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Autore: MedOrMad    14/04/2016    5 recensioni
Dall'arrivo ad Alexandria le cose erano cambiate. Carol non è la stessa: si è spezzata sotto il peso delle proprie azioni e del senso di colpa. Daryl ora lo sa e cerca il confronto con lei dopo gli avvenimenti di "The Same Boat" e la liberazione di Carol e Maggie.
Dal Testo:
«Sei arrabbiato.»
Non era una domanda. Era una constatazione.
«No.» Rispose lui con voce roca, fermandosi a un passo da lei. «Sono frustrato.»
Che, nel caso di Daryl, era la stessa cosa.
«Perché?»
«Perché non so cosa senti. Perché non so aiutarti.»
«Non puoi salvare tutti, Daryl. Non possiamo salvare nessuno. Per ogni persona che decidi di salvare, un’altra muore.»
(NB: spoiler per l’episodio 13 e un po’ anche per l’episodio 14).
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A/N: Quando troverete delle battute tra virgolette e in corsivo, saranno delle citazioni direttamente dal telefilm di dialoghi passati avvenuti tra loro. Vedrete, inoltre, spesso delle parole singole in corsivo: spero che alla fine del capitolo sarà chiaro il perché. Diversamente non importa: è più una cosa mia che altro.
È un capitolo davvero LUNGO e avevo pensato di postarlo in due momenti diversi, ma avrei dovuto “tagliarlo” in un punto crudele e – non amando io le attese – non mi sembrava carino costringere voi ad aspettare.


 
Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play

And every demon wants his pound of flesh
But I like to keep some things to myself
I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn

And I've been a fool and I've been blind
I can never leave the past behind
I can see no way, I can see no way
I'm always dragging that horse around

All of his questions, such a mournful sound
Tonight I'm gonna bury that horse in the ground
So I like to keep my issues drawn
But it's always darkest before the dawn

-Shake it out-
Florence + the Machine
Yin vs Yang
The drakness before the dawn



Buio.

Quell’oscurità profonda che assorbe e si espande sotto la pelle quando il sonno prende il sopravvento. I sogni, fatti di quell’ombra nera che sa di rimorso: la voce di quella coscienza che riesce a logorare anche nel sonno.



Era quello il buio in cui Carol si sentì risucchiare. 

Quel momento che affligge ogni notte: quell’attimo in cui il buio è più oscuro.

Un riposo fatto di volti e voci, di emozioni nere e fredde: di ricordi. 

Il viso di Mica mentre sbuccia le noci; le lacrime di Lizzy mentre non sa che la sua vita sta per finire; la rabbia nelle parole di Mary gridate alle spalle di Carol che la abbandona ad una morte lenta per mano dei vaganti. L’odio di Paula che si ostina a non scappare; il rantolio dei due Salvatori che hanno fatto lei e Maggie prigioniere; le urla di quel gruppo di persone a cui lei e Maggie hanno dato fuoco.

Le parole di Morgan: “Ogni vita è preziosa.”



Il volto di Sophia che piange e fugge oltre il guard-rail di quell’autostrada, inseguita da due morti. Il suo corpo decomposto che esce dal granaio dei Greene. La sua voce, che Carol iniziava a dimenticare.



“Ogni vita è preziosa.”
E quante ne aveva prese, Carol?

Si sentì mancare il fiato, come se qualcuno le stesse schiacciando il torace e le avesse serrato la bocca con del cemento: a ogni tentativo di riempire i polmoni, il volto di qualcuno che non c’era più le riempiva gli occhi. L’aria non arrivava al suo petto: i morti che aveva lasciato dietro di sé le bloccavano la gola, impedendole di respirare.
Un sudore doloroso le accarezzò il corpo e un panico crudele le invase la mente, il sangue, il petto: affogava nella colpa e nel ricordo dei propri crimini.

Si svegliò con un gemito; quello del dolore che le uscì dalle labbra e che le liberò la gola.

Attorno a sé, l’oscurità. Ancora. Di nuovo quell’attimo nero, prima di ogni giorno. Quel frammento di tempo che precede la luce, fatto di una notte così profonda da sembrare eterna.

Carol si sentì intrappolata, come se fosse destinata a non vedere più oltre quel buio. Come se non potesse lasciarsi il passato alle spalle.

Annaspò silenziosamente, sentendo finalmente i polmoni espandersi e il cuore rallentare lievemente. Sulla pelle umida di sudore, l’aria fresca della stanza la fece rabbrividire.
Poi una carezza lungo il fianco la riportò alla realtà. Al presente. Alla notte. Fuori dall’incubo.

Il buio non era più soffocante del sogno: era la notte che ancora avvolgeva la sua stanza e il tocco leggero che le sfiorava la pelle era quello di Daryl.

«Era solo un sogno.» lo sentì bisbigliare con voce roca, carica di sonno e di stanchezza.
Carol restò immobile, ancora scossa dai rumori e dalle immagini che le avevano tolto il fiato.
«No, erano ricordi.» sussurrò mentre la vista si abituava all’oscurità e, finalmente, riuscì a vedere il viso di Daryl di fronte a sé.

Lui non le chiese di raccontarglieli. Non la strinse a sé. Non la obbligò a fare nulla: Daryl restò accanto a lei, in silenzio, muovendo appena le dita sulla pelle di lei e respirando profondamente, cercando di calmarla nel modo meno invasivo possibile. Perché a Carol mancava l’aria da troppo tempo e Daryl sapeva che le serviva spazio. Aveva bisogno di tempo per uscire dal buio e trovare la luce del giorno. Di se stessa.

