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Autore: mattmary15    04/05/2016    2 recensioni
Charles Xavier sa di non essere il solo con capacità fuori dal normale.
Erik Lehnsherr crede di essere il solo con un potere tanto grande e maledetto.
A Lena Pike hanno detto di essere l'anello mancante.
Una notte, sott'acqua, alla ricerca di un nemico comune, tre ragazzi straordinari s'incontreranno e legheranno il loro destino.
Questo destino li porterà verso la salvezza o l'apocalisse?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Raven Darkholme/Mystica
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eredità di Shaw'
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Prologo

La pace non era mai stata un’opzione per Erik. Eppure, mentre stringeva il corpo di Lena tra le braccia, mentre le vedeva scendere un’ultima lacrima sul viso incapace di sentire l’ultimo flebile alito di vita della fanciulla svaporare dalle sue labbra per colpa del martellare assordante del suo stesso cuore, mentre Charles gli si parava di fronte impugnando un’arma con il viso arrossato dal pianto e dalla rabbia urlando una verità tagliente tanto e più del freddo metallo, Erik si rese conto che se avesse scelto quell’unica opzione che si era rifiutato di considerare, le cose sarebbero andate in modo completamente diverso.

Capitolo I : L’apparenza inganna

Non avrebbe potuto dimenticarlo neppure se l’avesse voluto con tutte le sue forze. Elena strinse con una mano il ciondolo che era stato di sua madre e si asciugò una lacrima. Il dolore che le attraversò la mente mentre alla televisione Kennedy parlava della tensione tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, non aveva niente a che fare con il fatto che, per l’ennesima volta, aveva fatto uno zaino ed era pronta a lasciare la città. Si trattava piuttosto di un dolore antico che riaffiorava da sotto la pelle ogni qualvolta sentiva la necessità di ripensare a sua madre. A suo padre invece non pensava mai ed era una cosa buffa poiché la colpa di quel suo eterno girovagare fra grandi città e angoli dimenticati da Dio dipendeva proprio da lui. Un uomo che non aveva mai conosciuto. Morto prima che lei nascesse eppure ugualmente capace di rovinarle la vita, imprimerle nel DNA la sua eredità.
Le aveva lasciato occhi azzurri e capelli biondi, un cuore forte e discrete doti atletiche. Un cervello affinato incline alla furbizia. Tutto questo e qualcosa di più. Qualcosa nel corredo dei suoi cromosomi era speciale al punto che si sarebbe potuto dire su di lei la classica frase sull’apparenza che spesso inganna.
Laddove infatti molti avrebbero visto una fanciulla esile ed indifesa, madre natura aveva messo una creatura con molte risorse. Risorse che Elena aveva scoperto di avere solo nel momento in cui aveva perso sua madre ed era rimasta completamente sola. Eppure c’era un’unica cosa che la ragazza avrebbe preferito non ereditare dal defunto genitore. Il suo nome. Elena infilò nello zaino il suo certificato di nascita, l’unico documento autentico che avesse, l’unico che avrebbe voluto distruggere e da cui non riusciva a separarsi. Guardò il suo passaporto. Nella foto sorrideva. Nome Lena, cognome Pike, nazionalità americana.
Con un cenno del capo richiamò Shila, la femmina di pastore tedesco che viveva insieme a lei, aprì la porta e uscì lasciandosi dietro quel piccolo appartamento di Londra.
Raggiunta la stazione guardò quale fosse il primo treno a partire. Faceva sempre così. Non aveva importanza la destinazione. Contava muoversi in fretta. Il tempo corre veloce quando si fugge e lei lo sapeva bene.
“Un biglietto per Oxford.” Disse all’uomo alla biglietteria.
“Per quando?” rispose l’uomo.
“Ora.” L’uomo prese i soldi e le fece scivolare il biglietto sotto il vetro.
“Grazie” disse allontanandosi.
Quando il treno partì, intravide la figura di un uomo in abito grigio che sembrava cercare qualcosa sulla banchina dalla quale si era appena staccato il suo treno. Giurò di avere notato anche un uomo dalla pelle rossa ma non ne fu certa poiché si era ritratta all’interno del vagone. Una donna al suo fianco , vedendola impallidire, le posò una mano sul braccio e le chiese se avesse bisogno di qualcosa.
Lena sentì la testa girare un attimo e percepì che quella donna era tremendamente in pena per la perdita di un bambino. Una lacrima le si formò alla base dell’occhio destro e la donna le chiese di nuovo se stesse bene.
