiore”, Tom ne è
affascinato, cambierebbe soltanto una parola.
“Ma davvero?”
“Potresti insegnarmi molto.”
Tom è sopra un terreno cosparso di mine e mente perché non è disposto a
cedere
la verità – Tom ha attraversato il mare e una terra devastata
dalla guerra
non per imparare, Tom ha abbandonato i suoi pochi progetti soltanto per
dare a
Grindelwald un volto, ed è una debolezza che non è disposto ad
ammettere
nemmeno in quei suoi pensieri che fremono di nostalgia.
Gellert si lascia sfuggire una risata con un filo di malizia.
“Non mi hai nemmeno detto come ti chiami.”
“Tom.”
La risposta è ghiacciata – Tom odia usare il nome di suo
padre, Tom riesce a
sopportarlo soltanto pensando a come lo ha ucciso.
Grindelwald inclina il capo verso sinistra mentre lo studia, si sfiora
lentamente le labbra con un dito.
“Hogwarts, quindi? Silente dev’essere stato un tuo insegnante. Il
salvatore che
tutti invocano, per certi versi...”
Il riferimento al suo vecchio docente stupisce Tom, si ritrova a
fissare
Gellert alla ricerca di una trappola, di una bugia, eppure trova
soltanto quel
sorriso così ampio, così candido.
Tom si irrigidisce nell’improvvisa consapevolezza di aver abbandonato
ogni
circospezione – ma Tom dovrebbe ricordare di conoscere
soltanto il tiranno
dei ritagli di giornale che incendia le città appena prima dell’alba e
fa
sorgere i cadaveri dei suoi avversari per trionfare, Tom dovrebbe
ricordare che
non sa niente del Gellert dai riccioli bianchi come la neve e il
sorriso
insinuante.
“Silente è un grande mago. Così dicono” concede con cortesia, studiando
le
pareti di stoffa scarlatta della tenda.
Con la coda dell’occhio gli sembra di vederlo trattenere una risata.
“Ritieni che dovrei temerlo?”
C’è un inspiegabile divertimento nella voce di Grindelwald –
i pensieri di
Tom colano inchiostro nero e veleno cangiante, arde di curiosità, frena
le
parole di comando appena prima che gli scivolino via dalle labbra.
“No. Silente è un debole. Silente non sarebbe mai stato in grado di
arrivare
dove sei tu ora.”
Contro ogni previsione Grindelwald scoppia in una risata scomposta, una
mano
dalle dita pallide a nascondere la crocchia dei denti, il capo crollato
all’indietro.
Tom non si muove di un millimetro, gli occhi blu come lividi fissi sul
suo
volto. I suoi pensieri sono muti, una distesa immensa di nero, di
tenebra.
*
Tom preferisce quando Gellert gli
chiede di
accompagnarlo in giro per l’accampamento che non le serate passate
nella tenda
rossa – in pubblico Gellert ha l’espressione altera, gli
occhi freddi e
parla in quel tedesco spietato che lui non comprende.
Tom lo ascolta quando tiene i suoi discorsi e, anche se non ne capisce
neanche
una parola, percepisce il fascino, l’innovazione, la necessità
di
trasformare i suoi sogni in realtà. Tom ha pensato tante volte che il
Mondo
Magico avesse bisogno di essere epurato, Gellert
vorrebbe rovesciare lo
Statuto di Segretezza in favore di chi possiede la magia –
l’unico difetto
di Gellert è che non ha realizzato che anche il loro mondo è intaccato
dal
marciume, ma Tom è disposto a perdonarglielo, Tom è disposto persino ad
aprirgli gli occhi.
Gellert non è come lui lo immaginava, ma quando sono in pubblico Tom
quasi se
ne dimentica. Gellert tortura e uccide senza piacere, ma per Tom quelle
grida
che si spengono sono musica.
*
Tom si è chiesto tante volte quanto
lui e Grindelwald
siano simili, così una sera si volta a guardarlo dritto negli occhi e
glielo
chiede.
