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Autore: Nocturnia    29/03/2016    4 recensioni
Storpiati a vita.
Deformati dallo sguardo esigente di un Crono putrescente, piegati alla volontà di un dio mai riconosciuto.
I Wesker Children erano un abominio; uno scherzo grottesco e di cattivo gusto.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, William Birkin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Devil in I'
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XIII
Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



"I am the reason your future suffers,

I am the hatred you won't embrace,
I am the worm of a pure gestation,
I am the remedy, spit in my face."
- Slipknot -




XIII



#1 - Put me back together or separate the skin from bone.

Un dipinto di Dalì.
'La Valse', di Camille Claudel.
I colori di Caravaggio, la forza espressiva dei romani - Pompei, Ercolano.
Alex sospira sulla sua bocca, intreccia le dita nei suoi capelli.
"Perché?" chiede, senza risposta.
Albert snuda i denti e morde.


This song is not for the living, this song is for the dead.

Alex inclina il capo di lato, si porta il fascicolo al petto.
"Sta morendo." dice, e dondola la penna tra le dita "William dovrebbe disporre del soggetto in modo adeguato."
Albert tace, mani in tasca e sguardo concentrato.
"Lisa Trevor non ci è più di alcuna utilità."
Il soggetto continua a grattare contro i muri della cella, indossa un viso non suo.
"Non muore, non ricorda. Non siamo in grado di farla tornare com'era, non possiamo spingerla a evolversi."
Wesker si avvicina di qualche passo, entra nel suo spazio personale.
"Parlerò con William."
Lisa dondola i polsi incatenati, ripete sempre la stessa preghiera.

Mamma, mamma, mamma. Dov'è la mamma?

"Ha ventisette anni."
Alex si volta, cerca gli occhi di Albert.

La bellezza di un Michelangelo; la carnalità di una scultura di Rodin.

Alex si umetta le labbra (rosse), le socchiude leggermente.

Chissà se lascerebbero il segno.

"Lo farò presente."

Impronte rossastre, sbavate ai bordi - umide di saliva e altro.

Alex lo fissa con un'intensità quasi spaventosa.


#2 - You can't save me, there is nothing more to give.

Tra le lenzuola disfatte Alex è una curva pallida e sottile, quasi fragile.
Cerca il suo odore, la sua pelle.
"Perché?" ripete, e Wesker le sfiora gli zigomi, il mento; stringe, affondando le dita nella guance.
Alex inclina il viso nella sua direzione, lo osserva.
"Si stanno facendo più ravvicinate."
Respira nell'incavo del suo collo, spinge i suoi fianchi contro i propri.
"Sto morendo, Albert."
Wesker chiude gli occhi e ascolta il pianto di un cuore ormai spento.


Knowledge in my pain or was my tolerance a phase?

Lisa Trevor è una creatura disgraziata.
Estirpata dalla sua vita come un'erbaccia, massacrata dall'ambizione dell'Umbrella (William e Albert. Dì i loro nomi senza paura, Alexandra)
Lisa Trevor è una bambina imprigionata nel corpo di un mostro, una deformità che sotto nasconde ancora la stessa ragazzina urlante di anni prima.

Come tutti noi.

Alex apre la porta di contenimento, avanza.
"Lisa." la chiama, e la creatura la ignora.
"So che puoi capirmi, Lisa. So che ci sei."
Lisa inclina leggermente la testa (quella sua orrenda e marcescente faccia) verso di lei, le catene che sfregano contro il pavimento della cella.
Alex inspira, merda e decadenza; l'osceno odore della disperazione.
"Vuoi tua madre, Lisa?"
La creatura si gira verso Alex, la degna ora di tutta la sua attenzione.
"Ti manca, Lisa?"
La Trevor apre la bocca (senza labbra, senza forma) e cerca d'articolare una risposta comprensibile, si muove inquieta.
Ha fretta Lisa, perché vuole dire sì, cerco la mia mamma. Sai dov'è la mia mamma? Puoi portarmi da lei? e ha paura che la donna dai capelli biondi si stanchi e l'abbandoni qui da sola, come tutti gli altri.
"Ma... Madre." balbetta, e Alex annuisce.
"Posso portarti da tua madre."
Lisa si alza dal suo angolo e il tanfo di sporcizia e decomposizione si fa più forte.
Alex stende una mano verso di lei, le sfiora la fronte (pelle non sua, nasi e bocche di altre donne - altre madri)
Il Progenitore ruggisce nelle vene, piega una mente debole (bisognosa) come quella di Lisa.
"La vedi tua madre, Lisa?" le domanda Alex, e la Trevor emette un suono strozzato - comincia a piangere.
Lisa Trevor abbraccia sua madre nella sua mente, corre tra i prati limitrofi Villa Spencer come quando aveva quattordici anni e ancora tutta la vita davanti.
Alex ricrea un desiderio perduto, assolve un debito.

