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Autore: Doroth_    19/04/2016    1 recensioni
"Così, ora sarebbe stato quello il suo nome.
Quella la punizione.
Un corpo estraneo. Una vita sconosciuta di cui, prepotentemente, veniva ad appropriarsi."
Adam Lafayette, quelle le uniche due parole che gli sono state lasciate. Il nome di un ragazzo inconsapevole di quanto le sue spoglie avrebbero avuto un ruolo fondamentale nella sorte di uno degli angeli caduti più antichi, spedito sulla Terra per adempiere al nuovo ruolo affidatogli: portare un'anima alla vera felicità e indirizzarla alla luce celeste ed eterna, segnando un punto a favore alla riconquista del suo posto nei cieli.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non aveva alcun ricordo preciso della Caduta

Solo un’indistinta massa grigio scuro attorno ai suoi arti oramai gelidi e intorpiditi dal lento declino verso il suolo.

Il mondo che lo circondava pareva informe, se tentava di focalizzarne i particolari.

A stento era riuscito a schiudere le palpebre nel tentativo di comprendere a che punto del viaggio fosse.

Una cosa sola, però, la ricordava: il forte rombo dei tuoni sovrastanti contro i suoi timpani assordati, l’ululare minaccioso dell’uragano imminente, il lontano scrosciare della pioggia che si diffondeva, ipnotico, come un monito.. La natura in tutta la sua possenza.

Quei suoni gli avevano tenuto compagnia per un periodo di tempo indefinibile, perfino per lui che aveva vissuto fin dalle origini e conosceva meglio di altri il concetto di eternità e tempo.

Il tutto si era concluso d’improvviso, quasi fosse stato solo un incubo e nient’altro.

Si era ritrovato disteso sul lettino di un’obitorio, supino; la luce ronzante dei neon che riempiva il silenzio e il vuoto della stanzetta, illuminandone solo alcuni punti, a sprazzi, e lasciandone molti altri preda dell’oscurità.

Si era voltato su un fianco, lentamente, mentre riprendeva dimestichezza con quelle membra umane e fragili, a lui da troppo estranee.

Solo quando si fu seduto puntellandosi sui gomiti si rese conto di essere per metà infilato in uno dei sacchi in plastica cerata utilizzati di solito per i cadaveri.

Nonostante l’odore di stantio che ne emanava, il giovane rimase impassibile e, cautamente, scivolò fuori da quell’involucro che doveva averlo preservato come una larva fino ad allora.

Posò delicatamente i piedi lunghi e affusolati sul linoleum lucido e si passò una mano tra le ciocche castane della folta chioma, lunga appena sulle spalle.

La sensazione dei capelli tra le dita era a dir poco.. Inebriante.

Non poteva più riportare alla mente quella vita in cui era stato umano, in cui aveva percepito la pesantezza della pioggia impigliata in minuscole perline nel groviglio che era stato il suo ciuffo.

Sospirò, iniziandosi a sfilare e rinfilare l’anello d’argento che portava all’indice della mano sinistra, gesto che non sapeva come ma gli appariva familiare; gli comunicava sentimenti contrastanti come preoccupazione ed euforia, rabbia e serenità..

Lanciò rapide occhiate ovunque per la camera, analizzandone l’intonaco ammuffito appena sotto il soffitto, gli armadietti metallici stipati contro tre delle quattro pareti, l’altra fila di barelle rigide vuote che gli si parava dinanzi.

Il verde mare dei suoi occhi indugiò un poco, quando catturò l’immagine di una piccola targhetta bianca vicino all’alluce destro.

La raccolse e se la rigirò in mano, leggendovi, a caratteri piccoli e nervosi: “Adam Lafayette”.

Sospirò, concedendosi un mesto sorriso, prima di infilare il nome nella tasca del camice d’ospedale che vestiva la sua figura slanciata e tonica, i cui muscoli scolpiti al punto giusto emergevano dalle linee morbide che il tessuto sintetico tracciava.

Così, ora sarebbe stato quello il suo nome.