“Hai mai avuto paura di morire?”
È la prima volta che Gellert pare a disagio, Tom prova un piacere
sottile nel
vedere le parole spezzarsi sulle sue labbra morbide, nell’osservare
quel volto
così autoritario preda dell’angoscia – da un po’ di tempo
teme che Gellert
non sia ciò che pensava, i suoi pensieri soffiano cautela e un preludio
di
delusione.
“Non c’è niente da temere nella morte. Un tempo, forse, io...”
La voce di Grindelwald è incerta, sembra perso in ricordi lontani.
Tom schiude le palpebre color lavanda e sospira piano per scacciare il
veleno.
“Non hai mai desiderato di non morire mai?”
Gellert gli lancia un’occhiata indefinibile, la linea della sua
mascella si
contrae all’improvviso per uno spasmo di rabbia, Tom nota i tendini
della mano
in rilievo e sfodera il suo sorriso più seducente, come se volesse
fargli
indovinare il vuoto dentro di sé.
“Un tempo.”
Un tempo è già qualcosa, mormorano i colori di Tom.
*
Una notte di luglio i ribelli
attaccano a sorpresa,
Tom scivola fuori dalla sua tenda e rimane seduto su una collina poco
distante
ad osservare gli uomini morire. Non è la sua guerra e non intende
combattere,
ma non può fare a meno di studiare la crudeltà di Gellert da vicino –
ogni
volta che Gellert uccide è la schiena di Tom a essere artigliata dai
brividi,
sono le sue dita che fremono per la smania di stringere quelle mani da
assassino.
La battaglia infuria per ore, Tom assiste immobile, i pensieri vibranti
di
rosso e viola, scoppi di luce dietro le sue palpebre socchiuse.
Ascolta le grida, guarda il fuoco mordere il profilo della città poco
distante,
belve incandescenti devastano i palazzi e le persone, cumuli di macerie
arroventate attraversano il cielo come meteore.
Tom cerca Gellert in quell’inferno di fiamme e gli si avvicina, quando
persino
i suoi luogotenenti sono troppo terrorizzati anche solamente per
guardare.
Gellert ha la furia stampata in viso e dalla sua bacchetta guizzano
sfingi e
Basilischi dagli occhi di brace, un incendio mortale.
Tom guarda il suo profilo affilato come una lama, la sua pelle sfumata
di rame
alla luce delle fiamme, e sorride di autentico piacere, brividi
sfrenati lungo
la schiena.
“Uccidili tutti, tutti quanti.”
Gellert distoglie di scatto lo sguardo dalle belve maledette e lo
guarda come
se non l’avesse mai visto, lo sconcerto della sua espressione produce
una nota
dissonante nei pensieri soffusi di languore di Tom.
Richiama l’Ardemonio in pochi attimi, lasciando una devastazione di
braci e
cenere, spirali di fumo che si inarcano verso il cielo d’oro pallido
dell’aurora.
Tom sorride al terreno sterile e a quegli occhi verdi sgranati.
“Mi insegnerai a evocarlo?”
*
Il volto di Tom si fa più scavato,
i capelli neri
crescono e gli sfiorano le guance scarne. Le ombre attorno ai suoi
occhi bui si
addensano, ma lo rendono soltanto più attraente.
Tom siede sul divano rosso sangue e ascolta il ticchettare della
pioggia sul
terreno ghiacciato, mentre aspetta che Gellert ritorni con vaga
apprensione.
Un sorriso senza inflessioni gli si inarca in viso quando lo vede
entrare, il
mantello nero che ne sottolinea la figura slanciata, i capelli fradici
e
l’espressione fredda che Gellert non ha mai quando sono soli –
i pensieri di
Tom si tingono di piacere, sa di preferire all’uomo che ride troppo per
mascherare i rimpianti il dittatore che trascina le folle con il suo
carisma,
che convince le persone a morire per i suoi ideali senza dover nemmeno
chiedere, che condanna a morte i disertori e se ne occupa di persona.
