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Autore: MedOrMad    29/03/2016    8 recensioni
Dall'arrivo ad Alexandria le cose erano cambiate. Carol non è la stessa: si è spezzata sotto il peso delle proprie azioni e del senso di colpa. Daryl ora lo sa e cerca il confronto con lei dopo gli avvenimenti di "The Same Boat" e la liberazione di Carol e Maggie.
Dal Testo:
«Sei arrabbiato.»
Non era una domanda. Era una constatazione.
«No.» Rispose lui con voce roca, fermandosi a un passo da lei. «Sono frustrato.»
Che, nel caso di Daryl, era la stessa cosa.
«Perché?»
«Perché non so cosa senti. Perché non so aiutarti.»
«Non puoi salvare tutti, Daryl. Non possiamo salvare nessuno. Per ogni persona che decidi di salvare, un’altra muore.»
(NB: spoiler per l’episodio 13 e un po’ anche per l’episodio 14).
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And high up above or down below
When you're too in love to let it go
But if you never try you'll never know
Just what you're worth
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
 
Tears stream down your face
When you lose something you cannot replace
Tears stream down your face and I
Tears stream down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I


Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

- Fix you-
Coldplay
 
 
 

 
 
 
 
 
Con-tatto
 

 
Lo sentì tremare. Letteralmente fremere contro le sue labbra e Carol non seppe dire se per la paura o il piacere: restò immobile per un tempo interminabile, terrorizzata da come lui avrebbe reagito a quel contatto. 
 
Daryl era paralizzato: l’unico muscolo del suo corpo che percepì contrarsi fu il cuore, che iniziò a battere in modo frenetico, terrorizzato. Poi, con la stessa delicatezza con cui lei l’aveva sfiorato, la sentì ritrarsi e un panico indescrivibile gli si espanse nel fondo dello stomaco.
Per Daryl il tatto era sempre stato il senso più pericoloso e quello che cercava di utilizzare meno: quel tramite con cui il mondo lo aveva marchiato di dolore e di disprezzo. Il mezzo con cui aveva imparato a odiare se stesso.
 
Per questa ragione, in quei secondi di immobilità, Carol pensò di aver oltrepassato un limite invalicabile, di essersi spinta oltre i confini di Daryl, più in là di quello che lui era disposto a dare. 
Inaspettatamente però, proprio quando la speranza iniziò a spegnersi in Carol, lo sentì rispondere al bacio. In modo incerto e impacciato, guidato dal dubbio e dall’insicurezza. 
 
Un movimento impercettibile che le scosse l’anima fino al centro di sé.

Le sue labbra erano timide quasi quanto il suo cuore: gli ci voleva un’eternità per mostrarlo e, anche quando riusciva a farlo, la fiducia sembrava cristallizzata dietro il timore di parlare apertamente. 
 
Carol sorrise contro la pelle di lui, sentendo una mano di Daryl posarsi sul suo fianco, prima di sgusciarle delicatamente sulla schiena e, con imbarazzo, tirarla a sé. Era così pieno di inibizioni e di timori che Carol sentì il petto scaldarsi di tenerezza quando lo percepì lottare contro le sue barrire per avvicinarsi a lei il più possibile: quando avvertì che le mani che la accarezzavano sembravano tremare meno, Carol si fece coraggio e con un movimento leggerissimo, intensificò il bacio.
 
Questa volta Daryl si ritrasse con un sussulto, staccando le labbra da quelle di Carol e strozzando un respiro sorpreso. Aveva rotto il bacio, ma non la lasciò andare: al contrario, si trovò a stringerla a sé appena più forte. 
 
«Va tutto bene?» gli chiese lei, accarezzandogli la bocca con un dito.

Non lo sapeva. Daryl non sapeva cosa sentisse: sapeva solo che non voleva che lei si allontanasse ancora. Non le rispose ma, quando avvertì il corpo di Carol spostarsi dal suo, le sue mani la strinsero con determinazione.
Aprì gli occhi: non si ricordava neppure di averli chiusi, eppure ora li sentiva bruciare come se avesse guardato il sole troppo a lungo.
Carol era lì, vulnerabile come non lo era mai stata prima, eppure Daryl si sentiva come se lei potesse spezzarlo con un solo respiro. Era a un passo dal suo corpo, immobile in attesa che lui decidesse se lasciarla andare o tenerla con sé: Daryl sentiva ancora la morbidezza delle sue labbra sulla pelle e, il solo ricordo, bastò per accelerare nuovamente il battito del suo cuore.

«Daryl?»
Quell’incertezza nella voce di lei lo risvegliò dal torpore in cui era caduto: cosa doveva fare, ora?
Carol cercò il suo sguardo e lui la fissò da dietro quel ciuffo di capelli che, da un po’, lo proteggevano dal mondo.
 
