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Autore: Kary91    23/04/2016    4 recensioni
[One-shot | Post-Rivolta | Gale!centric | Gale/Johanna]
“Perché sei qui?” la interrogò ancora, spingendo da parte il bicchiere. “Non hai già abbastanza problemi di tuo?”
Un sorrisetto sardonico inarcò le labbra di Johanna.
“Non te l’hanno mai detto, bellissimo?” replicò, avvicinando ulteriormente il suo sgabello a quello di Gale. “Niente è meglio che immergersi nei problemi altrui per dimenticarsi i propri. E poi non si può riaccendere un fuoco senza legna” aggiunse, tornando a giocherellare con il colletto della camicia del ragazzo. Questa volta, Gale non si scostò.
“E se io non volessi riaccenderlo?”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io non ho paura;'
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Gale/Johanna – Ritrovarsi;

Premessa. Questa storia fa parte della serie “Io non ho paura”, una raccolta di storie incentrata sulla coppia Gale/Johanna. La one-shot è ambientata a qualche anno di distanza dalla rivolta: Gale si è trasferito nel Distretto 2, dove sta frequentando l’Accademia di Aeronautica Militare per diventare pilota.

 

Prompt Utilizzato: Gale/Johanna – “ritrovarsi” lasciatomi da Little Redbird  per la challenge del We are Out of Prompts del 3 aprile) | Gale/Jhanna – “Niente è meglio che immergersi nei problemi altrui per dimenticarsi i propri.” (Carlos Ruiz Zafòn) sempre lasciatomi per la challenge del We are Out of Prompts (purtroppo non ricordo più il nick la promptatrice!)

 

 

Ho to (re)start a Fire

 

 

 

 

 

Gale studiò il contenuto del suo bicchiere, l’ennesimo, con aria distratta, senza nemmeno sforzarsi di sembrare interessato alle farneticazioni di Quinn. Le chiacchiere del compagno di Accademia stavano incominciando a frastornarlo – o forse a stordirlo era il boccale sempre pieno, che l’amico non perdeva mai occasione di riempire.

 

Non che gli dispiacesse sentirsi così; le sere in cui lui e Quinn si facevano beffe delle imposizioni rigide dell’Accademia per sgattaiolare al pub più vicino erano le uniche in grado di strappargli qualche sorriso e in questo l’alcool giocava sicuramente un ruolo decisivo.

 

Non poté fare a meno di preoccuparsi, tuttavia, quando i suoi occhi incominciarono a canzonarlo, mostrandogli l’arrivo nel locale di qualcuno che non poteva trovarsi lì.

 

Gale sbatté le palpebre e mise meglio a fuoco la donna  che si stava avvicinando al bancone con aria accigliata e le braccia conserte, lo sguardo vagante per la stanza, come se stesse cercando qualcuno.

 

“E questa bellezza da dove salta fuori?”

 

L’esclamazione ad alta voce di Quinn attirò l’attenzione della nuova arrivata, che gli rifilò un’occhiata piena d’astio prima di piantare lo sguardo in quello di Gale.

 

Il soldato ricambiò: l’osservò mentre li raggiungeva, il passo deciso e i modi irriguardosi con cui si faceva spazio fra le persone che intralciavano il suo percorso. Portava ancora i capelli corti, ma a parte questo era rimasto ben poco in lei della ragazza debole e smagrita a cui aveva fatto più volte visita nel Distretto 13, dopo averla tirata fuori da una cella di tortura a Capitol City.

 

Johanna Mason sembrava essere tornata la donna sfrontata e caparbia di una volta, la stessa che aveva catturato la sua attenzione qualche volta, mentre seguiva i 75esimi in televisione.

 

Johanna s’impossessò di uno sgabello solitario e lo sistemò di fianco a Gale.

 

 “Dallo stesso posto in cui salterà fuori un mio pugno se non ti levi di torno all’istante” ribatté poi rivolta a Quinn, senza degnarlo di uno sguardo.

 

Un sorrisetto divertito arricciò le labbra del soldato.

 

“Oh, sì, è decisamente roba che fa per te” osservò, dando uno schiaffo sulla gamba a Gale.

 “Non so quanto bene tu conosca Fuoco, ma a quanto pare ha un debole per le stronze” aggiunse, rivolto a Johanna.

 

Gale sbuffò.

 

“Vai a farti un giro, Quinn.”

 

Con un ghigno, l’amico si strinse nelle spalle e scese dallo sgabello.

