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Autore: Freya Crystal    28/03/2016    2 recensioni
"Cosa ci trovi nei miei occhi?"
Sguardo incerto, fremente, mani contratte sul parapetto, così vicine alle sue. Odore d'estate, cielo silente sopra di loro, unico spettatore del loro dialogo sulla terrazza di quella suite.
"Sono pieni di vita. S'affacciano al mondo con la consapevolezza dell'uomo e l'innocenza del bambino."
Mani che si sfioravano, sussulto dolce delle spalle, brivido improvviso sulla schiena scoperta.
"Io me ne sono innamorata, James."

Una storia d'amore condensata, raccontata sulle note di un pianoforte. Scorci della vita di un personaggio dimenticato: Mary McGuire.
Genere: Comico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ryo Shirogane/Ryan, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Melodies of life

 








Le dita compiono movimenti fluidi e precisi, riproducendo sicure un percorso scolpito nella memoria. I tasti sono soggetti a una pressione delicata come una carezza di seta, che si traduce in una voce interiore senza nome, poi fiorisce sottoforma di variopinti accordi in una coltre di sogni dischiusi. 
La musica si espande nella sala, si fonde e si completa, sospinta da una corrente irrefrenabile, naturale come il respiro del mare, inebriante come un'odorosa bolla profumata d'orchidea. Chi l'ascolta non può fare a meno di sentirsi rinascere, sorretto da ali confortevoli come un bacio mattutino. È questo l'effetto che fa; dapprima sfiora timido le orecchie dei presenti, poi li prende per mano e li porta con sé, ad annegare nelle onde di una malinconica melodia, specchio di un'infinita storia d'amore.
La storia fra la giovane pianista e l'attore cieco.