“Ci pensi mai? A sistemarti?” le parole di Abraham gli risuonarono nelle orecchie come una profezia. 


 
Non ci aveva mai sperato, Daryl. Non aveva mai creduto che ci fosse qualcuno per lui in questo mondo. Qualcuno che lo volesse toccare con dolcezza: per Daryl il tatto era sempre stato il senso più orribile. Quel mezzo con cui la pelle trasmetteva al cuore la paura, l’odio, il dolore, il rifiuto. Aveva imparato a vedere nel tatto e nel contatto un nemico: nella vita era stato toccato e marchiato solo dal disprezzo e, attraverso quel disprezzo, aveva imparato a odiare se stesso. A non fidarsi. A sentire che il tatto esisteva per dirgli che non valeva la pena. Che doveva averne paura.

Poi il mondo era finito e proteggersi dal contatto era diventata quasi una questione di vita o di morte. 


 
“Nessuno ti vorrà bene come me, fratellino.”  Aveva detto Merle. Era un’allucinazione, ma ai tempi Daryl ne era in parte convinto.
 
Era stato un errore, pensò Carol. Daryl non era pronto. Magari non lo sarebbe mai stato. Non con lei, forse. Il loro rapporto era fatto di una forma d’amore che non andava corrotta e, probabilmente, lui non aveva mai pensato a lei in questi termini. 
Daryl non era un uomo come gli altri: aveva dei confini invisibili che non si potevano varcare. Un muro di pietra che lei aveva avuto l’onore di sfiorare, ma che neanche a lei era permesso oltrepassare. Ora Carol lo capiva: entrare nel cuore di Daryl era stato difficile, ma non era stato sufficiente a concederle il permesso di toccarlo davvero. 
L’uomo di fronte a lei non voleva quella forma di intimità; Daryl sopravviveva al mondo a modo suo e non c’era spazio per il contatto fisico. L’affetto, per lui, si concretizzava nella sua forza fisica, nel fare di tutto per mantenere in vita quelli a cui voleva bene.

Eppure, quando Carol provò ad allontanarsi di nuovo, lo sentì sussurrare un no.

«Aspetta.»

Poi, con l’incertezza che sembrava oscurargli il viso, si chinò su di lei e catturò le sue sua labbra in un bacio nuovo. Diverso. Pieno di intenzione e, allo stesso tempo, di dubbi.
La strinse con braccia insicure, quasi non sapesse se fosse un gesto lecito: Carol lo lasciò fare, secondo i suoi tempi e seguendo i suoi movimenti.
Una carezza sulla nuca le bastò come incoraggiamento a inclinare il capo a sufficienza per concedergli più spazio e più controllo: Daryl fece una serie di passi titubanti, costringendola ad indietreggiare finché Carol non percepì il proprio corpo collidere con la parete. Le loro labbra non si separarono neanche per un secondo lungo il percorso: ad ogni passo il bacio si fece più insistente e, pensò Daryl, quasi disperato.

«Non so bene quello che sto facendo…» le confessò in un sussurro a fior di pelle; gli parve di sentila sorridere appena nel bacio e non poté fare altro che arrossire. Forse stava sbagliando qualcosa? Forse lei ci stava ripensando? Forse non era così che voleva essere baciata. Forse non voleva più essere toccata.   

Daryl cercò sostegno appoggiando entrambe le mani sulla parete e incorniciando il viso di Carol tra le sue braccia. In quell’istante, assaporò il dolore di lei sulla lingua: solo allora si accorse che stava piangendo e che le sue lacrime erano scivolate tra le loro bocche.

«Perché piangi?» le domandò mentre ancora lasciava leggeri baci sulle sue labbra.

Carol non rispose: gli accarezzò il ventre, facendo scorrere le dita fin sotto la sua camicia e andando alla ricerca della sua pelle, forse per distrarlo da quello che le lacrime volevano dire.
Daryl non riuscì a bloccare il brivido che si sprigionò dal punto in cui lei lo toccò, ma cercò di restare concentrato su Carol e su quello che stava succedendo di fronte ai suoi occhi.

La maschera stava cadendo; il muro dietro cui si era nascosta da lui per mesi aveva cominciato a tremare; un bacio e una lacrima stavano rimescolando l’intero universo che Daryl aveva imparato a gestire.
Il sapore di una sola lacrima sembrava bruciargli nell’anima come acido sulla pelle: Daryl poteva sopportare il proprio dolore, lo faceva da una vita e lo sapeva soffocare, ma vedere Carol soffrire non era altrettanto facile. Era come se stesse sanguinando senza sosta e Daryl non riuscisse a trovare la ferita che la stava uccidendo.

«Non fermarti.» Lo implorò lei quando percepì il suo tentennamento di fronte alle lacrime.