Per Daryl le notti erano sempre state corte, fredde e il suo sonno sempre leggero; avvertirla agitarsi così disperatamente era bastato per svegliarlo.

Sapere di non potere fare nulla per lei, però, lo fece sentire ancora una volta impotente.
Il mondo oggi non era fatto di compromessi: la vita o la morte erano l’unica alternativa e, se Carol non poteva più uccidere, per lei restava solo la morte.

A questo, però, Daryl non era disposto a cedere.

Rimasero in silenzio a lungo: i loro respiri, l’unico rumore che echeggiava nella stanza.

Avrebbe voluto chiederle tante cose, costringerla ad affrontare quei ricordi e spiegarle che non poteva arrendersi: Carol era cambiata radicalmente dalla morte di Sophia, più di chiunque altro nel loro gruppo. Aveva trovato il modo di reinventarsi e diventare una risorsa, qualcuno che non aveva bisogno di essere protetta: era rinata da ogni sconfitta inflitta dalla vita.

Non sarebbe caduta sotto il peso di questa battaglia, di questo Daryl ne era certo. Doveva solo riuscire a convincere anche lei; trovare il modo di ricordarle chi era e cosa poteva fare.

Ma lei era così lontana, così immersa negli eventi, così rassegnata, che Daryl non sapeva da dove cominciare.
Carol si mosse nel letto, voltandosi supina a osservare il nulla; Daryl seguì i suoi movimenti, lasciando scorrere la mano sulla sua pelle fino al ventre. Si sorprese quando percepì le dita di lei posarsi delicatamente sulle proprie: poi lei si voltò in quell’oscurità, così profonda al punto da avere sostanza e, accarezzandogli i capelli, lasciò cadere un bacio sulle sue labbra. Un bacio tremante, quasi spaventato; un bacio che aveva il sapore della paura. Del buio in cui si era rifugiata.

Daryl non le permise di allontanarsi subito, però. Spostò una mano sulla nuca di lei e rispose al suo tocco, cercando di rincuorarla e di rivivere contro la sua bocca il contatto di quella notte. Di ritrovare in lei la luce che aveva visto mentre facevano l’amore; quello spiraglio di speranza che l’aveva accarezzata quando il dolore aveva smesso di urlare, anche se solo per poco.

Le accarezzò la pelle, baciando con insistenza prima il labbro superiore e poi quello inferiore: era tutto così strano, per lui. Ogni gesto intimo, qualcosa di difficile, eppure – allo stesso tempo – necessario. Una rassicurazione.

Perché a ogni bacio, lei rispondeva. A ogni tocco, stringeva più forte la sua mano: si aggrappava a lui. Lottava contro la notte.

Quando Daryl ruppe il bacio, Carol cercò rifugio contro la sua pelle, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla e ritrovando il proprio respiro.
Per un attimo, ancora, si sentì al sicuro dai ricordi, dai demoni, dal buio.
L’aveva sempre amato, di questo era certa, ma ora quell’amore le faceva paura: dove l’avrebbe portata? Fin dove si sarebbe spinta per lui? Cosa sarebbe stata disposta a fare per salvare questo amore?

Tutto.

Per lui più di chiunque altro: questo pensiero, però, improvvisamente era più doloroso di ogni altra cosa. Perché per lui sarebbe rimasta in vita e incollata all’oscurità piena di peccati e di rimorsi. A quei demoni che oggi le presentavano il conto, avrebbe venduto l’anima per lui: avrebbe rinunciato per sempre al giorno e sarebbe rimasta nel dolore e nella paura della notte.

Daryl aspettò qualche minuto, sperando che lei riuscisse a parlare, ma il silenzio sembrava essersi cristallizzato tra loro. Una mediazione che non avevano mai conosciuto e aggravata dall’oscurità che li avvolgeva: le parole tra loro erano spesso di troppo. Sapevano comunicare su un piano irraggiungibile, fatto di sguardi e di percezioni. Ma Carol si era nascosta da lui in un modo che neppure Daryl capiva.

In quel buio impenetrabile che nessuno sapeva trovare. Perché non si può fermare la notte e un cuore come quello di Carol non poteva evitare di sentire in eterno. La sua coscienza si era liberata dalle catene e l’aveva trascinata in un posto che Daryl non riusciva a raggiungere. In un buio che nessun bacio poteva sconfiggere.

La frustrazione gli annebbiò i pensieri con prepotenza e Daryl sentì i propri muscoli contrarsi per la rabbia. Doveva aiutarla, ma si rese conto di non avere le risorse per farlo. Lei l’aveva salvato da se stesso un’infinità di volte e lui oggi non poteva fare lo stesso.

Si ritrasse, allontanandosi da lei e mettendosi a sedere sul bordo del letto, improvvisamente lucido e vigile.
La distanza che aveva cercato di accorciare sembrava cercare di insinuarsi ancora tra loro.

«Ti sei pentito?» la sentì domandare con voce flebile e stanca. Come se si aspettasse di vederlo uscire dalla porta; come se sperasse di essere lasciata da sola.
La cosa lo fece infuriare ancora di più.
«Di cosa?» chiese lui tra i denti, lottando contro la propria natura e cercando di non mostrare il proprio livore.
«Di tutto.» rispose Carol semplicemente in un sospiro consapevole.
«Dovrei essere pentito di aver fatto l’amore con te? È questo che vuoi?» non appena le parole lasciarono le sue labbra, Daryl si accorse dell’accusa che nascondevano.

O forse la sua era solo paura. Perché dal momento in cui aveva ricambiato il bacio di lei, un pensiero gli era rimbombato costantemente nella mente: che lei stesse cercando di distrarlo. Che dietro a quell’intimità si nascondesse un tentativo di impedirgli di arrivare a lei. Che fosse un modo per non affrontare la verità. Per tenerlo lontano dal cuore. Per restare nel buio.