“Trovato l’intruso?” mormora, osservando Gellert che si leva gli
indumenti
bagnati senza un briciolo di pudore, la pelle bianca appena umida –
Tom
pensa a come sarebbe passare la lingua su quelle scapole affilate e a
come
sarebbe insegnargli a non temere la violenza nel suo cuore.
“Sì. Nulla di preoccupante, l’ho lasciato andare.”
La sinfonia nella testa di Tom si arresta con stridii di
disapprovazione,
rabbia, insoddisfazione, disprezzo – debole, frusciano i suoi
pensieri, e
Tom non lo può sopportare.
“Avresti dovuto massacrarlo.”
Gellert si volta udendo la veemenza nella sua voce, ha sulle labbra
quel
sorriso divertito che Tom sinceramente detesta.
“Non era una minaccia.”
“La compassione è per i deboli!”
Grindelwald inclina il capo come fa sempre quando vuole guardarlo
meglio,
mentre finisce con calma di vestirsi.
“E la crudeltà la apprezzano soltanto gli idioti. Suvvia, Tom, sei un
ragazzo
intelligente... Una volta che avrò vinto, questa terra dovrò
governarla, e mi
odiano già in troppi.”
Tom scatta in piedi, è accecato dalla rabbia – Gellert non è
quello che
pensava, Gellert non è altro che una persona debole che ha avuto le
intuizioni
giuste, e Tom lo odia, lo odia smisuratamente, perché ha appena fatto a
brandelli l’unico amico che lui abbia mai avuto.
Quegli occhi verdi lo deridono appena, il sorriso si fa più ampio.
“Perché sei venuto qui, Tom? Non mi hai mai chiesto di insegnarti
niente. Una
piccola magia, d’accordo... Ma nient’altro, nessuna ideologia... Stai
imparando
qualcosa, qui con me?”
Tom ha imparato che la realtà non regge mai il confronto con la
fantasia, ma
resta in silenzio.
Tom lo vorrebbe fare a pezzi perché ha fatto crollare tutti i suoi
sogni –
sogni di un mondo in bianco e nero, di un mondo nuovo, sogni di
immortalità
condivisa, sogni di unghie conficcate in quelle spalle aguzze, sogni di
baci
rabbiosi nella luce ardente di una città arsa dal fuoco.
Tom ha sempre saputo che è meglio essere soli.
“Credo che tu non mi abbia mai detto ciò che volevi veramente, Tom.”
Tom si conficca i denti nelle labbra per contenere la rabbia, ma le sue
allusioni lo riportano indietro, a un altro grande mago che non l’ha
mai
apprezzato davvero, che ha sempre diffidato di lui, e Tom si chiede
come, come,
abbia potuto considerare Grindelwald uno spirito affine.
“Parli proprio come Silente!”
Gellert gli rivolge un’occhiata glaciale, i suoi occhi verdi si
affilano.
“Forse dovrei torturarti, questo Albus lo farebbe?”
Tom si immobilizza al centro della tenda, folgorato, mentre Grindelwald
si
lascia sfuggire un sospiro di rabbia per aver parlato troppo –
i pensieri di
Tom sono neri come abissi e sibilano sospetto, furia, tradimento.
Tom si rende conto all’improvviso che non hanno mai parlato davvero,
erano
tutte bugie e trappole e omissioni, e nessuno dei due si è mai mostrato
fino in
fondo, si sono solamente accerchiati e studiati come potrebbero fare
due
predatori di specie diverse, così Tom perde la testa per la prima volta
in vita
sua e gli si avventa contro.
Gli artiglia il collo con le unghie e gli frana addosso, Gellert
scoppia in una
risata sfrenata mentre crollano a terra. Tom lo vorrebbe ammazzare a
mani nude,
ma si limita a spaccargli un labbro con i denti nel tentativo di
soffocare
quella risata così forte, così piena.