Carol lo voleva più di ogni altra cosa; non lo sapeva, prima. Non sapeva di desiderarlo tanto: non era riuscita a bloccare le emozioni che le erano salite dal cuore agli occhi e ora, per queste lacrime, lui si era fermato.
 
Era vero, stava piangendo: ma non solo perché il rimorso delle sue azioni le aveva graffiato l’anima. Piangeva perché Daryl, con un solo bacio, l’aveva incatenata a sé. Perché sentirlo toccarla e baciarla con quella delicatezza e quella determinazione l’aveva distratta dal proprio dolore. E non voleva: non voleva dimenticare quello che aveva fatto. Ma, Dio, voleva continuare a baciare Daryl finché il fuoco in lei restava vivo e finché il suo cuore riusciva a sentire.
L’aveva messo a tacere per troppo e, insieme al dolore, si era impedita di provare anche le emozioni positive: ora aveva aperto i cancelli e, insieme alla sofferenza, era entrato qualcosa che dava assuefazione.
L’amore. La gioia dietro un bacio. Il sollievo in una carezza.

«Non posso.» Rispose Daryl affondando il viso contro il collo di lei, «Tu non sei qui con me. Non con la testa. Non come dovresti.»

Non era così che voleva andassero le cose tra loro. Non poteva sopportare l’idea di averla, di fare l’amore con lei sapendo che era solo una distrazione. Che lei, con la mente e col cuore non era lì.
Doveva esserci un modo per riportarla a sé, per trascinarla fuori dal buio in cui si stava nascondendo.

«Dimmi cosa senti.» La supplicò, sollevando il capo e incrociando i suoi occhi. Quello che ci lesse dentro lo terrorizzò. Il fuoco in lei si stava spegnendo: veloce e inesorabile, come se l’ossigeno che l’aveva tenuto in vita fosse stato risucchiato da un pensiero. Dal senso di colpa. La fiamma in lei spenta dalle ceneri di ciò che il fuoco aveva bruciato lungo il cammino che dalla prigione aveva condotto ad Alexandria.
 
“Non siamo cenere.”

“Devi permetterti di sentirlo. Siamo diversi, tu e io. Non posso permettermi di… Ma ti conosco. Tu devi sentire il dolore.”
 
«Non posso andare avanti così, Daryl. Non ce la faccio.»
«Non devi farlo.»
«Come? In questo mondo, come fai non uccidere? Non posso più farlo per voi.»

Daryl glielo lesse negli occhi e nella voce: non sentiva più di appartenere alla loro famiglia. Si sentiva fuori posto, ma li amava troppo per lasciarseli alle spalle, indifesi.

«Non devi fare tutto da sola.»

Non appena pronunciò quelle parole, si accorse di averla liberata di un piccolo peso: la rabbia gli salì dal cuore alla gola.Come era arrivata a pensare che lui non fosse lì per lei? Perché era convinta di doversi fare carico di tutto il lavoro sporco? Erano una squadra: lo erano sempre stati da quando lei lo aveva riportato indietro dal suo isolamento dal gruppo dopo la morte di Sophia.

Carol avrebbe ucciso per salvare loro, ma non per se stessa; Daryl ripensò a quelle parole e si sentì accecato dall’ira: doveva trovare il modo di farla lottare. Di farla combattere per la sua stessa vita quanto era disposta a combattere per quella degli altri.

Non stava a lei salvare tutti, ma stava a lei salvare se stessa.

«Ehi, guardami.» le ordinò allontanandosi appena da lei, ma cercando di estirpare la rabbia dalla sua voce. Non voleva spaventarla, ma solo ricordarle che il suo posto era qui con loro. Con lui.

«Non c’è un modo giusto, Carol. Cerchiamo solo di sopravvivere…»
«Ma a che prezzo?»
«Il prezzo della vita oggi.»
«È la morte.»
«Lo è sempre stato. Anche prima che il mondo finisse, la gente era disposta a morire per amore.»
«Era diverso.»
«In che modo?»
«La gente era disposta a dare la propria vita, non a togliere quella di un altro.»

«È sempre morte.» La corresse con convinzione e aggiunse, cocciuto: «Non è quello che stai facendo tu? Stai bruciando un pezzo di te ogni volta. Non è molto diverso dal dare la vita.»

Facendo leva contro il muro, si spinse indietro e le diede le spalle: camminò nervosamente in cerchio per qualche istante, prima di lasciarsi cadere sul materasso e, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, si sfregò il viso con le mani per lenire la frustrazione.

«Se resta solo cenere di te, a me cosa rimane?»

