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Autore: FeraNoir    01/04/2016    3 recensioni
1 settembre 1987: Con la netta sensazione di camminare in un sogno, Fera si avvicinò alla barriera che separava il binario 9 dal binario 10 nella stazione di King’s Cross.
1 settembre 1988: Pioveva. Gli studenti del primo anno attraversavano Hogwarts in barca, guardando il castello per la prima volta, e pioveva. Di male in peggio, realizzò Med.
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Dal suo primo anno a Hogwarts, le avventure di Harry Potter sono diventate di dominio pubblico. Ma gli altri personaggi? Quelli che non lo accompagnavano a recuperare pietre filosofali e distruggere Basilischi, quelli che vengono solo menzionati di tanto in tanto, cosa stavano vivendo in quel periodo?
Il Prefetto Percy sta studiando febbrilmente per i G.U.F.O., Oliver si concentra nel Quidditch per non sentire la mancanza di Charlie e Tonks, Theodore deve sopportare un padre che ha già cacciato di casa il figlio maggiore... e Fera e Med, rispettivamente al quinto e quarto anno, si preparano a sperimentare i primi amori e le prime gelosie, amici fedeli e primini da ridicolizzare, finché il destino non le metterà sulla stessa strada.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Oliver Wood/Baston, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO I

1 settembre 1991

 

«Sei sicura di avere tutto quel che ti serve?».

«Per la quattordicesima volta, ».

«Perché starai via fino a Natale e hai bisogno di pergamene, abiti, forse un mantello più pesante...».

«Oh, Merlino, davvero starò via fino a Natale?! Non me n'ero resa conto! Calmati, pa', potrai mandarmi pacchi via gufo ogni volta che vorrai, ormai dovresti avere imparato a farlo».

«Questo stupido Babbano ora ci riesce, stronza di una figlia».

Med e suo padre si guardarono negli occhi per tre secondi, poi scoppiarono entrambi a ridere.

«Mi mancherai, lo sai?».

«Come ogni volta, pa'». Allargando le braccia, Med rispose all'abbraccio del padre. Immaginava il rumore delle lancette che si muovevano alle sue spalle, ricordandole che doveva far presto se non voleva perdere l'Espresso per Hogwarts, ma non riusciva a staccarsi da lui.

Alla fine fu suo padre a parlare. «Mi spiace che tua madre non sia potuta venire oggi...».

«Si sta bene anche senza di lei».

A Med non era andata giù la valanga di scuse che la sua adorabile mammina aveva utilizzato per evitare di accompagnarla a King's Cross: «Ho un mal di testa tremendo... E se poi vomitassi lungo la strada? Con tutte quelle curve... Non posso certamente presentarmi alle altre famiglie di maghi con questi capelli, che cosa penserebbero?».

Quelle ultime tre parole avevano riassunto alla perfezione il vero motivo per cui, quella mattina, sua madre non era lì con lei. Diane era una strega mediocre, ma con un talento naturale per la Materializzazione che con il tempo le aveva permesso di essere a capo dell'Ufficio per il Trasporto Magico al Ministero della Magia. Appena diplomata aveva sfidato la tradizione, lavorando per guadagnarsi da vivere nonostante il grosso patrimonio dei genitori, e anni dopo aveva perfino deciso di sposare un Babbano; le sue amicizie con alcune delle più importanti famiglie Purosangue erano continuate, ma un inatteso imbarazzo era sorto nel momento in cui aveva incontrato le migliori amiche di Med e relativi parenti. Parkinson e Pucey erano nomi rinomati nell'ambiente che lei stessa aveva frequentato a Hogwarts, mentre Diane dopo le nozze si portava dietro un cognome babbano. Inutile dire che le signore Parkinson e Pucey avevano subito trovato il modo per guardarla dall'alto della loro stupida superiorità di sangue e questo non aveva fatto un buon effetto su Diane, che cercava di evitare qualsiasi fortuito incontro con loro per evitare di sentirsi a disagio. Al contrario, suo padre si era ulteriormente elevato rispetto alle rivali di Diane e aveva deciso che gli sguardi a lui rivolti non facevano alcun male; si divertiva perfino a rispondere a tali sguardi con un allegro saluto, che costringeva i Purosangue colti in fallo ad abbozzare il più tirato dei sorrisi.

C'era stato un tempo in cui anche Med aveva creduto nella superiorità della razza magica. Questo prima di sentire il padre di Lobelia pronunciare parole poco graziose per descrivere Diane e Wes: suo padre era un babbano incapace di fare la magia più elementare, ma era il suo stupido padre babbano e solo lei aveva il diritto di prenderlo in giro.

«Le porterò i tuoi saluti».

«Dille che mi mancherà come i brufoli dell'anno scorso».

Wes ridacchiò, arruffò i capelli della figlia e poi sollevò lo sguardo verso l'orologio della stazione. «Va' o farai tardi. E io non posso accompagnarti a Hogwarts, la scopa della nonna non vuole saperne di sollevarsi».

«La nonna è babbana, pa'».

«Tu dici? Avrei giurato che fosse una strega. Ma non dire che te l'ho detto».

Rivolgendogli un ultimo sorriso, Med si congedò da lui e riprese i propri bagagli per raggiungere il binario 9 e ¾. Ormai attraversare il passaggio era diventata una passeggiata: si appoggiò al muro, attendendo di essere celata da Babbani di passaggio in tailleur e ventiquattrore, e si lasciò cadere oltre le insegne tra i binari 9 e 10, tornando in quel mondo che per lei era una casa, un rifugio... e una maledettissima scuola.

Com'era prevedibile, c'era più confusione nella stazione magica che in quella babbana. Un gufo le sfiorò i capelli, mentre il suo proprietario urlava cercando di farlo tornare nella gabbia; poco più in là, un ragazzino paffutello – sicuramente del primo anno – si vantava con quella che doveva essere sua nonna del bellissimo rospo che teneva in mano. Mentre cercava qualche volto conosciuto, Med lo sentì dire: «...il regalo migliore del mondo, nonna! Lo chiamerò Oscar, ti piace? Sta' tranquilla, non lo perderò, lo metto in questa gabbietta...». Un attimo prima il bambino reggeva il rospo, l'attimo dopo strillava perché la porta della gabbia era aperta. Med sogghignò, superandolo e lasciando il rospo sul baule di una Tassorosso con il terrore degli anfibi.

Ah, ora sì che siamo di nuovo in pista!

Cresciuta in una famiglia per metà babbana, Med non aveva avuto problemi ad adattarsi al divieto di fare magie fuori dalla scuola; era stato quindi semplice continuare a infastidire i ragazzini più stupidi e codardi con i tipici trucchi da Babbana. Ora che stava tornando a Hogwarts, però, poteva infierire su di loro nei modi che più la divertivano. Le mancavano solo poche ore e poi non avrebbe dovuto aprire una gabbietta con la mano per far piangere qualche primino.

«Med!».

Si voltò, riconoscendo subito quella voce; a giudicare da come si stava sbracciando, tuttavia, sembrava che Louis Nott stesse cercando la sua attenzione da un bel po'. Lo raggiunse di corsa, felice di vederlo.

«Louis! Che ci fai qui? Ti mancavano i sotterranei?».

«Così tanto che volevo farmeli costruire anche a Bristol. Come stai?».

«Bene... il rospo di quel ragazzino un po' peggio» ridacchiò, indicando il primino indaffarato a cui aveva tirato uno scherzo.

