Anime & Manga > Nana
Ricorda la storia  |      
Autore: aturiel    29/03/2016    3 recensioni
Cos'ha pensato Shin durante il suo periodo in prigione?
Dal testo: "Shin era seduto in un angolo della stanza, rannicchiato su se stesso. I capelli gli cadevano sul viso, nascondendo i suoi occhi tendenti all'azzurro. Non aveva più il suo gel e la ricrescita marrone – quel colore abbastanza caldo da dargli fastidio – si sarebbe fatta vedere a breve sotto l'azzurro.
Voleva le sue Black Stones, voleva il suo gel e la sua tinta preferita, voleva il trucco nero e leggero che si metteva attorno agli occhi prima di un concerto, voleva il suo accendino argentato. Voleva sentire la Luna su di sé, vedere la neve di dicembre scendere e ammantare ogni cosa di un bianco candido, voleva tutto e niente, perché ciò che diceva di volere non era quello che realmente voleva."
-
Seconda classificata al contest "Secondario a chi?" indetto da Ray Wings sul forum di EFP.
Seconda classificata al contest "Un Contest per due Fandom" indetto da S.Elric__ sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Shinichi Okazaki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic



 
“Il cielo stellato che c'è qui crea sensazioni ingannevoli.
Se lo fissi, ti convinci di poterlo toccare con la mano...
E cominci a credere che i tuoi desideri si avvereranno.
Viene quasi da credere di poter volare alto.”



A volte gli piaceva lasciarsi andare alla malinconia, a volte gli piaceva chiudere gli occhi e sperare di scomparire del tutto nel buio rassicurante delle sue palpebre, a volte gli piaceva immaginare di essere nient'altro che fumo sprigionato dalle sue giovani e sottili labbra. Avevano sempre detto che era malinconico, e non gli dispiaceva sentirselo dire perché era vero, terribilmente vero.
Gli piaceva dire senza filtri ciò che pensava senza preoccuparsi delle conseguenze, si divertiva a vedere le espressioni sconvolte dei suoi interlocutori, il rossore imbarazzato che colorava le loro guance, il fastidio e lo sconcerto. Gli piaceva stupire, essere terribilmente sfacciato e diretto, perché lo faceva sentire forte abbastanza da provocare emozioni negli altri. E non gli importava di fare del male, non troppo almeno.

C'erano tante sfumature del suo carattere che lui apprezzava anche se tre quarti della popolazione – se non una percentuale ancora maggiore – le ritenevano semplici difetti, cose da correggere, quasi si trattassero di errori.
Senza contare, poi, il suo aspetto: sapeva di essere bello, ma si divertiva a rendere la sua bellezza in qualche modo sfacciata e malinconica, pettinando i capelli in modo improponibile e tingendoli mensilmente di un colore che non era né l'azzurro del cielo né il grigio plumbeo delle nubi ma un miscuglio delle due cose. Ormai farsi bucare la pelle con aghi per poi inserirci piercing vistosi era diventato un passatempo, e anche quello mostrava sfacciatamente il suo dolore, come se ogni volta che deturpava un poco il suo volto quasi perfetto con un pezzo di metallo, sputasse in faccia al mondo la sua inguaribile malinconia.

Shin aspirò ancora una volta il fumo dalla sigaretta completamente nera che, da quando era entrato nei Blast, era diventata la sua marca preferita. Aveva un gusto terribile, era amara e secca, ma almeno lo faceva sentire parte di ciò per cui, in quel momento, aveva deciso di impegnare tutte le sue energie. Sentì il fumo scendere lungo la sua gola, entrare nei suoi polmoni e riempirli, quindi uscire dalla sua bocca. Era bello sentire lo sporco che ammantava di nero le sue componenti interne, era bello sentire il respiro che ogni tanto si mozzava, bello in quel modo malinconico che era tutto suo, bello in modo sfacciato, perché insieme al fumo sputava in faccia alle persone il suo dolore. E la gente per bene, del proprio dolore, non parla mai.

