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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    24/03/2016    2 recensioni
Antonin Dolohov...
Personaggio dal passato ambiguo, poco conosciuto e poco raccontato.
Non si sa molto sul suo conto, se non che è il più grande e fedele seguace del Signore Oscuro...ora, e se non fosse come gli altri?
Se nell'oscurità del suo cuore si celasse ancora una qualche formai di morale, se non tutte le sue azioni fossero semplicemente dettate dall'odio, ma al contrario generate da una ferrea disciplina e da un senso del dovere altrettanto fiero e irremovibile?
La storia del ruolo che riscoprì nella Battaglia di Hogwarts, e di come, alla fine, riuscì finalmente a incontrare un avversario che riuscisse a mettere alla prova, per la prima volta nella sua vita, la sua indiscussa superiorità magica...
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antonin Dolohov, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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The smiling death
 
La morte sorride a tutti:
un uomo non può far altro che sorriderle di rimando.
Marco Aurelio
Evita, para, uccidi…
Corri…
Nasconditi…
Evita, para, uccidi…
Erano ore che quel mantra ritmico e quasi ipnotico rimbombava come corno da guerra nella testa svuotata di ogni emozione del Mangiamorte Antonin Dolohov, impassibilmente impegnato a portare a termine il suo dovere di seguace, mentre continuava a mietere vittime per i corridoi, nelle sale, nei bagni, ovunque dovesse incontrare qualcuno di anche solo vagamente ostile…poco importava dove fosse…
Immerso nei propri pensieri, il suo istinto di duellante guidava il suo corpo con ferma precisione, il pilota automatico inserito mentre sconfiggeva nemici su nemici con una facilità sconcertante, con movimenti perfetti e quasi meccanici, quasi fosse nato per combattere e la sua natura si fermasse lì, sui campi di battaglia, tra morti e feriti, macerie fumanti ed esplosioni in grado di disintegrare i sensi più fragili.
L’ordine era di uccidere, e di non fare prigionieri.
E lui portava sempre a termine i compiti che gli venivano affidati. Non importava quale fosse il prezzo, quale destino dovesse affrontare o se la morte si trovasse proprio dietro l’angolo.
Antonin Dolohov non commetteva errori. Non sapeva cosa significasse sbagliare. Non sapeva cosa volesse dire provare pena per il nemico, o amore e solidarietà verso i compagni. Esisteva solo la Causa, e il Signore Oscuro, che ne era l’incarnazione.
Il resto passava in secondo piano.
Osservò con la coda dell’occhio i propri compagni e fece una smorfia, disgustato.
I soliti barbari sanguinari, che ci trovavano di così divertente nel torturare i loro nemici? Che onore c’era nel distruggere in quel modo sadico e malato la dignità dei propri avversari? Proprio non capiva.
Loro, in quanto esemplari superiori, avevano il dovere di mantenere alto il nome della Stirpe, di portare con orgoglio e fierezza i propri servigi presso Lui, di eseguire gli ordini con fredda efficienza, senza commettere errori né perdere tempo in inutili quisquilie, quali torture o mutilazioni varie. Se dovevano uccidere, dovevano uccidere. Niente sprechi di tempo, l’unica cosa che contava era l’obiettivo.
Quindi proprio non riusciva a comprendere i suoi compagni, il loro gusto per il sangue, che pareva attrarli come api al miele, il modo in cui i loro occhi di illuminavano di malato piacere, mentre vedevano i loro nemici soffrire e implorare una morte che, anche fosse sopraggiunta, non sarebbe certo stata breve e indolore.
Certo, ammirava alcune loro qualità. La fedeltà di Belattrix alla Causa era indiscussa, e spesso le aveva invidiato quel suo modo così fermo e sicuro, come se non esistesse nulla, al di fuori del loro Signore. La forza di Fenrir era impressionante, la sua capacità di sopportare l’insopportabile era assolutamente fuori dalla norma, e non vi era nessuno che, quanto lui, sapesse cosa significava soffrire per mano del nemico.
Eppure, quando si trovavano sul campo di battaglia, non era raro che si scoprisse a chiedersi perché diamine amassero tanto infangare il loro nome e il loro onore con inutili e deplorevoli atti barbarici.
Il loro sangue nobile, la loro missione, non potevano essere sporcati da atti tanto infami. Uccidere era il compito, mietere vittime senza fermarsi, senza perdere tempo assaporandone la sofferenza, senza chiedersi perché o per come…solo uccidere, uccidere e ancora uccidere, senza sosta, fino a quando non ne fosse rimasto in vita nemmeno uno. Quello era tutto ciò che aveva importanza.