A differenza di molti altri della loro stirpe, la famiglia Nott – perlomeno i due figli – non manifestava disgusto vedendo Med, Diane o "quel babbano che si era sposata"; Louis, in particolar modo, era sempre stato un buon amico per Med, nonostante i loro tre anni di differenza: le aveva presentato alcuni studenti più grandi, che si erano diplomati l'anno precedente insieme a lui, e le aveva spiegato i trucchi migliori per passare un esame. Med non ricordava di avere fatto niente di importante per contraccambiare, ma a Louis era bastato che lei gli fosse stata accanto, tre anni prima, quando sua madre era scomparsa.

E, ora che lui aveva concluso gli studi, a Med non restavano altro che Lobelia e Grace.

«Come mai sei qua, allora?».

«Ho accompagnato mio fratello. Ora sta salutando... papà». Louis storse il naso, facendole capire che il suo rapporto con il padre non era cambiato da quando si era trasferito a Bristol per mettere più distanza possibile fra di loro e, per un buffo scherzo del destino, aveva finito per essere diseredato. «Hai letto la Gazzetta stamattina? Dicono che... Oh, no, sono tornati».

Med non ci mise molto per capire di chi stesse parlando. C'era una Casa di Hogwarts che lei non avrebbe mai imparato a sopportare: i Grifondoro. Tronfi, arroganti e rumorosi, a Med avevano sempre ricordato i giocatori di football che nei film horror babbani fanno subito una brutta fine; si vantavano di essere grandi giocatori di Quidditch, sebbene non vincessero la coppa da anni; camminavano lungo la scuola occupando l'intero corridoio, facevano chiasso mentre lei leggeva sulla riva del Lago Nero e passavano il tempo a sfidarsi nelle maniere più stupide. La cosa peggiore, tuttavia, era il loro bisogno di sentirsi al centro dell'attenzione in ogni momento: per quanto i Tassorosso fossero sfigati, perlomeno avevano la decenza di aiutare i più deboli per altruismo, non per ricevere un'immaginaria medaglia al valore.

Ma, per quanto la disgustassero, c'era qualcosa che Med detestava più dei Grifondoro in generale: i fratelli Weasley. Una massa di capelli rossi e lentiggini, più chiassosi e tronfi degli altri, abituati a fare del mondo il loro palcoscenico e per niente imbarazzati all'idea di girare con vestiti di seconda o terza mano. Ogni volta che ne vedeva uno in lontananza, Med si chiedeva se trovassero i loro abiti fra quelli donati in beneficenza e, al contempo, come fosse possibile sterminarli una volta per tutte. Vide i gemelli, caotici e buffoni; vide il Prefetto, saccente e pieno di sé; vide due nuovi ragazzini e la loro ingombrante madre, carichi di bauli; ma, fortunatamente, non vide i più grandi.

«Quest'anno non ci hanno reputati degni della loro presenza» sibilò fra i denti.

I gemelli erano fastidiosi, il Prefetto era noioso, il nuovo arrivo insignificante, la ragazzina frignava già troppo, ma a incarnare lo stereotipo del perfetto Grifondoro erano Bill e Charlie Weasley, i fratelli maggiori. Charlie non era un grosso problema, perché pur essendo osannato come grandissimo giocatore di Quidditch aveva avuto la decenza di essere un cesso, ma lo stesso non si poteva dire di Bill: Prefetto, Caposcuola e idolo delle ragazzine, Bill sapeva farsi amare da tutti e odiare da ogni singolo Serpeverde; perfino alcuni Corvonero non sopportavano la sua presenza. Per fortuna aveva frequentato Hogwarts solo durante il primo anno di Med, ma a volte si faceva vedere al binario 9 e ¾ in compagnia degli altri perdenti dei fratelli. Quell'anno doveva essere ancora in giro per il mondo a farsi ammazzare da qualche avido folletto.

«Devo salire, fra poco l'Espresso partirà» si rese improvvisamente conto Med controllando l'orologio alla parete. «Scrivimi, ogni tanto!». Quando lo salutò con un rapido bacio sulla guancia, Louis arrossì, ma lei non ci fece caso.

«Lo farò. Vedi di mantenere alto l'onore dei Serpeverde!».

«Per chi mi hai preso? Hogwarts non sa cosa l'attende, quest'anno!».

 

*****

 

«Io continuo a pensare che una cosa del genere sia inconcepibile».

Fera sbuffò. «Dai, papà, lascia perdere…».

«Inutile,» la interruppe sua madre, «andrà avanti con questa storia per il resto della settimana».

«Dico solo,» riprese il padre di Fera, continuando a spingere il carrello verso l’accesso al binario 9 e ¾, «che è assurdo. Un’incursione dentro la Gringott? Dovrebbe essere il posto più inespugnabile del mondo! E cosa fanno i goblin? Sdrammatizzano».

«Certo che sdrammatizzano, Niall. Non è stato rubato nulla, ricordi? Santo cielo,» borbottò la donna, rivolta a Fera, «perché diavolo abbiamo abbonato tuo padre alla Gazzetta del Profeta?».

«L’idea stessa che qualcuno sia entrato nella banca è drammatica, Maire» proseguì imperterrito l’uomo, mentre Fera ridacchiava e scuoteva la testa. «Ci pensi? Meno male che non abbiamo messo i nostri risparmi là dentro, come ci aveva suggerito quel goblin dalla testa grossa…».

Maire e Fera si scambiarono un’occhiata esasperata e lasciarono che Niall, preso dall’indignazione, seguitasse a blaterare. L’uomo poteva anche essere un Babbano, ma l’interesse che mostrava per il mondo magico era paragonabile solo a quello di un Ministro della Magia: da cinque anni era un lettore appassionato delle più importanti riviste magiche, quale appunto la Gazzetta del Profeta, e questo lo faceva sentire in diritto di esprimere a chiara voce le sue opinioni su ogni avvenimento – salvo quando c’erano altri Babbani nei paraggi, ovviamente.

«E cosa fa quell’ameba di Caramell, invece di occuparsene? Si balocca con le sciocchezze…».

«Ehm, papà? Io sarei arrivata».

Finalmente, Niall smise di parlare e si guardò attorno: la barriera di mattoni si ergeva di fronte a loro. «Oh, di già? Come vola il tempo».

Fera sospirò e scosse la testa, poi abbracciò suo padre e sua madre. «Vi scrivo appena arrivo, ok?».

«Studia, mi raccomando. Voglio vedere tanti bei G.U.F.O. sulla tua pagella, l’anno prossimo».

«E se anche stavolta c’è un insegnante di Difesa squilibrato, scriverò al Ministro!» tuonò Niall.

«Tranquillo, quest’anno dovrebbero averne preso uno normale. Ci vediamo a Natale!» e agitando la mano, Fera oltrepassò il muro.

Immergersi nella folla antistante l’Espresso per Hogwarts fu al contempo un sollievo e uno stress. Il mondo babbano sembrava così lontano, quasi non esistesse affatto, eppure Fera poteva ancora avvertirne un’eco dalla parete alle sue spalle.

Ricacciando il leggero magone che le veniva ogni volta che si allontanava da casa, la ragazza si avvicinò al treno. Raggiunta la prima porta disponibile, salì sul predellino e tirò il baule verso di sé: di solito quella operazione le richiedeva qualche tentativo, ma stavolta sperava di farcela senza troppi problemi. Speranza vana.

«Uffa,» si lagnò, dopo la quarta volta che provava ad issare il baule. Come poteva essere così pesante? Di sicuro sua madre ci aveva aggiunto una tonnellata di vestiti pesanti per l’inverno… o forse erano quei quindici-sedici libri che aveva portato da leggere fino a dicembre? Chissà.