 
**




 
Mary sedeva al pianoforte, ritagli d'argento negli occhi chiari che rimandavano al sontuoso lampadario appeso al soffitto. Il mormorio nella sala si era interrotto non appena le sue dita avevano iniziato a cantare coi tasti, esercitando un incanto a cui nessuno si sarebbe voluto sottrarre. Vestiva di bianco, sposa segreta della musica, il busto fasciato in un corpetto privo di fronzoli, i fianchi dolcemente accarezzati da una curva di morbido raso. Era la punta di diamante del Sunlight's Flower, il locale più famoso a Nolita, e molti degli uomini e delle donne più ricchi del quartiere vi si recavano solo per sentirla suonare. Gli occhi chiusi, rapiti in un mondo elitario, l'espressione serena del volto e l'eleganza con cui controllava l'esecuzione del brano, la facevano sembrare una creatura che non faceva parte di quel mondo. 
Per James era semplicemente troppo. Intoccabile, irraggiungibile, accecante nella sua luce delicata. 
Il ragazzo moro la osservava silenziosamente, il bicchiere di Martini che gli tremava fra le mani, le spalle tese e la bocca sigillata in una muta contemplazione. Kyle e Sam lo prendevano in giro tutte le volte, lanciandosi occhiate eloquenti che intaccavano l'atmosfera solenne della sala, ma lui era così assorto che non ci faceva nemmeno caso. Finché non iniziavano a sghignazzare.
"Ora si alza e s'inginocchia davanti a lei."
"E poi si aggrappa al suo vestito, singhiozzando disperato."
"E si strappa i capelli."
James contrasse le dita, stringendo il bicchiere con più forza. "Smettetela" sibilò solo a denti stretti, ma quei sussurri ai lati delle sue orecchie non si placarono. 
Kyle e Sam soffocarono le risate, tornando alla carica. "Perché non vai a parlarle, quando smette di suonare?"
"Tzè, balbetterebbe peggio di un disco rotto. Vuoi proprio vederlo mentre si umilia, eh?"
Una signora seduta dietro al loro tavolo incenerì la nuca dei due ragazzi con lo sguardo, infastidita dal loro brusio. 
"Forse hai ragione, è probabile che gli venga un crampo alle gambe, se si accorge che lei lo sta guardando."
James batté un piede sotto al tavolo in un inconsapevole gesto di stizza. "Non siamo a un parco giochi, volete smetterla di farmi fare figure di merda?"
A seguito di quelle parole mormorate in tono tagliente, Sam incassò la testa fra le spalle per reprimere l'impulso di scoppiare a ridere, mentre Kyle distolse lo sguardo, fingendosi estremamente interessato a un quadro appeso alla parete. Di solito i suoi colleghi di lavoro si limitavano a sporadiche battutine su di lui, ma quella sera sembravano più accaniti del solito. Forse avevano bevuto troppo. 
Dio santo, è meravigliosa... Mi scoppia il cuore. 
Mentre lui la guardava, Mary brillava inconsapevolmente di una bellezza candida, fresca come una rosa appena dischiusa, mite come un'alba di primavera. Non portava gioielli, unica eccezione la sobria catenina dorata che teneva al collo tutte le sere, i capelli uno scrigno di boccoli raccolti sulla nuca.
James andava al Sunlight's Flower solo per sentirla suonare e per poterla contemplare. Sedeva sempre a uno dei tavoli in prima fila, l'immancabile presenza dei suoi migliori amici al suo fianco, pronti a spalleggiarlo ogni volta che era giù di morale e a farlo distrarre con l'aiuto di un buon bicchiere di vino – anche se volte diventavano stronzi. 
"Se lei gli dice "ehy" va in shock anafilattico."
Okay, più di 'a volte'.
"Sento che questa è la serata clou, ci sarà uno sviluppo!"
Due pettegole in crisi mistica! La prossima volta devo ricordarmi di non fargli toccare il Gin Tonic.
James ebbe appena il tempo di terminare quella riflessione che un bestione in completo nero, alto minimo due metri, raggiunse il loro tavolo e scoccò una gelida occhiata d'avvertimento a Sam e a Kyle. 
Il ragazzo poggiò un gomito sul tavolo, reggendosi la testa con la mano chiusa a pugno, nell'illusione che quel gesto bastasse a renderlo estraneo ai suoi vergognosi compagni di tavolo, che al sopraggiungere del tizio della security avevano assunto una postura vagamente dignitosa. Se non l'avesse fatto, avrebbe notato la rapida occhiata rivoltagli da Mary, che prima di tornare a concentrarsi sui tasti aveva sorriso impercettibilmente. 
Io qua non ci torno. Siamo diventati lo zimbello del locale, per tutti 'sti ricconi siamo peggio delle zecche! Mi sono pure rovinato l'esibizione...
Nooo... è finita!
Con un tuffo al cuore, James sentì la melodia rallentare e poi spegnersi, un'orribile sensazione di vuoto alla base del petto. Lo scroscio degli applausi non gli riempì le orecchie, mentre quella divorante sensazione s'acuiva dentro di lui. Seguì con ostinata concentrazione la figura sottile di Mary, che s'alzò sorridendo dalla sua postazione, fece un inchino e poi si diresse verso la scala che portava alla hall. Non appena fu scomparsa, scoccò un occhiata furiosa ai suoi amici e incrociò le braccia al petto, in un gesto che stava a significare il suo insormontabile silenzio.
Sam si passò una mano tra i ricci capelli castani, gli occhi verdi leggermente lucidi per l'effetto dell'alcol. "Eddai, non fare il bimbo musone di cinque anni. Mica è colpa nostra se le sbavi dietro e lei non ti considera!"
"Ogni tanto lancia un'occhiata nella nostra direzione, ma con la sfiga che hai, succede nei rari istanti in cui tu non la stai guardando" ammise Kyle, svuotando il suo bicchiere, poi assunse un'aria che per i suoi standard avrebbe dovuto essere pensierosa. "Sembra che voglia ridere, secondo me le stiamo simpatici."
"Secondo me invece ci compatisce..." borbottò James, lanciandogli un'occhiata di sbieco. 
Kyle alzò vittorioso lo sguardo su Sam. "Sgancia."
Quest'ultimo estrasse una banconota da venti dollari, sbuffando, e gliela allungò sul tavolo.
"Ma cosa...?" 
James non stava capendo.
"Abbiamo scommesso su quanto tempo saresti rimasto 'chiuso nel tuo caparbio silenzio', se ti fossi incazzato." Kyle afferrò la banconota e la ripose nel portafoglio. "Trenta secondi: ho vinto io."
