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Autore: LadyBones    02/05/2016    2 recensioni
Dal testo: [...] "Volevo solo dirti che so che, adesso, potrai sentirti sola e questo potrà spaventarti, ma non devi preoccuparti. Io sono qui e il mio mondo è abbastanza grande per contenere te, e tutte le tue paure. Potrai sempre contare su di me..."
Quello era il discorso più strano che mi avesse mai fatto il mio papà, ma mi era piaciuto. Davvero tanto e - ne ero certa - mi sarei ricordata quella giornata e, soprattutto, di quelle parole ancora per molto tempo. [...]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Peggy Carter
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
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13 Maggio 1996.


Avevo trascorso la mattinata rannicchiata sotto le copertine. Di tanto in tanto avevo udito la porta scricchiolare aprendosi e i piccoli passi della nonna risuonare per tutta la camera. Lo aveva fatto un paio di volte per controllarmi e, nonostante sapesse che fossi ormai sveglia da un pezzo, aveva finito per lasciarmi crogiolare nel calore del mio letto.


Non so dire con precisione quando decisi di alzarmi, forse fu quando iniziai a sentire i primi crampi allo stomaco o quando la pipì iniziò a premere più del dovuto. Probabilmente la combinazione di entrambi i due fattori, così, mi feci coraggio e – afferrato per un braccio il peluche di Captain America – mi avviai al piano di sotto.


L’odore di pancakes e sciroppo d’acero mi invase le narici non appena spalancai la porta della mia cameretta. Quello che mi fece precipitare al piano di sotto, però, non fu quel delizioso profumino, ma la voce familiare di mio padre. Un sorriso si allargò sulle mie labbra mentre a uno a uno scendevo i gradini facendo attenzione a non inciampare nella mia vestaglietta con i fiorellini. Non sarebbe stato carino ruzzolare per le scale proprio il giorno del mio compleanno, avrei lasciato quell’entrata trionfale per un altro giorno.


Quando, finalmente, scesi l’ultimo gradino corsi in direzione della cucina e fu lì che lo vidi.


“Papà!” strillai correndogli incontro.


Un secondo più tardi mi ritrovai con le mie piccole braccia strette intorno al suo collo. Prima di addormentarmi la sera precedente avevo espresso due desideri: uno sapevo già che sarebbe stato impossibile da realizzare, ma il secondo era appena stato esaudito. Probabilmente non c’era bambina più felice della sottoscritta in quel momento.


“Tanti auguri tesoro…”


Lo aveva sussurrato al mio orecchio stringendomi forte forte e, per un attimo, avrei anche potuto scomparire in quell’abbraccio.


“Sei tornato!”


“Non avrei mai e poi mai potuto perdermi il tuo compleanno!” aveva detto dandomi un buffetto sulla guancia.


“Abbiamo preparato una torta enorme con la nonna…”


Lo avevo sussurrato con una punta di orgoglio nella voce allargando le braccia per dare più enfasi alle mie parole. Certo, in realtà io avevo più che altro sparso farina per tutta la cucina e seminato di Smarties l’intera superficie della torta, ma tecnicamente anche questo significava cucinare, no?


“Allora credo proprio che assaggerò un pezzo di torta e poi potrai avere il tuo regalo.”


I miei occhi finirono per sgranarsi a quelle parole e le manine stringersi sul corpicino del mio peluche.


“Davvero?!?”


“Si, davvero, ma dovrai andarti a vestire perché tecnicamente il tuo regalo era un po’ troppo grande per essere incartato…” aveva sorriso divertito.


“Ooooooh… che cos’è?”


“E’ una sorpresa, non posso dirtelo. Avanti, torta e poi a vestirsi.”


Lo aveva detto con un che di autoritario, come suo solito anche se quella volta stava solo cercando di tenermi ancora di più sulle spine. Io, in ogni caso, non me lo feci ripetere due volte. La mia curiosità stava raggiungendo picchi non ancora raggiunti in precedenza e, intenta a capire cosa fosse quella sorpresa talmente enorme da non poter essere contenuta in uno scatolo, dimenticai per un attimo che – per la prima volta in sei anni di vita – quel giorno mancasse un pezzo davvero importante della mia vita.