Quella la punizione. 

Un corpo estraneo. Una vita sconosciuta di cui, prepotentemente, veniva ad appropriarsi.

Aveva sentito parlare di qualche raro caso in cui un altro della sua stirpe aveva dovuto confrontarsi con il destino, al solo scopo di poter fare ritorno.

Aveva più e più volte cercato di ascoltare i passaggi della storia di quegli sventurati, per scoprire quando effettivamente avevano riottenuto il dono, perduto a causa della loro impudenza.

Aveva affinato l’udito in varie occasioni nella speranza di udire una tragica vicenda con un lieto epilogo ma, ogni volta che il racconto pareva essere giunto al termine, gli altri si interrompevano e, senza aggiungere altro, si separavano, tornando ai propri compiti.

E allora lui aveva compreso cosa il viaggio comportasse e che, quasi sicuramente, chi vi era sottoposto non veniva rivisto e si ritrovava faccia a faccia con prove particolari e sconosciute ai più.

Prendere possesso di un corpo appartenente a qualcuno già morto era, di certo, una di quelle.

Acquisire la memoria dell’individuo prescelto, la sua vita, i suoi timori, le sue gioie.. La sua identità.

Ci si trasformava in tutto e per tutto in un uomo o in una donna, esseri vulnerabili e miseri, se confrontati alla sua natura fatta di luce e potenza.

Somigliava ad una specie di contrappasso.

La sua, infatti, era in generale una natura troppo grande per poter essere racchiusa dai limiti della carne e, per un momento, non poté fare a meno di temere per sé, per il suo “vecchio io”, per la sua essenza iniziale; ebbe una paura indescrivibile e inarrestabile di aver perduto il germe del suo essere, quello vero e celeste.

La sensazione che provò fu devastante: un dolore quasi reale si era propagato da una zona interna, all’altezza dello stomaco, per poi propagarsi celermente nel resto del corpo, fino a paralizzargli le gambe e a piantargli le palme delle mani sul bordo della fredda branda.

Quelli erano sentimenti di cui era fiero essersi dimenticato; non poteva capire come la razza umana potesse conviverci senza morire ogni volta, senza sprofondare nel buio della propria mente.

Scosse d’un tratto il capo, scompigliandosi il ciuffo, per rinvenire da quell’esperienza traumatica.

Sarebbe ripartito da zero. Avrebbe dovuto farlo.

Prima riusciva ad abituarsi a quella condizione, prima avrebbe potuto raggiungere il premio finale.

Sapeva che c’era. Lo percepiva e basta.

Era una sorta di inalienabile certezza, così come il compito che era stato mandato a svolgere: rendere realmente felice un’anima umana, liberarla da un demone che la stava consumando poco a poco; destinarla, quindi, alla calda serenità della luce e riconquistare, così, le sue ali, la sua posizione tra li scranni del cielo, riconquistare il rispetto che, per viltà, suo Padre gli aveva sottratto.

Il respiro gli si fece regolare, mentre avanzava a piccoli passi verso la porta.

Dava su un corridoio illuminato a giorno, in cui una serie di umani pareva essere stato congelato nell’istante precedente alla sua comparsa lì, in quell’ospedale.

Sapeva che si trattava del mezzo per permettergli di eliminare le tracce di quel cadavere, di lasciare quel luogo senza destare alcuno shock.

Dopo aver recuperato il vecchio sacco scuro e preso dei jeans slavati e una T-shirt scarlatta da uno degli sgabuzzini riservati al personale, incedette rapido verso l’uscita.

La porta di ingresso spalancata, mentre la tenue brezza settembrina lo investiva, consacrandolo alla rinascita.

 

 

 

 

 

 

……

 

Salve!

Spero questo prologo vi piaccia e che, più avanti, vogliate leggere anche i successivi capitoli.

Vi ringrazio tanto dell’attenzione che avete dedicato a leggere queste due righe e spero vogliate lasciarmi qualche commento, che sia una critica o un consiglio.

Grazie e alla prossima.

  
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