Che fare l’amore con lui fosse un addio.

«Volevo andarmene.»
«Lo so.»
«Vorrei ancora andarmene.»
«So anche questo.»

Daryl si sentì morire per un istante: perché era vero. Sapeva che se ne voleva andare: l’aveva percepito poche ore prima, nelle sue parole piene di dolore e di resa. Lo sapeva dalla notte in cui l’aveva seguita fuori dalla chiesa dopo averla ritrovata a Terminus.

“Che stai facendo?”
“Non lo so…”


Aveva avuto la netta sensazione che lei fosse in bilico tra due vite e si era illuso di averla presa per mano e ricondotta a loro. A casa.

Carol osservò le spalle di Daryl irrigidirsi insieme alla sua voce: lo guardò chinarsi in avanti e affondare il viso nelle mani. Vederlo così aggravato dagli eventi le spezzò il cuore, perché sapeva di essere lei la causa di quel dolore.
Si sollevò dal materasso, stringendo a sé le lenzuola per coprire il proprio corpo ancora nudo; poi si mosse verso di lui fino a che non riuscì ad accarezzargli la schiena. La pelle calda, morbida e tesa allo stesso tempo, le fece pizzicare la gola: perché non potevano restare per sempre in questo momento della notte, loro due, da soli? In questo pezzo di vita in cui il buio più nero di tutti li nascondeva dalla verità, dai doveri e dalle colpe?

«Non ha nulla a che fare con te» cercò di spiegare Carol, lasciando cadere un bacio contro la sua spalla, appena sopra il tatuaggio.
«Io sono qui. Se tu te ne vai da questo posto, te ne vai anche da me.»
«Non vorrei farlo.»
«E allora non farlo.»
«Daryl, quando tieni a qualcuno, in questo mondo hai qualcuno per cui devi essere pronto a uccidere. E se non vuoi farlo, o se non puoi, allora ti devi allontanare. Non puoi avere entrambe le cose.»

Daryl non sapeva combattere la logica assolutista di Carol: era sempre stata questa la differenza tra loro. Lei sapeva usare le parole, sapeva parlare di pensieri e di emozioni e riusciva a dare voce alla propria ragione. Daryl, invece, usava i fatti per comunicare con lei. Ma se fare l’amore non era bastato a farle capire, nulla sarebbe servito.
Sentì il cuore precipitargli nello stomaco: aveva atteso troppo a lungo? O, forse, il suo amore non bastava? Non era stato sufficiente a farle cambiare idea? A farle capire che il suo posto era qui, con la loro famiglia. Con lui. Che lui l’avrebbe protetta da tutto?

«Stronzate!» le disse con rabbia, ritraendosi dal suo tocco e alzandosi dal letto di scatto, «Sono tutte stronzate che ripeti a te stessa perché hai paura.»
«Daryl…» nella voce di lei si intrecciavano tristezza e rammarico.

Carol non sapeva come fargli capire che a lui teneva più di ogni altra cosa al mondo, ma che non poteva più vivere così: non riusciva a vedere una via d’uscita tra il dovere di uccidere per proteggere e il peso di ogni vita spezzata in nome dell’amore. Il conflitto interiore che la opprimeva era troppo forte.
Era chiusa in un vicolo cieco. Una spirale di colpe senza fine.
Restare e non uccidere voleva dire stare a guardare loro, a guardare lui, morire. Sarebbe stata un peso. Restare e uccidere equivaleva a morire lentamente, probabilmente costringendola comunque un giorno a seppellire qualcuno che amava.


«No! No.» sibilò lui tra i denti mentre con rabbia si infilava i pantaloni abbandonati ore fa sul pavimento, «Pensa quello che vuoi. Raccontati tutte le balle che ti servono per convincerti che non puoi fare altro che andartene da sola, ma non pensare di startene lì, dopo aver fatto l’amore con me, e chiedermi di accettarlo.»

Daryl raccolse con gesti convulsi i propri vestiti, sopraffatto dal timore, dalla delusione. Carol sapeva di aver scatenato in lui un bruciante senso di rifiuto e per questo si trovò a corto di parole; perché ebbe l’impressione di non potergli fare capire le proprie ragioni.

Lui era sempre stato un uomo concreto, che mostrava il suo cuore in modo vivido, senza logica e senza dialettica. Non sapeva mascherare le emozioni e viveva la vita sull’onda di ciò che sentiva in modo cocente, senza compromessi. Senza remore. Alla luce.
Carol, invece, aveva imparato ad essere pragmatica in un modo completamente diverso: tenendo le emozioni sotto controllo, scegliendo un angolo buio della notte e nascondendovi ogni rimorso, ogni colpa, ogni demone. Perché aveva combattuto una vita per sopravvivere alla violenza. La violenza era contro la sua natura, ma solo mantenendo il controllo avrebbe potuto fare quello che era necessario.

«Mi hai insegnato a sentirmi parte di questa famiglia. Mi hai mostrato cosa voleva dire appartenere a qualcuno. Mi hai aiutato a trovare il mio posto e a accettare l’affetto. A permettere a me stesso di tenere alle persone.» le disse con voce graffiante, avvicinandosi al letto e accendendo la lampada del comodino.

Una luce fioca si irradiò solo in parte della stanza, illuminando appena il corpo di Daryl ma non riuscendo a raggiungere Carol.
Una lampada inutile, pensò Daryl.
Daryl appoggiò i pugni sul materasso, abbassandosi appena e chinandosi verso il lato del letto di Carol per guardarla negli occhi ancora una volta: non riusciva più a trattenersi. La disperazione di provare a convincerla a restare strideva contro il doloroso senso di abbandono che bussava contro il suo cuore.