"Bah... hai vinto di poco. Io avevo scommesso su un minuto!"
"Ma...!? Siete due idioti."
"Mai quanto te, amico!" rincarò la dose il giocatore d'azzardo vincente.
"Oh, cazzo... James, mettiti immediatamente una cicca in bocca e non dire scemenze" mormorò in fretta Sam, al punto tale che si mangiò le parole. 
"Non sono in vena di battute tristi e senza senso" sbuffò quest'ultimo, cacciando un profondo e ineducato sbadiglio, senza nemmeno mettersi la mano davanti alla bocca – al diavolo 'sti fighetti "galateo-in-love" impressionabili!
"Non è uno scherzo... girati" insisté Kyle con un impostato tono di voce serio. 
"Che pae, chià che hai vis-ho!" farfugliò James, voltandosi con la bocca ancora spalancata. 
La mascella gli fece clang all'istante. Gli occhi fissi, senza nemmeno sbattere le palpebre, la bocca chiusa e poi riaperta come quella di un pesce, sigillata poi definitivamente, sconfitta e patetica: James sentì le guance bruciare e desiderò sprofondare sotto il tavolo, risucchiato dal soffice rivestimento scamosciato del divanetto. 
"Buonasera, chiedo scusa per il disturbo. Mi concederebbe due minuti del suo tempo?" 
Mary McGuire, luminosa come una stella, la voce bassa e dolce, era di fronte al loro tavolo, un sorriso gentile sulle labbra, lo sguardo rivolto solo su di lui dopo aver formulato quella domanda. 
Nell'ovattato silenzio incappato fra loro, Sam scoccò una gomitata al fianco di James, ma questi rimase immobile, insensibile allo stimolo. 
"Ehm ehm..." tossicchiò Kyle, afferrando la bottiglia di vino vuota, per fare qualcosa che nemmeno lui sapeva ancora. Cercò d'inventarsi un pretesto per spezzare quell'immobilità, ma un miracolo divino lo anticipò, riattivando la cavità orale di quell'imbecille del suo amico. 
"Sì... Per fare cosa?"
Sam si vergognò per lui. Non era lui ad essere malizioso, no! Era James che con quel tono di voce ansante sembrava un coniglio nella stagione dell'amore!
Il sorriso di Mary s'addolcì di fronte all'espressione impacciata del ragazzo. "Per parlare di musica, se non le dispiace. Lei è un estimatore attento, suppongo."
Kyle fece un verso strano, l'aria di uno che voleva distanziarsi dai due amici. 
Deficiente!
"Ehm... beh, sì, ciòe, insomma... c-che cosa vuole sapere?"
Mary si toccò la catenina che portava al collo, in un gesto spontaneo e apparentemente casuale, prima di rispondergli. "Preferirei discuterne in privato..."
Oddio...
"Sempre che a lei dia fastidio. In caso di una risposta affermativa, chieda a Claire di darle la chiave duecentosette. L'aspetterò nella mia suite."
Oddio.
James non la vide realmente fare un inchino e rivolgere un cenno di saluto ai suoi amici. Solo quando uno dei due, forse Kyle, gli pestò un piede con forza, trovò il coraggio di risponderle. "Va bene, ci vediamo tra dieci minuti!" 
Aveva urlato un po' troppo forte, perché un signore che stava passando davanti al loro tavolo esitò per un momento, lanciandogli un'occhiata incerta. Mary accentuò il suo bellissimo sorriso e si congedò, sparendo nuovamente su per la scalinata col passo leggiadro di chi sembrava soltanto sfiorare il pavimento. 
"Perché le hai detto 'fra dieci minuti'?"
"Ha fatto bene, pirla! Dovrà pur farsi desiderare un po'..."
"Ehy! Comunque Dio esiste. È inconfutabile: guarda cos'ha combinato con questo caso perso!"
"Sono d'accordo. Ora la cicca te la prendi?"
"Ohi...?"
Kyle agitò una mano davanti al volto di James. I suoi  capelli scuri, arruffati in una chioma ingestibile, rilucevano dei riflessi aranciati proiettati dalle luci di scena, ma il suo sguardo sembrava perso. 
Adesso che cosa faccio? 
"Ohiii!"
"È morto. Chiamo le pompe funebri."
"Ma se non sai nemmeno quanto si paga, imbecille!"
"Intanto gli anticipo i venti euro che mi hai gentilmente concesso."
"Sei un morto di fame."
"Di qualcosa si dovrà pur morire. Sempre meglio che ridursi come James... guardalo!"
Quest'ultimo si riscosse dalla sua paralisi. "Oddio. Adesso che cosa faccio?" Afferrò la bottiglia vuota come se fosse la sua profetessa, pronta a svelargli i segreti più preziosi sulla vita. "Io non so niente di musica! Mi piace come suona Mary. Da morire. Ma non sono un estimatore. Cazzo!" Si afferrò la testa fra le mani, borbottando parole incomprensibili all'orecchio umano.
"Seriamente: pensi che voglia parlare di musica?"
"O che voglia proprio parlare?"
"Ma la volete smettere!?"
Kyle alzò le mani in alto, simulando una vocetta stridula e stizzita. "Scusa, suora Giudith!" 
Sam, forse per pura pietà d'animo, decise che era il momento di fare la persona seria. I posteri avrebbero ricordato l'evento leggendario, prestando particolare enfasi al fatto che fosse pure ubriaco, e ne avrebbero intessuto lodi dorate sul manuale "Pirla o picche? Come trasforamare il due di picche in quello del pirla"
"Ascolta: fregatene. Dille che ti piace come suona e basta. Parlate d'altro."
"Non gli rifilerai la stronzata precofenzionata del 'sii te stesso', spero!"
"Kyle, chiudi quel buco" berciò Sam, mentre James aveva deciso che fare a pezzi un fazzoletto da naso fosse la soluzione giusta per sedare l'ansia. "Adesso ti metti sta cazzo di cicca in bocca, ti togli la puzza dell'alcol e poi vai da lei. Non fare il cacasotto!"
"Se ha invitato solo te è chiaro che, per qualche oscura ragione incomprensibile alle mie sinapsi, le interessi" gli diede manforte Kyle, a modo suo. 
James si alzò di scatto, rigido come un militare sull'attenti al suono del fischietto. 
Sam sussultò. "Fai quasi paura a volte."
"Condivido" sospirò Kyle, stravaccandosi sul divanetto. "Noi ordiniamo qualcosa da bere, buona fortuna!"
"Ragazzi, fate il tifo per me. Se non torno, probabilmente mi sarò suicidato." 
James, con un tono che voleva sembrare solenne, si allontanò dal tavolo, mentre Sam e Kyle ironizzavano sul fatto che avrebbero fatto una macumba propiziatoria. 
Idioti. Chris Martin, ti prego, non farmi fare figure di merda!