Guardò di sfuggita la donna seduta accanto a lui, e come sempre non poteva non sovrapporre alla sua immagine quella più dolce di Reira, quella più intensa di Reira, quella più amata di Reira, quella più odiata di Reira. Ma non era Reira.
Gli allungò una siringa, una delle tante che aveva visto nelle sue mani sottili. Aveva smesso da tempo di cercare un motivo per non accettare: l'intruglio chimico che conteneva quell'ago lo faceva volare un poco, lo faceva sollevare da terra, dimenticare...
Ecco un altro ago che deturpava la sua giovane bellezza, ma questa volta non era sfacciato e diretto, anzi, voleva che rimanesse nascosto, che fosse la piccola debolezza che aveva deciso di concedersi. Era una piccola vendetta privata contro suo padre e suo fratello, contro Reira, contro i Blast, contro tutti.
Ryoko gli sorrise e gli diede un veloce bacio sulle labbra, poi gettò indietro il capo e si abbandonò sul divano, seguita poco dopo da Shin.

La Luna lo stava guardando dall'alto del cielo notturno, la sua luce fredda illuminava un poco i suoi lineamenti aggraziati, da ragazzino. A volte gli sarebbe piaciuto essere la Luna, distante da tutto e tutti, lontana dalla tristezza e dalla gioia, semplicemente un pezzo di roccia lanciato per sbaglio da un dio beffardo nel cielo. Avrebbe potuto vivere solo di notte, quando nessuno riusciva a scorgere il leggero tremito delle sue mani, quando poteva trasformarsi in ciò che voleva e nessuno l'avrebbe giudicato per questo. Sarebbe potuto diventare ciò che gli innamorati, i poeti e i folli guardano prima di andare a dormire, sarebbe potuto diventare l'unica fonte di luce della notte. Sarebbe stato bello, nascere Luna.
O, forse, sarebbe stato bello non nascere affatto.
***
 
Shin era seduto in un angolo della stanza, rannicchiato su se stesso. I capelli gli cadevano sul viso, nascondendo i suoi occhi tendenti all'azzurro. Non aveva più il suo gel e la ricrescita marrone – quel colore abbastanza caldo da dargli fastidio – si sarebbe fatta vedere a breve sotto l'azzurro.
Voleva le sue Black Stones, voleva il suo gel e la sua tinta preferita, voleva il trucco nero e leggero che si metteva attorno agli occhi prima di un concerto, voleva il suo accendino argentato. Voleva sentire la Luna su di sé, vedere la neve di dicembre scendere e ammantare ogni cosa di un bianco candido, voleva tutto e niente, perché ciò che diceva di volere non era quello che realmente voleva.
E stava impazzendo.
Un accesso di rabbia gli fece lampeggiare gli occhi in modo minaccioso e produrre un ringhio simile a quello di un animale, tanto che se qualcuno l'avesse visto in quel momento, sarebbe certamente arretrato di un passo. Ma lì non c'era nessuno da spaventare.
Gli sarebbe piaciuto avere qualcuno da insultare con parole taglienti come coltelli, ma lì non c'era nessuno, nessuno tranne una stupida guardia che passava una volta ogni ora di fronte alla sua cella. Lo guardava con disprezzo, come se il pensiero che uno come lui – un ragazzino famoso – potesse essere arrestato per possesso di stupefacenti fosse incomprensibile. Eh sì, perché un ragazzino famoso non conosce il dolore, non conosce il desiderio di fuga degli adulti, non conosce la fatica... il suo è solo egoismo, è solo l'adolescenza, giusto? Che ne sa un ragazzino famoso della tristezza, della disperazione?
La guardia gli sputava in faccia i suoi pensieri con uno sguardo di sufficienza, gli chiedeva supponente come avesse potuto accettare una siringa di eroina; lo accusava di egoismo, perché lui era il componente di una band famosa, era bello ed era un ragazzino, non poteva, semplicemente, avere qualcosa che non andava.
Shin avrebbe voluto urlargli che doveva smettere di guardarlo, di guardarlo così. Avrebbe voluto raccontargli la sua vita per potergli dimostrare che non era un'esistenza tranquilla, quella di ragazzino, mostrargli che si stava sbagliando. Ma allo stesso tempo il solo pensiero di poter fare una cosa simile lo faceva sentire debole: era questo il problema del dolore, esigeva di essere vissuto, e viverlo significava farlo in silenzio, acccoglierlo dentro di sé, non perderlo di vista per nemmeno un secondo e, solo poi, lasciarlo andare e confessarlo agli altri.
E purtroppo lui non aveva ancora neppure imparato ad accettarlo.
*

