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Autore: Pareidolia    28/04/2016    0 recensioni
In un'epoca non ben definita, il mondo è invaso dall'eccessiva presenza della tecnologia. Numerose società controllano i governi e la società, creando un vasto circolo vizioso e impadronendosi di tutto ciò che è a portata di mano con qualunque mezzo.
In questo mondo, però, l'assassinio è un atto tenuto segreto e molto richiesto da queste stesse società per difendersi o per farsi guerra fra loro. Proprio qui nasce questa storia, fra le scure strade di una Lione figlia della tecnologia più avanzata e dell'avarizia più viscida. Una città dove tutto, purché venga svolto nell'ombra e nella più totale discrezione, è lecito.
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 Mancava poco più di un'ora.

Molti veicoli di piccola taglia sfrecciavano a gran velocità lungo le scure strade di Lione. Tutt'attorno alti edifici, colmi di luci dai mille colori, adornavano la città pulsante di vita e tecnologia. Vista da lontano Lione pareva un'enorme metropoli ma, nonostante si estendesse per chilometri e chilometri facendo così impallidire la Lione del XXI secolo, era quasi una città di provincia se paragonata alle capitali d'Europa. A parte questo, però, negli anni quel luogo era diventato il simbolo dell'avanguardia nel campo della tecnologia. Grazie a compagnie come la Arch Technologies e molte altre, riusciva a mantenere un ruolo molto importante nel mondo.

Androidi, apparecchi per la sanità, per trasporti e per la vita quotidiana; tutto ciò veniva progettato e costruito lì in gran quantità per poi essere esportato ovunque. Questo serviva soltanto a mascherare i veri propositi delle varie società e a procurare delle entrate extra che facevano molto comodo. La realtà era che il principale campo in cui erano tutte specializzate era la produzione di armi su vasta scala, finanziando guerre in ogni parte del mondo; gli scopi di queste erano poco importanti, l'unica cosa che contava erano i guadagni i quali, negli anni, aumentarono a dismisura insieme alla percentuale di conflitti militari sulla superficie terrestre.

Tutte le regole, i valori e i concetti su cui il mondo si basava erano illusioni. Distrazioni create per le masse solo per simulare società perfette in pace fra loro quando, invece, erano tutte pronte a pugnalarsi alle spalle senza pietà.

In tutto ciò, Lione non era da meno. La città era, infatti, divisa in due parti; un gigantesco e invalicabile muro divideva la parte ricca, costituita da alti palazzi all'avanguardia pieni di ogni comfort e lusso dei tempi moderni, dalla periferia, zona dove vivevano tutti coloro che non potevano permettersi la vita agiata che si viveva dall'altro lato, costretti ad abitare in quelle che ormai erano le rovine di una Lione che non esisteva più da moltissimo tempo, i cui edifici erano i fantasmi di un'epoca morta.

La divisione sociale era netta, tangibile. Solo chi possedeva il pass e le truppe di correzione, soldati col compito di pattugliare la periferia, potevano oltrepassare quel muro ma, d'altronde, chi mai nella parte ricca avrebbe voluto ritrovarsi oltre ad esso?

In tutto questo turbinio di luci, intrighi politici e illusioni, una ragazza scrutava l'intera Lione dall'alto di un palazzo. I suoi occhi passivi ne studiavano ogni centimetro, con attenzione. Si alzavano verso la luna, resa opaca e scura dalla fitta cappa di smog che copriva il cielo e poi tornava giù, verso il muro. Le metteva malinconia, da sempre, ricordandole quando qualche anno prima viveva dall'altro lato, nell'altro mondo. Proprio di questo si trattava, due universi paralleli separati da una sottile ma impenetrabile linea scura, una linea di cui a volte aveva paura.

Dall'alto osservava tutte quelle persone che normalmente si credevano importanti per quella vacua società ma che, in fondo, non erano altro che migliaia di piccoli insetti della stessa misura, tutti uguali se visti da quell'altezza. In quel momento sorrise amaramente pensando a quanto gli umani fossero buffi nella loro estrema stupidità e vanità. Sentendosi parte di qualcosa di grande si scordavano di essere mortali e infinitamente piccoli se confrontati con quel gigantesco mondo che incuteva loro un antico e quasi sacro terrore che li spingeva a creare la loro paradisiaca e falsa società.

Quella notte la città era poco trafficata ma comunque incredibilmente rumorosa. Il suono dei clacson, le voci dei semafori che annunciavano la possibilità di passare o meno nelle diverse direzioni e quelle delle pubblicità appese ai palazzi facevano da sinfonia a quella città mentre il brusio delle voci delle persone sparse per le strade, simile al ronzio di un'enorme sciame di vespe, ne componeva la base.

Ora mancava un'ora precisa.

-Mi senti...? Riesci a sentirmi Sentenza?- Gracchiò la voce metallica di Ghost alla radio, riattivando le cuffie che la ragazzina teneva nelle orecchie.

-Sì, Ghost. Forte e chiaro, più o meno.- Rispose lei, senza distogliere lo sguardo dal mondo che aveva attorno.