 
**




 
Qualcuno batté un colpo così forte alla porta che Mary sobbalzò per lo spavento. L'imprecazione soffiata a bassa voce al di là della parete, tuttavia, le fece recuperare la calma. 
"Avanti!" 
Cercò di trattenere una risata, ma quando la chiave girò nella toppa e James Spangler si palesò alla sua vista, quella voglia sparì, sostituita da un'improvvisa stretta allo stomaco. Era un ragazzo affascinante, gli occhi scuri in fermento, accesi da quella luce vivace che aveva notato subito in lui, il naso un po' storto e un leggero velo di lentiggini sugli zigomi alti. 
Mary riassettò il plico di spartiti che stava controllando e gli andò incontro. Lui rimase sulla soglia della porta, l'espressione del volto comunicante nervosismo. Sembrava infastidito da qualcosa, forse aveva fretta, e magari aveva deciso di raggiungerla solo per non sembrare scortese. Decise che gli avrebbe rubato meno tempo possibile. 
"Prego, si accomodi. Vuole qualcosa da bere?"
Lui la guardò stralunato, sbattendo le palpebre come se gli fosse passata una mosca davanti al naso. 
"Ehm, perché no? Anzi: no, grazie. Nel senso che non lo voglio." James si passò una mano tra i capelli, distolse lo sguardo e sorrise. Un sorriso che gli illuminò il volto di una luce calda, contagiosa.
"Ho bevuto abbastanza per questa sera, non che io sia un alcolizzato... mi piace bere quando sono in compagnia, però non faccio solo quello, cioè, diciamo che bevo ogni tanto, ma solo perché mi fa digerire subito... però non ho problemi digestivi, eh..."
Mary fu scossa da una risata irrefrenabile. Si era sforzata di rimanere seria per non metterlo a disagio, ma era stato più forte di lei: alla fine aveva ceduto. Si mise una mano davanti alla bocca e scosse il capo. "Scusi, è così simpatico... Può chiudere la porta, comunque. "
James diventò sempre più rosso, le dita della mano destra che giocavano agitate con la tasca dei jeans. "Oh, giusto, giusto... Beh, mi fa piacere sapere che sembro simpatico."
"Dammi pure del tu." 
Mary lo vide bloccarsi con la mano a mezz'aria.
"Certo! Anche lei, cioè tu, fai altrettanto." 
Aveva una voce fresca, suggeriva allegria e dinamismo. Sembrava così spontaneo...
"D'accordo. Prego, accomodati." 
La pianista gli indicò il letto con un cenno della mano e lo vide sbiancare, poi diventare di nuovo rosso. Non poté fare a meno di perdersi a studiare la sue espressione, sebbene fosse consapevole che avrebbe fatto meglio a cancellare il suo imbarazzo. Le piaceva studiare il suo viso. 
"Cioè... Okay" si limitò a mormorare lui.
Mary si sedé sul bordo del letto matrimoniale, una mano sulla trapunta celeste e l'altra in grembo. Aspettò che James la raggiungesse, un sorriso innocente che sperò lui interpretasse in modo corretto. Probabilmente fu così, perché le si sedé accanto, non troppo vicino, ma nemmeno troppo lontano per non farle credere che lo ripugnasse. Il suo imbarazzo la intenerì. 
"Parlami di te."
James aprì la bocca e la richiuse come aveva fatto pochi minuti prima, davanti ai suoi amici. "Ma veramente?"
Mary annuì. "Sì, sono curiosa. Dimmi che cosa ti piace."
I suoi occhi furono attraversati da un guizzo che non riuscì a decifrare, mantenne il contatto visivo, cercando di carpirne il significato, ma lui lo distolse subito. 
"Beh, mi piace la musica al pianoforte" esordì incerto, lanciandole una rapida occhiata, alla quale lei annuì accomodante, esortandolo a proseguire. "Mi piace scrivere, ho redatto articoli di giornale sportivi, ma m'annoiavano, così sono passato a quelli culinari... faccio schifo come cuoco, ma mi piace parlare delle ricette... lo so che può sembrare da checca, non che io abbia nulla contro i gay, è solo per precisare che sono etero, cioè...! Non importa, scusa."
Mary lo ascoltava con attenzione, i lineamenti distesi in una pace scolpita che a poco a poco lo sciolsero.
"Amo le moto, però l'anno scorso ho fatto un incidente in tangenziale – dieci punti di sutura alla gamba destra, dannata banchina cedevole! La segnaletica non c'era, sai? E io da quelle parti ci passavo poco... Bevo sempre l'espresso al mattino, anche se fa male e mi rende più agitato del solito, mi piace andare a correre quando c'è la nebbia – sì, è da stupidi se hai uno scarso senso dell'equilibrio, come nel mio caso... no, questo non dovevo dirlo, dimenticalo. Non chiedermi perché mi piaccia correre solo quando c'è la nebbia, non ti so rispondere, forse perché la gente ci vede di meno e ho la sensazione di essere meno osservato. Non sono un complessato, è che mi piace credere di essere solo sul mio cammino, quando corro, con Bon Jovi sparato a palla che canta 'It's my life'. Vado matto per i cani, mi piacciono anche i gatti, ma io non piaccio a loro, il gatto di mio nipote mi ha graffiato sul braccio non so quante volte... e dire che io non lo infastidisco! Sono drogato di limoni, li mangio interi, anche con la buccia. Sam e Kyle, sai, i miei amici che erano al tavolo con me, ogni volta si sentono male quando lo faccio davanti a loro. Sono andato al concerto dei Coldpay tre mesi fa, dopo quattro anni che cercavo di acchiappare un biglietto, finalmente sono riuscito nell'impresa! Sono amante dell'attività fisica, ma ho distrutto una press machine quando ho visto che in TV stavano trasmettendo il live di Daylight. Sono allergico ai latticini, però vado matto per la cheescake al mirtillo. Ah! E poi... oddio, scusami. Scusami tanto, Mary. Me lo dicono in tanti che sono logorroico..."
Lei non aveva smesso un solo istante di guardarlo. Aveva studiato le sue labbra, i sorrisi fugaci, l'espressione che cambiava da divertita, corrucciata, imbarazzata, vivace, il modo in cui gesticolava animatamente, mettendoci enfasi, il tono di voce che s'alzava e s'abbassava, per poi sfumare in una nota nostalgica prima di tornare ad alzarsi. Era un ragazzo pieno di vita, spontaneo come la marea, rasserenante come il fuoco di un camino nelle notti d'inverno. La luce nei suoi occhi scuri era piena, vivida come un raggio di sole che al tramonto accende di riflessi pulsanti le chiome degli alberi.