Lei, Albert, Lisa, Alexia;  mostri bambini - aborti che l'Umbrella ha chiamato figli e di cui si è fatta madre e boia.

Albert la osserva per tutto il tempo in silenzio.


#3 - She is everything and more; the solemn hypnotic, my Dahlia bathed in possession - she is home to me.

Il desiderio è una componente fondamentale del potere.
Vive in esso, lo alimenta; ne genera le radici, lo stimola a una crescita continua.
Se istruito alla disciplina il desiderio è un'arma indistruttibile - inarrestabile.
Albert Wesker desidera il potere, desidera ciò che da esso può nascere.
Ogni altra cosa è una debolezza, un bisogno da eradicare senza pietà.

Eppure...

Alex gli sfiora l'addome, le cosce; scivola con lingua sulla piega dell'inguine, lungo la sua erezione.
Piega un dio al suo volere, lo costringe alla resa.
Albert s'inarca all'indietro, spinge i fianchi contro la sua bocca - disinibito, feroce, esposto.
Alex affonda, Albert mastica una supplica.

Continua.

Alex sorride, sorniona. (accoglie ciò che resta di un dio, di un uomo vittima delle sue stesse ambizioni)

Ah.

Albert chiude gli occhi, crolla - viene senza alcuna vergogna.
Tra le sue braccia l'unica debolezza che abbia mai avuto il coraggio di concedersi.


I'll live with my regrets, I'll die by my decisions.

Un corvo gracchia in lontananza; nel cielo si addensano nubi nerastre e compatte, che oscurano ogni luce.
"Lisa Trevor è morta."
Alex annuisce, gli dà le spalle.
"Hanno disposto del suo corpo un'ora fa."
Irrigidisce la schiena, scivola lungo il bordo della tazza con il pollice.
"Nessuno la toccherà più."
Alex annuisce, fissa in tralice il cartellino che le dondola dal bavero del camice.

Dott.essa Fayer, livello di sicurezza quattro.

Una menzogna. Uno sporco inganno. Una maschera non meno marcescente di quella della Trevor.
"Alexandra." la chiama.
"Guardami." le chiede.
Alex inspira, espira; la pioggia comincia a cadere.


#4 - For gods' sakes we've suffered - this pain is now our lives.

Albert Wesker non è un uomo conosciuto per i suoi buoni sentimenti, tanto meno per la sua loquacità.
A quasi metà della sua esistenza ha dovuto fare i conti con una realtà scomoda e per nulla gratificante.

Sono stato costruito.

Nulla è reale, tutto è stato lecito.
Crescere come un bambino prodigio, uccidere come un bambino soldato, diventare la perfetta macchina da guerra (lo fai un bel sorriso a mamma, piccino mio?)
Alza lo sguardo, incontra una strada già percorsa.
Torna indietro con la memoria, riavvolge un nastro già logoro e consunto - usato.

Il controllo è tutto.

Il potere si ciba del controllo, se ne fa scudo e arma.
Il potere s'innalza dal controllo, costruisce il suo volto attorno a ciò che ne consegue (forza, sicurezza, libertà)
Nulla sfugge al suo pugno, nulla si permette di ribellarsi alla sua volontà.
Nulla.

"Il processo è quasi completo."
Alex china il capo, si appoggia allo stipite della finestra.

Sconfitta.

"Entro sei mesi dovremmo essere in grado di attuarlo. Un anno, al massimo."
Alex piega le labbra in un sorriso triste, si nasconde.

Esitazione.

"Alexandra."
Una supplica, una richiesta; un dio in ginocchio e grondante tra le sue mani.