Le labbra di Grindelwald sono morbide e sanno di pioggia e menta e
sangue, e
Tom per un attimo ha nostalgia del tiranno senza volto con cui una
volta, tanto
tempo prima, ha desiderato creare e distruggere mondi in bianco e nero.
Tom si scosta da Gellert mentre sta ancora ridendo, riverso sul terreno
brullo,
la luce delle candele che disegna strane ombre sul suo volto –
ma Tom sa che
lo ricorderà sempre col viso stravolto dalle fiamme del fuoco
maledetto, gli
occhi verdi consumati dalla rabbia e nessun sorriso.
Tom gli volta le spalle di scatto.
“Ich habe die Liebe gekostet, und nun mir bleibt nichts” gli grida
dietro
Grindelwald, la voce
spezzata dalle
risate.
*
Tom guarda per l’ultima volta
l’accampamento lontano,
la grande tenda rosso rubino.
L’estate è finita e lui tornerà a casa meno umano che mai –
Gellert ha
seviziato quel poco che restava, quel Gellert dagli occhi verdi e dalle
ciglia
lunghe così diverso dal tiranno in bianco e nero dei suoi pensieri,
quel
Gellert fatto di risate e bugie.
Tom intende dimenticare cosa voglia dire avere un amico, Tom vuole
cancellare
ogni sbavatura di colore dalla sua mente densa di ombre.
Tom torna a Londra e persevera nei suoi sogni d’immortalità –
ci aveva quasi
ripensato, guardando la cenere nei capelli di Gellert, sentendolo
parlare di
dominio, sottomissione, un mondo nuovo.
Tom non pensa quasi più a quell’estate in Germania.
Alcuni mesi dopo, viene a sapere che Silente l’ha sconfitto – la
musica dei suoi
pensieri è un mormorio di sottofondo, appena un lampo di colore in un
universo
di tenebra.
Si chiede se l’abbia ucciso.
Tom si guarda nello specchio con gli occhi vuoti di sempre e non
sorride. Si
sistema il colletto della tunica ed esce per andare dalla signorina
Smith.
Non farà lo stesso errore di Grindelwald.
*
Quando trova quella fotografia tra
le rovine, Lord
Voldemort quasi non crede ai suoi occhi. La rabbia per essersi lasciato
sfuggire Potter si dissolve in un istante, sostituita dall’esaltazione
per aver
finalmente scovato il ladro di cui conosceva soltanto il volto dai ricordi
sottratti a
Gregorovich – quegli occhi, quella risata,
tra le dita la bacchetta più potente al mondo rubata, un
balzo giù dalla finestra per fuggire.
In piedi nella stanza squarciata dalla magia, con la neve che fiocca
attorno a
lui, Lord Voldemort fissa la cornice rotta con la stessa intensità che
cinquant’anni prima riservava a Grindelwald durante i suoi discorsi.
Come ha potuto non riconoscerlo?
Aveva sempre pensato che il tempo non lo avesse scalfito di
molto, ma
guardando l’immagine animata si rende conto di essersi sbagliato. Il
Gellert
ragazzo non aveva lineamenti così taglienti, i suoi capelli erano più
lunghi e
ancora dorati, l’espressione indolente non aveva niente del sorriso
freddo del
Mago Oscuro che ha conosciuto.
Gli occhi però sono gli stessi e Lord Voldemort non si capacita di non
averlo
intuito prima.
Non ricorda nulla della Bacchetta di Sambuco, eppure deve averla vista –
ma
Tom non vedeva altro che quelle dita pallide, l’Ardemonio che ne
scaturiva.
Nella fotografia, Grindelwald sorride con malizia. Con un gesto pieno
di
rabbia, Lord Voldemort la scaraventa nella neve e si solleva in volo
alla volta
di Nurmengard.
Sa che se Gellert dovesse ridere anche una sola volta lo ucciderà.