-Manca poco tempo ormai, sei pronta?-

-Sì. Ho fatto una piccola deviazione ma arriverò in tempo sul luogo.- Detto ciò la conversazione si concluse. La ragazzina raccolse da terra il pesante borsone che aveva accanto mettendoselo in spalla e poi se ne andò, percorrendo le scale di emergenza dell'edificio.

Era molto giovane ma, nonostante i suoi soli quindici anni, riusciva a svolgere alla perfezione il proprio lavoro e per questo erano in molti a richiedere i suoi servigi. Correndo per i bui vicoli della città i suoi capelli scuri, lunghi fino alla base del collo, seguivano ogni movimento dell'aria e i lineamenti del suo viso chiaro e delicato, dai tratti orientali, era teso, concentrato.

Mancava mezz'ora quando raggiunse il luogo designato per la missione.

Si guardò un attimo attorno, senza dare nell'occhio. Era in una vasta piazza piena di lampioni e panchine; numerose coppiette stavano sparse dappertutto, poche persone si muovevano freneticamente per i dintorni. Lì di fronte c'era l'albergo Rousseau, il più lussuoso dell'intera città. Attraversò rapidamente la piazza, cercando di ignorare il disgusto che provava per coloro che aveva attorno ed entrò nell'edificio.

Lì si ritrovò in una grande hall ben illuminata e alla moda, ovviamente il più sfarzosa possibile. Ovunque non vi erano altro che ricchi uomini accompagnati da frivoli donne con abiti eleganti e sguardi altezzosi, che guardavano i camerieri e chiunque lavorasse lì dentro con aria sprezzante, vanitosa. Li odiava, tutti. Ma non era quello il momento di dare sfogo ai propri sentimenti, per quanti pochi ne avesse.

Venticinque minuti, il tempo continuava a scorrere rapidamente.

Si avviò verso l'ascensore, pensando per un attimo a quanto fosse buffo il fatto che, seppur di una differente razza, tutte quelle persone non erano altro che orrendi e luridi maiali travestiti da umani. Un fatto assai grottesco.

-Ghost sono nell'edificio. Qual'è la stanza in cui alloggeranno?-

-Stanza 217, si trova al secondo piano, ala ovest. Ti ho già aperto la porta da qui ma vedi di darti una mossa.-

Appena nell'ascensore, la ragazza lo bloccò fra i due piani e si tolse il soprabito scuro e la pesante felpa, restando con solo un'attillata ed elastica tuta rossa addosso.

Venti minuti.

Raggiunse il secondo piano, finalmente e con circospezione si introdusse nella stanza. Una suite di classe, arredata in maniera fin troppo esagerata per i suoi gusti. Tre letti fra cui uno matrimoniale, numerose luci, un televisore di ultima generazione, frigobar e bagno da palazzo reale. La ragazza si domandò quanto fosse costato il tutto ma non aveva il tempo di ispezionarne ogni angolo; la sua memoria visiva bastava a farle ricordare grosso modo come erano sistemati i mobili e ciò l'avrebbe aiutata in seguito. Individuò il condotto di areazione e dopo aver tolto le viti vi entrò, aspettando che i restanti quindici minuti passassero.

In ritardo di due minuti sui tempi stimati la porta si aprì di scatto e un suono di passi riempì il silenzio teso della stanza. Da dove si trovava non poteva vedere cosa stesse succedendo ma era certa che François Belvise fosse arrivato, insieme alla moglie e al figlio. Uno dei tre corse fino alla camera da letto, dove si trovava lei e si buttò su quello a una sola piazza mentre gli altri due si fermarono lì vicino a parlare.

-Mi spiace tesoro ma devo già andare, l'incontro inizierà fra poco, sai bene quanto la votazione e il mio stesso ruolo siano importanti in questa faccenda.- Disse lui, con tono frettoloso e carico d'ansia.

-Non ti preoccupare, ti aspetto qui. Quando finirai?-

-Non dovrei metterci più di un'ora, non ti preoccupare.-

Si sentì lo schiocco di un bacio e poi la porta si aprì, richiudendosi subito dopo. Né la donna né il bambino sentirono il click della pistola quando la ragazza tolse la sicura.

Fra i dolci e quotidiani gesti amorevoli della madre verso il figlio un proiettile, silenzioso e letale, si intrufolò fra loro come un terzo incomodo. Colpì la donna al centro del cranio, da dietro e il bambino, troppo piccolo per comprendere l'accaduto subito, si precipitò su di lei non appena questa cadde a terra. Il corpo diveniva sempre più freddo di secondo in secondo, al punto che le gelide mani spaventarono il bimbo che, nell'innocenza dei suoi cinque anni di vizi ed esagerata gentilezza da parte dei genitori, capì con strana rapidità cosa le fosse successo.