Rimpianto.

"Non sarà sufficiente."

Rabbia.

"Deve esserlo."
Alex solleva lo sguardo, gli cerca gli occhi, il viso.
"E se non lo fosse?"

Rassegnazione.

Wesker sembra arretrare per un momento, inciampare nelle sue stesse convinzioni.
Allunga poi una mano nella sua direzione, la invita.
Il vento gelido di Sushestvovanie le sfiora i fianchi, la curva morbida del seno.
Alex lascia cadere la vestaglia a terra, lo accoglie tra le sue braccia.
"Lo sarà."
Albert si prenderà cura di lei; in un modo o nell'altro.


Hidden in the rubble, everybody's got a story to tell.

Laboratori distrutti, ricerche stracciate.
Corpi smembrati, orrori ancora senza nome.
L'anteprima dell'apocalisse, una finestra sull'inferno.
William osserva il livello quattro, settore 3-B, morire, preoccupato.
"Non doveva succedere."
Albert si sfila gli occhiali, li infila nella tasca del camice.
"Chiudi le uscite d'emergenza."
William sgrana gli occhi, apre la bocca.
"Moriranno."
"Lo sono già." replica Wesker, impassibile.
La Dott.essa Hellen inciampa, perde l'equilibrio.
William deglutisce, si passa una mano sul viso.
"Fallo."
Birkin sposta lo sguardo a destra, poi a sinistra.
"Io..."
"Vuoi forse spiegare a Spencer come un'idiota si sia lasciato scappare una provetta in giro per il settore 3-B senza che tu ne fossi a conoscenza?"
William arretra di scatto, come se fosse stato colpito fisicamente.
Albert gli regala uno sguardo in tralice, obliquo.
"È l'unico modo."
Il Dottor. Hollend viene morso a una spalla, la cuffia dei rotatori un filo biancastro che unisce la bocca dell'infetto al suo corpo.
William tentenna, ondeggia con le dita sopra la plancia dei comandi.
La Dott.essa Hellen ha perso una scarpa, cerca di tamponare la ferita all'addome (uno squarcio da cui fuoriesce troppo sangue e troppo intestino)
William abbassa le palpebre, digrigna i denti.
"Albert, io non so se..."

Click.

Wesker la fissa, incuriosito; affascinato.
William storna lo sguardo, lo posa sul suo viso - nei suoi occhi.
"Nessuna incertezza." replica, lapidaria "Mai, William. Mai."
Le porte d'acciaio spesse trenta centimetri si chiudono, circoscrivono una mattanza annunciata.
La Dott.essa Hellen cade di nuovo al suolo, viene sopraffatta da tre infetti.
Hollend grida quando uno degli infetti gli strappa la guancia, un suono umido e gutturale - glurg glurg glurg.
Nancy, la segretaria, si spezza un braccio nel tentativo di fuggire, Bill, il supervisore del settore, spara fino a quando ha proiettili.
L'ultimo colpo è in bocca, davanti alla foto di sua figlia.
William chiude gli occhi, china il capo.
Albert scivola con lo sguardo su tutti loro (mostri, uomini, indifferente) e tace, la mandibola rigida, il collo teso.
Alex raddrizza le spalle, allarga leggermente le gambe, non chiude gli occhi.

Mai cedere, mai arretrare, mai scappare.

Si porta le mani dietro la schiena, serra così forte le dita tra loro da incidersi la pelle morbida del dorso.
Morte, Pestilenza, Guerra; i tre cavalieri hanno appena assistito a uno scampolo del loro futuro.


#5 - No one else survives - I've seen you live, now watch me die.

L'orgasmo di Alex è è quieto, quasi timido.
Nasconde il viso contro la sua spalla, mormora il suo nome.
Libera un ansito delicato, sottile.
Albert la guarda inarcarsi all'indietro, un corpo morbido e cedevole tra le sue mani.
Le labbra pallide, gli zigomi aristocratici - arrossati.
Il seno piccolo, premuto contro il suo petto.
Lo bacia con una premura inaspettata, le dita tra i capelli e le pupille dilatate sotto le palpebre socchiuse.
Gli afferra i fianchi, incide mezzelune di sangue, lo spinge contro di sé - dentro di sé - in un unico affondo.
Albert soffoca un gemito indecente sulla sua bocca, le stringe la nuca in un pugno possessivo e ossessivo.
"Non è un addio." mormora, e Alex è quasi tentata di credergli.