Proseguì per la sua strada.
Non aveva tempo da perdere nel stare dietro a quei perditempo, aveva degli affari da sbrigare, e poco tempo per portarli a termine, motivo per cui i suoi compagni avrebbero dovuto fare a meno di lui, e sbrigarsela da soli.
Camminava con passo svelto a sicuro per i corridoi, superando rapido le macerie in fiamme, i corpi spezzati e i resti malmessi delle statue e delle armature a pezzi.
Chi l’avesse visto in quel momento, avrebbe potuto giurare che il demonio in persona avesse deciso di incarnarsi tra le file dei Mangiamorte, quasi a testimoniare il suo appoggio verso la loro causa.
Le due onici incastonate nei suoi occhi brillavano di febbrile orgoglio, fulminando con la loro impassibile fierezza chiunque si mettesse sul suo cammino, in netto contrasto con la carnagione diafana e quasi malaticcia. Gli zigomi alti e le sopracciglia nobili gli conferivano un’aria quasi diabolica, mentre i tratti affilati e decisi lo facevano quasi assomigliare a un serpente pronto a scattare. I capelli parevano una placca d’oro nero, tanto erano incollati al cranio e tanto brillavano come di luce propria, cadendogli appena sulla fronte e sulle spalle, come oscuri tentacoli di tenebra liquida.
Passò quasi di corsa di fronte ai bagni, dove in un lampo la sua figura si riflesse all’interno della pioggia di vetri rotti che costellavano il terreno coperto d’acqua.
Sorrise, osservando appena il proprio riflesso.
Non era più il piccolo Antonin di un tempo: il bambino timido e silenzioso che non aveva mai il coraggio nemmeno per difendersi dalle pretese dei bulli. L’indeciso, il debole, quello che mai nessuno considerava, la vergogna della famiglia.
Il tempo lo aveva cambiato, aveva temprato il suo corpo, affilato la sua mente e i suoi sensi. Aveva forgiato il suo fisico come si fa con un’arma, con la fredda efficienza che si richiede ai propri oggetti, senza curarsi del dolore degli allenamenti, fermamente convinto che per un mago la conoscenza degli incantesimi non fosse sufficiente, che anche il corpo volesse la sua parte. Aveva nutrito la sua mente, sempre assetata di sapere, permettendole di attingere ai saperi più oscuri e proibiti al punto che, sebbene nessuno lo sapesse, lui era il solo, tra i Mangiamorte, ad aver intuito la vera natura del suo Signore.
Voldemort era tutto ciò che aveva sempre sognato di essere. Tutto ciò che non sarebbe mai stato e che però avrebbe sempre servito, a costo della sua stessa vita.
Quando aveva scoperto la verità non ne era rimasto sconvolto, non lo aveva odiato o disprezzato, anzi. Lui era riuscito a compiere quel passo, quell’unico passo che lo allontanava dalla Perfezione, quel tratto di sentiero che lui non aveva avuto il coraggio di affrontare. Ci aveva provato, certo, ma alla fine si era sempre tirato indietro. Non ci riusciva, semplice.
Ma Lui ce l’aveva fatta, e per questo si era guadagnato la sua stima eterna, la sua fedeltà, i suoi servigi, la sua vita.
Il Suo volere era tutto ciò che aveva importanza, e per servirlo aveva stroncato ogni legame col suo passato. Aveva ucciso senza pietà l’Antonin timido e malaticcio, l’ultimo della covata, quello che non avrebbe mai portato onore e orgoglio alla sua famiglia, aveva dato un taglio netto alla sua innocenza, arrivando persino a distruggere tutti coloro che, nel passato, avevano sempre dubitato della sua forza.
Aveva spezzato ogni legame, perché i legami rendono deboli, vanno a intaccare quel meccanismo perfetto e senza difetti che doveva essere lui, e quindi andavano eliminati, estirpati come si trancia via l’erba malefica che rischia di intaccare la folgorante magnificenza delle rose canine. Così belle e nobili, eppure incredibilmente forti e letali, capaci di difendersi dalle intrusioni esterne e fiere portatrici del loro nome.
Come lui.
Sorpassò quasi annoiato un gruppo di giovani studenti che stavano duellando presso l’ingresso, togliendoseli dai piedi con una semplice esplosione, che fece crollare loro addosso il soffitto già destabilizzato dai continui scontri.