«Serve una mano?».

Fera alzò gli occhi. Sulla banchina, di fronte a lei, c’era un ragazzo bruno e alto che le sorrideva. «Oh,» gli rispose, «no, tranquillo, ce la faccio».

Ignorò l’espressione scettica apparsa sul volto del ragazzo e tentò ancora una volta di sollevare il baule, senza riuscirci. Accidenti alle norme! Se solo avesse potuto fare un incantesimo… Invece il divieto di fare magie fuori da Hogwarts si estendeva alla stazione, fino al momento esatto della partenza del treno. Che seccatura.

«Ok, mi arrendo» sospirò rivolta al ragazzo, che allargò il sorriso e alzò la parte di baule rimasta a terra. Insieme riuscirono a trasportarlo fino al corridoio.

«Grazie mille, è stato gentile da parte tua».

«Aspetta, ti aiuto a portarlo nel vagone».

Prima che Fera potesse rifiutare, trasportò il baule fino ad uno scompartimento libero, verso la metà del treno. «Ecco qua» fece lui, mostrandole il posto con un ampio gesto del braccio.

«Grazie di nuovo. Non dovevi disturbarti così tanto».

«Figurati, è stato un piacere».

Fera si aspettava che, a quel punto, il ragazzo la salutasse e andasse via, o che si presentasse; invece le domandò di punto in bianco: «Com’è andata l’estate?».

«Ehm… bene?».

«Sono contento. Pensi di tornare al club di lettura, quest’anno? Io mi sono già iscritto, non vedo l’ora che ricominci…».

Fera restò un po’ perplessa di fronte a quella confidenza. Era convinta di non aver mai visto quel ragazzo in vita sua – o meglio, sicuramente l’aveva incrociato a Hogwarts – ma quello parlava come se si conoscessero da tempo. Incerta se ammettere la sua ignoranza o rischiare una figuraccia, Fera cercò di mantenersi sul vago. Dopo un po’, il ragazzo tacque.

«Tu non ti ricordi di me, vero?».

A quel punto, Fera si arrese. «No» sospirò, «non ho la più pallida idea di chi tu sia, anche se ho capito che siamo nello stesso club di lettura. Ho una memoria terribile per le facce».

Il ragazzo scoppiò in una sonora risata. «Ehi, non è colpa tua. Dicono che io sia cresciuto parecchio, questa estate». Le tese una mano. «Sono Edmund Fawley. Ed. Corvonero, sesto anno, Prefetto, amo i romanzi babbani e ogni tanto li chiedo in prestito a te».

Edmund Fawley? Cosa?! Fera spalancò gli occhi. Ricordava Ed come un ragazzo pieno di brufoli, appena più alto di lei e con la faccia tonda come la luna, mentre quello che aveva davanti… Forse era per l’accenno di barba, ma pareva decisamente più interessante di quanto lei ricordasse.

«Oh, per Circe!» esclamò, stringendogli la mano. «Perdonami, io…».

«Sì, pessima memoria. Non preoccuparti».

Fera accennò un sorriso, ma dentro si sentiva morire d’imbarazzo. Se quello era l’inizio del nuovo anno, non osava pensare a cosa l’aspettasse.

Scambiarono ancora qualche parola, poi Ed la lasciò sola a crogiolarsi nella vergogna. Perché, perché solo lei faceva queste figure di cacca di drago? Con uno così carino, poi!

Quando l’imbarazzo fu un po’ diminuito, Fera si affacciò al finestrino. Gruppi di ragazzini e genitori sciamavano avanti e indietro lungo la banchina, salutandosi e lanciandosi vicendevoli raccomandazioni; aguzzando la vista, intravide infine quello che cercava: una serie di teste coi capelli rosso fiamma, sparse tra la folla variopinta.

Con un gran sorriso, abbandonò bagagli e pensieri e corse verso la porta.

 

«Mostramela. Ora».

«Argh!».

Vedendosela comparire davanti all’improvviso, Percy sobbalzò e quasi cadde dal predellino. Quando capì che era solo Fera, sbuffò con ferocia.

«Ciao anche a te,» rispose, sarcastico. «Bella giornata, non trovi?».

«Quasi quanto il giorno in cui mi libererò di te,» replicò Fera con soavità, osservandolo dall’alto. «Ma basta coi convenevoli: mostramela, o non ti faccio salire sul treno».

Percy sospirò e roteò gli occhicome se fosse esasperato, ma Fera sapeva benissimo che era un modo per nascondere la soddisfazione: un istante dopo, il ragazzo mise una mano in tasca e ne estrasse, avvolta con cura in un fazzoletto, la sua spilla da Prefetto.

«Oooooh!».

«Attenta a non farla cadere, è nuova...».

«Lo so che è nuova, non mi hai scritto altro per tutta l’estate!». Fera prese la spilla, la rigirò tra le dita e poi se l’appoggiò al petto, fingendo di provarsela. «Diamine, mi sarebbe stata benissimo».

Finalmente, si scansò e lasciò salire Percy in treno. Da quando si erano conosciuti, esattamente cinque anni prima, entrambi erano cresciuti parecchio: lui aveva guadagnato in altezza, lei in sicurezza di sé. A volte, a Fera sembrava incredibile che fosse già passato così tanto tempo, ma per convincersi le bastava vedere la fronte di Percy dieci centimetri più in alto della sua.

«Mi dispiace che non abbiano nominato Prefetto anche te,» disse lui, riprendendosi la spilla e seguendo Fera verso lo scompartimento. «Proprio non capisco perché Vitious abbia deciso così».

«Forse è perché ho polverizzato la sua cattedra durante l’ultima lezione?».

«Ma non l’hai certo fatto apposta! Oppure sì? Santo cielo, Fera,» si fermò di colpo, «mi hai promesso che non l’avevi fatto apposta!».

«E infatti non l’ho fatto apposta. Non del tutto».

Se c’era una cosa che Fera amava fare, era suscitare indignazione nel suo amico. Anche quella volta, com’era prevedibile, ci riuscì: il viso di Percy divenne rosso e le sue guance si gonfiarono, pronte a sparare una delle sue solite tiritere. «Sta’ calmo, sto scherzando» lo fermò allora lei.

«Vorrei ben vedere» replicò Percy, gelido.

Lo scompartimento di Fera era ancora vuoto, i bagagli dove lei li aveva lasciati. La ragazza si sedette accanto al finestrino, mentre Percy restò in piedi accanto alla porta. «Parlando seriamente,» riprese lui, «è un vero peccato. Mi sarebbe piaciuto che fossimo entrambi Prefetti».

«Anche a me». Fera prese a frugare nel suo zainetto. «Insieme avremmo impedito a Serpeverde di vincere di nuovo la Coppa delle Case».

«Fera!».

«Che c’è?» Fera alzò le mani. «Non dirmi che non ci hai pensato anche tu. Immagina,» guardò in aria e fece un ampio gesto con la destra, «il Prefetto Weasley che si imbatte in un Serpeverde a caso, gli punta un dito contro e dice: “Stai respirando in maniera scorretta, un milione di punti in meno!”».

Percy fece un verso col naso, come se cercasse di reprimere una risata. «Non è divertente» disse, a dispetto di ciò. «Non posso mica comportarmi come un bullo».

«Non sei un bullo, sei un’autorità».

«Adesso capisco perché non ti hanno nominata Prefetto. Saresti stata terribile».

