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Autore: Dotta Ignoranza    29/03/2016    9 recensioni
"Volevo che il Mondo finesse, il rumore cessasse e l'allegria morisse.
Non puoi immaginare come desideravo che tutto intorno a me morisse. Morisse in quella notte di nascita e gioia. La stessa rivoltante gioia che pochi metri più in basso mi straziava le orecchie con cori e risate frivole."

È la notte di Natale a Venezia. Pensieri e tormenti del giovane principe Viktor Bojanovic Mickalov.
ATTENZIONE : LINGUAGGIO BLASFEMO E VOLGARE!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Viktor Bojanovič Mickalov
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Note e avvertimenti: i personaggi menzionati in questa storia non sono di mia invenzione, ma appartengono alla scrittrice Penelope delle Colonne. In particolar modo la fan fiction qua sotto da me scritta, parla del Natale precedente a quello raccontato nel romanzo e in particolar modo analizza il punto di vista di uno dei personaggi protagonisti della saga! Spero vi piaccia ma vi avverto NON è PER STOMACI DELICATI, BIGOTTI, CATTOLICI CONVINTI o qualsiasi altra persona che si potrebbe scandalizzare per una o più parolacce. Ricordo che questa è una storia di fantasia, tratta da un romanzo horror gotico quindi se non vi piace il genere NON LEGGETE!
Grazie mille ~


Ave, Maria, grátia plena,
Dóminus tecum.


La porta si chiuse con un tonfo sordo.
Sordo come volevo essere io in quella notte.
Volevo che il Mondo finesse, il rumore cessasse e l'allegria morisse.
Non puoi immaginare come desideravo che tutto intorno a me morisse. Morisse in quella notte di nascita e gioia. La stessa rivoltante gioia che pochi metri più in basso mi straziava le orecchie con cori e risate frivole.
Andai verso lo specchio, posto là, vicino alla toiletta dove era solita mia zia specchiarsi anni orsono, le rose fresche macchiavano il buio della stanza rischiarata solamente dalla luce malinconica della Luna. Oh maledetta Luna, maledetto mondo e maledetta laguna.
Un ringhio basso uscì dalle mie labbra. Dolore, profondo e umiliante dolore.
Chiusi gli occhi cerulei, i pugni delle mani tremarono e le ciglia si macchiarono di timide lacrime.
Perché? Perché io? Perché fra tutti i figli bastardi di Dio, proprio io ero stato gettato in questo eterno dolore?
La mano tremante risalì lungo la piega del vestito, su, verso il mio viso... quello che non poteva più chiamarsi un viso ma solo l'ammasso deforme di bende macchiate e putride. Umide di lacrime e rabbia condensata.
Il dottore le cambiava due volte al giorno e nel frangente stesso in cui scorgevo la mia immagine riflessa dentro a questo specchio sentivo la mia anima morire.
Un mostro.
Sei un mostro.
Un orribile, putrefatto, deforme mostro.
Il mostro partorito e quasi ucciso da mia madre.

Benedícta tu in muliéribus,
et benedíctus fructus ventris tui, Iesus.

 

Di nuovo risate. Di nuovo felicità.
Mio zio Gaspare ride, forse troppo ubriaco per pensare al fracasso infernale che fanno le sue stupide figlie, loro cantano, ballano, suonano e ridono.
Cos'avranno mai da ridere?
Il mio cuore è distrutto, seppellito e lontano. Là a Soroka. Casa mia, mia prigione e mia condanna. Là a Soroka dovrei essere in questo momento rinchiuso magari dentro alla mia torre a leggere uno dei libri portati dai viaggi di zio Yuri o magari alla scoperta di qualche calcolo enigmatico ideato da quel mio sciocco e buon padre Bojan.
Soroka, dove sei?
È la vigilia di Natale e mi sento perso. Il Natale l'ho sempre amato e odiato, amato per i doni che mi aspettavano ma odiato, disprezzato e temuto per la gioia a me negata.
Rido opaco strascinandomi verso la finestra, Venezia illuminata dai lampioni e dalla gente in festa. Questa è la mia tomba, questo è il mio destino. E perché te ne lamenti? Perché?
Qui sei al sicuro, qui puoi studiare, conoscere il mondo e diventare qualcuno. Qui non sarai più uno dei tanti ragazzini che vivono fra le mura del maniero, non l'ennesimo giovane insulso e senza smalto. Perché ricordatelo: tu non sei un cosacco. Non sai tenere in mano una spada, non sei tuo cugino Petr, né Nikita, né Igor, neppure tuo zio Boris. Sei solo il figlio triste di quella pazza di tua madre.
Già... mia madre.