Note
dell’Autrice
Allora, se devo essere del tutto sincera con voi lettori ho
l’impressione di
non aver proprio dato il meglio di me, ma questo mi capita sempre
quando scrivo
una storia di getto, quindi lascio il giudizio a voi.
Penso che la perplessità più grande si possa avere riguardo a Tom. Io
ho
immaginato che fosse in un certo senso ossessionato da Gellert, ne
sente
parlare fin da ragazzino e si immedesima in lui. La sua delusione non è
dovuta
al fatto che non potrà restare con Gellert e costruire un “mondo in
bianco e
nero” (se anche fosse rimasto, la sua natura solitaria avrebbe presto
prevalso
e se ne sarebbe andato), ma al fatto che Gellert non è ciò che pensava,
non è
simile a lui, e Tom si sente tradito da se stesso: non l’ho specificato
volutamente perché Tom non ha questo livello di consapevolezza
emozionale.
Durante tutta la storia, Tom si fa trascinare dal richiamo di
quest’ossessione,
ma appena si rende conto che Gellert non è affatto come lui credeva
l’illusione
si spezza.
Spero si capisca anche che Tom rimane deluso da Gellert perché
quest’ultimo non
è crudele, è troppo “umano”, non è come lui. E
infatti è Tom stesso ad
ammettere di preferire il Gellert che si mostra in pubblico, freddo e
spietato.
Allo stesso modo, quando verso il finale pensa che non farà lo stesso
errore di
Gellert, prende le distanze da lui andando a corteggiare la signorina
Smith per ottenere la Coppa di Tassorosso (sapendo benissimo che, dopo averla ottenuta, la ucciderà).
Per quanto riguarda Gellert, invece, spero sia chiaro che all’inizio ha
permesso a Tom di restare soltanto perché attirato dal fatto che abbia
studiato
a Hogwarts e quindi conosca Albus, infatti ne parlano spesso. In ogni
caso, ne
è incuriosito, ma tra i due non si instaura mai un vero rapporto perché
manca
la fiducia e perché, be’, Tom è un sociopatico (di fatti non parlano né
di Doni
né di Horcrux, che sono un po’ i rispettivi segreti).
Chi mi conosce noterà che Gellert non è esattamente il tipo frizzante
che descrivo
sempre, questo perché è cambiato ed è adulto – ma soprattutto senza
Albus è
perduto, feels everywhere. Mi scuso anche se non ho
approfondito molto
la ‘campagna militare’ di Gellert, ammetto che questa storia vuole
essere più
simbolica che altro e infatti va molto ad immagini.
Qualche precisazione di carattere temporale: la storia è ambientata nel
1945, subito dopo che Tom ha finito la scuola, e prima del duello tra
Gellert e
Silente. Il passo finale si svolge durante ‘Harry Potter e i
Doni
della Morte’.
Sicuramente sembrerà un po’ forzato che Voldemort non abbia
riconosciuto
Gellert fin dal principio, dai ricordi strappati a Gregorovich, ma solo
quando
si ritrova la fotografia tra le mani, ma sono passati quasi
cinquant’anni e
Gellert faceva parte di quel poco di umanità che Voldemort ha
insistentemente
distrutto per tutta la sua esistenza.
Per le frasi in tedesco (fatte tradurre da una mia amica perché io non
ne
capisco niente), ecco le traduzioni:
“Der Störenfried, ist er ein Knabe?”: “È un
ragazzino, l’intruso?”
“Nehmen ihn heraus”: “Portatelo via.”
“Ich habe die Liebe gekostet, und nun mir bleibt nichts”: “Ho già
assaggiato
l’amore e non mi è rimasto niente.”
Le prime due le ho scritte in tedesco perché Gellert con i suoi
luogotenenti
sicuramente parla in quella lingua e l’ultima perché Gellert ha il
gusto del
dramma, ma abbastanza buon senso da desiderare di non farsi capire.
Bene, spero vi piaccia!
Un bacio,
Mary