Demons
Piano Man
They are sharing a drink they call loneliness
But it’s better than drinking alone.
Nessuno
sa perché sia a Belfast, lontano da casa, lontano dai miei
genitori, lontano
dal mio ex fidanzato che mi assilla da quasi quattro mesi. Sono
scappata,
questo è il punto. Ho approfittato della prima occasione e
sono fuggita da
Genova per non vederlo mai più. Era arrivato a stare due
giorni sotto al mio
portone, in attesa che io mettessi un piede fuori casa.
Spero
che non gli venga mai in mente di venirmi a cercare in Irlanda del
Nord.
Specialmente a Belfast.
-
Ti spiace se mi siedo?
Una
voce profonda e improvvisa mi fa sobbalzare e spostare con una manata
il
boccale di birra. Mi volto verso lo sconosciuto, pronta a rispondere
freddamente,
ma riconoscere colui che mi ritrovo davanti mi fa cambiare idea quasi
all’istante.
Kit
Harington. Chi vuoi che non lo riconosca, in tutto il mondo? Il prode
Jon Snow,
uno degli attori del Trono di Spade che più rubano il cuore
alle fangirl
impazzite fin dal primo episodio della prima stagione.
Ha
indicato il sedile di pelle mezzo strappato accanto a me, e aspetta una
risposta mentre io lo fisso inebetita.
Coraggio,
ripigliati!
Mi
schiarisco la gola. – Certo.
Mi
volto in fretta verso il bancone incrociando le braccia, tentando di
non
sembrare impacciata. Afferro il boccale di birra e bevo un sorso,
evitando il
suo sguardo.
Lui
fa un mezzo sorriso e si siede, mentre “Piano Man”
continua a suonare. Fa un
cenno al barista che, chissà da quando, sta riordinando le
tazzine da caffè
poco lontano da noi e ordina un Metropolitan. Sollevo le sopracciglia e
bevo un’altra
lunga sorsata di birra.
Che
faccio? Attacco discorso? Sarebbe un’occasione sprecata non
farlo,
apparentemente qui non c’è nessuna fangirl
impazzita in procinto di assaltarlo.
Bevo
un’altra sorsata e sbatto il boccale vuoto sul bancone,
provocando un rumore
sordo.
-
Giornataccia?
Oddio.
Ha parlato. A me. Mi sento addosso i suoi occhi scuri.
-
Periodaccio – mi limito a rispondere, sorpresa della mia
audacia. Lui non
risponde, così restiamo in silenzio per un po’: ne
approfitto per riflettere e
per osservarlo di soppiatto.
Caspita, penso, è davvero
bello.
Capelli
ricci e neri, occhi neri, barba nera, vestito con jeans neri e una
maglietta
nera aderente che lascia intravedere gli addominali e giacca di pelle
marrone
cappuccino. Total black, insomma.
Ok,
Sara. Parla.
-
Sei Jon Snow o mi sbaglio?
Mi
guarda di traverso e risponde facendo di nuovo quel sogghigno.
-
Sì, sono io. Kit – Mi porge la destra. –
Kit Harington.
-
Sara Vitali. – Rispondo stringendogliela.
-
Cosa ti porta a stare qui da sola, Sara?
-
Lunga storia.
-
Puoi raccontarmela?
-
Beh, io non sono qui a farmi gli affari tuoi – ribatto
aspramente. Ok, amico,
sei famoso, ma non invadere la mia sfera personale.
Sorride
ancora. – Punto tuo.
Qualcosa
di strano attraversa i suoi occhi scuri, qualcosa che non riesco bene a
cogliere. Forse una scintilla di divertimento o di scherno?
-
Lascia che ti offri dell’altra birra, per farmi
perdonare… Guinness?
Annuisco,
ciucciandomi il labbro inferiore in un tic istintivo che mi porto
dietro sin
dai primi giorni della mia vita.
Kit
alza una mano verso il barista, quello si avvicina e lui gli chiede
dell’altra
Guinness porgendogli il boccale, discreto, come gli stesse confidando
un
segreto o chiedendo una partita di cocaina.
“Piano
Man” è finita da un pezzo, sostituita da
“Shelter From the Storm” di Bob Dylan.
La
mezza pinta di Guinness arriva quasi subito e vedo che Kit per un
attimo mi
osserva portarla alle labbra e berla, prima di finire il suo
Metropolitan e
chiedere un whiskey irlandese liscio.
Passa
qualche silenzioso minuto, rotto solo dalla musica in sottofondo.
-
Vorrei davvero sapere qualcosa di te. Se per te non è un
problema.
Appena
mi riprendo dal sorso di Guinness che mi è andato di
traverso appena ha aperto
bocca finisco il boccale in pochi sorsi e comincio a sentire la testa
più
leggera. Chiudo gli occhi e sospiro, massaggiandomi la tempia con un
indice. So
cosa sta per succedermi. Dicono che l’alcool sciolga la
lingua: beh, a me la
scioglie anche troppo.
-
Facciamo così: puoi chiedermi quello che vuoi, ma hai solo
tre domande. Scegli
accuratamente.
Kit
inspira l’aria fra i denti, butta indietro le spalle e ride.
– Affare fatto.
-
Ok – mi sistemo meglio sullo sgabello e volto verso di lui.
– Spara.
Appoggia
il gomito sul bancone sudicio, in posa quasi provocatoria. - Da dove
vieni?
-
Italia. Come mai sprechi così la prima domanda?