«Perché?» le domandò in un sospiro contrito; il suo rammarico gli scintillò nelle iridi ad ogni parola, mentre le pupille si stringevano sotto i deboli raggi di luce che si dirigevano dal comodino al suo viso. O forse era la delusione che le faceva contrarre, pensò Carol.
«Che cosa?» rispose lei perduta e confusa, ma protetta dalla notte.
«Perché mi hai insegnato tutto questo se ora pensi che non ne valga la pena?»
«Ne vale la pena. Ne vale la pena al punto che uccidiamo. E io non posso più farlo.» bisbigliò lei incrociando il suo sguardo e cercando di accarezzargli il viso. Ma Daryl scansò la sua mano ancora una volta, le emozioni che gli scorrevano dentro improvvisamente troppe e troppo forti.

Non riusciva a sopportare l’idea che lei si stessa arrendendo: Carol lo vedeva nei suoi occhi e nella tensione dei suoi muscoli.
Avrebbe voluto rassicurarlo, ma non vedeva una via di uscita da questo inferno e non sapeva come proteggerlo dalla delusione. Dalla resa. Dalla sconfitta.
Eppure, proprio in questo momento, vedeva riflesso sul suo viso l’amaro effetto delle proprie decisioni: Daryl si sentiva usato e abbandonato. Le stava gettando addosso un’ira nata solo dal logorante dolore provocato dall’idea che lei fosse pronta ad abbandonarlo.


Si era esposto in modo totale, donandole tutto ciò che aveva per farle sapere quanto l’amasse: le aveva permesso di diventare un’unica cosa con lui e le aveva aperto una parte di se stesso che aveva sempre custodito.

Tempo fa Daryl era un lupo solitario, qualcuno che - di fronte al dolore - reagiva isolandosi, allontanando gli altri. C’era qualcosa di estremamente puro in Daryl, qualcosa di raro e di prezioso; qualcosa che non si imparava dalle sue parole, ma dal suo corpo, dai suoi movimenti e dalle sue azioni. Era un uomo che nella fine del mondo aveva trovato l’amore e la fiducia e per queste due cose era pronto a morire. Carol lo sapeva, per questo sentì dentro di sé il bisogno di proteggerlo; dal dovere di sacrificare tutto quello che aveva pur di salvare qualcuno. Di salvare lei. Lei, che fino a poche ore fa non sapeva se voleva o se meritava di essere salvata ancora.

Lei, che nel buio aveva iniziato ad affogare inesorabilmente.

Da quando si erano conosciuti il loro rapporto era cresciuto in modo silenzioso e costante, senza fretta e in modo naturale: il loro passato simile era stato solo l’inizio, qualcosa che aveva permesso ad entrambi di percepire, capire e sentire l’altro senza bisogno di parole. Perché negli occhi e nelle ferite dell’anima di uno, si riflettevano i ricordi angoscianti dell’altro.

Ma non era stato il loro trascorso comune a unirli: era sto l’istinto, il coraggio di fidarsi, ascoltarsi, proteggersi. Amarsi. Erano nati lentamente, avevano nutrito il loro affetto e, senza fretta, il loro legame era sbocciato in qualcosa di speciale, di delicato: in un sentimento fatto di speranza.

«Non voglio lasciare te. Ma se tieni veramente a qualcuno, c’è un prezzo da pagare e io l’ho pagato e non posso più farlo.»

«Quello che è successo tra noi… non cambia le cose?»
«Cambia tutto.» la voce Carol tremò considerevolmente mentre gli dava la risposta che non avrebbe mai voluto sentire, «Ora più che mai sarei disposta a tutto… e il mio cuore non se lo può permettere.»

«Vuoi ancora andartene. Non è che vorresti. Lo vuoi.» la fissava con risentimento, un sentimento che non le rivolgeva dai tempi della morte di Sophia. La abatjour illuminava appena il suo viso, lasciando invece lei completamente immersa nel buio.
«Non lo so.»


E gli parve un ricordo di quella notte nella casa delle donne maltrattate. Oggi, come allora, lei non sapeva.
“Quando eri là fuori, con l’auto… Se non fossi arrivato io?”
“Ancora non lo so.”



«Stai fuggendo da te stessa. E da me.» disse Daryl voltando gli occhi verso la luce della lampada accanto al letto per non incontrare lo sguardo di lei.
«Tu sei nel mio cuore e saperti al sicuro sarà l’unico pensiero che porterò con me.»
«Non lo sai se sarò al sicuro.»
«Daryl, non so che altro fare.»
«No, non vuoi fare altro. E io non voglio darti la mia benedizione.»

Carol strinse le lenzuola e le tirò a sé, liberandole dal materasso, per alzarsi dal letto: Daryl si sollevò in risposta e indietreggiò appena. Rimase immobile, tremante sotto il flusso elettrico che la rabbia e il dolore gli espandevano nella carne: lei si fermò ad un nulla di distanza.

Daryl si stupì quando si rese conto che la luce era alle spalle di lei e, ancora una volta, non raggiungeva il viso di Carol. I raggi deboli arrivavano al suo volto, offrendo a lei un’immagine nitida dei suoi tratti, ma non regalando a lui la stessa fortuna.

Daryl lo trovò terribilmente ingiusto: Carol avrebbe avuto un ultimo ricordo del suo viso, mentre l’ultima immagine che il destino avrebbe concesso a lui della donna che amava, sarebbe stata rovinata dall’ombra e dal nero della notte.