Stava incominciando ad annoiarsi, e la noia non gli piaceva, proprio per nulla.
Avrebbe voluto poter avere fra le mani il suo basso, ma anche una Black Stones andava bene. Non si era mai preoccupato del fatto che quelle schifose sigarette potessero creare dipendenza, perché in fondo le aveva sempre avute fra le dita. Avrebbe voluto poter aspirare il loro fumo e consumarsi un poco nella speranza che la sua vita si potesse accorciare ad occhi boccata.
Avrebbe voluto vedere la neve scendere dal cielo, fredda e delicata, anche solo per avere la certezza che il tempo stava continuando a scorrere, e invece era chiuso lì dentro e sarebbe continuato a non succedere nulla.
Nulla.
*

Se aveva avuto solo qualche sintomo di follia fino a qualche giorno prima, ora aveva la certezza della malattia: stava uscendo fuori di testa. Le quattro mura che lo circondavano si stavano sempre più stringendo attorno a lui, il desiderio di una sigaretta non voleva diminuire, il silenzio che lo circondava minacciava di farlo ammattire.
Voleva il suo basso, voleva sentire le sue corde vibrare sotto le dita, voleva sentirsi bravo in qualcosa, voleva far scaturire dallo strumento un suono profondo e intenso, che penetrasse attraverso quelle mura bianche come la neve. E invece non c'era nulla, solo silenzio.
Ad un certo punto decise che non si sarebbe lasciato cadere nell'oblio muto di quel luogo, che non si sarebbe fatto piegare: non sarebbe scomparso, inghiottito dal nulla. Urlò, usò tutto il fiato che aveva nei polmoni anneriti dal fumo, urlò la sua rabbia contro il silenzio di quel luogo, contro i poliziotti che avevano visto la siringa vuota sul tavolo consumato di Ryoko, urlò contro Ryoko stessa che l'aveva di nuovo ammaliato, contro Reira che tanto le assomigliava, contro Ren e Takumi, contro Nobu e Nana, contro tutti e tutto.
Urlò di nuovo, questa volta solo nella sua testa, e iniziò a piangere, in silenzio.
Forse quel luogo lo stava davvero piegando.
*

Aveva iniziato a tremare, come se sentisse sulla sua pelle il freddo della neve che, fuori di lì, continuava a scendere. Aveva sempre amato l'inverno, soprattutto quando era appena al suo inizio, soprattutto quando si avvicinava il Natale, ma ora non sentiva l'aria festosa che solitamente riportava il cuore ad avere i suoi quindici anni biologici. Era ovvio che fosse così, ma in quel momento questa constatazione non faceva altro che aumentare la voglia di uscire di lì.
Non era più arrabbiato con il mondo intero, non sentiva nemmeno più il bisogno di urlare per sovrastare il silenzio che lo circondava, si sentiva solo... malinconico.
Stava riprendendo il controllo di sé? Stava forse riuscendo a ridiventare Shinichi Onazaki, il ragazzino che aveva perduto dopo aver visitato la casa di suo padre e, poco dopo, quella di Ryoko? Forse che sarebbe sopravvissuto anche a questo?
*

Aveva tanto tempo per riflettere, lì dentro, e aveva smesso di interessargli il fatto che il tempo, al di fuori, scorresse inesorabile, che la neve continuasse a scendere, che il Natale si avvicinasse senza che lui ne sentisse l'atmosfera, che anche quell'anno stava per volgere al termine. Ora al centro dei suoi pensieri c'era un'immagine difficile da cancellare, ed era l'immagine preoccupata di Hachi avviluppata fra le coperte che, magari, piangeva in silenzio perché suo figlio a dicembre aveva deciso di essere debole durante una notte di Luna piena.
Si sentì pervadere dall'angoscia e dai sensi di colpa, e non riusciva nemmeno a ricordarsi perché, fino a qualche giorno prima, fosse arrabbiato con il mondo, se l'unico destinatario di quel suo sentimento rovente doveva essere lui stesso.
*