Dopo aver divorato un’intera fetta di torta e gli innumerevoli tentativi della nonna di sistemarmi i capelli in una treccia ordinata, eravamo finalmente usciti di casa. Erano dieci minuti buoni che eravamo immersi nel traffico della città e avevo cercato di pazientare, fino a che non avevo esaurito la pazienza. Considerato che noi bambini non siamo di certo famosi per la nostra pazienza, men che meno io, quello era stato praticamente un record.


“Allora, siamo arrivati?” lo avevo chiesto agitando le gambine che non toccavano ancora per terra su quel sedile grande il doppio di me.


“Non, ancora. Cinque minuti e siamo arrivati…”


“Lo hai detto anche cinque minuti fa.”


“Me ne rendo conto, ma è passato un minuto scarso da quando me lo hai chiesto.” Lo aveva detto ridendo.


Avrei voluto ribatter dicendo che un minuto poteva sembrare anche un’eternità quando si è piccoli e c’è in ballo un regalo così enorme, ma non dissi nulla. Preferì restare a guardarlo ridere divertito. Mi piaceva un sacco quando il mio papà rideva ed era passato così tanto tempo dall’ultima volta che non avevo voluto rompere l’incantesimo. Ero rimasta, così, seduta – le gambe che oscillavano – a sbirciare nella sua direzione. Qualsiasi fosse la sorpresa che mi aveva preparato non avrebbe di certo battuto quel momento.


Beh, per lo meno era quello che avevo creduto lì seduta in macchina. Le cose erano decisamente cambiate quando finì per ritrovarmi – in piedi, la manina in quella più grande di mio padre – davanti allo Smithsonian. Corrugai appena la fronte, arricciando il naso cercando di capire che cosa avremmo dovuto fare lì.


“Non era quello che ti aspettavi?” mi chiese mio padre sorridendo di sottecchi.


“Non è che voglio deludere le tue aspettative, ma andare in un museo non è proprio la cosa più divertente da fare il giorno del proprio compleanno. Insomma, ho pure sempre sei anni dovrei essere un pochino più vecchia per entrare in un posto del genere… non credi?”


Sollevai lo sguardo su mio padre appena in tempo per vederlo portarsi una mano alle labbra cercando di trattenere un sorriso, ma quello era stato più veloce di lui.


“Ricorda, Lenny, che non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la cultura. Sono certo che ti piacerà da morire quello che sto per farti vedere. Stanno allestendo una mostra, una di quelle speciali. Non è ancora aperta al pubblico, ma conosco la persona che se ne sta occupando. Le ho parlato di te e del fatto che oggi fosse il tuo compleanno e ha deciso di fare uno strappo alla regola… sarai la prima a vedere che cosa stanno organizzando.”


“La prima?!?” avevo chiesto con un misto di eccitazione e incredulità nella voce.


Mio padre aveva annuito divertito e non ci avevo pensato due volte a tirarlo per la mano cercando di salire velocemente tutti quei gradini. Erano davvero tanti per un essere umano di normali proporzioni figuriamoci per me che ero alta mezzo metro e una vigorsol – giusto per abbondare. Visto, però, che avevo davvero fretta mi ci misi d’impegno e, per un secondo, pensai proprio di essere riuscita a rompere una di quelle leggi della fisica di cui a volte gli adulti parlano.




Qualche minuto più tardi eravamo finalmente all’interno dell’edificio – il fiatone a farci compagnia. Avevo tirato un respiro profondo con la speranza di recuperare ossigeno non smettendo, neanche per un attimo, di guardare da una parte all’altra di quel posto immenso alla ricerca della mostra così speciale di cui il mio papà mi aveva parlato.