Quasi.

Sorride, ed è il primo gesto sincero in troppi infiniti anni.
"Lo so." replica, e non sa se lo dice solo per se stessa o per entrambi, ma non vuole (non può) darsi un'altra risposta.
Albert le sfiora la linea delle cosce con le dita, la espone al suo desiderio.
Il virus tace, la malattia avanza.
Alex si aggrappa ad Albert con una disperazione che spezza il confine tra piacere e dolore.


Walk with me, don’t let this fucking world tear you apart.

Alex rimane ferma sulla soglia della porta, titubante.
La punta della scarpa destra sfiora il parquet chiaro dell'ingresso, la sinistra è ben piantata sul legno del portico.
Conosce quella casa, ne ha dovuto studiare ogni singola stanza.
Sa che lo studio si trova al piano superiore, seconda porta a destra, e che il bagno ha piastrelle in ceramica azzurre.
Ha spiato nella vita dell'unico sopravvissuto del Progetto e la verità è sempre lì, che scivola sulla punta delle lingua, pronta a sfuggirle da un momento all'altro.
Albert butta le chiavi sul mobile all'ingresso, la fissa da sopra la spalla.
Vieni? le dicono i suoi occhi, e Alex entra, chiudendo la porta.

Click.

Wesker s'incammina verso la cucina, le indica il divano (bianco, tessuto raffinato, morbido) e Alex bilancia meglio il peso dei fascicoli tra le braccia.
"Caffè?"
Alex emette una risata leggera, pulita.
"Immagino che ne avremo bisogno."
Si siede sul bordo dei cuscini, fuori posto - incerta.
Albert le porge una tazza fumante, l'affianca.
"Cominciamo?"
Alex sbatte le palpebre un paio di volte, annuisce.
Si chiede se questa sia quella che gli altri chiamano normalità.


#6 - Inside my shell I wait and bleed.

A Sushestvovanie sorge un'alba grigia, umida di pioggia e nebbia.
Alex si raggomitola contro il suo fianco, intreccia le proprie gambe alle sue.
Tra le dita i suoi capelli; negli occhi un orizzonte tumefatto e livido.
"Sta distruggendo le mie cellule."
Albert le sfiora la fronte con le labbra, indugia.
"Il siero non è più in grado di rallentarlo."
Rafforza la presa sulla sua nuca, tace.
"Sfalda le membrane, divora i mitocondri."
Non chiude gli occhi, non trema.
"Metà del polmone destro è compromessa."
Affonda il viso nell'incavo del suo collo, lambisce la pulsazione regolare della carotide.

Tum tum. Tum tum. Tum tum.

"La sinistra ha iniziato a mostrare i primi segni di cedimento."
Alex si lascia avvolgere dal suo corpo, dalle sue mani.
"Il Progenitore mi sta uccidendo, Albert."
"L'Uroboros ti riporterà indietro."
Assoluta convinzione; incrollabile certezza.
Alex scuote la testa, si nasconde contro il suo petto.
"No; non lo farà."
Wesker respira tra i suoi capelli, stringe.
Alex ingoia lacrime e paura.


You can't kill me, because I'm already inside you.

Stringhe di materiale virale, prospetti, calcoli, statistiche e proiezioni d'infezione.
Due tazze di caffè vuote, le tende accostate, la luce dell'alba che non riesce a penetrarle.
Alex si raggomitola contro il bracciolo del divano, sospirando nel sonno.
Wesker la fissa in tralice, portandosi una mano sotto il mento.
Alexandra Fayer era una dannatissima spina nel fianco.
Si era presentata dieci mesi prima come il nuovo acquisto dell'Umbrella nel campo della ricerca virale, sorriso arrogante, occhi trasparenti.

"William Birkin." era stata l'accoglienza di Will "Lì ci sono gli ultimi risultati sul virus T, sul tavolo la macchina per il caffè. Infetti a destra, bagni a sinistra. Benvenuta nel settore sicurezza quattro, Alexandra."