Non aveva più voglia di fumare. Non era più l'odore del tabacco che anelava, bensì quello dolce e un po' pungente dei capelli di Reira, quello della sua pelle calda e bianca, anelava il suono della sua voce e la sua risata cristallina, voleva abbracciare il suo corpo fragile ancora una volta, voleva poter dormire al suo fianco come a volte faceva quando i Blast non erano altro che un'idea, il desiderio di una ragazza che aveva scelto di fuggire dalla sua città e vivere di sola musica.
All'inizio si era chiesto se avesse accettato i soldi di Reira solo per la sua somiglianza con Ryoko, e ora... ora si chiedeva se non avesse accettato quell'ago solo per la somiglianza di Ryoko con Reira. Sarebbe stato un gesto di amore, quindi, il suo? Si era comportato in modo così meschino nei confronti di Hachi solo perché era ancora innamorato di Reira? Era quello il motivo per cui non era riuscito a rifiutare quella siringa e l'eroina che conteneva? Che cosa sciocca, pensò. In fondo stava di nuovo dando la colpa a qualcun altro per ciò che lui solo aveva fatto. E poi, di Reira, non doveva importargli: dicembre stava per concludersi, e la sua storia con lei era già finita molto tempo prima che quell'anno giungesse al termine.

*

Shin non voleva uscire di lì, anche se gli mancava l'aria. Avrebbe preferito soffocare dentro quelle quattro mura bianco sporco piuttosto che incontrare il candore abbacinante della neve.
Era stato sciocco a pensare che il proprio dolore fosse più importante degli altri, ad apprezzare quella parte di sé che lo mostrava senza remore né vergogna, come fosse una medaglia sulla divisa di un soldato. Non avrebbe dovuto mostrarsi così debole, non avrebbe dovuto scegliere la via più semplice per uscire dal tunnel di disperazione in cui era caduto. Avrebbe dovuto dimostrare a suo padre che aveva commesso un errore a trasformare quella che era stata la sua camera in uno studio, come se lui non fosse mai esistito, avrebbe dovuto dire no a Ryoko – e, con lei, anche all'immagine di Reira che prontamente sempre lo inseguiva –, avrebbe dovuto dire no alla malinconia.
Non voleva uscire di lì, anche se sapeva che l'indomani sarebbero venuti a prenderlo, e non voleva nemmeno immaginare quali conseguenze ci sarebbero state per i Blast. Erano stati a un passo dall'iniziare il loro tour, e ora lui, lui solo – con la sua malinconia sfacciata – era riuscito a infrangere il sogno di tutti quelli che lo circondavano, di tutte le persone che amava. Non avrebbe più potuto dimostrare a Nana che poteva diventare anche migliore di Ren, Hachi non lo avrebbe più voluto come figlio, Nobu lo avrebbe guardato con disprezzo, e Reira... a Reira non sarebbe importato nulla, forse.
Forse quei giorni in prigione non gli avevano insegnato nulla, ma sicuramente alle persone che lo circondavano qualcosa avevano lasciato. Si sarebbero ricordati di lui con delusione, e lui non avrebbe potuto far altro che vivere con il senso di colpa per il resto della sua vita.
***

Shin salì in auto. Era felice che non ci fosse nessuno dei Blast né Hachi, ed era felice che Ginpei stesse guidando nel sedile anteriore e quindi non potesse giudicarlo con lo sguardo deluso che, Shin ne era sicuro, avesse in quel momento.
Il silenzio era quasi più opprimente di quello della prigione, e le luci della città non riuscivano a distoglierlo dai suoi pensieri. Avrebbe voluto avere qualcosa da dire, ma il primo pensiero che gli venne in mente fu che gli sarebbe piaciuto fumare di nuovo le Black Stones e sentire il loro sapore amaro fra le labbra: in quel modo si sarebbe sentito ancora un po' parte di quella band che, a causa del suo egoismo, aveva deluso. Non gli interessava il fatto di non averne il diritto: in quel momento desiderava sottrarsi consapevolmente altri giorni di vita che si andassero a sommare a quelli trascorsi in prigione.

