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Autore: Fannie Fiffi    13/04/2016    2 recensioni
[Bellamy Blake; 3x10]
Se con Octavia la tua vita è iniziata, è solo giusto che con lei finisca. Stai morendo, Bellamy.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellamy Blake, Octavia Blake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Hero of the Story'
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Hold back the fear,

hold back the melancholy

It's a crime


Sometimes I can taste my death

like a candy bar

so sweet and complete

as infinity takes me



Quiet The Mind, IAMX










Sei tu.

È chiaro e limpido davanti ai tuoi occhi, impresso a lettere cubitali nella tua mente, misto al sangue che ti esce dalla bocca, dal naso, che ti sporca il volto.

Sei sporco e sei tu.

Non i Grounders. Non Pike. È colpa tua perché gli hai permesso di avere questo potere. Di manipolarti ed entrarti nella testa quando tutti gli altri ti hanno voltato le spalle.

Il primo pugno non fa male. Sei sicuro che a questo punto nulla possa farti male – far male davvero, simile a quell’acido che senti fermentare nello stomaco e bruciare fra le pareti della gola ogni volta che ti ripeti che Lincoln è davvero morto e non è lì e non c’è nessun altro da biasimare – ne sei sorpreso, tutt’al più.

Gli altri scattano, si muovono attorno a voi senza dire una parola, e l’unico rumore in quella caverna sono i singhiozzi di Octavia e il suo pugno contro la tua faccia.

I tuoi occhi sono spalancati, ma non hai paura. Non sei arrabbiato. Sei solo disperato.

Vi guardate per un attimo senza curarvi di nient’altro, ma non è tua sorella quella che ti sta scavando dentro con uno sguardo che mai avresti immaginato riflesso nei suoi occhi. Non sei tu quello che ha permesso che tutto ciò accadesse.

Non siete più voi. Non è rimasto niente. Un mucchio di rabbia e una manciata di autodistruzione, nient’altro.

Un gruzzolo d’ossa non messe proprio bene. Capelli sporchi e vestiti ancora di più. Corpi che si muovono perché chi si ferma muore. Parole che vengono pronunciate solo perché altrimenti il silenzio vi farebbe a pezzettini.

Pugni e sangue, tutto qui. Carne che si lacera. Cuori che smettono di battere. Di nuovo sangue, tanto e rosso e rancido dentro la bocca. Ti scorre insieme alla saliva, fra la lingua, lo assapori con dolce risentimento.

I colpi continuano ad atterrare sul tuo viso uno dopo l’altro, frenetici, fulminei, funesti.

All’improvviso, la voce di Kane che ammonisce tua sorella, un intruso nell’idillio straziato dell’amore della tua vita. La luce dei tuoi occhi. Lo scopo della tua esistenza che vuole ammazzarti.

Se con Octavia la tua vita è iniziata, è solo giusto che con lei finisca. Stai morendo, Bellamy.

Tua sorella si aggrappa ai tuoi capelli, a quel punto, e non potrebbe essere tanto diverso dall’ultima volta che lo ha fatto. Non c’è niente di commovente in tutto questo. Non è una carezza, non è un’ancora di salvezza né la luce in fondo al tunnel, è solo la fine.

Tua sorella si aggrappa ai tuoi capelli solo per colpirti più forte, per farti più male, per farti sentire almeno un briciolo, un piccolissimo e infinitesimale frammento di ciò che ha provato lei quando il primo e unico uomo che abbia mai amato si è beccato un proiettile nel cervello ed è rantolato nel fango.

E tu glielo lasci fare. Ti offri a lei completamente e senza freno, sei suo, le appartieni e può fare di te qualsiasi cosa desideri. Qualsiasi cosa lei voglia da te, tu sei pronto a dargliela. Il tuo cuore. Il tuo sangue. La tua vita. Non è niente che lei già non possieda dal momento in cui è nata.

A quel punto sei a terra e non te ne sei nemmeno accorto. Le gambe hanno ceduto. Le ginocchia si sono piegate sotto il peso dei suoi colpi e dei tuoi rimorsi.

Se non ti ucciderà lei, ci penseranno i sensi di colpa. L’odio per te stesso. E non lo faranno così velocemente. Oh, no, si prenderanno il loro dolce tempo. Ti faranno agonizzare. Ti toglieranno una per volta tutte le cose che tu abbia mai amato o pensato di poter avere.

La tua mente crollerà e non sarà rapido come il tuo corpo. Anche quando i tuoi muscoli non ce la faranno più, anche quando i polmoni si contrarranno e si rivolteranno nella tua gabbia toracica, anche quando il sangue correrà così veloce sotto la pelle e il tuo cuore pomperà all’infuriata – è come un cavallo impazzito, è preso dalla rabbia, gli occhi rivoltati indietro e il respiro che sbuffa dalle narici – e il tuo intero organismo crollerà su se stesso, la tua mente sarà lucida.

E tu saprai. Saprai che la folle e delirante pazzia che ti ha lasciato sterminare un intero contingente pronto ad aiutarvi, aiutare tutti voi, è stata reale. È davvero successo. Tu hai ucciso quelle persone. Tu hai ficcato quel proiettile nel cervello di Lincoln. E non c’è proprio alcun modo per fuggire.

Tu hai permesso che tutto questo accadesse, tu hai tolto a tua sorella l’amore della sua vita, e non importa proprio niente che lei sia il tuo.

Perciò sì, resti immobile.

Lasci che lei ti colpisca, che ti faccia del male, perché in fondo sai di meritarlo. Sai che questa è la tua punizione – essere disprezzato dalla persona che ami di più – e che non c’è alcun modo in cui tu possa spiegare che l’unica cosa che hai sempre voluto fare è stato proteggerla. Tenerla al sicuro. Tenere la tua gente al sicuro.

Il vostro sangue è sempre ancora troppo vicino. Non arrivano mai a mischiarsi, ma ci sono cose dentro di te che solo lei può avere.

Ci sono fantasmi e demoni che ti tormentano la carne, la mandano in putrefazione dall’interno, la corrodono così lentamente e costantemente da farti credere a stento che si possa sopravvivere a qualcosa del genere.

Forse semplicemente non puoi  sopravvivere.

O forse è l’unica cosa che devi fare, perché qualcuno dovrà pur ricordare quello che hai fatto. Quello che hai permesso. Chi hai ucciso. Uomini che amavano qualcuno, proprio come te. Uomini che qualcuno stava aspettando. Uomini che c’erano stati, avevano desiderato, potevano fare.

Persone che potevano costruire qualcosa. La nuova umanità. Il futuro. E tu l’hai distrutto.

Hai distrutto il futuro – il tuo, quello di tua sorella, quello di persone malate e incapaci di difendersi, quello di persone che erano amate e amavano e volevano – e non potrai mai più tornare indietro.

La spirale di delirio e il sangue che non smette un attimo di impregnarti la faccia sembrerebbero abbastanza, un’overdose in piena regola, almeno finché tua sorella non si ferma.

Per qualche motivo contorto, le sue lacrime sono proprio l’unica cosa che tu non riesca a sopportare.

Il suo volto è sfigurato da rabbia e tormento laceranti, per te e per lei, e il suo petto fa su e giù, un ritmo forsennato dettato dal suo respiro impazzito ma mai, mai più vivo di adesso.

Poi: « Per me sei morto. »

 
  
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