E la rabbia in lui si fece rovente e luminosa: era tutto sbagliato. Non era così che doveva andare.

Avevano fatto l’amore. Lui le apparteneva in modo così profondo e così radicato nell’anima che le radici di questo legame non avevano fondo. Non poteva permetterle di andarsene. Era sua: lo era sempre stata, solo che Daryl non si era mai concesso il lusso di sperare di averla davvero.

Vederlo così alimentò in Carol il dolore, che si fece potente e nero: non solo non poteva restare accanto a lui, ma doveva portare con sé la consapevolezza di averlo ferito? Di avergli fatto sentire il bruciore dell’abbandono? Doveva portare nel cuore anche questa colpa, forse. Magari questo era il modo del nuovo mondo di scontare la propria pena.

Per un attimo esitò, ma non poté fare a meno di toccarlo: lui fece di tutto per non sussultare e, forse, si trattenne perché anche lui aveva bisogno di sentirla. Di respirare il suo profumo. Di percepire il suo calore.

«Perché non puoi restare?» le chiese Daryl chiudendo gli occhi e assaporando – forse per l’ultima volta – la dolcezza e il calore delle mani di Carol tra i suoi capelli, lungo le sue spalle, contro il suo cuore.
«Perché non so come proteggere voi senza distruggere me stessa.» sussurrò lei poggiando le sue labbra contro la sua clavicola, «Perché forse stare da sola, senza di te, è la mia punizione.»

E così punisci anche me, pensò Daryl.

«Perché nella notte c’è sempre un momento più buio di tutti e io mi sento intrappolata lì. E forse è quello il mio posto… forse quell’attimo di oscurità è quello in cui sono destinata a stare. Forse il buio è la mia pace.»
«Morirai là fuori da sola.»
«Forse no.»

Daryl sentì le braccia di lei cingergli la vita, scorrergli sulla carne e lasciare un segno indelebile sulla sula pelle, per sempre.

Avrebbe dovuto abbracciarla a sua volta, lo sapeva. Sapeva che era quello che lei gli stava chiedendo e che ne aveva bisogno. Era consapevole che le stava negando un ultimo contatto, ma non riuscì a concederglielo. Non riuscì a darle quello che voleva.

«No.»
«Lo so che non capisci. Non so neppure io cosa devo fare: so solo che in questo momento, qui non mi sento a casa.»

Quello fu il dolore più grande di tutti, per entrambi, perché in qualche modo erano sempre stati casa l’uno per l’altra.

“Non ti ho ancora detto che sono felice che tu sia tornato.”
“E dove? In questo casino?”

“È casa nostra.”
“È una tomba.”
“È così che T-Dog la chiamava. Ho pensato avesse ragione, ma poi tu mi hai trovata.”



«No. Non ti dirò addio.»

Per la prima volta da quando si conoscevano, Carol lo sentì parlare con la stessa voce dura e guardinga che usava con tutti. Le strinse le spalle inconsciamente e poi, con il cuore pesante, la allontanò dal suo corpo; un freddo pungente li avvolse e si distese nella stanza.

«Daryl, ti prego.» le lacrime le occlusero la gola mentre sussurrava un’ultima supplica che, sapeva già, non sarebbe servita a niente.

Perché non sapeva neppure lei se voleva andarsene, ma nella notte è impossibile vedere oltre le ombre. E, nonostante l’amore che provava, nell’oscurità di questa notte Carol non vedeva una soluzione, un futuro. Vedeva solo il nulla.

«No, se ne te andrai, lo farai sapendo che io non volevo. Che io non lo accettò mai.»

La rabbia gli colò dalle labbra come una maledizione e sentì il cuore stringersi per il dolore e il senso di colpa. Si sentì un mostro quando le diede le spalle, ma darle il suo permesso ad andarsene voleva dire ammettere di essere pronto a perderla, e questo non sarebbe mai accaduto.

Non si voltò a guardarla mentre uscì dalla stanza e chiuse con forza la porta alle sue spalle, portando con sé le lacrime che la luce della abatjour avevano mostrato a Carol nei suoi occhi.

E non vide quelle negli occhi di lei, che il buio gli aveva nascosto.

Carol non lo fermò: lo lasciò andare, perché Daryl aveva bisogno di elaborare le emozioni da solo, sentendole nel modo più vivo possibile prima di accettarle. Lo amava anche per questo: per il suo cuore potente e ruvido. Per il fatto che aveva lottato contro di lei per tenerla con sé.

Si lasciò cadere sul materasso e ripensò a tutte le volte in cui lui le aveva dato una ragione per restare; a tutti quei momenti in cui Daryl si era allontanato da loro e a come, ogni volta, era tornato. Alla fattoria, dopo la morte di Sophia; più avanti con Merle; ancora dopo la caduta della prigione; poi dopo la morte di Beth. E, infine, ad Alexandria.

Forse anche lei sarebbe potuta andare e, una volta guarita da questo stato di costante conflitto e perenne dolore, sarebbe potuta tornare.

Si sdraiò sul lato del letto che aveva occupato Daryl e, affondando il viso nel suo cuscino, si lasciò avvolgere e cullare dal suo odore.
Era davvero pronta a fare a meno di lui?

No.

Ma come poteva restare con Daryl e non fare quello che era necessario per proteggerlo?
Qual era il compromesso?
Dove stava la sua salvezza?
Nel buio della notte, non c’era uno spiraglio di luce a guidarla.

E ora più di prima si sentì perduta per sempre in quell’oscurità.

Nella notte, dove i peccati hanno il sapore dell’eternità e dove le paure si fanno grandi e devastanti.