Aveva riso, Alexandra.
Aveva gettato la testa all'indietro, ritirato la mano tesa (dita sottili, unghie laccate di rosso - domande indecenti su cosa potessero fare quelle mani)

"William Birkin, uhm? L'enfant prodige di cui tutti parlano."

Wesker aggrotta le sopracciglia, percorre con lo sguardo la curva sporgente dei fianchi.

"Che William sia un bambino è un dato di fatto incontrovertibile." l'aveva apostrofata, continuando a regolare il fuoco del microscopio "Sul prodigio dobbiamo ancora lavorarci."

Il quartiere comincia a svegliarsi, riempiendo il silenzio.

William aveva assottigliato le labbra, mimato un vaffanculo con i gesti.
"Albert Wesker, immagino."
Aveva continuato a ignorarla, irritato.
"Te l'ha detto il cartellino oppure le tue doti divinatorie?"
Un fruscio; un odore leggero, sangue e argan.
"Oh, so fare molto più che indovinare un nome, Al."
Wesker si era voltato di scatto, furioso.
William era scoppiato a ridere senza alcuna decenza.

"Mi stai fissando."
Un cane abbaia in lontananza; qualcuno mette in moto una macchina e gratta la marcia.
"No."
Alex non apre gli occhi, curva un angolo della bocca all'insù.
"Bugiardo."
S'inarca all'indietro, allunga le gambe verso di lui.
"Hai occupato abusivamente il mio divano."
Alex socchiude un occhio, così azzurro da essere quasi irreale.
"Potevi buttarmi fuori di casa se ti davo così fastidio; al massimo mi sarei svegliata nel prato."
"La mia reputazione avrebbe subito un duro colpo."
"Immagino che tu non sia l'animatore del quartiere."

Irritante. Molesta. Sfacciata.

"Ho i miei mezzi per risultare... accattivante."
Alex si solleva, appoggia il mento sulle ginocchia, lo studia.
Wesker sostiene lo sguardo, non cede.
Per un istante gli sembra quasi che qualcosa vibri all'interno del suo stesso corpo, come un canale che sta cercando di sintonizzarsi, un filo tirato all'altra estremità.
Alex gli si avvicina, abiti stropicciati, labbra pallide - prive del rossetto a cui si era abituato in laboratorio.
Gli sfiora gli zigomi, la linea dritta del naso, la bocca.
Albert socchiude le labbra, le lambisce la punta delle dita con la lingua.
Il filo di prima strattona più forte, lo stringe dall'interno - un nodo nel petto e tra le cosce.

Riconosciuta. Fidata. Amata.

Alex geme il suo nome senza alcuna vergogna.


#7 - Can't be real no more - your mask is skin and bone.

Storpiati a vita.
Deformati dallo sguardo esigente di un Crono putrescente, piegati alla volontà di un dio mai riconosciuto.
I Wesker Children erano un abominio; uno scherzo grottesco e di cattivo gusto.
Non era stato per la loro innocenza violata che Albert si era erso a Zeus del nuovo mondo, e nemmeno per un distorto e tardivo senso della morale.
Non era stato per spirito di vendetta, e neppure per un mero impulso - un volgare istinto.

"Resti?"
Un mormorio sommesso, smorzato dalla sua pelle.
"Sì."
Un respiro, lunghissimo - pesante. Come se fosse stato trattenuto per troppo tempo.
"Grazie."

Era stato perché, per un istante, Albert si era sentito perduto.
Le sue certezze, le sue convinzioni, le sue idee, tutto si era sgretolato davanti ai suoi occhi, riflettendogli un'immagine aberrante, ridicolmente fragile.

Un dio caduto nella polvere.

Creato; istruito, ibridato, allevato per essere quello che è.

Ti credevi migliore degli altri, ma la tua era solo una strada già percorsa.

Alex gli cerca gli occhi, il volto; trova tutte le risposte di cui ha bisogno - le uniche che il suo ego gli permette di mostrare.