Chiese a Ginpei una sigaretta e lui gliela diede senza protestare, anche se Shin era sicuro che si stesse domandando se, alla fine, tutto ciò che era successo fosse servito a qualcosa.
Accese la sigaretta nera e la portò alle labbra, come la stesse baciando. Sì, il tabacco e la nicotina erano diventati per lui un bacio, come baciare la sabbia arida del deserto: anche se fa male è estremamente calda, abbastanza da fargli dimenticare il freddo di dicembre, la neve e la notte, la Luna che ancora brillava, gelida e lontana, giudicandolo dall'alto.
Tirò un'ennesima boccata di fumo, riempendosi finalmente di nuovo di quell'amaro sapore che odiava e amava allo stesso tempo, che lo feriva ma che lo tranquillizzava e scaldava. Poi ancora una volta, un'altra ancora e un'altra, e nel frattempo continuava a guardare il cielo stellato e la Luna piena.

Sembrava non fosse accaduto nulla da quando era stato strappato via dalla casa di Ryoko, che il tempo si fosse fermato e niente fosse andato secondo il suo corso normale mentre era rimasto in prigione. Eppure durante la notte di un mese prima aveva pensato di essere debole, malinconico e sfacciato, aveva pensato di vendicarsi della felicità degli altri mostrando il proprio dolore, e il cielo era sereno e calmo come lui.
Ma ora... ora c'era la neve che, silenziosa, ammantava tutto di bianco.







 
Note autrice:
Innanzi tutto salve!
Questa qui è la mia prima fic nel fandom di Nana, e quindi anche la prima su Shin. Lo so che sono partita subito con il personaggio di cui si sa meno in assoluto, ma ehi, mica potevo inziare dalla parte più semplice, no? E poi sono innamorata follemente di Shin da circa due anni, ovvero da quando mi sono divorata l'anime di Nana in due giorni e mezzo. Quest'anno, poi, mi sono decisa anche a leggere il manga, e quindi sono qui UU.
Ora passiamo alle note vere e proprie:

Allora, come spero si capisca, questa storia è più o meno il resoconto di ciò che ha pensato Shin durante la sua prigionia dopo essere stato beccato dalla polizia a casa di Ryoko e quindi essere stato incarcerato per possesso di stupefacenti. In realtà il mese sarebbe dovuto essere febbraio (infatti fanno riferimento a San Valentino nel manga), ma visto che mi sembrava un mese troppo gioioso (?) ho deciso di spostare il tutto a dicembre. No, in realtà l'ho spostato a dicembre anche perché volevo creare dei “parallelismi” con una parte della personalità di Shin che “finisce” con la fine dell'anno. Probabilmente non si capisce, ma ok xD.

Un'altra cosa che ci tengo a specificare è che questo racconto partecipa a due contest: uno in cui mi si chiedeva di parlare di un personaggio secondario, intitolato "Secondario a chi?" e indetto da Ray Wings e un altro contest, indetto da S. Elric sempre sul forum intitolato “Un contest per due fandom”, in cui dovevo scrivere una fic su Nana e in cui dovevo usare alcuni prompt. Io ho scelto “dicembre”, appunto, poi “urlo” e due citazioni, la prima di John Green (“E' questo il problema del dolore. Esige di essere vissuto”) e una invece tratta da Toradora (“E’ stato come baciare la sabbia arida del deserto..anche se fa male..è estremamente calda. Dai, fa freddo, dammene un altro… ora un’altra volta... un’altra volta.”), che ho abbastanza modificato anche per quanto riguarda il suo contesto.

Infine sottolineo il fatto che questa non è la descrizione di una prigione normale, nel senso, non ho minimamente provato a rendere realistica la prigionia di Shin. So perfettamente che queste non sono le condizioni esatte e reali di un carcere, ma non mi interessa: volevo solo spiegare i passaggi mentali che ha fatto Shin durante questo periodo, tutto qui (anche perché nel manga se ne sono fregati altamente, della serie chissenefrega del povero Shin e seguiamo solo il dramma amoroso di Hachi che si sente ignorata da quel piece of shit di Takumi).

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Nana / Vai alla pagina dell'autore: aturiel