Era impossibile non lasciarsi coinvolgere dai suoi stati d'animo. Mary avrebbe voluto farlo parlare ancora, sentiva che non si sarebbe mai stancata. Scosse la testa, sorridendogli. "Non scusarti. Mi piace ascoltarti."
James si torturò il ginocchio, picchiettandovi sopra le dita. "È che io ho parlato a macchinetta tutto il tempo... non ti ho lasciato dire niente."
Mary si alzò dal letto e avanzò verso il tavolino su cui aveva poggiato gli spartiti. "Ti ho fatto venire qui per un motivo. Voglio farti ascoltare una cosa."
"Veramente...?"
Sembrava estremamente sorpreso, come se lei gli avesse detto che un'equipe d'astronauti si stava imbarcando per andare sulla luna.
La ragazza prese uno spartito e glielo porse. "Ne ho fatto una copia, volevo che la tenessi tu."
James la fissò senza parole, ci mise un po' ad afferrare il foglio, e quando lo fece i suoi occhi saettarono da lei alle note tracciate in nero più volte. "Volevi... che la tenessi io?"
Lei annuì, dirigendosi verso il lettore CD che teneva appoggiato sulla scrivania. La sua voce le giunse mortificata. "Io non so leggere gli spartiti... Sono un idiota, quando m'hai chiesto se ero un estimatore di musica ti ho risposto di sì, ma ho detto una balla."
James aveva i modi di fare di un bambino, sotto quella corazza allenata, le faceva battere il cuore di una gioia dolciastra e soffusa. Mary si voltò a guardarlo, incapace di frenare una risata leggera, spontanea come la marea. "Mi basta vedere gli occhi che hai, quando suono al piano."
Lui s'illuminò d'un emozione che le fece tremare le ginocchia, come se al  di sotto di quel vestito da donna raffinata fosse tornata a scalpitare la quindicenne che era stata. 
"Non hai bisogno che io ti parli di me, la musica lo fa al posto mio, e tu hai ascoltato così tante mie melodie..."
"Sai da quant'è che vengo al Sunlight's Flower?" 
Mary gli diede le spalle e inserì un CD nel lettore. "Sì."
La verità era che ricordava perfettamente la prima sera in cui l'aveva visto, ma lei non era una donna di molte parole, gli avrebbe fatto capire quello che lui rappresentava inconsapevolmente per lei attraverso un altro strumento. 
Una melodia vivace e dolce si diffuse nella stanza. Mary chiuse gli occhi, appoggiandosi alla scrivania, fuoco sul viso generato dallo sguardo che James, lo sapeva, le teneva puntato addosso. La melodia coprì il loro silenzio, l'imbarazzo di lui e la curiosità di lei, intessendo il filo invisibile che li avrebbe inesorabilmente uniti. 
Le note si susseguivano rapide, ebbre di un'intima promessa, stinte in una nostalgia di sottofondo che sapeva di sentimenti intaccabili, puri nel loro rigoglioso germogliare. Parlava di un amore vergine, ma al tempo stesso consolidato in una stretta di mano invisibile, tra silenzi assorti e sguardi fugaci; era un abbraccio di suoni che toglieva il fiato e accendeva la vita di colori vividi. 
Non appena terminò, Mary aprì gli occhi, trovando subito quelli di James intrecciati ai suoi. Lo guardò con un rossore innegabile sulle guance, saggiando l'espressione di meraviglia distesa sul suo viso. 
"Questa melodia l'ho scritta pensando a te. La prima sera che ti ho visto, mi sono chiusa in camera mia e l'ho composta. Parla del tuo sorriso e dei tuoi occhi."
James sembrava pietrificato, la fissava senza muovere le palpebre, bloccato in uno stupore condensato che persino lei poté percepire su di sé, come se fosse suo. I suoi occhi, invece, brillavano come specchi lucidati, diamanti incastonati in un velo di calda oscurità. Mary si sentì toccare dalla loro gioia e dovette aggrapparsi alla scrivania con le mani per non cadere, per non lasciare che l'impulso di dare voce ai suoi sentimenti la sopraffacesse. Possibile che lui fosse convinto di essere rimasto invisibile ai suoi occhi in quei tre mesi? 
"Mary, io... Che cosa significa, è uno scherzo?"
La sua voce era calda, vibrava di un'emozione sfaccettata, trattenuta fra le labbra. Labbra sottili che avrebbe voluto imprimere su di sé.
La ragazza scosse la testa, sfiorando la catenina che portava al collo per darsi coraggio. Lei, che riluceva di un bagliore candido, era così fragile di fronte a quel ragazzo impacciato e inconsapevole del suo fascino. 
"Tu mi hai dato l'ispirazione per questo pezzo, che adesso è diventato il mio preferito..." 
Mary s'interruppe, accorgendosi della suoneria di un cellulare che si alzava progressivamente. Fece un cenno accomodante col capo, incitando James a rispondere, al che lui armeggiò nervosamente con la tasca dei jeans per trovare l'oggetto. Lei dovette fare leva su tutto il suo autocontrollo per restare. Quel ragazzo era così dolcemente imbranato che aveva spento la sua delusione dovuta all'interruzione. 
James rispose alla chiamata e subito dovette allontanare il cellulare dall'orecchio, assordato da una voce maschile che aveva gridato entusiasta. Mary non ebbe bisogno di chiedergli spiegazioni, perché sentì ogni parola, così quando lui riattaccò, le mani tremanti e gli occhi sgranati, lo precedette. "Corri in ospedale, neo zio."  
Lui rimase un istante a bocca aperta, poi si alzò in piedi, passandosi una mano tra i capelli. Mary aveva imparato a capire che quando compiva quel gesto era nervoso, agitato o imbarazzato, ma in quel momento sembrava provare quelle emozioni tutte assieme; la sua gioia era velatamente ripiegata in un'insoddisfazione quasi arrabbiata, saporosa d'ingiustizia. 
"Mia sorella sta partorendo."
Mary avanzò verso di lui, gli prese le mani tra le sue e rabbrividì, sentendolo sussultare, mentre una scossa potente si propagava in lei. 
"Presto, vai da lei. La prossima volta, saprai dove trovarmi."
Il sorriso di James le scaldò il cuore, portavoce di una promessa silenziosa che non sarebbe stata spezzata.