La stanchezza e le lacrime la privarono di ogni pensiero: forse, al risveglio, se ne sarebbe andata. Probabilmente l’avrebbe fatto. Ma era ancora notte e, per un altro po’, Carol voleva restare su questo letto, a ripensare al sapore delle labbra di Daryl e a rivivere nel sonno i suoi baci e le sue carezze.
Forse il destino la voleva sola, ad andare incontro alla morte, ma avrebbe sempre avuto il ricordo di lui, della sua voce che sussurrava il suo nome, delle sue mani e del suo corpo tremante mentre lei lo stringeva a sé.
 

Daryl scese le scale di fretta, percependo il peso della colpa in tutto il corpo: ogni passo diventò difficile e ogni respiro impossibile. La stava perdendo. Nel buio di questa notte piena di amore e di dolore, stava perdendo la guerra.

Aveva salvato sconosciuti e amici e ora non riusciva a salvare lei. A salvare se stesso dalla perdita. A sconfiggere questo muro enorme e ostinato che si poneva tra di loro.

Uscì dalla porta di casa, quasi correndo, e si diresse verso i cancelli di Alexandria: era un gesto stupido e incosciente, ma aveva bisogno di uscire da queste mura per un attimo. Di pensare senza sentirsi opprimere dai confini della città. Dalla verità. Dalla paura di non vederla più.

Carol voleva andarsene. Lasciare dietro di sé tutto quello che avevano passato insieme.
Aveva scelto di restare nell’ombra e di pagare lì il conto di quei crimini che oggi la volevano risucchiare.
L’aveva detto anche lei che c’era sempre un momento più scuro nella notte: quello dove i demoni si agitavano e reclamavano il proprio pezzo di anima. Ma il buio non è mai eterno e, camminando con agitazione lungo le mura esterne di Alexandria, Daryl trovò la speranza immobile ai suoi piedi.

Si chinò e accarezzò l’erba, poi la terra.

Carol non voleva lasciarlo: era solo troppo ferita e combattuta. Stava bruciando un’altra versione di sé: era il fuoco che la consumava. Un fuoco che era divampato insieme a tutte le emozioni che si era impedita di provare. Insieme a quei ricordi che aveva cercato a dimenticare.

Eppure non era sola in quel buio e, a costo di lottare con lei e per lei in eterno, Daryl avrebbe passato ogni giorno della sua vita a farle inseguire la luce. In fondo, anche lei in passato l’aveva ostacolato e gli aveva impedito di cedere al proprio dolore e alle proprie paure.

Forse non stava a lui salvarla da se stessa, forse lui non avrebbe mai trovato le parole giuste; di una cosa, però, era certo: avrebbe fatto tutto il possibile per prendersi cura di lei proprio come Carol aveva fatto con lui ogni volta.

Quando varcò nuovamente i cancelli della città, faceva fatica a distinguere i contorni delle case: era questo il momento di ogni notte di cui aveva parlato Carol. Quell’attimo che precede un nuovo giorno, in cui il buio è più nero di ogni altro momento.
Mentre camminava seguendo l’istinto, questa notte gli parve la più lunga di sempre: piena di emozioni e di contrasti. Piena di svolte e di ritorni. Un cerchio senza fine che sperava, ora, di poter spezzare.

Contro ogni previsione, trovò Carol seduta sui gradini del portico della loro casa: se ne stava lì, con una tazza tra le mani e con lo sguardo basso, avvolta in una coperta per proteggersi dal vento.
Daryl sentì il cuore accelerare nel suo petto e il sangue pulsare con determinazione nelle vene: per un attimo aveva creduto di non trovarla più e il rimorso di non averle detto addio l’aveva schiacciato con forza.

Ma era ancora qui. Era ancora viva.

«Se devi andare, vai.» Carol sentì la voce di Daryl provenire da qualche metro di distanza.

Il viso le avvampò quando percepì ancora quella rabbia sporcare le sue parole.

Non sarebbe mai riuscita a fargli capire quale veleno le si stava espandendo nelle vene, perché Daryl aveva fatto pace con le regole di questo mondo da molto tempo. Era un giusto: credeva nella loro famiglia e per loro era disposto a uccidere, proprio come lei. Lui, però, nel tempo aveva imparato a sperare nelle persone come non gli era mai stato concesso prima e ad accettare che alcuni valevano la pena di essere salvati, altri di essere combattuti. Viveva secondo il suo codice e sapeva accettare il prezzo da pagare. Lei no; non ancora.

Carol aspettò di sentirlo di fronte a sé, prima di parlare; voleva essere sicura di aver capito bene, anche se – ammise a sé stessa – sapere che la lasciava andare le fece male in modo inaspettato.


«Che cosa?»

«Vai. Se è questo quello di cui hai bisogno, vai.» le ripeté Daryl una volta arrivato a lei. Poi si sedette accanto a lei sui gradini, guardando tra le ombre. «Ma non lo farai da sola. Ti ho già persa troppe volte.»

Un nodo le strinse lo stomaco: non era questo che voleva. Non poteva portarlo via dalla loro famiglia.
«Daryl…»
«No.» la interruppe con voce roca, ma ora più delicata, «Devi trovare il modo di stare meglio, di fare pace con quello che è il mondo oggi. Lo capisco. Hai bisogno del tuo spazio. Va bene. Ma io vengo con te.»

Daryl sapeva che non sarebbe stato facile convincerla, ma non era disposto a cedere. L’avrebbe seguita, anche contro la sua volontà e questo Carol doveva immaginarselo.