Non sapeva se pentirsi o meno di quella confessione, di essersi esposto così tanto e di averle dato, forse, un peso in più. Non era giusto caricarla di quella responsabilità: costringerla a lottare per lui era un ricatto morale, un gesto scorretto. Ma Daryl era disposto a tutto per salvarla da quello che il dolore le stava facendo: e per questo non provò il minimo rimorso.

«Tu sei disposta a uccidere per noi? Io sono disposto a tutto per salvare te. Alla fine è sempre così…» la sua stessa voce gli parve incredibilmente grave e roca mentre pronunciava queste parole, senza fornirle i dettagli per sapere a cosa si riferisse veramente.
Avrebbe ucciso per lei, su questo non vi era alcun dubbio. Avrebbe ucciso per tutta la loro famiglia. Per lei avrebbe fatto di più: avrebbe messo in gioco se stesso.

Non l’aveva forse appena fatto con quel bacio?

«Ma tu cosa sei disposta a fare per salvare te stessa?»

Il silenzio tra di loro si espanse e si solidificò, prendendo la forma del loro dolore e dei loro dubbi.
Non c’era una risposta giusta a nessuna delle loro domande.
Le regole del mondo di una volta non valevano più oggi: la certezza era solo la vita, che valeva la pena di essere vissuta insieme alle persone che si amavano.
Quello valeva ancora. E, poiché la vita di Daryl sembrava essere scritta al contrario, per lui questa regola era vera solo oggi, in questo mondo spietato e inarrestabile.

Con la vista ancora oscurata dalle proprie mani, Daryl percepì Carol avvicinarsi al letto e fermarsi di fronte a lui.
Sentì le sue mani accarezzargli la testa e le dita scorrere tra i suoi capelli, toccando ogni frammento con attenzione e scivolando fino alla sua nuca: giunta lì, con una leggera pressione sul collo, lo invitò a guardarla.
Daryl superò la paura di trovare di nuovo quella rassegnazione nei suoi occhi; sollevò il viso verso di lei, portando le mani sul retro delle sue ginocchia, forse per impedirle di allontanarsi ancora una volta da lui.

«Ho ucciso Lizzy.» Sussurrò Carol, fissandolo con vergogna, «L’ho dovuto fare. Aveva ucciso Mika e voleva fare lo stesso con Judith. Ho dovuto…»

Eccola lì, la verità. Libera, crudele e difficile come nulla che Daryl avrebbe mai potuto immaginare.
Ecco l’origine del più profondo dei dolori che, nei mesi, aveva fatto della sua Carol un’ombra afflitta dalle responsabilità delle proprie azioni. Non c’erano parole per consolarla: Daryl sapeva cosa significavano quelle due bambine per lei e sapeva che qualunque cosa avesse detto non avrebbe cambiato il modo in cui Carol si sentiva. Non avrebbe cancellato il senso di colpa per quello che aveva dovuto fare.

Lottando contro ogni suo freno, si costrinse a respingere la paura del contatto fisico e la tirò a sé, accompagnandola finché non gli si sedette a cavalcioni in grembo: le mani di lui le cinsero la vita e le sue labbra le baciarono prima il cuore e poi la gola.

Contro la sua pelle, lui sussurrò solo: «Mi dispiace.»

Un’assoluzione.
Non una consolazione. Solo un’assoluzione.

«Hai dovuto.» aggiunse piano, ascoltando in silenzio il rumore del cuore di Carol. Un battito irregolare che, ad ogni contrazione, sembrava rompersi e sanguinare di più.
Poi un sospiro caldo e frammentato annunciò l’arrivo di lacrime nuove: Carol posò le labbra sulla sua testa e lo strinse delicatamente.

«Non voglio più doverlo fare, Daryl.»
«Non puoi.»
«Perché?»
«Perché qualcuno cercherà sempre di ucciderci.»
«Siamo ancora intrappolati da ciò che eravamo nella nostra vita passata.»
«No, non lo siamo.»

Sentirla piangere era qualcosa che Daryl non riusciva a sopportare, ma strinse e denti e soppresse il proprio disagio per dare spazio a lei.
Per la prima volta dopo tanti mesi Carol si stava aprendo e lui non avrebbe sprecato questa occasione di aiutarla.

Restarono così per un tempo che Daryl non seppe quantificare: Carol era cambiata giorno per giorno dalla morte di Sophia, insieme a lui. Se Daryl aveva provato a sentirsi a suo agio nella propria pelle, Carol aveva fatto di tutto per strapparsi di dosso la propria identità, per liberarsi dei vincoli che la sua di pelle le avevano imposto.

Si era adattata e aveva scoperto, come lui, che dalle cicatrici del passato, potevano nascere risorse nuove: forza, fiducia, coraggio, lealtà, rispetto. E amore.