Nonostante l’apparente apatia, la sua mente era attiva e funzionante, la sua intelligenza acuta e quasi paranormale analizzava e catalogava ogni dettaglio di ciò che lo circondava, calcolando in pochi istanti le aree in cui era necessario il suo intervento, i percorsi da seguire e le stanze da evitare. Dirigeva i suoi sottoposti con la precisione e l’efficienza di una macchina, riducendo al minimo gli sprechi di energia e puntando al massimo del risultato.
Coloro che erano ai suoi ordini conoscevano bene la sua ferrea disciplina, i suoi desideri e il suo modo di agire, e sapevano bene che, se si fossero distinti, avrebbe potuto ricoprirli di premi così come non si sarebbe posto problema a distruggerli qualora li avesse visti battere la fiacca. Erano fieri del loro comandante e lo avrebbero seguito fino alla morte, ne invidiavano la forza, l’intelligenza senza pari e l’apparente indifferenza con cui trattava anche le questioni più delicate.
Perché Antonin Dolohov non perdeva mai la calma, Antonin Dolohov non si lasciava prendere dall’ira o dal terrore, non permetteva alle passioni di intaccare il suo giudizio, i suoi calcoli perfetti, i suoi schemi che gli permettevano sempre di ottenere ciò che voleva.
Osservò impassibile lo svolgimento della battaglia, ai suoi piedi. Si era sollevato in volo, fino alla Torre dell’Orologio, e annuiva soddisfatto nel vedere le sue truppe sfondare le linee nemiche, agendo in perfetta sincronia, come una macchina da guerra ben oliata.
Un movimento ai margini del suo campo visivo lo allarmò, costringendolo per la prima volta da quando era entrato sul campo di battaglia a prestare reale attenzione a un avversario, così da schivare appena in tempo il colpo che, altrimenti, lo avrebbe certamente ucciso.
Guardò quasi sorpreso il suo nemico, e lo riconobbe subito.
Si erano già incontrati, due anni prima, durante la Battaglia del Ministero.
Anche allora aveva avuto modo di notare il suo straordinario talento come duellante, al punto che era riuscito a disarmare entrambi i fratelli Carrow. Tuttavia nella confusione dei combattimenti, non aveva avuto modo di approfondire oltre la sua conoscenza, e aveva preferito lasciarlo nelle mani dei suoi compagni, scontrandosi piuttosto con Alastor Moody, combattente che fin dagli albori della sua carriera cercava di eguagliare.
Gli era quasi dispiaciuto che fosse stato Severus a farlo fuori.
Avrebbe voluto avere di nuovo l’occasione di confrontarsi con lui, quel tipo era stato il solo, in anni di lavoro per la Causa, a metterlo alle strette, e per questo si era guadagnato il suo pieno rispetto.
Ora, invece, il suo avversario era Remus Lupin, ex docente di Difesa Contro le Arti Oscure e vecchio amico di quei Potter, che parevano amare tanto mettere i bastoni tra le ruote del suo Signore.
Atterrò elegantemente di fronte a lui, osservandolo incuriosito: “Lupin, vero? Quanto tempo, ho sentito dire che hai avuto un figlio…”
La sua mente correva, cercando spasmodicamente una falla nella sua difesa, un cenno di distrazione, ma l’altro lo osservava impassibile, analizzandolo a sua volta, senza dire nulla di rimando. Nessuna apertura nella posa guardinga dell’avversario, nessuno segno di paura o incertezza, cedimento o ira, semplicemente, Remus Lupin osservava impassibile il Mangiamorte che gli era di fronte, cercando in lui qualcosa che lo facesse assomigliare ai suoi compagni e sorprendendosi a sua volta nel constatare quanto fosse diverso dai nemici  che aveva affrontato fino ad allora.
Gli occhi di Antonin Dolohov parevano celare un’infinita malinconia, un dolore struggente e indecifrabile, mentre ombra cupe gli offuscavano le iridi color inchiostro, nel ricordo di tempi passati e amici perduti. La fierezza e l’orgoglio trasparivano da ogni sua movenza, dal portamento nobile e dal modo impassibile e gelido con cui analizzava il suo avversario, in cerca di un punto debole.
Un lampo di genio si accese nella mente del Mangiamorte, sorrise, riprendendo: “…mi congratulerei, ma forse non è il caso, vero? Dopotutto, con la tua natura, molto probabilmente il piccolo non potrà nemmeno avere un’infanzia felice, vero?”