Sono un prodotto di scarto erano state le sue parole mesi prima, mentre si torceva le mani nel buio della stanza Un essere imperfetto, un errore. Una storpia.
Albert l'aveva fissata in silenzio, mettendo a tacere la parte che concordava (la voce di Spencer, di Crono, del futuro a cui credeva d'essere destinato)
Il Progenitore aveva invece uggiolato, grattando contro le ossa come un cane alla catena.
Il Progenitore si era arrotolato attorno al cuore come un serpente pronto ad attaccare, riconoscendo un suo simile, un pari - annusando la sua stessa malattia, gli stessi sintomi.
Le aveva sfiorato gli zigomi, i capelli, portandosela al petto.
Il Progenitore aveva snudato i denti, appagato.
Crono era morto, divelto per sua stessa mano dalla storia.

E noi?

"Noi non siamo sui figli, Albert; non lo siamo mai stati."
Storna lo sguardo, lo posa su Alex - l'altra metà, il numero dodici, tutto ciò che un tempo avrebbe etichettato come imperfetto, indegno.
Cercare di salvarle la vita è forse la prima scelta compiuta da uomo libero.


I can feel it on my mouth, I can taste you on my fingers, I can hear you like the holy ghost.

Una scrivania vuota, un foglio abbandonato.
Wesker se lo rigira tra le dita un paio di volte, lo accartoccia nel palmo della mano.
"Cosa c'è scritto?" gli chiede William, cercando di spiare oltre la sua spalla.
"Nulla." è la risposta lapidaria - affilata come i suoi denti.
"Ha dato le dimissioni da un giorno all'altro; non l'abbiamo neppure vista passare a prendere la sua roba, eppure puff, tutto scomparso."
Albert irrigidisce la mandibola, assottiglia gli occhi.

Pelle umida sotto le dita, tra le cosce.
Un gemito indecente, un ringhio che non ha nulla di umano.
Unghie lungo la schiena, sui fianchi.

"Sarà stata trasferita."
William si scosta, sospettoso; all'Umbrella nessuno viene trasferito. Piuttosto eliminato con un buco in fronte e abbandonato in un canale di scolo fuori Raccoon City.
"Stronzate."
Il foglietto gli graffia la pelle, l'orgoglio.
"Non mi interessa."
Birkin alza un sopracciglio, lo scruta in quella sua maniera irritante e che sembra spogliarlo d'ogni maschera.
"Cosa è successo, Albert?"

Alex rimane seduta sul divano, una macchia biancastra tra le gambe, lungo le cosce.
Wesker s'inclina verso di lei, sfiora con la bocca la curva morbida del seno.  
Per un attimo, una frazione d'istanti quasi impercettibile, Alex s'irrigidisce, assomigliando a uno di quegli animaletti paralizzati dai fari delle automobili.
Albert annusa la sua incertezza, le blandisce l'areola chiara, affonda i denti.
Alex sospira, gli cinge i fianchi con le gambe.

Si arrende.

La sensazione di prima è scomparsa, rapida come l'aveva percepita.
Negli occhi di Alex una consapevolezza che rischia di schiacciarli entrambi.

"Niente."

Bugiardo.

"Stai mentendo." l'accusa William, puntandogli contro l'indice "E non so come, o perché, ma sono sicuro che c'entri qualcosa con gli ultimi dati del virus T che vi avevo lasciato da analizzare."
Wesker stropiccia ulteriormente il foglietto, gli dà le spalle.
"Torniamo al lavoro."
Comincia a infilarsi il camice, i guanti; abbandona le parole di Alex nella tasca dei pantaloni.
William sospira, incassa le spalle.
"Me lo dirai mai, Albert?"
Il destino li chiamerà a sé molto prima che abbia l'occasione il coraggio di farlo.


#8 - I can't stay - because I can't be stopped.

Non può trattenerlo, non può fermarlo.
Era osserva il suo Zeus partire per la guerra e sa che questa volta non tornerà.
Lo afferra per il bavero della giacca, lo strattona a sé.
"Non farlo."
"Devo."
Alex scuote la testa, quasi vorrebbe mettersi a urlare.
"L'Uroboros fallirà."
Albert rimane immobile, la fissa.
"Excella non lo capisce, tu non lo capisci."
"Ci darà il mondo che abbiamo sempre meritato."
"Il mondo che Spencer ha sempre voluto!" e grida Alex, vomita tutta la sua paura in un colpo solo.
"Non farlo." ripete, e prova disgusto per se stessa (per la sua debolezza, per il suo amore) "Ti prego."

Ti prego.