Daryl non sarebbe mai riuscito a dirle quella parola ad alta voce, ma l’amore era stata la sua scoperta più grande. E era stata lei ad insegnarglielo. Ad amare se stesso. Ad amare gli altri. Ad amare lei. A vedere l’amore che gli altri nutrivano per lui e per le persone per cui erano disposti a lottare.

«Siamo cambiati perché dovevamo. Ma non del tutto. Non sei scomparsa. Sei sempre qui e sei ancora tu.» Le disse in un sospiro.

“Non siamo cenere.”

«Io ti vedo. Ti ho sempre vista: ti ho guardata rinascere da ogni sconfitta. Lo farai ancora.»
«Non so come. Non ci riesco, questa volta.»
«Non sei sola, questa volta.»

Si guardano senza più parlare, in uno di quei silenzi che solo tra loro poteva funzionare: completamente esposti nell’anima e con una fiducia totale nell’altro.

Scrutandola in viso, a Daryl parve di leggere ogni emozione scorrerle addosso e, piano piano, vide le sue lacrime asciugarsi. Raccolse l’ultima e la più ostinata con le labbra e sentì Carol rilassarsi contro di lui: poi, mentre ancora assaporava la sapidità delle sue lacrime, Carol lo spinse all’indietro sul letto. Seguendo il suo invito, Daryl appoggiò entrambi i gomiti al materasso per sostenere il proprio peso: le gambe ancora a penzoloni dal bordo del letto e gli occhi fissi su quelli di lei.

Carol gli sfiorò la pancia con le unghie, prima di sbottonargli la camicia e chinarsi appena verso di lui: a quel punto Daryl sentì il viso andargli a fuoco per l’imbarazzo e le guance arrossire.
 
Un conflitto tra ciò che il corpo avrebbe voluto e quello che, invece, la mente gli suggeriva prese vita dentro di lui: voleva fermarla, perché non era sicuro di come lei stesse veramente, ma sentiva il sangue pulsargli nelle tempie, per quanto la desiderava.

«Carol…» mormorò dubbioso, ma non la fermò quando lei avvicinò la propria bocca alla sua. Schiuse le labbra e sentì l’ossigeno lasciare completamente i suoi polmoni quando Carol spostò le mani sulla cintura dei suoi pantaloni e la slacciò.

«Sono qui. Con te.» Rispose lei in un respiro che gli solleticò la lingua. «È quello che voglio. Davvero.»
Il rumore della cerniera dei suoi jeans che si apriva gli invase le orecchie e, in quell’istante, Daryl perse ogni battaglia.

Non sapeva come muoversi, ma sapeva che questo momento era loro e che non sarebbero servite altre parole per dirle che lui era con lei. Avrebbe potuto mostraglielo. Farglielo sentire con ogni cellula del proprio essere.
Le prese il viso tra le mani e la tirò a sé, chiudendo il labbro inferiore di Carol tra i denti per un secondo, prima di massaggiarlo con la propria bocca: in quel bacio ci mise tutto ciò che era, tutto quello che non riusciva a dirle con le parole, tutto quello che lei era per lui. Facendo appello a ogni grammo del proprio coraggio, accarezzò l’incrocio delle labbra di lei con la lingua, attendendo che gli permettesse di baciarla davvero.
Carol seguì ogni suo gesto, accogliendo quel bacio che da timido era divenuto profondo e privo di ogni freno.

Sapore.

Carol sentì sulla lingua il sapore della caccia, della foresta, dell’aria calda e umida che opprime la pelle. Daryl sapeva di libertà: di muschio, di tabacco e di coraggio. Era un sapore che non si poteva descrivere col gusto di qualcosa. Era come se il suo essere, ciò che lui era e che lo rendeva così speciale e inavvicinabile, si fosse condensato in un’essenza che le inondò le papille gustative e le entrò nel sangue, fino ad annebbiarle tutti gli altri sensi. Era così diverso da ciò che si sarebbe immaginata.

Odore.

Daryl respirò a pieni polmoni mentre si perdeva completamente nelle labbra di Carol e l’odore di lei gli invase le narici, arrivando dritto alla sua mente e spegnendo ogni pensiero. Profumava di delicatezza e polvere da sparo, di fumo di sigaretta e di sapone: dai suoi capelli si sprigionava il ricordo della vaniglia e sulla sua pelle il fantasma del sangue e della forza. Ma, più di ogni cosa, la sua epidermide profumava di dolcezza e di qualcosa che era solo e distintamente Carol. E quell’odore, così preciso e così dolce, lo inebriò e prese il controllo dei suoi muscoli: si ritrovò a stringerle i fianchi e, contro il proprio volere, a premere il proprio bacino contro il suo.

