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Autore: pervinca anthea    02/04/2016    2 recensioni
Era la prima volta che parlavamo da una stanza all’altra, attraverso la parete, probabilmente perché il suo letto era dall’altra parte della stanza. Mi domandai se Annie avesse modificato la posizione nei mobili, nel tempo che era vissuta lì. Era casa mia, quella, eppure da quando era approdata lei e quel dirigibile tra quelle mura, non avevo più fatto ritorno in quella stanza che, di fatto, mi apparteneva. Diciassette giorni erano diventati venti, poi ventiquattro, ed ora, in qualche modo, eravamo arrivate ad un mese. Se c’era qualche segnale che le cose potessero tornare alla normalità, che Annie potesse far ritorno al Quattro e che la sua mente potesse trovare la tranquillità persa, non me ne era accorta affatto.
[ Post!Mockingjay - Johanna/Annie!friendship - 969 parole ]
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Storia di un'abbandonata solitudine

L’oscurità avvolgeva la zona nel silenzio, la vista del soffitto ingiallito in più punti mi teneva compagnia in quella notte di insonnia pregressa.  L’aria fresca, filtrante dalla finestra aperta, donava una fresca brezza al mio volto accaldato, stanco, mentre l’odore pungente dei pini e di tutti gli alberi che circondavano la mia abitazione mi invadevano le narici, inebriandomi.
Un mormorio mi giunse alle orecchie, nel vuoto della mia stanza, nel silenzio in cui la casa era piombata ormai da ore. Per un lungo istante rimasi sdraiata, fissando il soffitto e tentando di contare quante macchie si contendessero il bianco pallore della vernice, chiedendomi se quel brusio non fosse stato solo ed unicamente frutto della mia mente stanca e provata.
Poi sentii bussare.
Rimasi immobile, tendendo le orecchie in ascolto di quel leggero rumore,  finché la voce che precedentemente avevo udito si ripeté: « Jo? ».
Mi guardai un attimo intorno, aspettando di veder sbucare tra le ombre del mobilio una folta chioma rossiccia/castana, la cui pancia era ormai simile ad un dirigibile – o almeno, così mi divertivo a soprannominarla –. Ma lei non c’era e, solo quando quel sussurro si ripeté di nuovo, mi resi conto da dove provenisse. Un grugnito scocciato si palesò, più rude e forte rispetto al lieve e delicato sussurro giunto da dietro la parete, in tutta risposta al sottile brusio della donna, come a volerle far capire di essere sveglia – ed in ascolto.
« Sei sveglia? »
Di nuovo, un grugnito mi grattò la gola nel momento in cui riempì la stanza, in un ulteriore risposta a quella domanda, che non impiegai più di due minuti per catalogare come stupida ed insensata.
« Non vorrei esserti di disturbo, né tantomeno d’intralcio, ma ho bisogno di parlare con qualcuno e tu sei probabilmente l’unica persona che mi sia rimasta»
Non potevo vederla ma, nel dubbio delle sue parole, sapevo per certo che si stesse accarezzando il ‘’ dirigibile ‘’. Era la prima volta che parlavamo da una stanza all’altra, attraverso la parete, probabilmente perché il suo letto era dall’altra parte della stanza. Mi domandai se Annie avesse modificato la posizione nei mobili, nel tempo che era vissuta lì. Era casa mia, quella, eppure da quando era approdata con quel dirigibile tra le mie mura, non avevo più fatto ritorno in quella stanza che, di fatto, mi apparteneva. Diciassette giorni erano diventati venti, poi ventiquattro, ed ora, in qualche modo, eravamo arrivate ad un mese. Se c’era qualche segnale che le cose potessero tornare alla normalità, che Annie potesse far ritorno al Quattro e che la mia mente potesse trovare la tranquillità persa, non me ne ero accorta affatto.
« E’ tardi. Qualcosa non va? »
Tagliai a corto, non avendo voglia di sorbirmi un sermone su Finnick e quanto le mancasse, ma preparandomi comunque psicologicamente ad esso.
« Faccio lo stesso sogno ogni notte. Riguarda Finnick. »
Restai in ascolto, riuscendo a riportare nella mia mente le sfumature della sua chioma, la forma della sue labbra non appena le sue corde vocali si tendevano per pronunciare quel nome, che feriva le mie orecchie e metteva in atto l'impulso di stringere forte gli occhi, come ad allontanare un dolore insopportabile. Sentii lacrime amare pungermi i bordi delle palpebre inferiori ma, decisa a non lasciare al dolore la vittoria di avermi – nuovamente – sopraffatta, ripetei nella mia mente non piangere tante di quelle volte che pensai di averlo pronunciato persino a voce.
Lei restò in silenzio, però, facendomi pensare – e sperare – che si fosse addormentata, e sarebbe finita così, mentre, inaspettatamente, una morsa mi stringeva lo stomaco. Poi la sentii rispondere: « E’ insieme un bel e un brutto sogno. Intendo dire, inizia bene, con Finnick che mi mostra le movenze e le tattiche per un carpiato perfetto, svelandomi i trucchi per riuscire a trattenere il fiato sott’acqua più a lungo…Ma per quanto cominci in modo tranquillo, il sogno finisce sempre male. E’ così, purtroppo, per la maggior parte delle cose della vita, o perlomeno della mia vita. »
Di nuovo silenzio, ma questa volta non mi illusi neanche e, infatti, dopo qualche istante la sua dolce voce tornò a riempire la stanza. « Probabilmente andrà così anche con questo periodo che sto trascorrendo con te … anche se non è quello che voglio. Non è quello che voglio, Jo. »
Non sapevo cosa rispondere, quelle sue parole mi avevano toccato più nel profondo di quanto avrei mai pensato, che sia per la loro ingenuità che per l’immenso dolore che celavano, così tornò il silenzio. Cercai di immaginarmela, Annie, dall’altra parte del muro. Aveva davvero spostato il letto come credevo, o era semplicemente inginocchiata lì, con quella camicia da notte azzurro cielo, fin troppo lunga per il suo corpicino piccolo e snello, che a tratti, quando camminava, andava ad impigliarsi sotto il suo tallone? Non lo scoprii mai, perché di lì a poco scivolai nel sonno, come doveva aver fatto anche lei – visto che il suo dolce parlare non mi fu più udibile, almeno per quella notte.
 Il giorno successivo non parlammo di Finnick, né quello dopo ancora, nonostante in quella casa persino i silenzi parlassero di lui. Mi limitai a delle battutine sarcastiche, facendo della sua risata lieve la mia consolazione, del suo pianto sommesso la mia spina nel fianco, dei suoi abbracci sempre più frequenti il mio rifugio preferito.
E un mese di sarebbe trasformata in due, poi in un anno e così via finché lei vorrà, la sua permanenza con me, anche per sempre. 
Perché mio padre non faceva che ripetermi quanto un'assenza unisse più di una presenza, e forse solo adesso, con Annie, mi apprestavo a cogliere il reale significato di quelle sagge e sussurrate parole paterne.


 
   
 
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