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Autore: Panenutella    28/03/2016    2 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Demons

Piano Man

They are sharing a drink they call loneliness
But it’s better than drinking alone.

*Sara*

 Me ne sto seduta al bancone del bar davanti al bancone di legno del bar, giocando con il manico del boccale di birra mezzo pieno che sta davanti a me e ascoltando “Piano Man” di Billy Joel agli altoparlanti quasi completamente scassati. In questo bar non c’è quasi nessuno, cosa che non guasta all’atmosfera sudicia e raccolta che impregna l’aria. Il barista è sparito dietro l’angolo, a fare chissà che cosa, quindi qui dentro sono praticamente sola: c’è solo un altro tizio seduto ad un tavolo lontano da me e un cane bagnato fradicio sdraiato sul pavimento accanto alla porta d’ingresso.
Nessuno sa perché sia a Belfast, lontano da casa, lontano dai miei genitori, lontano dal mio ex fidanzato che mi assilla da quasi quattro mesi. Sono scappata, questo è il punto. Ho approfittato della prima occasione e sono fuggita da Genova per non vederlo mai più. Era arrivato a stare due giorni sotto al mio portone, in attesa che io mettessi un piede fuori casa.
Spero che non gli venga mai in mente di venirmi a cercare in Irlanda del Nord. Specialmente a Belfast.
- Ti spiace se mi siedo?
Una voce profonda e improvvisa mi fa sobbalzare e spostare con una manata il boccale di birra. Mi volto verso lo sconosciuto, pronta a rispondere freddamente, ma riconoscere colui che mi ritrovo davanti mi fa cambiare idea quasi all’istante.
Kit Harington. Chi vuoi che non lo riconosca, in tutto il mondo? Il prode Jon Snow, uno degli attori del Trono di Spade che più rubano il cuore alle fangirl impazzite fin dal primo episodio della prima stagione.
Ha indicato il sedile di pelle mezzo strappato accanto a me, e aspetta una risposta mentre io lo fisso inebetita.
Coraggio, ripigliati!
Mi schiarisco la gola. – Certo.
Mi volto in fretta verso il bancone incrociando le braccia, tentando di non sembrare impacciata. Afferro il boccale di birra e bevo un sorso, evitando il suo sguardo.
Lui fa un mezzo sorriso e si siede, mentre “Piano Man” continua a suonare. Fa un cenno al barista che, chissà da quando, sta riordinando le tazzine da caffè poco lontano da noi e ordina un Metropolitan. Sollevo le sopracciglia e bevo un’altra lunga sorsata di birra.
Che faccio? Attacco discorso? Sarebbe un’occasione sprecata non farlo, apparentemente qui non c’è nessuna fangirl impazzita in procinto di assaltarlo.
Bevo un’altra sorsata e sbatto il boccale vuoto sul bancone, provocando un rumore sordo.
- Giornataccia?
Oddio. Ha parlato. A me. Mi sento addosso i suoi occhi scuri.
- Periodaccio – mi limito a rispondere, sorpresa della mia audacia. Lui non risponde, così restiamo in silenzio per un po’: ne approfitto per riflettere e per osservarlo di soppiatto.