-
Oh, beh, hai un accento strano e sembra che tu ne vada fiera. Comunque
sono io
che faccio le domande qui. – Strizza entrambi gli occhi
continuando a
sorridere, come se cercasse di farmi l’occhiolino ma non ne
fosse capace.
Alzo
gli occhi al cielo e appoggio la testa sulla mano, in attesa della
seconda
domanda.
-
Come mai hai quelle occhiaie?
-
E’ da un po’ che non riesco a dormire. Il mio ex mi
assilla, per questo sono a
Belfast.
Come
avevo detto, l’alcool mi scioglie troppo la lingua.
-
Ex-fidanzato?
-
Ex ragazzo. Mi segue da un po’, per questo sono qui in
Irlanda. Spero che così
lontana da casa non riesca a trovarmi.
-
Capisco. – Si adombra per un attimo. Prende il bicchiere di
whiskey davanti a
sé e lo caccia giù per la gola come fosse acqua.
Io
mi passo una mano sugli occhi e mi piego sulle gambe, in preda ad una
nausea
improvvisa. Lo stomaco sta facendo le capriole, porca miseria.
- Stai bene?
Alzo
un dito facendogli cenno di aspettare, ma lui ha già capito
come si sta
mettendo la situazione e prima che mi possa ribellare mi afferra una
mano e mi
trascina quasi correndo fuori dal bar, nella gelida aria autunnale
irlandese.
-
Un po’ d’aria ti farà bene.
Tengo
le mani sulle ginocchia, appoggiandomi al muro. Sto aspettando che la
testa
smetta di girarmi, mentre sono scossa dai brividi in tutto il corpo per
il
freddo.
Sento
la porta del bar che si riapre e si richiude, e il contrario dopo pochi
secondi.
Poi, improvvisamente, vengo avvolta da qualcosa di caldo e dal profumo
maschile
incredibile. Alzo gli occhi: Kit mi ha appoggiato la sua giacca sulle
spalle.
-
Grazie. – Sospiro. – È passata.
Alza
un pollice in segno di approvazione. Solo ora realizzo che nessuno fra
i
passanti lo riconosce solo perché ha in testa un basco che
prima non avevo
notato. Visto di fianco deve sembrare uno come tanti altri.
-
Tutto a posto?
-
Sì, grazie.
Kit
tira fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette, ne
estrae una,
se la porta alla bocca e la accende. Poi
mi offre il pacchetto aperto. Rifiuto scuotendo la testa.
-
Fumi? – Chiedo.
-
Solo quando sono stressato o felice.
Pausa.
-
Ti succede spesso? Pensavo fossi ubriaca e stessi per rimettere.
-
No, è il modo in cui somatizzo lo stress. Non preoccuparti.
Annuisce
ed esala una lunga boccata fumosa.
-
Se vuoi ti riporto a casa…
-
No, grazie. – Ok che è famoso, è gnocco
e tutto il resto, ma non mi fido
abbastanza.
-
Lascia almeno che ti chiami un taxi.
-
Sei così squisitamente gentile con tutti?
Sorride
e scuote la testa. – Non coi paparazzi.
Rido
anche io.
-
Chiama il taxi, se vuoi – ammicco.
Tira
fuori il cellulare e, nella breve chiamata che segue, chiudo gli occhi
e
inspiro il profumo fantastico di quella giacca chiedendomi se anche lui
profuma
così tanto.
-
Fatto.
-
Grazie, Kit.
Nella
pausa che segue, io mi perdo di nuovo fra i miei pensieri e lui finisce
la
sigaretta. Il taxi che arriva suonando il clacson mi fa sobbalzare e
vengo
accecata dai fari della macchina. Contro di loro Kit sembra solo una
sagoma
scura.
-
Grazie per la giacca – dico togliendomela. Lui mi ferma con
una mano.
-
Ti prego, tienila.
-
E poi come te la restituisco? – Lo guardo scettica, in attesa
che mi dia il
biglietto da visita del suo agente. Così io chiamo e quello
mi prende per una
svitata, e io mi ritrovo con la giacca di pelle di un attore famoso. Ehi, penso, potrei farci un
sacco di soldi!
Sfortunatamente
invece Kit mi prende una mano, la apre con il palmo rivolto
all’insù e mi
scrive il suo numero di telefono con un pennarello nero che
probabilmente usa
per firmare autografi.
-
Chiamami. – Risponde semplicemente.
Lo
fisso negli occhi sconvolta, pensando che deve avere qualche rotella
fuori
posto per dare il suo numero di telefono a una tipa qualunque. Lui
ricambia il
mio sguardo così intensamente che mi sento avvampare.
Il
taxista suona di nuovo il clacson.
Kit
lo ignora e si avvicina a me in fretta. In meno di un secondo mi
ritrovo fra le
sue braccia, inondata dallo stesso odore della giacca, e Kit mi bacia
all’angolo della bocca.
-
Ehi, ehi, EHI! – Sbotto sorpresa e furibonda, spingendolo
lontano da me. Lo
fulmino con lo sguardo e mi copro chiudendo la giacca sul davanti con
le mani.
-
Devo andare.
Corro
verso il taxi e salgo in fretta. Riferisco al taxista il mio indirizzo
e mi
appoggio sul sedile, cercando di calmare i battiti del mio cuore.
Kit
Harington mi ha baciata, e mi ha dato la sua giacca.
Impreco
quando mi viene in mente che ho lasciato la mia borsa al bar.