Un suono gutturale, quasi un lamento di piacere, gli sfuggì dal fondo della gola e si scontrò con il gemito di lei, ed entrambi i rumori si spensero nell’incontro delle loro labbra.
Carol cercò ancora quel contatto, quella frizione contro di lui e, mentre si perdeva alla ricerca di quel piacere, avvertì Daryl sollevarle la maglietta e tremare ancora.
Aveva paura e non era sicuro di come muoversi.

Voce.

Daryl la sentì sussurragli che andava tutto bene, che non aveva paura di lui.
La sua voce gli scaldò le vene, suonando prima leggera e rassicurante contro il lobo del suo orecchio: poi Carol lasciò una scia di baci soffici come fiocchi di neve, scendendo in modo dolorosamente lento dal suo collo fino al petto e fermandosi più a lungo sul tatuaggio che gli decorava la pelle all’altezza del cuore. Lì il suono delle parole di Carol si espanse come elettricità nella carne: le udì pronunciare il suo nome con un desiderio così intenso che la voce le tremò e Daryl, a quella vibrazione, rispose sospirando a fatica.
Non si accorse neppure delle proprie mani che le levarono la maglia con impazienza, né di averla delicatamente spinta lontano dal suo corpo per farla rotolare sul materasso: si ritrovò a baciarla ancora, questa volta sdraiandosi per metà su di lei mentre, con un ginocchio, incoraggiava a divaricare leggermente le gambe.

Vista.

Carol strinse i suoi capelli tra le dita per un istante e lo costrinse a sollevare il viso: quando lui sollevò il capo, lei lo guardò con attenzione. Gli occhi di un azzurro intenso e scuri per il desiderio riflettevano ancora tutta la sua insicurezza; le labbra schiuse, arrossate per l’insistenza dei suoi baci e un po’ più gonfie vibravano ad ogni suo sospiro.
I capelli scuri e lunghi che, a ciocche ribelli, gli ricadevano sul viso e lungo il collo, rendendolo molto più simile ad un angelo rivoltoso e dannato di quanto lui avrebbe mai immaginato. Quelle ali, quelle piccole decorazioni che troneggiavano su quel suo gilet di pelle usurato, gli appartenevano più di quanto Daryl pensasse.
Carol spostò lo sguardo prima sulle sue guance, intenerendosi quando si accorse che erano ancora arrossate – forse dall’imbarazzo di quanto la sua intraprendenza lo stava spingendo a fare – e poi cercò di scrutare il suo corpo. Per un attimo Daryl la ostacolò, ritraendosi di fronte al suo sguardo: poi sembrò ripensarci e la sorprese, levandosi completamente il gilet e la camicia e voltandosi per permetterle di vedere i segni del male che lo aveva afflitto per tutta l’infanzia. Che lo aveva segnato tutta la vita.

Restò voltato solo pochi secondi, il tempo di offrirle uno sguardo su ciò che più di ogni altra cosa Daryl nascondeva al mondo: poi, con gli occhi di chi porta con sé quel dolore, tornò a guardarla.
Comprendendo l’enormità di questo gesto, Carol decise di mostrargli lo stesso rispetto e la stessa fiducia, spogliandosi di ciò che ancora la copriva e condividendo con lui la mappa di quel passato che l’aveva resa oggi quella che era. I segni di un matrimonio crudele raccontavano sul suo corpo la storia di una donna che, come lui, aveva dovuto sopportare per anni le ferite di un amore sbagliato. Di un amore che non era poi davvero amore.

In quel momento erano ancora più uguali, più complementari, più in sintonia e vicini di quanto fosse mai accaduto.

Daryl vide sul fianco destro di Carol un livido nero, enorme e rabbioso che le colorava la vita e che andava a sparire sulla sua schiena, ma non le chiese cosa fosse: sapeva che potevano solo essere i segni di una battaglia avvenuta durante il suo rapimento. Non serviva che glieli raccontasse: erano lì ed erano la testimonianza della sua forza, esattamente come le loro cicatrici.
Avrebbero forse dovuto sentirsi inibiti dopo questo momento di condivisione, ma non fu così. A un momento di tale fiducia e intimità, entrambi risposero con un bisogno ancora più forte di toccarsi, di sentirsi nel presente, insieme.

Sentire. Insieme.

Daryl le accarezzò il collo, le baciò una clavicola con una delicatezza che le spezzò il cuore di commozione e che la costrinse nuovamente a sdraiarsi sul materasso: Carol chiuse gli occhi, perdendosi nella serenità che sentiva percorrerle il corpo per la prima volta dopo tanto tempo.
Il rumore dei pantaloni di lui le risuonò nelle terminazioni nervose quando capì che, in un impeto di iniziativa, Daryl se li era levati e li aveva lasciati cadere a terra.
E, quando percepì le sue dita tremanti accarezzarle l’interno coscia, Carol si sentì in pace: con Daryl poteva essere se stessa, essere debole, vulnerabile . Con Daryl poteva mostrare ciò che era e ciò che voleva.
 