Mi morsi il labbro inferiore costringendomi a darmi un contegno e non sembrare una di quelle bambine impazienti – avevo pur sempre appena compiuto sei anni. Sollevai, così, lo sguardo verso mio padre cercando di sembrare completamente normale e, allo stesso tempo, fargli capire che doveva comunque sbrigarsi. Il risultato doveva essere stata una faccia davvero buffa perché lui aveva finito per sorridere divertito. Roteai gli occhi al cielo, prima di sentire il pavimento mancarmi sotto ai piedi quando fui presa in braccia da lui che, senza scomodarsi più di tanto, decise finalmente di muoversi.


Fu qualcosa di istintivo finire per accoccolarmi contro di lui e respirare quel profumo che sapeva tanto di buono, di pino e del mio papà. Era il profumo che gli avevamo regalato con la mamma durante l’ultimo Natale. Lo aveva fatto scegliere a me, perché era arrivato il momento che iniziassi a capire come prendermi cura di lui – aveva detto – nel caso in cui lei non fosse stata nei paraggi. Peccato che non avesse avuto il tempo di dirmi tutto nei minimi dettagli. Avrei dovuto improvvisare da lì in avanti, pensai e istintivamente mi strinsi ancora di più alla sua maglietta blu scuro.


“D’accordo, ci siamo. Sei pronta?”


Aveva chiesto sbirciando nella mia direzione e io avevo annuito con enfasi. Chissà cosa avrei trovato al di là di quella porta. E se fossero stati dinosauri? Io odiavo i dinosauri, erano così enormi e spaventosi che sembrava volessero mangiarmi in un sol boccone. Poco importava se alcuni di loro mangiavano solo le piante, come potevo sapere io quali erano quelli carini da quelli meno carini? Sembravano tutti uguali!


“Papà, ti prego non voglio essere divorata da uno di quei dinosauri…” lo avevo detto prima ancora di rendermene conto.


Lui aveva ridacchiato prima di scoccarmi un bacio sulla guancia facendomi il solletico con la sua barba appena accennata. Avevo sorriso e quando finalmente la porta si spalancò mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro. Per un attimo rimpiansi di non avere occhi più grandi per poter vedere meglio tra tutte quelle teche con tutti quei volti impressi sopra.


Scritte bianche erano incise su ogni lastra di vetro. Provai a leggere cosa dicessero, ma avevo ancora qualche problemi qua e là con la lettura quindi lasciai perdere prima che mi venisse un gran mal di testa. Fu proprio in quel momento che lo vidi.


Fu un attimo, un battito di ciglia e una delle teche finì per attirare la mia attenzione. Gli occhi si sgranarono involontariamente e la mia bocca finì per creare una piccola O di pura sorpresa. Allungai la mia manina indicando esattamente davanti a noi.


“Ma quello è…”


Non feci neanche in tempo a terminare la frase. Appena i miei piedi toccarono terra sfrecciai in direzione della teca al centro della stanza, facendo appena in tempo a fermarmi. Le manine appiccicate al vetro, il nasino a poca distanza e gli occhi fissi su quell’oggetto rotondo con una stella al centro.


“Si, è una riproduzione dello scudo di Captain America. Ti piace?” aveva sussurrato mio padre che nel frattempo si era accovacciato al mio fianco.


“E’ belliffimo!”


Lo avevo detto entusiasta, incespicando sulle parole per colpa della troppa emozione. Il nonno mi aveva raccontato molte volte di Steve Rogers. Mi aveva persino mostrato una sua specie di foto. Ogni volta, prima di andare a dormire, gli imploravo di raccontarmi ancora una volta la sua storia. Certo, sapevo perfettamente che il vero scudo era andato disperso, ma era un dettaglio facilmente trascurabile in quel momento.


“Sai, quando Captain Rogers dovette affrontare i tedeschi e vincere la guerra si fece aiutare da alcuni suoi amici.” Mi disse indicandomi un muro alle nostre spalle in cui erano raffigurati alcuni uomini.