Era crolla in ginocchio, devota a un dio che sta per diventare polvere e ricordo.
Zeus ricorda; quelle parole, quella supplica. Un foglio bianco, una vita prima.
"Vieni con me."
Alex alza lo sguardo, stupefatta.
"In Africa." chiarisce, e le tende la mano.
Alex chiude gli occhi e comincia a piangere.


#9 - I have screamed until my veins collapsed, I've waited as my time's elapsed.

Abbandonare è una cosa che le riesce così bene.
L'ha già fatto in passato (prima di Raccoon, prima del virus. Quando i suoi occhi erano ancora azzurri, umani) l'ha ripetuto dopo.
Alex respira a fatica, osserva il suo riflesso distorto.
Pelle pallida (secca) labbra spaccate (tumefatte) occhi vitrei (morti)
Stuart dondola dal lampadario del suo studio, la torre tace.
Qualcosa gocciola in lontananza, gli acquari gettano ombre violacee lungo le pareti, sul pavimento.

No.

Una semplice parola; così tanto dolore.
Alex sgrana tra le dita sfere d'ossidiana e oro, tutto ciò che le è rimasto di lui.
Un colpo di tosse le sconquassa il petto, già riesce a immaginarsi il polmone sinistro che collassa. (quello destro è ormai non più grande di uno straccio vecchio e bagnato)
Una delle creature le sfiora i capelli, la oltrepassa.

Invisibili agli occhi, all'olfatto. Non per lei. Non per quelli come lei.

Alex fissa un letto rimasto intoccato da allora, una stanza senza più significato.

No.

Il corpo di Natalia sprofonda lungo le gallerie nascoste della torre, l'odore di Claire un lezzo che si fa sempre più forte - più vicino.

Ti ho abbandonato. Ti ho deluso. Ti ho lasciato morire.

Alex si alza, incerta sulle gambe.
Scivola con le unghie (spezzate, dipinte di nero per nascondere i segni della malattia) lungo il bordo del tavolo, inspira.
La morte è l'eterna pace di chi ha perso ormai ogni speranza.



#0 - Obey (me) Believe (me) Just trust (me) Worship (me) Live for (me)

Era l'aveva abbandonato, Zeus era stato incapace di ascoltare.
Caduto il loro regno, distrutta la loro eredità, cos'altro rimaneva?

Noi.

Natalia Alex fissa il forno con un'espressione curiosa, osservando i pomodori come se fossero una pericolosa arma batteriologica.
"Potrebbero esplodere."
Alex alza un sopracciglio, si dondola sui talloni.
"Potrebbe esplodere la casa."
Alex sbuffa, imbroncia le labbra.
"Non dire scemenze. So come si fanno i pomodori al forno."
Un suono derisorio - una risata trattenuta.
"Tu sai come si modifica il genoma di un virus potenzialmente letale, non i pomodori al forno."
Alex si alza di scatto, scrollandosi l'orlo dei pantaloni.
"L'ho letto su internet."
Silenzio.
"Sono sicura che funzionerà."
Altro silenzio scomodo.
"Un po' di fiducia?"

In me, in noi. In tutto questo.

Albert inclina il capo di lato, le sfiora il mento con la punta delle dita.
"L'ho sempre avuta, Alexandra; sempre."

Perché sei morta e tornata per me.
Perché hai attraversato l'inferno e lo rifaresti.
Perché siamo sempre stati solo noi e basta - bambini, esperimenti, creature fuori posto e fuori tempo.

Alex sorride sulla sua bocca, accoglie un futuro nel quale aveva smesso di credere.
Gli stringe la nuca, lo conduce verso di sé - su di sé.

Splatch.

Albert apre un occhio, quasi le scoppia a ridere in faccia.
"Non dire niente."
Contrae un angolo della bocca, si contiene.
"Non. Dire. Nulla."
Wesker le cerca le labbra in un bacio che mette a tacere ogni altra protesta.





"I am a world before I am a man
I was a creature before I could stand
I will remember before I forget."
- Slipknot -




Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
Per comprendere meglio l'epilogo di questa storia è necessario leggere le one-shot "The biology of evil" e "Beautiful lie".
Le canzoni utilizzate per la suddivisione in paragrafi sono tratte da vari testi degli Slipknot.


   
 
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