«Oh, dai, per favore. Almeno una volta, quest’anno, togliti la soddisfazione di levare punti a caso a Serpeverde. Fallo per me».

Disse l’ultima frase con un tale candore, che stavolta Percy non riuscì a trattenere la risata. «Solo una volta, però» mise in chiaro, «e solo perché tu non potrai farlo per conto tuo».

«Mio eroe». Fera tornò a cercare nello zaino. «E comunque, non preoccuparti: ci penserà Penelope a consolarti della mia assenza» buttò lì.

Da parte di Percy vi fu silenzio per un paio di secondi. «P-Penelope?».

«Sì, ti ricordi di lei? Vi ho presentati lo scorso maggio, avete studiato per l'esame di Aritmanzia insieme, nelle tue lettere l’hai nominata più spesso della tua spilla da Prefetto… Quella Penelope».

Di sottecchi, osservò l’amico e rise sotto i baffi. Il viso di lui era diventato tutto rosa, sognante e sorridente. «Penelope è diventata Prefetto? Davvero?».

«Eh, già. Non ha polverizzato nessuna cattedra, lei».

«Ma è splendido». Di colpo, Percy sembrava molto più allegro. «Voglio dire, è una persona seria e responsabile, lavorare con lei sarà sicuramente proficuo…».

«Certo, certo. Lavorare».

Percy ignorò l’ironia. «Chi altro è diventato Prefetto della tua Casa?» chiese.

«Paul. E Catherine per Tassorosso».

«Oh, no!» Percy sospirò gravemente. «Dovrò controllare che non si appartino durante i turni di guardia…».

«E chi controllerà te e Penelope?».

«Fera!».

Finalmente, la ragazza trovò quello che cercava: dallo zaino estrasse un walkman, delle cuffie e due musicassette. «Va bene, la smetto di prenderti in giro» disse. «E per farmi perdonare, quest’anno lascio scegliere a te: Patti Smith o Stevie Nicks?».

Sollevò le musicassette, tenendone una per mano. A partire dal loro secondo anno, avevano inaugurato la tradizione di passare parte del viaggio sull’Espresso ascoltando musica che Fera sottraeva all’ampia collezione dei genitori. Non sempre Percy apprezzava quello che la sua amica sceglieva, ma qualche volta erano riusciti a far incontrare i rispettivi gusti musicali.

Quel giorno, però, Percy non parve gradire la proposta; al contrario, si fece scuro in volto. «In realtà…» borbottò. «Quest’anno non farò il viaggio con te».

Fera spalancò gli occhi e sollevò le sopracciglia. «Cosa?» balbettò. «Perché? Guarda che scherzavo, se ti ho offeso non…».

«No, è che… dovrò stare nel vagone riservato ai Prefetti».

«I Prefetti hanno un vagone?».

«Due. E dovremo anche fare turni di controllo in treno e cose così». Percy si guardò le scarpe. «Ti dispiace?».

Fera si trattenne dal fare una smorfia. «Ma no, figurati. Sono solo sorpresa». Sorrise. «Vorrà dire che ascolterò Patti Smith e Stevie Nicks».

«Davvero, io preferirei che non fosse così, però…».

«Non preoccuparti» ripeté Fera. In quel momento si accorse di alcuni dettagli, come l’assenza del bagaglio di Percy e il suo rimanere vicino alla porta, che avrebbero dovuto farle capire immediatamente quanto le era stato detto a voce.

Rimasero entrambi in silenzio per qualche istante. «Meglio che vada,» disse infine lui, «devo cambiarmi e salutare mia madre».

«Certo. Ci vediamo a Hogsmeade».

Con un cenno del capo, Percy uscì e si allontanò verso la testa del treno. Fera rimase ad osservare le musicassette che teneva tra le mani, poi le appoggiò mestamente accanto a sé.

In quegli anni, non aveva mai viaggiato da sola. Sebbene i suoi amici si contassero sulle dita di una mano, Fera ci teneva a passare il tempo in loro compagnia, perlomeno nella parte magica dell’Inghilterra: per questo, trascorreva i tragitti sull’Espresso per Hogwarts sempre insieme a Percy, Paul e Catherine. A quanto pareva, però, quel giorno nessuno dei suoi tre amici sarebbe stato lì a farle compagnia, e probabilmente le cose sarebbero addirittura peggiorate nel corso dell’anno scolastico. Poteva ancora andare a far compere da Scrivenshaft con Catherine? Sarebbe riuscita ad incontrarsi in biblioteca con Percy ogni giorno, alle quattro, per fare i compiti? E chi lo sapeva? Ora che tutti erano Prefetti, tranne lei, di sicuro i loro orari avrebbero smesso di coincidere, e così la loro disponibilità a stare insieme.

Persa in questi pensieri, Fera quasi non si accorse che il treno era partito. Il nuovo anno scolastico era ufficialmente iniziato.

 

*****

 

Non passò nemmeno un'ora perché Med si pentisse di non avere costretto Louis a salire sull'Espresso e a venire a Hogwarts con lei. Perché – continuava a chiedersi – le ragazze del suo anno erano una tale palla? E perché si portavano dietro sorelle ancor più pallose di loro?

«Non vedo l'ora di essere a Hogwarts! Belia dice che è fantastica, devi solo studiare parecchio, ma non importa, in fondo... Eh, Belia?».

"Belia" riemerse improvvisamente dal cumulo di stracci accanto al finestrino – No, non è un cumulo di stracci, sono solo due idioti che non possono fare a meno di pomiciare in qualsiasi momento – e guardò la sorella, mettendosi a posto la chioma nera. «Cosa dicevi, Pansy?».

Alle sue spalle Miles Bletchley, il portiere di Serpeverde, fissava Lobelia con un'espressione beata, pregustandosi probabilmente il momento in cui avrebbe ripreso ad affondarle la lingua in bocca. Miles era del terzo anno, ma la sua fama di bravo giocatore gli aveva fatto guadagnare le attenzioni di una ragazza più grande – di età, non di cervello. Lobelia non era bella, tuttavia aveva già collezionato un buon numero di fidanzati e appuntamenti, al contrario delle sue due amiche, e non passava giorno in cui non dovesse ricordarglielo.

«Che devi tenere le mani e la bocca a posto» rispose Med, anticipando qualunque altra stupidaggine volesse dire Pansy. «Siamo su un treno, non in un bordello.»

Lobelia avvampò e le rivolse un'occhiata furente, ma non disse nulla: poteva anche avere successo con i ragazzi, poteva anche provenire – come Grace – da una famiglia Purosangue, però era chiaro che il capo del terzetto fosse Med. Non doveva fare altro che ricordarglielo, ogni tanto.

Proprio mentre nello scompartimento era sceso il silenzio, interrotto soltanto dal suono della mascella di Grace, la porta si spalancò rivelando un figura pallida e allampanata. «Ciao, Med. Posso sedermi con voi?».

«Ciao, Theo. Vieni pure, Lobelia ti farà spazio».

«A dire la verità, Med, qui siamo già in tre. E Grace non ci permette di entrare in sei in un solo scompartimento...».

«Lo so, ma tanto Miles stava andando via. Vero, Miles?».

Med parlò senza guardare il portiere. Fissava Lobelia, in attesa che passasse gli ordini al suo cagnolino.

«Ci vediamo dopo, Miles» disse a denti stretti, spingendolo nel corridoio e tornando a sedersi.