 

“Agli ordini, soldato Hawthorne” replicò, sgranchendosi sonoramente le nocche, prima di dirigersi nella stanza sul retro del locale.

Gale posò il bicchiere e tornò a scrutare Johanna con circospezione.

 

Rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno alla ricerca di qualche indizio nell’aspetto dell’altro.

 

“Perché sei qui?” chiese infine Gale, pulendosi le labbra con il dorso della mano.

 

Johanna lo fissò ancora a lungo, prima di scuotere la testa.

 

“Lampadina aveva ragione: sei più morto che vivo” sbottò, rubandogli il bicchiere e vuotandone il contenuto in un colpo solo.

 

Quella risposta infastidì il ragazzo.

 

“Che cosa c’entra Beetee?”

 

Johanna si strinse nelle spalle e fece roteare il bicchiere con le dita.

 

“Ogni tanto mi telefona per fare quattro chiacchiere:  sai, qualche scambio di pettegolezzi fra due ex-vincitori nostalgici… L’altro giorno mi ha detto che è venuto a trovarti in Accademia: non sapevo che foste così intimi…”

 

“Non lo siamo” ribatté secco il ragazzo. “Abbiamo lavorato assieme nel Distretto 13: tutto qui.”

 

Johanna gli scoccò un’occhiata attenta, consapevole di aver centrato uno dei suoi nervi scoperti.

 

“Ad ogni modo, Lampadina mi ha detto che non te la stavi passando molto bene… Così ho deciso di venire a dare un’occhiata: l’idea di un viaggetto non mi dispiaceva. Al Distretto 7 si sta bene, ma non si gode di molta compagnia. E poi, sai, speravo proprio di trovarti in uniforme… ” aggiunse, facendo scorrere l’indice lungo i primi bottoni della camicia di Gale. “… Il fascino della divisa è un cliché che non invecchia mai.”

 

Gale  le allontanò la mano e scosse la testa, lo sguardo macchiato di scetticismo.

 

“Hai fatto un viaggio a vuoto” concluse, facendo cenno al barista perché gli portasse da bere. “Io sto bene e, anche se così non fosse, non sarebbero comunque affari tuoi.”

 

Johanna roteò gli occhi.

 

“Sono diventati affari miei nel momento in cui sei spuntato fuori all’improvviso nella mia cella a  Capitol City … Anche se non ti trovavi lì per me” aggiunse, indurendo la sua espressione. “Che ti succede, Hawthorne? Sembri un fantasma.”

 

Gli sollevò la testa con fare rude, obbligandolo a guardarla negli occhi: aveva lo sguardo cerchiato dalle occhiaie e l’aria spossata e risentita di chi vuole solo essere lasciato in pace. Non c’era orgoglio, né stoicismo in quelle iridi grigie, un tempo così accese da scottare chiunque osasse sfidarle.

 

La combattività del suo volto si era spenta e i suoi occhi sembravano annebbiati dal fumo.

 

“Quel ragazzo… Il cretino di poco fa…” proseguì Johanna, continuando a sostenergli il mento con le dita. “Ti ha chiamato Fuoco.”

 

Ancora una volta, il ragazzo la scansò.

 

“L’hai appena detto tu” replicò, passandosi una mano fra i capelli arruffati.  “È cretino.”

 

 “E se un tale imbecille è riuscivo a scovarti dentro qualche rimasuglio di fiamma, significa che non sei messo poi così male” ribatté Johanna, scrutandolo con intensità. “Bisogna solo trovare il modo di convincerti a darti una scrollata.”

 

Gale tornò a squadrarla con fare innervosito.

 

“Perché sei qui?” la interrogò ancora, spingendo da parte il bicchiere. “Non hai già abbastanza problemi di tuo?”

 

Un sorrisetto sardonico inarcò le labbra di Johanna.

 

“Non te l’hanno mai detto, bellissimo?” replicò, avvicinando ulteriormente il suo sgabello a quello di Gale. “Niente è meglio che immergersi nei problemi altrui per dimenticarsi i propri. E poi non si può riaccendere un fuoco senza legna” aggiunse, tornando a giocherellare con il colletto della camicia del ragazzo.

 

Questa volta, Gale non si scostò.

 

“E se io non volessi riaccenderlo?” osservò poi, la serietà del suo sguardo a coincidere con la vivacità beffarda di quello della donna.

 

Johanna si alzò dallo sgabello e si avvicinò a Gale, sfiorandogli l’orecchio con le labbra.

 

 

 “Prova a impedirmelo.”

 

 

   
 
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