I’ll
stand by you
Era stato il freddo a svegliarlo nel cuore della notte,
più di qualunque altra cosa.
Un brivido che gli aveva attraversato gambe e schiena lo
aveva fatto ridestare, e così Paul, mormorando distrattamente a occhi chiusi,
aveva afferrato la coperta e l'aveva riportata più in su, così che potesse
compiere il suo lavoro.
Poi si era rigirato nel letto, cercando un po' del calore
che aveva perduto, cercandolo nell'uomo che si era addormentato accanto a lui.
Il braccio scivolò sul lenzuolo del materasso, ma dove
avrebbe dovuto esserci John c'era il vuoto.
E questo lo convinse ad aprire gli occhi.
John non c'era.
La realizzazione lo svegliò di colpo, e Paul si sollevò a
sedere, cercando di mettere a fuoco la sua camera da letto immersa nel buio.
Vide la porta del bagno socchiusa e pensò che John potesse essere proprio lì.
Senza pensarci due volte, senza pensare al fatto che
forse John volesse un po' di privacy in bagno, Paul si alzò.
Rabbrividì quando la coperta scivolò dal suo corpo e i
suoi piedi toccarono la moquette. La temperatura della stanza era piuttosto
bassa, tutta colpa di quel congegno infernale conosciuto meglio come
condizionatore. Era la prima volta che ne trovavano uno in un albergo e già lo
detestava. Troppo freddo per i suoi gusti.
Così decise di mettersi in movimento e si diresse verso
il bagno.
Cercò di avvicinarsi in silenzio, con passo felpato, come
un predatore che punta la sua preda. E quando arrivò alla porta che divideva la
camera dal bagno, trattenne il fiato e sbirciò dallo spiraglio.
Diverse cose di ciò che vide lo sorpresero: la luce non
era accesa e il bagno era illuminato solo dal chiaro della luna piena che
filtrava dalla finestra; per non parlare di John immerso nella vasca da bagno.
Che senso aveva fare un bagno a quell’ora della notte?
Non lo sorprese invece sentire John piangere. Non lo sorprese
affatto e non perché fosse qualcosa che avveniva spesso. Al contrario, John si
lasciava andare assai di rado in quel modo, e ancor più rare erano le volte in
cui a Paul era permesso assistere.
In realtà ora come ora non aveva ottenuto il permesso. Stava
in effetti spiando John. Ma non gli importava perché era certo che John in
fondo, dentro di lui, lo volesse con sé.
Soprattutto perché Paul temeva di sapere cosa lo stesse
turbando.
Non che bisognasse conoscere John come lo conosceva Paul
per capirlo. Dopotutto era sui giornali di mezzo mondo ciò che stesse sconvolgendo
John. Da parecchi mesi, ormai. Troppi, per Paul.
La faccenda del “Siamo più grandi di Gesù” era conosciuta
anche da chi non era loro fan. Il che la diceva lunga su quanto fosse stupido e
inutile tutto questo pandemonio. Non conoscevano John, non sapevano esattamente
cosa passasse nella sua testa quando aveva rilasciato quell’intervista.
Ma ciò che più di qualunque altra cosa mandava su tutte
le furie Paul era che avessero completamente decontestualizzato quella
dichiarazione, facendo passare John come un megalomane montato che se la tirava
e si credeva Dio sceso in Terra, il nuovo Messia pronto a spodestare Gesù
Cristo dalla destra del Padre e fare i suoi porci comodi sul suo trono.
Ma vaffanculo proprio!
Come potevano assillare John con quella storia? Proprio
l’America, che era sempre stato il loro sogno diventato realtà naturalmente.
In quel momento Paul odiava così tanto quel paese che a
stento riusciva a comportarsi come se nulla fosse successo. Doveva davvero
raccogliere tutte le sue forze per continuare a essere il solito Paul, il Beatle carino, quello che faceva impazzire il pubblico con
un semplice ammiccamento.
Gli risultava difficile e sapeva che sarebbe stato un
tour molto, molto duro per tutti loro. Poteva andare in giro a dire che non era
così, che sarebbe stato grandioso come tutti gli altri loro tour precedenti, ma
Paul temeva che la pressione li avrebbe messi a dura prova, primo fra tutti
John.
Difatti eccolo lì, in una vasca da bagno di uno stupido
hotel della stupida Chicago, a piangere come se non ci fosse un domani.
Paul non poteva permetterlo, anche se avere a che fare
con questo John sarebbe stato complicato.