 

**
 




Il sole spiccava alto nel cielo terso, illuminando le trafficate vie di Tokyo come un re altero. Una bambina piccola, la bocca sporca di gelato e una treccina che le ricadeva sulla spalla, fissava con insistenza la giovane donna seduta al tavolino di fronte. Quando sua madre la prese in braccio per ripulirla con un fazzoletto, emblema di divertimento e esasperazione nello sguardo, lei non smise di osservare quella donna tanto elegante che sedeva da sola, l'aria distratta e le ciglia perfettamente distese. 
Mary si volse a guardarla e le fece l'occhiolino, generando sul suo visino tondo un sorriso radioso. Quella bambina avrebbe potuto essere sua figlia, sogno a colori prematuramente sbocciato nel suo grembo. Lei l'avrebbe svegliata in una cameretta odorosa di fiori, prima di portarla al parco col suo cagnolino, avrebbero mangiato insieme croissant alla crema di latte, mentre le avrebbe insegnato a leggere le note sugli spartiti; si sarebbe divertita ad acconciarle i capelli, pettinandoli fino a farli brillare, ci sarebbero stati vestitini bianchi da provare, bambole da scartare, cd dei Coldpay da mettere a tutto volume – perché suo padre avrebbe voluto così – e libri, fermagli, baci da custodire, sogni da incartare e certezze da schiudere; sarebbe stata una bambina serena, immersa nella musica e nell'arte, sorretta dall'uragano del padre e cullata dalla brezza mite della madre. 
Com'era quella piccola, tra le braccia della sua vera mamma? Quanto sarebbe stata diversa, se fosse stata sua? 
Mary si alzò dalla sedia, le rivolse un ultimo sguardo dolce e si diresse all'interno del modesto locale. Una volta pagata la sua consumazione, si allontanò dal chiosco per dirigersi al Café Mew Mew. Aveva ripreso a suonare da un anno, ormai, e il giovane Shirogane era rimasto a tal punto colpito dal suo talento, quando l'aveva ascoltata per la prima volta, che aveva deciso d'invitarla al suo locale. L'imminente serata di gala a cui avrebbe presenziato le avrebbe ricordato un'atmosfera dimenticata, sopita in una coltre di ricordi dolceamari.
A seguito di quel pensiero fugace, il tracciato del passato affiorò in superficie con spontanea naturalezza, come un danzatore smanioso di esibirsi. Mary proseguì lungo il sentiero sterrato, affiancata da risate giocose che si sovrapponevano, come lame di sale, alle immagini della sua felicità impacchettata. Lasciò che strabordassero al di fuori come permetteva di rado, permise loro di dissetarla, spezzarla e ricomporla nuovamente come avevano sempre fatto. Una fontana circolare zampillava fiotti d'acqua limpida, disegnando piccoli cerchi concentrici sul suo limpido specchio. Diapositive mai sbiadite nel suo occhio interiore, presero vita in quel fresco drappo trasparente, colorandolo con la loro intensità.

"Sei tornato anche questa sera! Tua nipote? L'hai vista?"
"È un mostriciattolo, mi ha fatto uno strano effetto... però so già che diventerà carinissima! Mica odio i bambini, io, solo che se ti dicessi che è carina da appena nata direi una balla... Dio, sembro uno stronzo, vero?"
"Sei così espressivo, hai mai pensato di fare l'attore?"
"I-io?"

Le loro serate si erano riempite delle loro conversazioni, a poco a poco sempre più spontanee, spogliate dell'imbarazzo di lui. Lei continuava a suonare e James, come incapace di farne a meno, era sempre lì, pronto ad ascoltarla, seduto a quel tavolo in prima fila; a volte veniva anche da solo, la fissava con quegli occhi luminosi, velati da un lembo di confusione che ormai aveva un solo nome; era catturato dalla stessa magia che inconsapevolmente le aveva riversato nell'anima.

"Cosa ci trovi nei miei occhi?"
Sguardo incerto, fremente, mani contratte sul parapetto, così vicine alle sue. Odore d'estate, cielo silente sopra di loro, unico spettatore del loro dialogo sulla terrazza di quella suite. 
"Sono pieni di vita. S'affacciano al mondo con la consapevolezza dell'uomo e l'innocenza del bambino."
Mani che si sfioravano, sussulto dolce delle spalle, brivido improvviso sulla schiena scoperta.

"Io me ne sono innamorata, James."
Gli aveva permesso di baciarla, senza nemmeno capire se fosse stata lei ad attirarlo a sé. Il mondo si era capovolto, la musica aveva preso a vibrare in lei sulle note di un pianoforte invisibile, e l'aria, improvvisamente, non era più stata necessaria a respirare. C'era la presenza calda e avvolgente di James a stordirla, ad accenderla e a dissetarla. C'era il suo profumo inclassificabile, riflesso della sua eccentricità, ad avvolgerla assieme alle sue braccia, salde e timide sulla sua schiena. C'era solo lui, che aveva dato luce alla sua vita con la sua sola essenza.


"Mi hanno preso, ce l'ho fatta!"
Mary gli aveva gettato le braccia al collo, contagiata da quel sorriso estatico, gli si era aggrappata addosso ridendo, e lui l'aveva stretta a sé con timorosa gioia. Aveva spento le sue reticenze da galantuomo con un semplice sorriso, pronta a consegnargli il suo amore accuratamente protetto. 
La loro prima volta era arrivata come una pioggia di settembre, lo sfioramento delle loro anime era stato lento e impetuoso al contempo. C'erano state carezze quiete, baci affamati, affrettato intreccio di corpi e intenso fondersi di sospiri nel silenzio di una stanza assolata. 


"Un giorno diventerai la madre dei miei figli, me lo sento. Però spero che prendano tutto da te, sai che tristezza se inciampassero ovunque... sbucciature sul ginocchio più frequenti del maltempo in Siberia! Almeno riusciranno a stare sul palco senza distruggere la scenografia, come il sottoscritto!"
James, James e ancora James...

"Se Heron ti sta guardando da lassù, sicuramente sarà felice."
Una carezza appena accennata sul viso, come se fosse fatta di un foglio bagnato. James le aveva baciato le labbra e aveva stretto la catenina che portava al collo, dove Mary custodiva la foto del suo bambino perduto. 
"Questa sera, dopo lo spettacolo, ti porto via con me. Scappiamo per una notte...andremo nella città che non dorme mai, amore, e saremo irraggiungibili per tutti!" 

Quegli occhi. Di un nero seducente, vitali come tizzoni roventi... Erano la sua casa.

Lo spettacolo c'era stato, la notte di fuga romantica anche, ma quella scelta aveva determinato la frantumazione del loro sogno a occhi aperti. 
La vita, instabile come una Moira oltraggiata, era stata crudele con il loro amore. Aveva permesso che esplodesse e si assaporasse, in una stanza luminosa che sapeva di soddisfazioni, passioni e risate – poi glielo aveva strappato via di dosso con unghie di vetro e bocca di sangue. 