“Si, nonno me lo ha raccontato…”


“E ti ha detto che c’era anche una donna ad aiutarlo?”


“Davvero?!?”


Poggiata la fronte sul vetro avevo girato lo sguardo in direzione di mio padre. Lui aveva annuito e mentre accarezzava la mia schiena aveva preso a raccontarmi quel pezzo di storia mancante.


“Era un agente – davvero brava, la migliore forse. Aveva preso a cuore Steve, così aveva finito per aiutarlo. Dicono che avessero finito per innamorarsi…”


Lo aveva sussurrato e il mio “oooooh” che ne era seguito era stato involontario. La parte migliore il nonno si era dimenticato di raccontarmela – lui era sempre così fissato con le armi, la cosa non mi sorprendeva.


“Qual era il suo nome?” avevo chiesto curiosa come poche volte nella mia vita.


“Peggy. Peggy Carter.”


Ero rimasta in silenzio per qualche secondo dandomi la possibilità di ripetere quel nome in mente – più e più volte – fino a quando non fui certa che non me lo sarei dimentica. Feci per aprire la bocca per chiedere qualche informazione in più, quando una voce femminile non finì per bloccarmi.


“Agente Cooper, è bello rivederla.”


Aveva sussurrato allungando una mano in direzione di mio padre che prontamente ricambiò quella stretta. Mi voltai incuriosita e – sollevata la testa – incrociai gli occhi nocciola di una donna che non avevo mai visto prima. Capelli scuri con qualche ciocca bianca a incorniciarle il volto. La vidi sorridermi e, per non so quale motivo, mi ritrovai a ricambiare. Un secondo più tardi me la ritrovai alla mia stessa altezza, una mano ad accarezzarmi la testa.


“Tu devi essere Eleanor.”


Lo aveva detto con quell’accento strano, ma che mi piaceva tanto – così elegante. Mi ero ritrovata ad annuire in preda a un’improvvisa timidezza. Quella signora era così bella, da giovane lo doveva essere stata ancora di più.


“Ho saputo che oggi è il tuo compleanno e che ti piace tanto Captain America, non è così?”


“No…cioè si…”


Alzai gli occhi al cielo per essermi trovata a incespicare sulle parole in quel modo. Mi morsi il labbro inferiore e – stringendo le manine con forza – mi feci coraggio.


“Vorrei tanto essere come lui.”


Riuscì finalmente a sussurrare, suscitando un enorme sorriso nella donna ancora accovacciata davanti a me. La vidi annuire e – sollevatasi – fece un segno a uno di quegli uomini intenti a lavorare, indicando la teca al nostro fianco.


“Solitamente questa è una cosa che non dovrei fare, ma qualcosa mi dice che tu sei una bambina speciale.”


Io ero arrossita – si lo so, non succedeva spesso una cosa del genere, ma quella signora aveva finito per prendermi in contropiede. Quando, poi, l’avevo vista afferrare lo scudo e porgermelo il mio cuore aveva preso a battere così velocemente che – ne sono certa – aveva iniziato a fare le capriole. Lo dovevo ammettere – una statua in quel momento sarebbe stata più reattiva di me, dico per davvero. Solo quando sentì la mano di mio padre sospingermi dolcemente, presi a muovermi.


Mi avvicinai piano piano fino a quando le mie manine non toccarono il metallo freddo. Quello probabilmente era il momento più bello di tutta la mia vita. Poco importava se lo scudo era praticamente il doppio di me – ok, forse il triplo.


“E’ così grande…” avevo sussurrato facendo ridere il resto dei presenti.


Quella gentile signora si piegò nuovamente, ritrovandoci occhi negli occhi.


“Ritienilo il mio regalo di compleanno e, di tanto in tanto, ricordati di questo momento. Sai, ho una buona sensazione su di te e raramente mi sbaglio.” Mi aveva sussurrato facendomi l’occhiolino.