“Bagno notturno, John?” domandò aprendo di più la porta.
John sussultò e si voltò brevemente verso di lui per
sbottare, “Vai via.”
Ma Paul non lo ascoltò ed entrò nel bagno.
“Sei sordo, forse?” esclamò John, quasi ringhiando.
Paul si infilò un dito in un orecchio per pulirlo meglio,
“No, non credo.”
“E allora cosa cazzo non hai capito di vai via?”
John accompagnò la domanda schizzando improvvisamente
Paul con l’acqua, che non ebbe i riflessi abbastanza pronti per indietreggiare.
Risultato: il suo bellissimo pigiama si inzuppò. Fantastico, ora avrebbe preso
il raffreddore con quel freddo da cani.
Ma ok, andava bene lo stesso. Era abituato alle sue reazioni
particolarmente accese e non gli serviva un ombrello per difendersi da quella
tempesta di nome John Lennon. Sapeva che sarebbe riuscito a gestirlo anche
stavolta. Aveva la scorza dura ormai.
“Beh fino a prova contraria questa è anche camera mia e
questo è anche il mio bagno, pertanto sono liberissimo di usarlo quando mi pare
e piace.”
John per tutta risposta lo schizzò di nuovo e Paul
scoppiò a ridere, prima di inginocchiarsi accanto a lui sul pavimento ora
bagnato.
“Guarda che appena esci dovrai stare molto attento a non
scivolare, sai? Non vuoi avere una commozione cerebrale nel bagno di uno
stupido hotel, vero?”
Paul gli sorrise e incrociò le braccia sul bordo della vasca, mentre John lo fissava apatico, prima di distogliere
lo sguardo e scrollare le spalle con noncuranza.
“Tanto, sai che me ne importa? Almeno non rischierò di
dire altre stronzate e incasinare la vita di tutti.”
Paul sospirò, appoggiando il mento sulle sua braccia, “E’
per questo che sei triste e stai piangendo?”
“Non sto piangendo, coglione. Non vedi che sono in una
vasca da bagno?” rispose John, schizzando un po’ d’acqua sul suo viso.
Paul chiuse gli occhi d’istinto, prima di asciugarsi il
viso con una mano e tornare a guardarlo attentamente.
Ma certo che stava piangendo, e Paul avrebbe riconosciuto
le sue lacrime anche se fosse stato sotto la pioggia incessante.
Le lacrime di John erano perfettamente riconoscibili da
semplici gocce d'acqua. C'era una differenza sostanziale. Sembrava che in loro
vi fosse rinchiuso il dolore che provava John a essere John. E quel dolore Paul
lo conosceva bene: avrebbe tanto voluto cancellarlo, avrebbe voluto dirgli che
lui ringraziava il cielo cento volte al giorno perché John fosse John, ma era
sicuro che niente di tutto questo gli avrebbe fatto cambiare idea.
“John, non devi vergognarti di piangere.”
“Cristo Santo, Paul, non sto piangendo.” borbottò John,
abbracciando le gambe e stringendole al suo petto.
“Va bene, allora, non devi vergognarti di piangere di
fronte a me.”
Paul si morse il labbro, allungando una mano per provare
a farlo voltare verso di sé, ma John si sottrasse al suo tocco.
“Non sto-”
“Sì, sì, ho capito, non stai piangendo.” esclamò Paul,
riportando la mano sul bordo della vasca, “Ma se lo stessi facendo, sai, non ci
sarebbe niente di male.”
“Invece sì. È da femminucce.” ribatté, continuando
imperterrito a evitare il suo sguardo.
“John, certe volte penso che ti crei davvero troppi
problemi da solo nella tua testa.”
John non rispose subito, sembrò metabolizzare a fondo le
parole di Paul, prima di affrontarlo finalmente faccia a faccia e sbattere le
mani sull’acqua, provocando altri schizzi.
“Ah davvero? Pensi che tutto questo fottuto casino me lo
sia solo immaginato? Che sia solo una cazzata?”
“E’ una cazzata, John, ma non è colpa tua.” rispose Paul,
alzando la voce.
Fanculo, che li sentissero pure tutti in quel maledetto
albergo!
“Sono stato io a dire quelle cose e sono stato io a
dovermi scusare oggi. O forse non te ne sei accorto, perché eri troppo preso da
chissà quali pensieri del cazzo?”
John si avvicinò lui per afferrargli il mento con forza,
ma Paul ebbe abbastanza forza per scrollarselo di dosso.