I lineamenti dell’altro si incrinarono, un’espressione di sofferenza che, normalmente, avrebbe piegato il vecchio Antonin ai suoi piedi. Ma il vecchio Antonin non c’era più, quello nuovo lo aveva divorato, e non sarebbe tornato indietro.
Tuttavia l’altro, nonostante l’evidente battaglia di emozioni che intemperava nel suo animo, rimase immobile, senza offrirgli alcun appiglio per un attacco, e continuando invece a fissarlo senza rispondere: “Non sono intenzionato a perdere tempo in chiacchiere inutili. È evidente a entrambi che non riusciremo a trovare un varco nelle reciproche difese, quindi, se non ti dispiace, ho un compito da portare a termine”, rispose infine, lanciandosi in avanti mentre una fascio di luce blu elettrico andava a schiantarsi a pochi centimetri dal capo del Mangiamorte, che sospirò, rassegnato: “Come preferisci, anch’io non ho molto tempo da perdere”
Si avvolse in una nube di fumo oscuro, scomparendo alla vista, per rimaterializzarsi subito dopo alle spalle dell’avversario, che tuttavia riuscì a reagire in tempo, distraendolo con un’esplosione che per poco non lo sotterrò sotto il peso del soffitto ormai in crollo.
Irato, il Mangiamorte riprese la controffensiva, ma per quanto tentasse di mettere l’ex insegnante alle strette, quello pareva riuscire sempre a sfuggirgli.
Danzavano, abili acrobati avvolti dalla luce degli incantesimi d’attacco e difesa, che li avvolgevano in fasci di luci e ombre in continuo movimento, mentre pezzo dopo pezzo la Torre dell’Orologio, involontaria spettatrice del loro scontro, cadeva sotto quei colpi carichi di potenza, fino a quando non furono costretti a spostarsi sopra il castello, in una lotta confusa di corpi.
Gli occhi saettavano febbrili da un lato all’altro, in cerca del nemico, le fronti madide di sudore lasciavano trasparire con chiarezza lo sforzo nel tenere testa a un avversario tanto valente, e ben presto si trovarono entrambi a pensare che, se si fossero incontrati in altri tempi e altri luoghi, sarebbe certo stato interessante approfondire la reciproca conoscenza.
Remus Lupin osservava impressionato i movimenti agili ma mai privi di eleganza del nemico, la freddezza nel suo sguardo e la determinazione che traspariva da ogni suo gesto. Si trovò più volte con le spalle al muro, e dovette ammettere, anche se non senza un certo amaro in bocca, che quel tipo sapeva il fatto suo. La sua rapidità era incredibile, e la gamma di incantesimi a sua disposizione ben oltre la norma, al punto che la metà non li aveva mai sentiti nominare. Era fin troppo evidente che quel tipo aveva passato anni a studiare le arti oscure, e il risultato era ciò che gli si parava di fronte: una macchina sterminatrice perfetta e gelida.
Antonin Dolohov sorrideva appena, mentre con il corpo attraversato da continue scariche di adrenalina osservava il suo avversario, ammirandone sempre di più i riflessi pronti, e quell’incredibile modo di cavarsi d’impiccio anche nelle situazioni più disperate. Era la prima volta che si sentiva così dannatamente VIVO, nel combattere un avversario, la prima volta che la sua superiorità indiscussa veniva messa alla prova, la prima volta che, doveva ammetterlo, qualcuno riusciva a ottenere il suo pieno rispetto.
Tuttavia, tra i due vi era una unica, immensa differenza. Qualcosa che, ormai il Mangiamorte lo aveva compreso, gli avrebbe permesso presto di mettere fine a quel magnifico scontro, una volta per tutte.
Anche se nella foga del duello, Antonin non aveva smesso un istante di cercare una falla nel modo di combattere del suo avversario, non si era perso un colpo, non uno sguardo, ed era stato proprio questo a fargli capire come conseguire la sua vittoria.
Avevano sorvolato quasi tutto il castello, spostando più volte il loro scontro nel mezzo della battaglia, dove, se l’ex docente non avesse fatto di tutto per dirigere l’incontro in modo che non coinvolgesse i giovani maghi della scuola, molto probabilmente ci sarebbero già state innumerevoli vittime.
Dolohov sospirò. Dopotutto, anche i grandi maghi hanno sempre dei punti deboli.
Atterrarono poco sopra il Cortile Principale, affannati e stanchi, ma entrambi determinati a continuare a combattere.