Se solo fosse rimasta con lui... 
James era uscito dall'hotel in cui alloggiavano per prenderle la colazione, ma non era più tornato. Una volvo argentata, proiettile lucido sulla strada assolata, era comparsa a tutta velocità e lo aveva investito mentre stava attraversando sulle strisce. 
Chi aveva deciso di punirlo? La sua colpa era stata quella di essere troppo felice? 
Da allora lui e Mary avevano dovuto imparare a convivere con la sua cecità. 
"Non è tutto spento, amore. Ci sei tu con me, io vedo una luce forte, è calda, inestinguibile, sa di te..."
James l'ascoltava suonare, s'aggrappava con maggior trasporto alle sue melodie, cogliendone sfumature che nemmeno lei stessa riusciva a scorgervi. Aveva smesso di recitare e aveva rinunciato al sogno di creare una famiglia, finché poco a poco non si era abbandonato alla realtà. 
"Meriti di meglio, Mary. Devo lasciarti andare."

Era stato come sentire un serpente stringere, mordere e sibilare fuoco tormentato.  
"No, James. Ti stai sbagliando."


Facevano l'amore grondando disperazione muta, la liberavano nei marchi che si lasciavano sulla schiena e nelle labbra che sfogavano il dolore non detto. Si appartenevano come le anime delle fiabe mai raccontate, quelle tanto belle da essere tenute segrete e venerate come leggende. Stesi su un letto di rose rosse, soffice come neve e leggero come vento, recuperavano nell'estasi i sogni d'amore infranti, e James – oh James... – scacciava gli spettri delle sue insicurezze, tornando a sentirsi l'unico uomo che Mary avrebbe sempre voluto. 
Quel limbo spezzato si era frantumato definitivamente con la sua morte. Sui tasti d'avorio erano colati sangue e bugie, spine di vetro e promesse bruciate. Macchie di veleno, zanne traditrici – tutto ciò che Mary guardava, sfiorava, toccava, era un demone pronto a picchiarla e a spaccarla. James se n'era andato quando lei era uscita per fare la spesa, senza farle sapere se fosse stato un incidente o una sua scelta, soffocato dal gas rimasto aperto

Ti sei arreso, amore? Io non lo saprò mai. 

I suoi occhi, un tempo messaggeri di un'espressività singolare, avevano smesso d'accenderla di gioia. Dopo quella perdita ingiusta, era subentrata la sua scomparsa, stoccata letale che le aveva fatto deperire il cuore.

Io non lo saprò mai. Non voglio, perché mi fa paura conoscere la risposta. 

C'era stata una lettera intessuta su tasti mai più suonati. Mary aveva cantato le parole che non gli aveva mai detto con una melodia incrinata.

È stata colpa mia? Non sono stata sufficientemente capace di farti sorridere? Mentre tu provavi a non perdere te stesso, t'accorgevi che ero io, assieme ai tuoi occhi, a essermi spenta. È una verità di fiele e cenere marcia.
Te ne sei andato perché non ho saputo dimostrarti quanto ti amavo. Potrai mai perdonarmi?
In questi quattro anni non ti ho mai detto nulla di me, ci sono così tante cose che avrei voluto farti sapere, eppure non ne ho mai avuto la forza, il coraggio, la voglia. Non sono mai stata come te, amore. Te, che ti vedevi inferiore a me, miracolato ad avermi, non sai quanto ricambiassi questi pensieri. Te, che sei sempre stato così pieno di vita, innamorato dei piccoli dettagli e dei semplici gesti, sbagliavi a crederlo; io non ero altro che il tuo riflesso, vivevo della luce che sprigionavi, producevo l'arte che m'ispiravi, respiravo te e la tua voce, le tue mani, i tuoi baci, la tua risata... Sono nata per essere tua e senza di te non sono nessuno. Sono solo una bambola vuota che gioca col pianoforte, e che ha avuto la fortuna di sapere mescolare i suoni in modo vincente. Tu mi hai insegnato ad amare, mi hai permesso di fiorire come una regina al cospetto delle tue adorabili stranezze. 
Non ho mai sopportato il gelato al pistacchio, ma condividerlo con te lo rendeva buono. Tutto con te sapeva di buono. Mi piaceva osservarti cucinare, anche se non ottenevi risultati soddisfacenti. Mentre canticchiavi le canzoni di Bon Jovi mi facevi venire voglia di ballare e saltare, di dismettere la facciata della donna elegante e composta. Quando correvi e mi facevi cadere con te sul prato dimenticavo un passato fatto di ricordi amari e nostalgia soffusa, tornavo ad essere la ragazzina spensierata che pasticciava con gli spartiti e sognava la ridente Madrid. Adoro il violetto, però non lo indossavo mai per paura di non piacerti, perché ho sempre pensato che non mi donasse. 
Mentre dormivi restavo sveglia a guardarti e creavo nuove melodie nella notte, non vista, non sentita, sulla tua pelle che sapeva di casa e marea benedetta. Ti studiavo con aria adorante sul palco, pensando a quanto fossi perfetto nei panni del giocoliere, dell'amante segreto, del padre maldestro, del guerriero rivendicatore. Non te l'ho mai detto, ma ogni ruolo che interpretavi feriva gli occhi e il cuore con la sua efficacia. Tu gli donavi una vita pulsante, spogliandoti di te stesso e riempiendolo al contempo dei tuoi colori, dei tuoi pregi e dei tuoi difetti. Difetti che per me erano stelle avvolgenti, brillanti del tuo nome e della tua energia. Eri la mia meteora e non te l'ho mai detto. Non sono mai stata brava con le parole. Suonare era l'unico modo che avevo per esprimermi. Con te producevo arte, emozione, voglia di vivere. Da quando non ci sei più, ho gettato il mio pianoforte, bruciato gli spartiti e sepolto la mia anima. Ho tradito la musica, me stessa, quello che mi hai donato, perché senza di te niente aveva più senso. 
Poi ho ricominciato a comporre, ho capito che era il solo modo per non buttare via la nostra casa, il nostro amore stroncato, le nostre vite intrecciate.