Senza scomporsi, Med passò alle presentazioni. «Theo, loro sono Grace Pucey e Lobelia e Pansy Parkinson. Ragazze, lui è Theodore Nott, il fratello di Louis».

«...'ao» mormorò Grace mentre masticava l'ennesima bacchetta alla liquirizia.

«Ciao, Theo!» esclamò Pansy porgendogli la mano: sembrava l'unica persona entusiasta di vederlo lì. «Sei del primo anno anche tu? Serpeverde?».

«Beh... non lo so ancora, ma ne sono abbastanza certo, sì». Mentre parlava, Theo aveva già cominciato a tirare fuori dal baule il libro di Pozioni. «Ehi, sapete chi...?».

Prima che potesse dire altro, la porta si aprì di nuovo e Adrian Pucey, il fratello minore di Grace, fece irruzione nello scompartimento.

«Non c'è posto!» si affrettò a dire Lobelia, forse temendo che anche sua sorella venisse mandata via.

«Ce l'ho già, un posto, genio» rispose Adrian con una smorfia, poi si rivolse alla sorella. «Grace, hai saputo?».

«La signora del carrello è malata? Cavolo, sapevo che avrei dovuto portarmi dietro un panino!».

«Un po' di dieta non ti farebbe male. No, intendo dire... Potter! Dicono che sul treno ci sia Harry Potter!».

Pansy fece un gridolino. «Belia, posso andare a vedere? Dai, Belia, ti prego!».

«Mamma ha detto che devi stare con me, quindi da qui non ti muovi. Che storia è questa, Adrian?».

«Marcus ha sentito Baston dire che Jordan aveva sentito dai gemelli Weasley che Potter era sul treno!».

«Mi sta venendo il mal di testa...» esclamò Med, facendo capolino dietro la montagna di dolci di Grace. Non appena la vide, Adrian sbiancò.

«Oh... ehi... ciao, Med».

«Quanti anni dovrebbe avere Potter?» chiese lei, ignorando il saluto: Adrian aveva cominciato a comportarsi in quel modo da quando era andata a trovare i Pucey durante l'estate e ancora non si era degnato di spiegarle il motivo. «Undici?».

«Ma se Marcus dice che Baston sostiene che...».

«Ti prego, Lobelia, non ricominciare. A quanto pare, nessuno dei presenti ha visto questo Potter, quindi basterà fare un rapido calcolo per capire se queste voci corrispondono a verità».

«Io l'ho visto».

Si voltarono tutti verso Theo, che era già affondato nel libro di Pozioni – Tipico dei Nott.

«È quello che volevo dirvi prima. Potter era alla stazione, me l'ha indicato mio padre» spiegò. «Ha detto che era identico al padre e che oggi avrebbe undici anni, quindi doveva essere lui».

«Beh, certo, quel che dice il tuo paparino è sicuramente più vero di...». Lobelia si interruppe, cogliendo lo sguardo intimidatorio di Med.

«Belia, dai, posso andare?» squittì ancora Pansy saltando sul sedile.

«Basta, lo vedrai a scuola!».

«Mi sorprendi, Lobelia». Med aggrottò la fronte. «Come mai non hai nessuna voglia di andare a cercare la star del momento?».

Lobelia sospirò, cercò una posizione più comoda e si controllò le unghie. «Non credo che Potter sia degno delle mie attenzioni. Voglio dire, è solo un moccioso orfanello che una volta, per puro caso, ha annientato il più grande mago di tutti i tempi. Ma se tu e il tuo amico Nott voleste andare a cercarlo...».

«No, non me ne andrò per permetterti di limonare qua dentro con Miles. Come tu stessa hai detto a Pansy... lo vedrai a scuola».

Prima che Lobelia potesse ribattere, alle spalle di Adrian – che era ancora in piedi sulla porta, con lo sguardo a terra da quando Med si era manifestata – apparvero due ragazzoni del primo anno grossi come quelli del terzo, con spalle larghe e braccia grassocce; dovette passare qualche secondo perché tutti si accorgessero che c'era un altro studente con loro, molto meno imponente e con l'arroganza tipica della sua famiglia già stampata in volto.

«Potter è qui» disse a Pansy senza degnare di un saluto nessuno degli altri presenti.

Non c'era bisogno di presentazioni: capelli biondi, occhi grigi, pallido come la morte, quello era un Malfoy. Il carissimo amico della sorella di Lobelia, stando ai suoi racconti.

«Oooh!» esclamò sorpresa Pansy, come se non lo avesse ancora sentito da altre due persone. «Posso andare con Draco, Belia? Posso?».

Questa volta Lobelia non la sgridò. Si spostò una ciocca nera dietro l'orecchio e sorrise a Malfoy. «Ciao, Draco. Mi dispiace, ma mia madre ha insistito così tanto che Pansy rimanesse con me durante il viaggio...».

La sua voce melliflua tradiva l'interesse che aveva nei confronti del ragazzino. Se fosse stato più grande di almeno un paio di anni, Med avrebbe scommesso che Lobelia stesse tentando di sedurlo; tuttavia in quella precisa situazione non c'erano dubbi: Draco era un Malfoy e i Malfoy erano tra le più rispettabili famiglie di maghi Purosangue.

Ma non sono come i Nott.

Se la madre di Louis e Theo era stata bendisposta nei confronti della sua famiglia nonostante la scelta di Diane di sposare un Babbano, i Malfoy erano dall'altra parte della barricata insieme al signor Nott: si trattava, in sostanza, di quel preciso tipo di persone che Diane aveva voluto evitare rimanendo a casa quel giorno. Lucius, Narcissa e il loro figlioletto non avrebbero visto di buon occhio la Mezzosangue Med, ma per fortuna non sembrava che Draco fosse in vena di conoscenze che non fossero Harry Potter, il bambino che era sopravvissuto alla più forte Maledizione Senza Perdono probabilmente mai lanciata.

«Va' con lui, Pansy».

Lobelia si girò di scatto verso di Med. «Cosa?».

«Prima o poi tua sorella dovrà rimanere senza di te, o vuoi accompagnarla anche a lezione? Meglio che cominci a farlo con una persona che conosce da una vita».

Pansy guardò Lobelia, poi Med, di nuovo la sorella e alla fine si alzò entusiasta dal suo posto per seguire Malfoy nel corridoio del treno.

E ci siamo levati di torno anche quella piaga.

Dei quattro che avevano sostato sulla porta, soltanto Adrian era ancora lì.

«Che c'è? Vuoi sederti qui?» sbottò Med, stufa del suo stupido e improvviso silenzio.

«No... no, vado via. Volevo... ehm... augurarti buon viaggio».

«Grazie» bofonchiò senza neanche guardarlo. Adrian si allontanò, chiudendosi la porta alle spalle, e solo allora Med udì Lobelia ridacchiare.

«Cosa c'è?».

Il suo sorriso divertito prese alla sprovvista tutti quanti: Grace smise per un attimo di mangiare e gli occhi di Theo fecero capolino dalla cima del libro.

«Hai fatto colpo, cara la mia donna di ghiaccio».

«Di che cavolo stai parlando, Lobelia?». Med stava già cominciando a spazientirsi.

«Adrian! Non hai visto come ti guarda?».

«Come non mi guarda, vorrai dire».

«Esatto! Quando un ragazzo non ha il coraggio di guardarti, significa che è cotto di te, non lo sai?».

«So solo che dici un mucchio di cavolate. Grace, tu lo conosci meglio di tutte, dille come stanno le cose».

«È vero».

«Grazie, Grace...».