Caspita
, penso, è davvero bello.
Capelli ricci e neri, occhi neri, barba nera, vestito con jeans neri e una maglietta nera aderente che lascia intravedere gli addominali e giacca di pelle marrone cappuccino. Total black, insomma.
Ok, Sara. Parla.
- Sei Jon Snow o mi sbaglio?
Mi guarda di traverso e risponde facendo di nuovo quel sogghigno.
- Sì, sono io. Kit – Mi porge la destra. – Kit Harington.
- Sara Vitali. – Rispondo stringendogliela.
- Cosa ti porta a stare qui da sola, Sara?
- Lunga storia.
- Puoi raccontarmela?
- Beh, io non sono qui a farmi gli affari tuoi – ribatto aspramente. Ok, amico, sei famoso, ma non invadere la mia sfera personale.
Sorride ancora. – Punto tuo.
Qualcosa di strano attraversa i suoi occhi scuri, qualcosa che non riesco bene a cogliere. Forse una scintilla di divertimento o di scherno?
- Lascia che ti offri dell’altra birra, per farmi perdonare… Guinness?
Annuisco, ciucciandomi il labbro inferiore in un tic istintivo che mi porto dietro sin dai primi giorni della mia vita.
Kit alza una mano verso il barista, quello si avvicina e lui gli chiede dell’altra Guinness porgendogli il boccale, discreto, come gli stesse confidando un segreto o chiedendo una partita di cocaina.
“Piano Man” è finita da un pezzo, sostituita da “Shelter From the Storm” di Bob Dylan.
La mezza pinta di Guinness arriva quasi subito e vedo che Kit per un attimo mi osserva portarla alle labbra e berla, prima di finire il suo Metropolitan e chiedere un whiskey irlandese liscio.
Passa qualche silenzioso minuto, rotto solo dalla musica in sottofondo.
- Vorrei davvero sapere qualcosa di te. Se per te non è un problema.
Appena mi riprendo dal sorso di Guinness che mi è andato di traverso appena ha aperto bocca finisco il boccale in pochi sorsi e comincio a sentire la testa più leggera. Chiudo gli occhi e sospiro, massaggiandomi la tempia con un indice. So cosa sta per succedermi. Dicono che l’alcool sciolga la lingua: beh, a me la scioglie anche troppo.
- Facciamo così: puoi chiedermi quello che vuoi, ma hai solo tre domande. Scegli accuratamente.
Kit inspira l’aria fra i denti, butta indietro le spalle e ride. – Affare fatto.
- Ok – mi sistemo meglio sullo sgabello e volto verso di lui. – Spara.
Appoggia il gomito sul bancone sudicio, in posa quasi provocatoria. - Da dove vieni?
- Italia. Come mai sprechi così la prima domanda?
- Oh, beh, hai un accento strano e sembra che tu ne vada fiera. Comunque sono io che faccio le domande qui. – Strizza entrambi gli occhi continuando a sorridere, come se cercasse di farmi l’occhiolino ma non ne fosse capace.
Alzo gli occhi al cielo e appoggio la testa sulla mano, in attesa della seconda domanda.
- Come mai hai quelle occhiaie?
- E’ da un po’ che non riesco a dormire. Il mio ex mi assilla, per questo sono a Belfast.
Come avevo detto, l’alcool mi scioglie troppo la lingua.
- Ex-fidanzato?
- Ex ragazzo. Mi segue da un po’, per questo sono qui in Irlanda. Spero che così lontana da casa non riesca a trovarmi.
- Capisco. – Si adombra per un attimo. Prende il bicchiere di whiskey davanti a sé e lo caccia giù per la gola come fosse acqua.
Io mi passo una mano sugli occhi e mi piego sulle gambe, in preda ad una nausea improvvisa. Lo stomaco sta facendo le capriole, porca miseria.
- Stai bene?
Alzo un dito facendogli cenno di aspettare, ma lui ha già capito come si sta mettendo la situazione e prima che mi possa ribellare mi afferra una mano e mi trascina quasi correndo fuori dal bar, nella gelida aria autunnale irlandese.
- Un po’ d’aria ti farà bene.
Tengo le mani sulle ginocchia, appoggiandomi al muro. Sto aspettando che la testa smetta di girarmi, mentre sono scossa dai brividi in tutto il corpo per il freddo.
Sento la porta del bar che si riapre e si richiude, e il contrario dopo pochi secondi. Poi, improvvisamente, vengo avvolta da qualcosa di caldo e dal profumo maschile incredibile. Alzo gli occhi: Kit mi ha appoggiato la sua giacca sulle spalle.
- Grazie. – Sospiro. – È passata.
Alza un pollice in segno di approvazione. Solo ora realizzo che nessuno fra i passanti lo riconosce solo perché ha in testa un basco che prima non avevo notato. Visto di fianco deve sembrare uno come tanti altri.
- Tutto a posto?
- Sì, grazie.
Kit tira fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette, ne estrae una, se la porta alla bocca e la accende.  Poi mi offre il pacchetto aperto. Rifiuto scuotendo la testa.
- Fumi? – Chiedo.
- Solo quando sono stressato o felice.
Pausa.
- Ti succede spesso? Pensavo fossi ubriaca e stessi per rimettere.
- No, è il modo in cui somatizzo lo stress. Non preoccuparti.
Annuisce ed esala una lunga boccata fumosa.
- Se vuoi ti riporto a casa…
- No, grazie. – Ok che è famoso, è gnocco e tutto il resto, ma non mi fido abbastanza.
- Lascia almeno che ti chiami un taxi.
- Sei così squisitamente gentile con tutti?
Sorride e scuote la testa. – Non coi paparazzi.
Rido anche io.
- Chiama il taxi, se vuoi – ammicco.
Tira fuori il cellulare e, nella breve chiamata che segue, chiudo gli occhi e inspiro il profumo fantastico di quella giacca chiedendomi se anche lui profuma così tanto.
- Fatto.
- Grazie, Kit.
Nella pausa che segue, io mi perdo di nuovo fra i miei pensieri e lui finisce la sigaretta. Il taxi che arriva suonando il clacson mi fa sobbalzare e vengo accecata dai fari della macchina. Contro di loro Kit sembra solo una sagoma scura.
- Grazie per la giacca – dico togliendomela. Lui mi ferma con una mano.
- Ti prego, tienila.
- E poi come te la restituisco? – Lo guardo scettica, in attesa che mi dia il biglietto da visita del suo agente. Così io chiamo e quello mi prende per una svitata, e io mi ritrovo con la giacca di pelle di un attore famoso. Ehi, penso, potrei farci un sacco di soldi!
Sfortunatamente invece Kit mi prende una mano, la apre con il palmo rivolto all’insù e mi scrive il suo numero di telefono con un pennarello nero che probabilmente usa per firmare autografi.
- Chiamami. – Risponde semplicemente. 
Lo fisso negli occhi sconvolta, pensando che deve avere qualche rotella fuori posto per dare il suo numero di telefono a una tipa qualunque. Lui ricambia il mio sguardo così intensamente che mi sento avvampare.
Il taxista suona di nuovo il clacson.
Kit lo ignora e si avvicina a me in fretta. In meno di un secondo mi ritrovo fra le sue braccia, inondata dallo stesso odore della giacca, e Kit mi bacia all’angolo della bocca.
- Ehi, ehi, EHI! – Sbotto sorpresa e furibonda, spingendolo lontano da me. Lo fulmino con lo sguardo e mi copro chiudendo la giacca sul davanti con le mani.
- Devo andare.
Corro verso il taxi e salgo in fretta. Riferisco al taxista il mio indirizzo e mi appoggio sul sedile, cercando di calmare i battiti del mio cuore.
Kit Harington mi ha baciata, e mi ha dato la sua giacca.
Impreco quando mi viene in mente che ho lasciato la mia borsa al bar.

   
 
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