Una lettera di emozioni inespresse, rivelazioni trattenute e amore singhiozzante. Sentimenti lacerati, ricuciti sul filo di una speranza traballante, promesse costellate di rimpianti:
"Tornerò a suonare per te, James. Parlerò di noi, affinché tu possa vivere attraverso me, come io ho sempre vissuto attraverso te in quei quattro anni di paradiso. Fosse anche l'ultima cosa che faccio."



 
**





Dove sono? 
Mary ha dimenticato lo spazio che la circonda. Piange lacrime di sale e sorrisi dimenticati. Stava andando al Cafè Mew Mew, si era fermata davanti a una fontana, divorata dai ricordi, poi...
Occhi scuri come tizzoni roventi la guardano dietro a un velo di delusione soffocata. 
Cos'è successo, dopo?
Perché guardare James nei ricordi fa così male?
Una voce la chiama con rabbia e ostinata decisione. 
Ci sono solo fumo nero, morte e disperazione sanguinante, intorno a lei. I ricordi sono spine intarsiate di veleno, strappano il velo protettivo che lei ha posto tra il cuore e la memoria, inviandole agli occhi attimi perduti con James. 
Le risate si sciolgono in un pozzo di dolore e rimpianto. Lui è cieco e si toglie la vita perché lei non ha saputo amarlo come meritava. 
No...
"Mary, ascoltami!"
Una melodia dolce e delicata affiora oltre il pozzo, è una mano tiepida che si tende gentile verso di lei, sussurrando conforto e salvezza. Mary l'afferra e si sente riempire di luce. I lamenti, che capisce di aver emesso  lei stessa, si spengono per lasciare il posto a un'armonia che profuma di speranza vitale. Il pozzo si tramuta negli occhi di James, dolci e innamorati. La melodia danza intorno a lei, solenne e potente, cresce e s'espande dentro di lei, sprigionando un calore nuovo. 
È la ribellione della sua anima, che pretende riscatto e scaccia il passato sbagliato. 
La possessione malefica viene distrutta, Mary ritorna in sé, richiamata dalla voce di quel ragazzo che le ricorda il figlio che non ha mai avuto. Ryou Shirogane ha gli occhi che parlano del suo silenzio e del suo carisma, ma sotto di essi, nascosta con perizia, c'è una scintilla che le ricorda James  la passione per un'ideale lontano, la voglia di viverlo e realizzarlo. Quel giovane è la fusione tra lei e il suo compagno perduto, l'ha capito non appena l'ha visto.
"Ascolta. Ascolta la forza positiva di questa armonia!"
Il filo dei rimorsi viene reciso, la melodia della sua vita danza sulle note di un amore immortale, liberandola dalle catene demoniache. 
Sarebbe meraviglioso, morire così, cullata fra piume e note delicate. Sapore di fuoco benedetto e marea ristoratrice, trapasso del dolore che spezza la sconfitta del cuore – la  voce di James si fonde con la sua, in uno scrigno d'intoccabile perfezione.  
Io sono solo uno strumento nelle mani della musica.
Una luce d'arcobaleno esorcizza il suo peccato condensato, purificandola dal rimorso e dal deperimento del cuore. 
Quando Mary riprende i sensi, la musica non smette di accarezzarle il capo e abbracciarle la schiena. Non smetterà mai più di farlo.
James vivrà nelle note di una melodia senza età, aspetterà Mary fino alla fine per sapere le parole che non gli ha mai detto. 
 
Sei il mio destino. Sposami.









 

Note dell'autrice 
Questa storia partecipa al contest "Secondario a Chi?" indetto da Ray Wings sul forum di EFP.
È partita con un'idea di base: raccontare la relazione fra Mary e James in maniera più dettagliata, poi mi sono resa conto che non ci sarei stata coi tempi e il tutto si è ridotto a una frammentaria condensa di ricordi. Spero di essere comunque riuscita a trasmettere qualcosa e che vi sia piaciuta. Se non avessi voluto rispettare la scadenza del contest a cui partecipa, e quindi ritirarmi, avrei creato una mini-long, perché mi sono resa conto che raccontare tutto avrebbe richiesto pagine e pagine. Mi sono affezionata troppo a questi personaggi, inevitabilmente e incontrollabilmente; lasciarli andare in questo modo è stato difficile, avrei voluto rendergli giustizia in maniera più approfondita, tuttavia ho perso la giusta ispirazione. Ho volutamente lasciato un alone di mistero intorno a Mary, non ho spiegato chi sia il suo bambino, come l'abbia avuto e perché l'abbia perso: lei mi ha sempre trasmesso un senso di elegante mistero; ho voluto mantenerlo, non parlando del suo passato prima dell'arrivo di James. 
Chi è Mary, veramente? Penso che coloro che sorridono di più siano persone particolarmente sensibili che hanno sofferto molto, e che nella loro forza riescano a rialzarsi. Ecco chi è Mary. 
Kyle NON è Keiichiro! Non ho voluto fare la cattiva, solo che quel nome mi piace troppo :) La frase che Mary sente dire alla fine è ripresa papale papale dalla puntata dell'anime, ed è Ryou a dirla. La luce d'arcobaleno del finale fa riferimento al potere esorcizzante di Ichigo. 
Il titolo non è farina del mio sacco, è omonimo di una melodia al pianoforte che potete trovare su YouTube :)
Non so davvero cosa aspettarmi da questa storia, mi auguro che vi abbia fatto emozionare e che possa restarvi impressa, nonostante la scelta insolita della protagonista. Un bacione!





 
  
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