Tutto il dolore e la tristezza prima sospesi nel vuoto di quei pochi secondi scaturirono all'improvviso in un lagnoso, stridulo pianto viziato e di certo il piccolo non si accorse della figura che si ergeva alle sue spalle. Lei lo scrutava, curiosa di comprendere cosa lui stesse provando nella sua ignoranza e stupidità, come mai fosse così distratto da non accorgersi minimamente della sua presenza ma, ovviamente, non poté capire tutto ciò lei che del calore della famiglia ormai non ricordava nulla se non un leggero barlume, troppo lontano per poter essere ricordato.

Guardandolo pensò che, senza alcuna ombra di dubbio, quella gente non meritava altro se non di trovarsi dall'altra parte di quel perfetto e falso mondo, nella povertà, invece di intaccare con la loro frivolezza e la loro ossessione per il lusso la terra su cui camminavano.

Persino in quel pianto così disperato si poteva sentire chiaramente l'egoismo del bambino che si scatenava senza alcuna pietà, consapevole che ormai, per lui, tutti quei vizi che era solito ricevere non ci sarebbero più stati.

Comprese che quello era, finalmente, il momento di dare libero sfogo ai sentimenti che prima aveva trattenuto, per rispedire all'ovile quei maiali travestiti da uomini, per compiere la propria missione in quel mondo di menzogne.

La pistola, insieme al proiettile, sparò tutto quell'odio e quel disgusto, scatenandoli contro la creatura indifesa e lagnosa che le si trovava davanti ponendo fine a quello che per la ragazza era solo un insopportabile strazio. Le luci della stanza si spensero tutte e solo i pallidi e deboli raggi della luna osarono illuminare quei corpi inanimati, morti. Studiandoli per anche solo un secondo, notò che erano evidenti sui loro corpi i segni di numerose modifiche meccaniche per far sì che sembrassero agli occhi degli altri delle persone perfette, di rara bellezza.

Pervasa dal disgusto, la ragazza sputò su entrambi e nel buio sparì, così come era arrivata.

 

-Secondo te cosa succederà ora?- Domandò Ghost, senza staccare lo sguardo dallo schermo che aveva di fronte.

-Non lo so. Probabilmente Belvise sarà stato avvisato dell'accaduto e avrà cambiato la propria decisione riguardo al voto. Dopotutto era stato minacciato già da molto tempo ma ha preferito fare ciò che voleva, fregandosene degli avvertimenti di chi era più potente di lui. Se le cose sono andate così, l'ennesima compagnia egoista e dai secondi fini avrà vinto la propria causa e riacquisterà tutti i beni confiscati, nulla di più e nulla di meno. Almeno noi abbiamo ricevuto il nostro compenso.- Rispose lei.

-Beh questa è la politica, no? Ti ricordi per caso come si chiamava la compagnia? Non penso che si accorgeranno di qualche milione in meno se davvero si riprenderanno tutto ciò che hanno perso come dici tu.- Domandò l'uomo con un sorrisetto sul volto. Lei si limitò a scuotere la testa.

-Oh, fa niente, dopo controllerò i documenti per cercare il nome.-

Calò il silenzio nella piccola stanza buia, piena di cavi e schermi del computer. Era illuminata solo dalla luce bluastra di questi ultimi e il loro ronzio riempiva l'aria, cosa che causava un forte mal di testa alla ragazza ogni volta che stava lì dentro per troppo tempo; In un angolo c'era un piccolo letto, vecchio e logoro, inutilizzato da parecchio tempo.

-Certo che però...quest'uomo non aveva fatto nulla di male, no? Aveva solamente cercato di assicurare alla giustizia dei criminali e noi abbiamo reso possibile la sua rovina. Secondo te è giusto che sia andata così?- Domandò Ghost, voltandosi.

-Mi sorprende sempre il fatto che gli androidi abbiano dei sentimenti così forti e realistici ma tu a volte dai davvero fastidio, Ghost. Noi dovevamo solo svolgere un lavoro e quell'uomo, insieme alla sua famiglia, era comunque un membro di questa società malata ed egoista. Il fatto che fosse corrotto o meno conta poco in tutto questo.- Rispose lei, spogliandosi completamente e dirigendosi verso il bagno.

Si fermò un attimo, indugiando davanti alla porta.

-Ghost...- Mormorò.

-Sì? Che c'è?-

-Quei due...i loro corpi erano modificati ciberneticamente. Secondo te in questo mondo esiste ancora una sola parvenza di realtà?-

-Non saprei, non credo di essere la “persona” giusta a cui chiedere.- Le rispose lui, con tono pensieroso e malinconico.

La ragazza annuì e varcò la porta, in silenzio.

-Già, alla fine io sono solo un semplice androide e queste cose non mi competono affatto.- Mormorò lui, ormai solo nella stanza. -Ma davvero anche noi siamo così lontani dai comportamenti così orribili di questa società, noi che ce ne lamentiamo e che vorremmo vederla crollare su se stessa? Gli esseri viventi sanno proprio essere spaventosi, a volte, nei loro oscuri misteri.-

Il suono dell'acqua della doccia quasi copriva quello dei computer mentre Ghost, tornando al proprio lavoro di meticoloso hacker, non poteva fare a meno di ripetersi quella domanda mentre si prendeva la propria piccola vendetta contro la società che li aveva assoldati.

   
 
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