Lui era lì, con lei, e le stava donando una parte di sé talmente intima e nascosta che per Carol significava una cosa sola: si stava legando a lei per sempre e come non aveva mai fatto prima d’ora. Lo sentiva nel suo respiro, nei suoi gesti, nella sua voce quando le sussurrò: «Sei meravigliosa.»

E, per la prima volta, Carol si sentì davvero così.

Lo baciò ancora e ancora, con tutto quello che aveva nascosto nel profondo della sua anima, cercando di restituirgli tutto il bene e la fiducia che lui le stava donando.
Daryl era sdraiato su di lei, senza più barrire che li separavano e le stava permettendo di toccarlo, accarezzarlo e assaporarlo senza alcuna paura.

Era ancora attento, a tratti intimorito e insicuro, ma le aveva affidato tutto: il corpo e il cuore, per Daryl, erano uniti da una rete invisibile e indistruttibile. Toccare il suo corpo era come stringere tra le mani anche il suo cuore.
 
«Va tutto bene…» mormorò Carol sulle sue labbra quando lo sentì indugiare e, con un leggerissimo movimento del bacino, trovò con lui quel frammento di intimità che fece di loro una cosa sola.
Rimasero immobili a lungo: i loro sguardi incrociati nell’unica forma di comunicazione necessaria e fusi insieme dal calore di quell’attimo, legati in un bacio che, dalle loro labbra si espandeva al resto dei loro corpi.

Daryl le invase i sensi. Era dovunque, dentro di lei.

Carol gli inondò ogni molecola del corpo. Era attorno a lui in un modo totale e la sentiva fondersi con lui.

Non c’erano più confini.

Daryl trattenne il respiro, cercando di non perdere il controllo e aspettando che Carol iniziasse a muoversi. La sentì espirare e dalle labbra di lei gocciolò un incoraggiamento a proseguire: un gemito gli risuonò nel petto e il sapore del piacere gli chiuse la gola quando ogni muscolo di lei si contrasse attorno a lui.

«Maledizione!»

Daryl tremò tra le braccia di Carol e, afferrandole il bacino, le bloccò i fianchi per qualche istante, per farle sapere che non era ancora pronto.

Posò la fronte a quella di lei e strinse gli occhi: un’espressione quasi sofferente gli oscurò i tratti. Carol gli accarezzò con dolcezza prima i capelli, poi il collo, scendendo lungo le spalle e la schiena, fino ad arrivare sui suoi fianchi: le mani di lei, nella loro lenta discesa, allentarono la tensione che gli attanagliava i muscoli. Poi, quando Carol lo vide di nuovo aprire gli occhi, lasciò scivolare le mani sulle sue natiche e, facendo pressione, lo accompagnò nel movimento.

All’inizio il ritmo era irregolare, forte e insicuro: ci volle qualche secondo perché Daryl riuscisse a lasciarsi andare e, baciandola, a entrare in sintonia con lei. Piano piano, scoprirono le necessità l’uno dell’altra e, senza accorgersene, i loro bisogni vennero a coincidere.

Si movevano lenti, insieme, sentendo ogni contrazione del corpo dell’altro, ogni respiro diverso, ogni richiesta non detta.

Le mani scorrevano, alla scoperta di un nuovo modo di toccare, della pressione giusta da applicare a una carezza, dei punti segreti da sfiorare per ottenere una risposta fatta di sospiri e di respiri spezzati. I baci esploravano la pelle, per sentire dove il sapore cambiava, per vedere in che punti baciare dolcemente, dove ci voleva maggiore pressione e dove, invece, lasciarsi sopraffare dalla passione e usare i denti per qualche piccolo morso.

Carol si accorse che Daryl perdeva il controllo e il ritmo ogni volta che lei lo baciava sul collo o gli graffiava la pelle in quel punto. Daryl si rese conto che Carol non riusciva a fermare i gemiti quando lui le accarezza la vita o le mordeva una spalla.

E lo fece più del voluto. Morderla.

Non tanto per vederla fremere, ma per cercare di trattenersi dal raggiungere l’orgasmo.

Carol scoprì anche che, anche mentre faceva l’amore, Daryl sussultava ogni volta che le mani di lei sfioravano una delle sue cicatrici sulla schiena; eppure si stupì quando notò che, ad ogni tremore, lui faceva seguire un bacio. Come a scusarsi per quel timore. Per averle comunicato che aveva paura di quel tocco. La baciava come a dirle: «Mi fido. Puoi farlo.»

Daryl, dal canto suo, si rese conto del fatto che Carol gli stava aprendo il suo cuore come non aveva fatto fino ad ora: fare l’amore per lei, forse, in passato era stato legato a altro. Forse Ed faceva l’amore con lei per farsi perdonare le violenze; o, magari, non faceva affatto l’amore con lei.