«No, intendevo dire che è vero, Adrian è cotto di te».

Il sorriso di Lobelia si fece, se possibile, ancor più irritante. «Era così palese! Ah, finalmente anche tu assaggerai le gioie dell'amore e mi lascerai in pace! Un tempo non avrei proprio capito cosa ci trovasse in te, ma ora che non sei più...».

«Basta, Lobelia!».

Med aveva quasi urlato. Non sopportava quel discorso, non sopportava ricordare il suo terzo anno e non sopportava Lobelia. Seguendo l'esempio di Theo, prese un libro a caso dal baule e si immerse nella lettura.

 

*****

 

Due ore dopo la partenza, Fera dormiva con la fronte schiacciata contro al finestrino; a risvegliarla bruscamente fu lo scatto della musicassetta nel walkman, segno che era già ora di cambiare lato. La ragazza sbadigliò, si strofinò gli occhi e lanciò uno sguardo alle quattro undicenni seduti nel suo stesso scompartimento, che chiacchieravano di ciò che avrebbero trovato una volta a Hogwarts.

«… dicono che questo sia il suo primo anno! Vi immaginate? Chissà com’è…».

«Di sicuro è bellissimo».

«E potente! Ho letto che gli è bastato guardare Voi-Sapete-Chi per…».

Fera aprì il walkman e girò la cassetta. Il rumore attirò l’attenzione delle undicenni, che tacquero e si voltarono a guardarla. Notando il loro interesse, la ragazza sorrise.

«Tecnologia babbana, piccole,» spiegò, agitando la cassetta. «Se fate le brave, potrei addirittura raccontarvi come funziona».

Tre ragazze fecero “Uuuuuh”, ma la quarta grugnì. «Chi se ne importa, di quella robaccia babbana» commentò, ostentando insofferenza. «Siamo streghe, noi».

«Anche Patti e Stevie lo sono,» ribatté Fera senza perdere il sorriso, «ma voi, coi vostri intrasportabili grammofoni magici, non potete ascoltarle in treno, mentre io sì». Mostrò di nuovo la cassetta. «Mica male per una robaccia babbana, eh?».

«Ha ragione lei, Millicent» ridacchiò la ragazza bionda seduta a sinistra di Fera. Quella che si chiamava Millicent storse il naso, incrociò le braccia e si chiuse in un mutismo impenetrabile.

Uno a zero.

Senza aggiungere una parola, Fera cambiò lato alla cassetta e si rimise nella posizione di prima, testa contro finestrino. Ogni occasione era buona, per difendere la propria origine non magica.

La musica ripartì. Fera sapeva che era solo questione di minuti, prima che il meccanismo del walkman soccombesse alla vicinanza con Hogwarts e le rendesse impossibile ascoltare musica decente fino a dicembre; si predispose quindi a non lasciarsi disturbare da alcunché.

Niente e nessuno doveva mettersi tra lei e “Bella donna”.

Ovviamente, proprio in quell’istante la porta dello scompartimento si spalancò, e un tornado dai boccoli dorati si gettò tra le braccia di Fera.

«Finalmente ti ho trovata!» ululò Catherine. «Perché diavolo non sei venuta da noi?!».

Schiacciata dal peso dell’amica, Fera cercò di divincolarsi. «Perché siete nel vagone dei Prefetti, voialtri!» rispose a fatica, appena Catherine si fu staccata da lei. «Che ci fate qui?».

Dalla porta si affacciò anche Paul.«Beh, non siamo mica obbligati a fare tutto il viaggio insieme ai Prefetti e ai Capiscuola» rispose questi. «Appena abbiamo potuto, siamo venuti a cercarti».

Fera fece un enorme sorriso. All’improvviso dimenticò le preoccupazioni che l’avevano crucciata due ore prima. «Temevo di dover stare da sola per tutto il tempo…».

«Sei proprio sciocca. Scusa, bimba, mi serve che ti scansi». Con un gesto, Catherine fece spostare una delle undicenni e si sedette davanti a Fera. «Perché non sei venuta con noi? Non hai incontrato almeno Percy?».

«Beh, sì, ma lui ha detto che…».

«E ti pareva! È sempre colpa di Percy!» sentenziò Catherine, rialzandosi di scatto. «Andiamo, ti porto nel nostro vagone».

«Amore, non credo sia possibile…» tentò di dire Paul. Quel ragazzo era dolcissimo, ma assolutamente impotente di fronte alle decisioni della sua fidanzata, la quale infatti lo ignorò per rivolgersi alle ragazzine. «Bimbe…» iniziò a dire.

«Bimba sarai tu!» le rispose Millicent.

«Sì, sì, adesso fa' parlare l’adulta. Noi lasciamo qui il bagaglio della mia amica: fategli la guardia e io vedrò di non togliere troppi punti alle vostre future Case. Tutto chiaro?».

Fera e Paul si scambiarono un’occhiata rassegnata. Catherine poteva anche essere una dolce e amichevole Tassorosso, ma nessuno riusciva mai a superare la sua forza di volontà.

 

Il primo dei due vagoni riservati a Prefetti e Capiscuola era esattamente uguale a tutti gli altri; da quel punto di vista, sembrava che gli amici di Fera non godessero di particolari privilegi.

«Eccoci qua». Catherine spalancò uno scompartimento e fece cenno all’amica di entrarvi. «C’è giusto il posto per un’altra persona».

«Permesso?» domandò Fera, automaticamente. Alla sua sinistra trovò seduto Percy, che sembrava assorto in una fitta conversazione con Penelope Light: quando lui la vide entrare, sulle prime parve contento, poi assunse un’aria severa.

«Questi vagoni sono solo per i Prefetti!» sbottò.

«Silenzio, tu. Come hai potuto abbandonare la nostra amica?!» lo rimproverò Catherine, con aria drammatica. Percy lanciò un’occhiataccia a Fera mentre entrava, e lei, con la massima noncuranza, si passò il dito medio sul naso in modo che lui lo vedesse. Solo dopo aver salutato anche Penelope, notò l’altro occupante dello scompartimento.

«Ehi» la salutò Ed, con lo stesso enorme sorriso di prima. «Com’è piccolo il mondo, eh?».

«L’Espresso per Hogwarts lo è ancora di più» rispose Fera, sentendosi avvampare senza motivo. Si sedette di fronte a lui; per un po’ ascoltò Catherine ciarlare delle ultime due ore trascorse tra istruzioni e regolamenti, ma ad un certo punto Ed si chinò verso di lei. «Posso chiederti una cosa?».

«Certo» disse Fera.

«So che è stupido, ma… Hai un nome strano, e mi sono sempre domandato…».

Fera trattenne una risata. «Me lo dicono spesso, sì. Per farla breve: i miei genitori erano indecisi tra Fey e Clara, quindi hanno trovato una via di mezzo».

Doveva essere la millesima volta che raccontava quella storia. Tutti le domandavano da dove sbucasse quel nome insolito, se fosse tipicamente babbano o se si trattasse di un diminutivo… L’unico a non averle mai chiesto spiegazioni era Percy, ma lui era un caso a parte.

Ed sembrò molto divertito dalla storiella, e per un po’ chiacchierò con Fera del più e del meno. Chissà come mai non si erano frequentati, a scuola; doveva essere a causa della differenza di età, altrimenti Fera non comprendeva perché non avessero legato prima. Parlare con lui era così gradevole…

«Ehi, avete letto il Profeta in questi giorni?» chiese a un tratto Penelope, rivolta a tutti i presenti. «Pare che…».