“Fanculo, John, ero lì con te. Hai dovuto scusarti, è
vero, ma solo perché sono delle grandissime teste di cazzo bigotte e insulse.
Hai fatto quello che dovevi fare, quello che avrebbe fatto chiunque con un
briciolo di senno in più di loro.”
“Ma non era giusto, non dovevo scusarmi, cazzo, non ho
detto niente di sbagliato io.”
“E allora arrabbiati e tira fuori tutto. Chiunque al tuo
posto sarebbe arrabbiato. Io sono furioso per quello che ti hanno detto, avrei
fatto a tutti un culo così se avessi potuto. Ma non m’importa di loro, non
meritano la nostra attenzione, non sono niente per noi. Mi importa solo di te e
vorrei che capissi che non devi tenere tutto qui dentro.” gli spiegò Paul,
dolce e risoluto, picchiettandogli gentilmente la testa, “Non trattenerti, non
con me.”
John continuò a fissarlo con gli occhi pieni di lacrime e
le guance bagnate e la confusione che aleggiava come un fantasma terrificante
su tutto il suo viso. Eppure per Paul non era mai stato più bello di così, più
bello di quel momento in cui era ancora il suo John, quello che solo lui
riusciva a vedere.
Perciò non si sorprese quando John gli afferrò il polso,
trattenendo con forza la sua mano vicino al suo viso.
“E non hai paura?”
Paul sorrise, scuotendo il capo a occhi chiusi, “Dopo
tutti questi anni? Non potrei mai avere paura di te.”
E finalmente John sospirò e la sua presa sul polso di
Paul si fece più gentile, segno che la tensione e le preoccupazioni stessero
lentamente abbandonando il suo corpo. O perlomeno che si stessero spegnendo,
almeno fino al prossimo problema, l’ennesimo che avrebbero affrontato insieme.
“Sarà un tour difficile, vero?”
Paul annuì sinceramente, lasciando che la sua mano
vagasse tra le ciocche bagnate dei capelli di John per attirarlo a sé e far
incontrare le loro fronti.
“Il più difficile. Ma non devi preoccuparti.”
“E se sbagliassi ancora?”
“Allora sbaglieremo insieme.”
“E se-?”
Paul lo interruppe baciandolo appassionatamente per
allontanare una volta per tutte i suoi dubbi. Dio, aveva voluto baciarlo dal
primo momento in cui aveva udito le sue lacrime e cercò di comunicarglielo solo
con quel gesto.
“Non avere paura, John.” sospirò sulle sue labbra,
avvolgendo le braccia intorno al suo collo e stringendolo dolcemente a sé,
“Sarò sempre con te.”
Fu palpabile quando John si rilassò definitivamente: il
suo corpo si riscaldò tra le braccia di Paul, e le sue mani cercarono la
maglietta di Paul aggrappandosi a lui come per non cadere più.
“Paul?”
“Mm?”
“Grazie.”
“Non c’è di che.”
“Oh, e Paul?”
“Cosa?”
“Potresti stare con me anche nella vasca ora?”
Note
dell’autrice: uah,
cioè… ho appena realizzato che dopo questa sono a -1 dalle 80 fanfiction scritte sui Beatles. Scusatemi tantissimo per
avervi ammorbato con tutta sta robaccia. Ahaha,
piango. x’D
Mi tengo i discorsoni per le 100 ff…
o per le 80, lol. Vedremo.
Intanto pensiamo a questa. Ricordo che avevo iniziato a
scrivere questa os tipo un annetto fa, in un momento
in cui mi ero fissata con la canzone omonima. :3 Poi non sapevo bene come
continuarla, senza farla diventare la solita ff da kia, e l’ho abbandonata.
Ieri comunque stavo vedendo la Beatles anthology e mi ha colpito molto tutta la parte di sto
casino dovuto alla dichiarazione di John, e ho pensato di provare a inserirla
in questa. E niente, questo è il risultato. :D Non è il massimo della vita, ma
mi sto dedicando al sequel di I’ll get you, quindi sono un po’ presa
da quello al momento. Ahaha.
Ok, grazie come sempre ad Anya per il betaggio
e per l’amicizia e per essermi venuta a trovare nel periodo di Pasqua
rendendomi tanto tanto tanto felice. <3 Giorni meravigliosi. :3
Grazie a Claudia, Chiara e Paola perché sono super dolcettine e sempre presenti. :3
A presto <3
kia