Daryl non lo sapeva, ma nel modo in cui lei gli permetteva di avere il controllo, capì che si era abbandonata a lui, perché sapeva che avrebbe avuto cura del suo corpo come lei ne aveva di quello di lui.
La percepì accelerare appena i movimenti e cercare una frizione diversa e, di fronte a questo cambio, Daryl andò per un attimo nel panico: un po’ perché temeva di non soddisfarla, un po’ perché ogni nuovo contatto rischiava di fargli perdere il controllo.

«Ferma…» la implorò nascondendo il viso nella sua spalla e succhiandole la pelle con ansia.
«Daryl, va bene così. Lasciati…»
«No!» ringhiò lui tenendo le labbra premute contro la sua gola, «Prima tu.»

Era una questione complessa, Carol lo capì: c’era troppo nascosto dietro a questo suo bisogno di soddisfarla. Ma Carol cominciava a temere che questo stress e questo trattenersi stessero privando lui del piacere di questo momento insieme.
Ma non provò più a contraddirlo e, intrecciando le dita con quelle di lui, tornò a liberare la mente e la voce da ogni pensiero e parola sensata: sentì solo Daryl e il suo corpo.

Sentì di essere lì, presente come non mai. Sentì di non essere sola e, quando lui si lasciò sfuggire un improperio, poggiò la fronte contro quella di lui e percepì il proprio corpo iniziare a tendersi e a distendersi a ritmo regolare.
 
«Quasi…» gli disse piano e lui si mosse con più profondità, ma mantenendo quel ritmo lento e perfetto.

Lo baciò, allora, con tutta la passione che sentiva stringerle le vene e farle scorrere il sangue ad una velocità incredibile e, quando lui le morse il labbro inferiore, Carol avvertì il proprio ventre contrarsi in uno spasmo fatto solo di calore e di piacere e, lì, contro Daryl, si sentì se stessa.
Solo allora, mentre ancora i suoi muscoli restavano stretti in una rigidità meravigliosa, alleviati da piccole distensioni, Daryl si lasciò finalmente andare, rinunciando al controllo e, abbracciandola a sé, lasciò che il suo stesso corpo trovasse quello sfogo tra la braccia di lei.

«Dove sei?» lei domandò quando, dopo qualche minuto di silenzio e con il viso ancora premuto contro il suo petto, ebbe l’impressione di sentirla lontana.
 
«Sono qui, Daryl. Davvero.» Gli mormorò lei tra i capelli, ascoltando il respiro affannato di lui e percependo il suo calore sulla pelle.

Ed era vero. Non sapeva se e quanto sarebbe riuscita a resistere qui. Non sapeva neppure se Daryl fosse riuscito a scacciare i suoi demoni. Forse l’aveva fatto per poco. Ma sapeva che non si era sentita così presente e così vera da mesi.
Non poteva essere lui a farla stare bene: quello era qualcosa che solo Carol poteva fare.

Ma lui le aveva giurato che, se glielo avesse permesso, non sarebbe stata da sola.
E, mentre il sonno invase tutti i loro sensi, entrambi rimasero coscienti solo del contatto che ancora li univa, del corpo e della pelle dell’altro e della verità che entrambi avevano giurato: c’erano. Tutti e due. L’uno per l’altra e l’uno con l’altra.

Mentre si addormentarono, un solo senso restò attivo e vivo: il tatto.
 
 

AN: Quelle che io percepisco come incoerenze narrative nella serie tv hanno, probabilmente, risvegliato la mia ispirazione.
Questo capitolo è stato davvero una brutta bestia da scrivere: è stato faticoso e, come ogni volta, ero partita con un'idea che ha preso una forma completamente diversa in corso di scrittura. Chi mi ha letto in passato sa che scrivere scene intime mi crea qualche difficoltà e che non mi sento esattamente a mio agio, ma ci ho provato.
Carol e Daryl non sono esattamente due personaggi che, secondo me, direbbero molto a parole in quel momento: la cosa difficile di questi due è proprio riuscire a far calzare i dialoghi e la comunicazione. Spesso comunicano fuori dallo schema linguistico e le parole per loro sono ridondanti. Quindi, ecco, anche la parte di dialogo (che, in genere, è il mio forte) è ostica... Quello e il cercare di mettere nero su bianco la loro comunicazione non verbale e il loro modo di interagire su un piano diverso e particolare.
Ecco, basta. Credo di aver finito.
Grazie di cuore a chi ha letto anche questo secondo capitolo e per i commenti precendenti: sono stati un carburante incredibile per non arrendermi di fronte al capitolo che si rifiutava di essere scritto!

 
   
 
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