«Ti riferisci all’effrazione nella Gringott, vero?» intervenne Percy. «Incredibile, no? Voglio dire, dovrebbe essere il posto più sicuro al mondo… È inconcepibile. E i goblin sdrammatizzano! Che c’è?» chiese bruscamente a Fera, accorgendosi che questa lo fissava.

«Ti ho mai presentato mio padre, Perce?» domandò lei.

«Tuo… padre? Mi pare proprio di no».

«Controllavo soltanto». Mosse una mano in un gesto che indicava di proseguire col discorso.

«In realtà,» riprese Penelope, «mi riferivo al fatto che quest’anno dovrebbe esserci anche Harry Potter, a scuola».

«Harry Potter?» fece Paul. «È già ora?».

«Fantastico!». Catherine congiunse le mani. «Finalmente, essere più piccola delle mie sorelle porta a qualcosa di buono… Io andrò a scuola con Harry Potter, e loro no! Oh cielo,» si portò le mani al viso, «potrei essere Prefetto della Casa di Harry Potter!».

«Perché, secondo te sarà smistato in Tassorosso? Il bambino che ha sconfitto Voi-Sapete-Chi, a Tassorosso?».

L’occhiata furiosa di Catherine raggelò Penelope. «Ha il venticinque per cento di probabilità di essere smistato a Tassorosso: sperarci è più che ragionevole, no?» osservò seccamente.

«Potrebbe anche essere un Corvonero,» intervenne Paul, per stemperare l’atmosfera. «Sono secoli che un personaggio importante non passa per la nostra Casa… Sarebbe un onore».

«Sono d’accordo, Corvonero sarebbe una scelta sensata… Almeno rispetto a Tassorosso» disse ancora Penelope. Con la coda dell’occhio, Fera osservò le reazioni di Catherine: la fronte corrugata e le labbra arricciate indicavano, senza ombra di dubbio, che Penelope si era appena guadagnata tutto il suo odio.

«Non è una questione di scelta: Harry Potter verrà smistato in base al suo carattere, tutto qui». Ed accennò un sorriso verso Fera, quando la vide attenta alle sue parole. «Se ha attitudini da Tassorosso andrà in quella Casa, se risulterà più Corvonero, invece…».

«Bello notare come abbiate escluso Grifondoro dalle vostre illazioni». Un verso esasperato provenne da Fera, in risposta all’osservazione di Percy. Questi insistette: «Beh? È vero. Non esistono solo le vostre Case».

«Giusto, ma sei in minoranza, quindi zitto» disse Fera, facendogli poi la linguaccia. «Comunque, nessuno di voi ha pensato allo scenario più interessante».

«Ossia?».

«Se finisse a Serpeverde».

Un silenzio di tomba calò nello scompartimento. «Non oso immaginare,» disse infine Paul, «quanto diventerebbero insopportabili i Serpeverde, se Potter finisse nella loro Casa».

Tutti quanti convennero. I membri della Casa di Salazar erano già abbastanza pieni di sé: non avevano bisogno di un ulteriore motivo a sostegno della loro superiorità.

 

*****

 

Per la barba di Merlino, muovetevi.

Lo stomaco di Med gorgogliava, ma la tradizione andava rispettata: niente cena finché lo Smistamento non fosse finito. Il guaio era che non era neanche iniziato.

Se solo avessi preso qualcosa dal carrello...

Rimpiangeva di non aver mangiato niente sull'Espresso per Hogwarts, tanto era arrabbiata con Lobelia e Grace – che, seduta accanto a lei, continuava invano a esaminarsi le tasche in cerca di residui di Pallotti Cioccocremosi. No, più che arrabbiata Med si era innervosita e questo costringeva il suo cervello ad arrovellarsi in cerca della verità.

Il terzo anno per lei era stato terribile: la pubertà era una brutta bestia, ma vedersi spuntare peli da ogni dove era stata la cosa peggiore. C'era chi pensava che le avessero gettato una maledizione, perché a distanza di tre giorni le sopracciglia tornavano a nasconderle quasi completamente gli occhi castani, mentre un accenno di barba le spuntava dal mento. Med aveva provato con tutto, finché sua madre non aveva deciso di portarla al San Mungo e farle fare un Incantesimo Anti-Ricrescita. Peccato che ciò fosse accaduto non appena aveva rimesso piede a casa, qualche mese prima, quando sua madre aveva appurato lo stato effettivo delle sue sopracciglia cespugliose; prima di allora, non c'era stato verso di trovare una soluzione e mettere a tacere le voci – probabilmente messe in giro da qualche compagna di dormitorio – sul suo reale sesso biologico.

Med si era sfogata nel modo che preferiva, strafogandosi di pudding e roast beef come sempre, senza immaginare che anche il suo metabolismo dovesse essere cambiato. Nel giro di cinque settimane era ingrassata di due taglie e la situazione era andata peggiorando; prima del termine delle lezioni aveva rischiato di fare invidia a Grace, ma fortunatamente l'arrivo dell'estate era stato provvidenziale.

Il primo settembre Med non aveva – né avrebbe più avuto – peli di troppo sul viso e, sebbene il suo fisico non fosse tornato a essere quello di una ragazzina, la dieta l'aveva resa una donna. O era ciò che suo padre diceva quando Med si lamentava di avere ancora un sedere troppo grande.

Alla fine della giornata Med era giunta a una conclusione: qualcosa era cambiato nel modo in cui i ragazzi la guardavano, se ne rendeva conto dagli sguardi che ricevette anche da un paio di Corvonero. L'idea, tuttavia, che Adrian si fosse preso una cotta per lei continuava a disturbarla: Med era sempre la stessa persona, come poteva vederla in un altro modo?

Si riscosse dai propri pensieri nel momento in cui nella Sala Grande scese il silenzio: la professoressa McGranitt teneva in mano un rotolo di pergamena, pronta a iniziare lo Smistamento.

Finalmente.

«Abbott, Hannah!».

Codini biondi: troppo facile.

«Tassorosso» mormorò Med un attimo prima che il Cappello Parlante ripetesse la stessa parola.

Era uno dei suoi giochi preferiti: gettava un rapido sguardo ai nuovi studenti, ipotizzava la loro Casa e la maggior parte delle volte ci azzeccava in pieno. Fino all'anno precedente ci aveva giocato con Louis, ma ora le toccava indovinare da sola perché Lobelia e Grace non avrebbero mai trovato il gioco interessante quanto "Purosangue o Mezzosangue".

Indovinò un altro Tassorosso e due Corvonero, ma giocare da sola era noioso. All'improvviso alle sue spalle udì: «Grifondoro».

Era così stupita che non fece nemmeno una propria ipotesi per «Brown, Lavanda». Voltandosi, scoprì che Grace aveva scambiato il proprio posto con il fratello. Sembrava una persona diversa rispetto a quella che aveva visto sul treno e quel giorno d'estate a casa dei Pucey; sembrava, a dire la verità, l'Adrian che aveva sempre conosciuto con il suo tipico sorriso genuino e la fossetta sul mento – nonostante quello strano rossore sulle guance. Guardandolo meglio, Med si accorse che qualche cambiamento c'era stato: Adrian era più alto di lei, lo notava anche se erano seduti, e intorno alla bocca sottile era spuntata una manciata di peli.

Perché la pubertà dev'essere così semplice solo per i maschi?

«Non si gioca così?».

Doveva essere rimasta a fissarlo per un po', perché la voce della McGranitt aveva appena annunciato: «Finnigan, Seamus!». Si riscosse e assunse la tipica aria altezzosa dei Serpeverde – quella che preferivano mostrare quando venivano colti in fallo.