Gli occhi di Lupin saettavano nervosi sotto di loro, dove Thonks continuava a combattere, ignara del loro incontro, assieme a una centinaio di giovani studenti e membri dell’Ordine, impegnati nella battaglia contro i Giganti, ormai penetrati nella scuola.
Antonin Dolohov si ricompose, attendendo che anche lui si riprendesse dalla fatica, e quando seppe che era pronto a riprendere si gettò in avanti, ma all’ultimo istante deviò la propria traiettoria, puntando la bacchetta verso il cortile, mentre un fascio di luce violetta si preparava a far saltare in aria un intero gruppo di studenti impegnati nel combattimento.
Remus Lupin non dovette pensare.
Lo fece, e basta.
Si frappose tra loro e quel fulmine di energia violetta, e sorrise.
Si era sempre aspettato di morire avvolto dal gelo della morte, in una nube di energia verde, come James, come Lily, come…Sirius.
Come tutti coloro che aveva perso, come tutti coloro che erano morti per proteggere il loro futuro.
Forse, il verde non era il suo colore…Sirius lo diceva sempre.
Cadde a terra, il braccio completamente staccato dal resto del corpo e più della metà del viso arrossata dalle ustioni.
Immerso in una pozza di sangue purpureo, alzò lo sguardo verso il suo carnefice, che lo osservava impassibile, una strana luce negli occhi. Non era odio, e nemmeno ira, o soddisfazione, solo quella malinconia senza fine, così struggente da spezzare il cuore.
Avanzò, e Remus abbassò rassegnato il capo, in attesa del colpo fatale, ma quello gli si chinò di fronte, osservandolo immobile: “Hai combattuto bene…ma alla fine non potevi fare nulla. Se preferisci, posso concederti alcuni secondi per dire le tue ultime volontà”
L’altro sgranò gli occhi, sorpreso, poi rise. Un grumo di sangue rappreso gli sporcò il labbro: “Beh…alla fine, la morte doveva pur sorridere a qualcuno…”
Il Mangiamorte chiuse gli occhi, poi rispose, come assorto: “La morte sorride a tutti:  un uomo non può far altro che sorriderle di rimando”
Remus annuì, forse, quel tipo aveva ragione: “Chissà, se non fossimo in guerra, saremmo anche potuti andare d’accordo…”
Antonin Dolohov rise, un riso amaro, senza senso.
Quando abbassò lo sguardo, lui era già morto. Sospirò: “Che spreco, gente così dotata…avresti dovuto scegliere con più cura da che parte stare”
Eppure, in fondo al suo cuore, il Mangiamorte sapeva. Sapeva che, dopotutto, non avrebbe mai scordato quell’uomo. Si posò una mano sulla guancia, un piccolo taglio che gli sporcava gli abiti impeccabilmente lustri, e sorrise. Quell’uomo, il solo che fosse mai riuscito a ottenere la sua più grande stima, e a ferirlo…ma per l’ultima volta.
Si alzò, osservando impassibile i suoi uomini, consapevole che qualcosa, quella notte, lo aveva cambiato per sempre…

Note dell'Autrice:
Questa OS partecipa al contest indetto sul Forum da S.Elric_, "Mangiamorte VS Ordine, Chi vincerà la sfida?"...
http://www.freeforumzone.com/d/11221335/Mangiamorte-VS-Ordine-Chi-vincer%C3%A0-la-sfida-/discussione.aspx...
La richiesta era di scrivere una OS dedicata a un personaggio tra quelli visualizzabili nei pacchetti, e io ho scelto Antonin Dolohov, Mangiamorte dal fascino oscuro che, devo ammetterlo, più di una volta aveva attirato la mia curiosità.
La nostra Magister Row non è mai entrata molto nel dettaglio sul suo carattere o sul suo passato, limitandosi a dire che è il membro più rispettato a potente tra i seguaci del Signore Oscuro, motivo per cui non potevo esimermi dal dare una mia personale interpretazione di quello che, secondo me, doveva essere tale personaggio.
Ho deciso di immaginarlo come ben diverso dai suoi compagni, certo, non sarà un santo (stiamo parlando di un Mangiamorte...no?), ma, in un certo senso, anche lui ha una sua morale e un suo modo di vedere il mondo, e spero di aver trasmesso bene il concetto.
Ringrazio la giudicia per il magnifico contest da lei proposto e saluto tutti!
Alla prossima!!!
Teoth

 
   
 
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