Io le avevo sorriso e stretto ancora un po’ lo scudo tra le mie piccole manine prima di doverlo ridare indietro. Un po’ mi era dispiaciuto doverlo lasciare, ma quella gentile signora mi aveva assicurato che sarei potuta tornare ogni volta che avrei voluto nel museo una volta che i lavori sarebbero terminati. I miei occhi avevano finito per brillare a quelle parole.


“Adesso credo sia proprio il caso che andiamo.”


Avevo annuito alle parole di mio padre e – prima di afferrare la sua mano – mi ero lasciata trasportare dall’emozione e abbracciai, così, quella dolce signora che prontamente aveva ricambiato.


“Grazie mille, davvero.”


“Di nulla, tesoro. E’ stato bello rivederti…” aveva sussurrato al mio orecchio prima di scoccarmi un bacio sulla guancia.


Le avevo sorriso e - raggiunto mio padre – avevo stretto la sua mano seguendolo verso l’uscita. Eravamo quasi sul punto di varcare la soglia della porta quando mi voltai un’ultima volta e agitai una manina in segno di saluto. La signora ricambiò il mio saluto sorridendo. Fu in quel momento che sentì la voce di un uomo richiamare la sua attenzione.


“Peggy, potresti venire un attimo?”


Nel sentire quel nome i miei occhi finirono per sgranarsi per la sorpresa. Sollevai la testa in direzione di mio padre che – nel notare la mia espressione di stupore – ricambiò il mio sguardo facendomi l’occhiolino. Quello, senza ombra di dubbio, era stata il miglior compleanno di sempre.








***








Un’oretta più tardi, ci eravamo ritrovati seduti su una delle panchine del parco – gelati alla mano. Le mie gambe che ondeggiavano avanti e indietro, le labbra imbrattate di cioccolato e un sorriso talmente enorme che, prima o poi, avrebbe finito per farmi male la faccia.


“Allora, ti è piaciuto il tuo regalo?”


“Si, tanto. Grazie mille, papà…”


Lo avevo sussurrato prima di aggrapparmi alla sua giacca e stampargli un bacio al gusto di cioccolato sulla guancia. Lo avevo visto ripulirsi la guancia per poi rinunciarci, per evitare di imbrattarsi ancora di più. Lo avevo fatto ridere però, e ne ero incredibilmente contenta.


“Ascolta Lenny, so che adesso che la mamma non c’è più le cose saranno diverse. Io devo lavorare e…” aveva preso a parlare prima che io lo interrompessi.


“Si, lo so. Devi andare a salvare le persone come i supereroi.”


Lo avevo detto convinta e lui mi aveva sorriso accarezzandomi dolcemente la testa. Aveva semplicemente annuito, senza realmente contraddirmi.


“Più o meno, si. Volevo solo dirti che so che adesso potrai sentirti sola e questo potrà spaventarti, ma non devi preoccuparti. Io sono qui e il mio mondo è abbastanza grande per contenere te, e tutte le tue paure. Potrai sempre contare su di me…”


Quello era il discorso più strano che mi avesse mai fatto il mio papà, ma mi era piaciuto. Davvero tanto e – ne ero certa – mi sarei ricordata di quella giornata e, soprattutto, di quelle parole ancora per molto tempo. Non so spiegarne il motivo, ma in fondo – al momento – avevo solo sei anni e ancora molto tempo davanti a me per capire le cose.

 
 


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N.d.a.


E’ la prima volta che pubblico qualcosa in questo fandom, quindi spero di aver fatto un buon lavoro o comunque di essermela cavata. XD In realtà, questa shot si va a inserire in un progetto un po’ più ampio. Diciamo che è solo una piccolo intro che servirà per quello che verrà dopo. A breve, infatti, potrete leggere qualcosa di più su Lenny e sulla sua storia, quindi se vi è piaciuto quello che avete letto e se siete anche solo un po’ incuriositi allora rimanete sintonizzati. Spero di poter leggere qualche vostro parere e ritrovarvi in seguito con l’inizio dell’avventura vera e propria.

A presto,

- LadyBones.


 
 
   
 
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