«Grifondoro» si limitò a dire, indicando con un cenno del capo il ragazzino che aveva appena indossato il Cappello Parlante.

«Tu dici? Mi sembra più Tassorosso...».

«Fidati, è Grifondoro».

Ebbero tutto il tempo di discutere della futura casa di Finnigan perché il suo Smistamento durò quasi un intero minuto; come indovinato da Med, il Cappello urlò: «GRIFONDORO!».

«Si vede dagli occhi» spiegò lei. «Quel Finnigan ha l'aria di far saltare l'intera scuola per farne una delle sue».

«Granger, Hermione!».

«Questa è Corvonero».

«Io dico Grifondoro» ipotizzò Adrian.

«Stai scherzando? Ha già l'espressione da prima della classe!».

Il Cappello, tuttavia, diede retta ad Adrian. Med strinse le palpebre, ma si stava cominciando a divertire. Indovinò tutti gli altri finché non giunsero a «Paciock, Neville»; quando il ragazzino cadde, Med sogghignò.

«Mi pare di averlo già visto a King's Cross, quello. Sicuramente Tassorosso.»

«Grifondoro» la corresse Adrian.

Med sollevò un sopracciglio. «Ma l'hai visto? Cos'avrebbe quel ciccione di coraggioso e... spericolato?». La sua bocca rimase aperta, tuttavia, quando il Capello smistò lo studente a Grifondoro.

«I genitori» rispose Adrian con un sorriso. Il rossore gli era quasi del tutto sparito dalle guance. «I Paciock discendono da una lunga stirpe di Purosangue e Grifondoro, non fidarti delle apparenze».

Dopo Paciock vennero un paio di Serpeverde, tra cui Malfoy, e finalmente fu il turno di Theo. Su di lui Med non aveva dubbi e il suo applauso fu il più fragoroso quando, con un enorme sorriso sul volto, il fratello di Louis venne Smistato a Serpeverde. Anche Pansy dovette raggiungere il tavolo della sorella, ma Med non si diede la pena di battere la mani nemmeno una volta.

Lei e Adrian stavano ancora discutendo dell'incredibile avvenimento appena accaduto – due gemelle Smistate in Case diverse - quando tutti i mormorii che avevano attraversato la Sala Grande si interruppero. La McGranitt aveva chiamato un nuovo nome, e non uno qualsiasi.

«Potter, Harry!».

Un ragazzino mingherlino, occhialuto e con una massa di disordinati capelli neri si stava avvicinando al Cappello Parlante. Sembrava una persona qualunque, ma il suo nome lo tradiva.

«È lui?» Med udì qualcuno mormorare al suo tavolo. «Potter... è lui?».

Nessuno dei due Serpeverde ipotizzò la sua futura Casa. Med lo fissava in silenzio, chiedendosi come fosse possibile che quel bambino, al tempo solo un neonato, avesse potuto sconfiggere il più potente mago oscuro di tutti i tempi. Sembrava così... comune, uno di quegli studenti a cui passare accanto senza accorgersi della loro presenza. Un bambino qualsiasi e, al contempo, il più famoso di tutta la comunità magica.

«GRIFONDORO!».

Il Cappello ci mise un po', ma alla fine fu quella la sua decisione. Il tavolo di Grifondoro scoppiò in applausi e grida di felicità, e uno di quegli stupidi dei Weasley si alzò per stringergli la mano. Le venne da vomitare.

Il gioco continuò per pochi altri nomi, ma lo sguardo di Med continuava a tornare al tavolo di Grifondoro – così come quello di gran parte degli studenti. Non riusciva a trovare una risposta.

 

*****

 

L’arrivo a Hogwarts fu festoso e caloroso come sempre. Fera non invidiava proprio i ragazzi di primo anno costretti ad affrontare il lago in barca, per quanto quella sera il tempo fosse splendido: non una nuvola oscurava le stelle. Si incantò a guardare il soffitto della Sala Grande, la cosa che più amava in assoluto della scuola, e pensò che non era troppo diverso da quando l’aveva visto per la prima volta.

«I primini ci stanno mettendo un sacco,» sussurrò Penelope, seduta accanto a lei. «Qual è il problema? Perché non iniziano?».

Fremeva d’impazienza, e il motivo era uno solo: la curiosità. Quasi tutte le persone sedute nella Sala attendevano il momento in cui avrebbero visto, per la prima volta, il leggendario Harry Potter.

Si trattava, per lo più, di figli di maghi, cresciuti con il racconto della sconfitta di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato da parte di un neonato dagli straordinari poteri; da parte sua, Fera aveva solo letto qualcosa sui libri di storia magica contemporanea, ma non poteva negare che l’attesa rendesse vagamente ansiosa anche lei.

Ci volle ancora un minuto prima che la porta della Sala Grande si spalancasse, lasciando entrare i nuovi arrivati. Sebbene avessero solo quattro anni meno di lei, a Fera parvero piccolissimi. Dalla sua posizione non li vedeva molto bene, ma quando si fermarono intravide subito una chioma rosso brillante, e ricordò le lettere in cui Percy le parlava del fratello minore prossimo a iniziare la scuola.

«Vedi quello lì?» disse, dando di gomito a Penelope. «È il fratello di Percy. Gli somiglia, non trovi?»

«Oh! È vero, gli assomiglia un sacco. Com’è carino!».

Non era “carino” il termine che Fera avrebbe usato, semmai “spaesato”, ma lasciò stare. Cercò di seguire lo Smistamento: dopo i primi, tuttavia – tra cui la Millicent incontrata in treno, che fu mandata senza sorpresa a Serpeverde – fu difficile non cedere alla noia. L’attenzione si risvegliò quando un certo “Paciock, Neville” rimase sotto al Cappello per quasi due minuti, e tornò del tutto quando, dopo “Perks, Sally Anne”, fu chiamato “Potter, Harry”.

Un fitto brusio accompagnò il piccolo Harry verso lo sgabello. Lui che era piccino: mingherlino, coi capelli sparati in ogni direzione, gli occhiali storti e i vestiti che lo facevano apparire ancora più magro. A Fera, più che curiosità, ispirò tenerezza.

«Ma quello… non sembra Harry Potter» commentò Penelope, evidentemente delusa dall’aspetto del leggendario bambino.

«Che ti aspettavi, Arnold Schwarzenegger?» avrebbe voluto chiedere Fera, ma tenne per sé la citazione babbana e guardò il Cappello calare sulla fronte del bambino.

E se fosse finito nella sua Casa? Paul aveva ragione, per Corvonero sarebbe stato un grande lustro. D’altra parte, era come diceva Ed: dipendeva dal suo carattere, non da altro.

Dopo qualche lungo secondo, in cui si potevano sentire i ritratti stessi respirare, il Cappello emise il verdetto a gran voce.

«GRIFONDORO!».

Fera sobbalzò, mentre il tavolo rosso e oro esplodeva. D’istinto, la ragazza cercò con lo sguardo Percy, e quando lo vide sorrise: il suo amico si era alzato in piedi per dare personalmente il benvenuto a Harry nella sua Casa.

«Per Circe,» mormorò tra sé, «adesso ci rinfaccerà per secoli il fatto che il grande Potter è un Grifondoro come lui».

In fondo, però, non le dispiaceva; e quando Percy guardò raggiante nella sua direzione, si congratulò in silenzio alzando un pollice.

  
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