Era difficile per lui spingersi oltre le proprie abitudini, al di là di quelle zone di sicurezza in cui si sentiva a suo agio: tutta questa notte l’aveva costretto a lottare con le proprie difese e inibizioni. Affrontare il timore dell’intimità e accettare l’affetto in una forma nuova e terrificante per lui. Aveva dovuto lottare con il senso di rifiuto; si era costretto a calmare il sangue che ribolliva dentro di lui.
E ora doveva spingersi un po’ più in là: usare le parole. Quelle parole che non aveva mai trovato con facilità.

Era stata una notte tra le più belle e più difficili della sua vita. Ma si trattava di Carol. Per Carol e grazie a Carol, Daryl aveva imparato a smuoversi dal suo nascondiglio di ferro da tanto tempo.

«Daryl, il tuo posto è qui.»
«Il mio posto è accanto alla mia famiglia. E tu sei la parte più grande di quella famiglia. Se non fosse stato per te, non l’avrei neanche una famiglia. Il mio posto è accanto a te, perché questa volta sei tu quella che ha bisogno.» le accarezzò la nuca con delicatezza in un gesto che gli era ancora così estraneo e che gli sembrava terribilmente difficile.

Poi, quando la percepì rilassarsi sotto il suo tocco, lasciò andare tutta la rabbia e la premura che ancora lo attanagliavano e mormorò: «Io ti conosco.»

Carol si abbandonò alla delicatezza della sua carezza; con lui così vicino, le sembrò impossibile pensare davvero di andarsene. Non poteva fargli questo: non dopo quello che era successo tra loro. Andarsene equivaleva a spezzargli il cuore. Un cuore che lei amava con tutta se stessa.

«Quello che è successo stanotte… tra noi… Lo volevo davvero. Non ti stavo ingannando, Daryl.» bisbigliò Carol in risposta.

C’erano mille parole che le si agitavano nell’anima, migliaia di promesse che avrebbe voluto fargli, centinaia di pensieri che avrebbe voluto condividere, ma le restarono tutti incollati nel petto. L’unica cosa importante, a prescindere da come sarebbero andate le cose, era che lui sapesse quanto contasse per lei e quanto quello che avevano condiviso fosse speciale.

«Dopo Ed, non pensavo che ci sarebbe stata nella mia vita un’esperienza così. Non credevo più che fare l’amore potesse essere così.» fece un sospiro profondo, cercando di racchiudere in poche parole tutto quello che sentiva e di guadagnarsi il suo perdono per averlo ferito. «Ha significato tutto per me. Mi dispiace di averti fatto percepire qualcosa di diverso, davvero.»
«Lo so.»

Per qualche istante il silenzio si insinuò tra di loro, dando a entrambi il tempo di metabolizzare la verità: questa notte aveva cambiato tante cose e non si poteva tornare indietro.

«So che non vuoi più uccidere, ma dovrai farlo prima o poi. Questo è l’ordine del mondo ora.»
«Non finirà mai. Ci sarà sempre una nuova minaccia, qualcuno in pericolo, qualcosa per cui combattere… Io sono stanca.»
«La vita è sempre stata una minaccia per noi. Non sto dicendo che non dovrai più uccidere. Sto dicendo che io farò tutto il possibile per te e per aiutarti.»

Carol cercò la mano di lui e, quando sentì il calore della sua pelle, intrecciò le dita con le sue. Il solo pensiero di non poterlo più toccare le chiuse lo stomaco.

«Non so come uscirne. Non vorrei stare senza di voi, senza di te. Ma non so cosa devo fare.»
«Ti serve tempo.»

Lei annuì confusa, consapevole del fatto che, probabilmente, quel gesto impercettibile non sarebbe stato visibile agli occhi di lui.
Daryl la tirò con gentilezza verso di sé, costringendola a voltarsi con tutto il corpo; le accarezzò il naso con la punta del proprio, invitandola ad aspettare.
Carol, di fronte alla sua nuova audacia, si trovò a sorridere, nonostante il peso della propria anima. Era ancora incerto nei gesti, nonostante poche ore prima fossero stati in una intimità ben più profonda; eppure cercava il contatto, benché fosse evidente che ogni movimento fosse per lui una nuova fatica, una battaglia da vincere contro se stesso.
Poi si spinse più in là: con le dita sotto il mento di Carol, guidò il viso di lei finché non riuscì a catturare la sua bocca in un bacio dolcissimo, lento come i minuti che avevano dilato il tempo di questa notte. Un bacio fatto prima di leggeri tocchi, poi di pressioni più intense, cariche di parole non dette. Ad ogni sfioro di labbra seguiva un contatto più lungo e più profondo: tra un bacio e l’altro, lui le sussurrava sulla pelle «Aspetta», «Ancora un attimo». Carol si innamorò a ogni tocco indeciso, a ogni bacio tremante, a ogni morso irrefrenabile ma timido.

Poi, quando le parve che il tempo si fosse espanso al punto di coincidere con l’eternità, percepì la mano di Daryl posare qualcosa di leggero sulle sue cosce, prima di invitarla ad aprire gli occhi.

Lo fece lentamente, Carol, quasi temendo di perdere per sempre la perfezione di quest’attimo di intimità, in cui le paure e i rancori si erano polverizzati contro la tenerezza e la certezza.

Quando riuscì a focalizzare lo sguardo, di fronte a sé trovò il volto di Daryl, ora illuminato da una nuova luce. Una luce che fino a pochi minuti prima non c’era. I raggi di un nuovo sole che dalla terra si risvegliava e portava velocemente sempre più chiarore.
Carol abbassò gli occhi verso il proprio grembo e lì, delicatamente posata sulle sue gambe, vide una Rosa Cherokee.