 

Sancta María, Mater Dei,
ora pro nobis peccatóribus,
nunc et in hora mortis nostrae.

 

A quel pensiero mi si stringe il cuore.
Madre.
Madre puttana.
Madre bastarda.
Madre impazzita che tu sia dannata.
Mi mancate ogni giorno di più, sono il frutto del tuo seno e tu mi hai ucciso. Mi hai ucciso gettandomi nel fuoco, macchiando questo mio viso e urlandomi odio come acido nel cuore.
Perché il bambinetto Gesù aveva una madre che lo amava, era vergine, puttana come la mia, ma lo amava. Lo amava fino a partorirlo in una lurida e povera mangiatoia.

Io che sono il principe non mi sono mai meritato questo amore, MAI.
Perché io no? Cos'ho in meno al bel bambin Gesù? Perché mio padre non è forse Dio?
I miei pensieri blasfemi trasaliscono al sentire il canto nocivo di un piccolo cardellino.
Il mio sguardo, il mio unico occhio lasciato libero dalle bende esanime, punta quell'orribile creatura regalatami da quell'idiota di uno zio italiano.
Canterà e ti farà sentir bene, mio dolcissimo nipote.
Così mi ha detto regalandomi questo schifo, non sa che noi gatti mangiamo gli uccelli?
Non sa cosa succede a un insulso pennuto che con le sue ali sfida il cielo?
La mia mano si muove meccanica, apre la gabbietta e si stringe intorno al corpo del cardellino. Lo estraggo e lo fisso con la pupilla sbarrata.
Vuoi cantare?
Chiedo in un singulto strozzato.
Canta.
Ordino e questa volta i miei denti si serrano furenti.
Canta.
Le mie dita tiepide si stringono. La bestiola scalcia, le sue unghie penetrano disperate nella pelle della mia mano destra.
Canta!
Urlo ed è un attimo.
Un singolo, ultimo, atto.
Le campane della basilica rintoccano la mezzanotte.
La città è in festa: è nato, è nato, è nato il salvatore!
Già è nato e dalle mie dita cola solo un rivolo stanco di sangue e piume turchine.
Lui è nato e qualcosa è morto fra le mie mani.
Quale soddisfazione, quale potere è mai questo?
Sento un calore al basso ventre, è vergognoso e umiliante ma sono solo. Solo e in vena di essere Dio.
Quel dio cornuto che adesso è padre.
Getto il corpo senza vita dell'uccellino dentro al fuoco. Brucia pure tu e prega la mia amata madre.
Pregala perché anche la vergine questa notte ha partorito e al contempo, a Soroka, un'altra vergine ha abortito.
Crollo esausto sulla poltrona dinanzi al focolare.
Mi manca Vercingetorice e la stanza sta diventando sempre più fredda e buia, la candela sta sospirando il suo ultimo rantolo disperato.
Le lacrime non smettono di colare e la mia carne di tremare.
Un singolo sussurro freme fra le bende e le labbra serrate:

Buon Natale, Viktor.




Note dell'autrice: vi ringrazio a tutti quanti di esser riusciti a giungere fino in fondo! Spero vi sia piaciuta e che io sia un poco riuscita a rendere il rapporto torbulento fra Viktor e sua madre Katjusa. Detto ciò non vedo l'ora di sapere i vostri pareri e le vostre riflessioni ~

  
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