«L’ho trovata qui fuori» le disse lui piano e accese l’accendino per illuminare meglio il fiore.
«Se devi andare, lo capisco. Non so cosa troverai là fuori, ma se devi andare, devi permettermi di venire con te.»
Carol accarezzò i petali di quella rosa, la stessa che le aveva portato lui quando Sophia era scomparsa. Le aveva dato speranza. La aveva fatta sentire meno sola. Più forte e fiduciosa.

«Non so quanto tempo mi servirà.» sussurrò lei, sentendo il muro di determinazione e solitudine che si era costruita attorno scricchiolare con tenacia.
«Non importa. Torneremo a casa quando sarai pronta.»
«Non possiamo lasciare gli altri qui indifesi. Hanno bisogno di te.»
«In questo momento ne hai più bisogno tu.»

La sua era una promessa, bisbigliata alle prime luci del giorno che gli illuminavano il volto: un giorno nuovo, come la speranza.
La forza di Daryl abbatté ogni sua resistenza, permettendole di accettare un’idea che – da qualche tempo – le era ostile: anche lei, come lui, aveva bisogno di essere sorretta e salvata dalle proprie emozioni.

Non sarebbe stato facile, trovare la nuova sé; riscoprirsi capace di stare alle regole che questo mondo le imponeva. Non era mai stata favorevole alla violenza, ma aveva messo a tacere le emozioni per riuscire a fare ciò che era necessario. Ora, un’altra versione di sé veniva bruciata, per rinascere in una nuova forma, più consapevole e ancora più forte.

Daryl non sarebbe stato al suo fianco combattere al posto sua una guerra con se stessa e con la morale del mondo di oggi; non poteva lottare e non poteva essere accanto a lei mentre Carol cercava il modo di rinascere e ritrovarsi.

Ma poteva stare alle sue spalle, per sorreggerla ogni volta che sarebbe caduta e che si sarebbe sentita fragile.

Era solo un modo diverso di salvarla: quello di lasciarla andare per la sua strada, alla ricerca del proprio modo di fronteggiare la vita e il dolore, seguendola a ogni passo silenziosamente.

«Non ti perderò un’altra volta. Sei ancora te stessa: devi solo trovare il modo per convivere con questa nuova parte di te » borbottò, baciandola un’altra volta prima di voltarsi a guardare il sole che sorgeva.

Un sole che a Carol sembrava illuminare lui più di ogni altra cosa e, guardandolo, pensò che sarebbe stata una cosa calzante: lui, con i suoi modi bruschi, la sua rabbia, la sua testardaggine e quella rosa, le aveva ricordato che oltre il buio, c’è la luce.

Che prima dell’alba, la notte è sempre più buia. Proprio come poco fa, prima di questo momento.

«D’accordo.» Carol mormorò il suo permesso, posando lo sguardo sul fiore bianco che ora teneva tra le mani, «Partiamo domani.»
«No, partiamo oggi. Prima andiamo, prima starai meglio.» disse con decisione, prima di accarezzarle in modo impercettibile una guancia, «ti aspetto su.»


Poi si diresse dentro casa, lasciandole il tempo di abituarsi all’idea di quello a cui aveva acconsentito.
Il tempo avrebbe guarito ogni cosa e là fuori, lontana dai timori dei pericoli che minacciavano la loro famiglia, forse avrebbe davvero trovato la sua pace.
Nel suo piano originale non era contemplato Daryl: averlo con sé sarebbe stato un costante rischio di dover uccidere per salvarlo.

Ma lasciarlo indietro non era più un’opzione: forse, pensò Carol guardando l’alba che si espandeva sulla città, non lo era mai stata, ma il buio del cuore le aveva impedito di vedere la luce che Daryl reggeva per lei oltre quell’oscurità.

Ombra e luce. Nero e bianco. Yin e Yang.
Avevano lottato tutta la notte: ombra vs luce, yin vs yang.
Poi il sole si era svegliato e la battaglia era svanita, i confini sbiaditi e la luce e l’ombra erano tornati a mischiarsi. Perché non c’è luce senza buio e non c’è ombra se non c’è luce.
 
A/N: Mamma mia, è stato davvero difficile. Questo capitolo si è risucchiato ogni mia forza: stare fuori dalla mia “zona di conforto” è stato particolarmente ostico, lo ammetto. Inutile che vi dica che scrivere tutto questo Angst è stata una sfida per me: se avete anche solo accidentalmente sbirciato il mio profilo autore, avrete visto che me la cavo meglio con le commedie e l’introspezione… L’angst l’ho azzardato solo raramente. In ogni caso, mi scuso per il ritardo di questo capitolo, ma la Season Finale si è portata via ogni mia ispirazione e mi ha bloccata per un po’.
Ringrazio chiunque abbia avuto la voglia di leggere e commentare questa storia, perché non mi sarei mai sognata un’accoglienza così calorosa e perché ogni feedback ha contribuito a fare da carburante per le idee e per la voglia di continuare. Ammetto che, senza di voi, probabilmente questa sarebbe una rimasta una One Shot. Quindi, grazie di cuore.
Sono contenta di essere riuscita a portare a termine questa storia: è da un po’ di giorni che mi frullano in testa un altro paio di idee per delle long su questa ship e la voglia di scrivere si fa sentire come non capitava da un po’, ma prima volevo concludere questa storia.
Confesso di non essere esattamente soddisfatta di questo ultimo capitolo (anche perché, come al solito, si è scritto da sé e ha preso pieghe e trama che non avevo preventivato), ma credo che diversamente non avrei potuto fare… Vi giuro, però, che non era mia intenzione farli litigare.
Grazie davvero di cuore per aver dedicato un po' del vostro tempo a questa mia avventura!









   
   
 
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