“Sì, mi scusi, sono solo molto triste.”
“Alcune partenze sono così. Ha detto addio a qualcuno a cui voleva bene?” chiese la donna convinta che fosse la partenza ad addolorare la sua vicina di posto.
“Non oggi.” Rispose Lena staccandosi un po’ dalla signora che prese il gesto come una richiesta di chiudere a quel punto la conversazione. Il resto del viaggio trascorse tranquillo.
Ad Oxford pioveva. Shila non faceva che scrollarsi di dosso l’acqua che il suo pelo non riusciva ad assorbire.
“Vieni bella, troviamo un posto all’asciutto.” Disse al cane che la seguì senza fare storie. Raggiunse un locale dal quale arrivavano risate e musica e sentì la necessità di entrare. Shila trovò immediatamente posto sotto al tavolo vicino ai piedi della padrona.
“Cosa le porto, signorina?” chiese il cameriere.
“Una birra e un club sandwich. Ah, un po’ d’acqua per lei. Grazie.” Il cameriere annuì e si allontanò.
Fu allora che lo vide. Aveva un sorriso splendido e sembrava desideroso di dispensarlo. Era bello. Lena lo trovò bello. Lo vide alzarsi dal tavolo e marciare deciso verso di lei. Chinò lo sguardo e si perse la donna rossa che lo intercettò. Erano talmente vicini al suo tavolo che poté ascoltare l’intera conversazione.
“Mi scusi professore, posso rubarle un minuto? Ero alla sua seduta e ho ascoltato il tema della sua tesi. Vorrei chiederle una cosa?”
Professore? Quel ragazzo così giovane era un professore? Lui sorrise, di nuovo, e deviò la sua rotta iniziale accompagnandola a sedersi al tavolo accanto a quello di Lane.
“Certo che ho un minuto per una ragazza con una mutazione bella come la sua. Voglio dire, i capelli rossi sono una splendida mutazione!” La donna però lo interruppe.
“Professore, mi perdoni ma non è di questo genere di mutazioni che voglio sapere. Io ho bisogno di capire se mutazioni come quelle che lei ha descritto in quell’aula, poco fa, possono essersi già manifestate.”
A Lena non sfuggì il modo in cui l’uomo si passò due dita vicino alla tempia sinistra. Nel frattempo il cameriere le consegnò l’ordinazione e Shila bevve avidamente dalla sua ciotola.
“Credo, mia cara, che lei abbia già la risposta a questa domanda. Mi dica, però, di questo Shaw e io farò tutto ciò che posso per aiutarla.”
La birra di Lena si rovesciò sul tavolo e i suoi due vicini sussultarono al rumore del vetro infranto del bicchiere.
“Perdonatemi, il mio cane spesso non si rende conto delle sue dimensioni. Ha urtato il tavolo. Tutto ok.” Disse Lane sforzandosi di sorridere. Avvertì però lo stesso la mente dell’uomo sfiorare la sua e perciò si alzò, pagò il conto e uscì dal locale.
Aveva udito bene? Shaw? Sebastian Shaw? Chi erano quei due per conoscere Shaw? Rimase sotto la pioggia nel vicolo accanto al locale e aspettò che uscissero anche loro.
“Allora professore a domani.” Sentì dire alla donna “ L’aereo per Washington parte alle dieci.”
“Stia tranquilla, Moira. Ci sarò.”
“Charles?”
“Sì?”
“Sicuro di star bene? Si guarda intorno da un po’, mi sembra distratto. Anche se sono della CIA , le ho detto che non c’è nessun altro oltre me.”
“Mi scusi, deve essere la sindrome da contatto con agente segreto!” disse strizzandole un occhio e allontanandosi.
Lena sorrise nel vicolo. Sapeva abbastanza per quella sera. Vide il professore girarsi ancora nella sua direzione.
“E’ inutile professore,” disse Lena sottovoce “non sono una che puoi leggere, io.”

Charles si alzò di buon ora nonostante l’aereo fosse alle dieci. Non aveva quasi chiuso occhio.
“Mio Dio che brutta faccia che hai!”
“Buongiorno anche a te, mia adorabile Raven!”
“Dormito male?”
“Non ho dormito affatto.”
“Hai pensato al nostro viaggio?” Charles scosse il capo lasciando intendere che si trattava di qualcos’altro.
“Ieri sera, al locale, ho percepito qualcosa.”
“In quella tizia della CIA?”
“Quella tizia si chiama Moira, sii gentile per cortesia!”
“Allora?” chiese Raven sbuffando.
“No, non in lei. Non saprei dirti. Più che vedere qualcosa di strano, non ho visto niente.”
“Charles, tu mi preoccupi. Seriamente.” Charles sorrise e le poggiò un bacio tra i capelli.
“Scusa, hai ragione. E’ che in genere, anche se in modo leggero, quasi latente, percepisco sempre qualcosa dalle persone che mi sono intorno. Ieri, nel locale, c’era qualcuno che era, come dire, vuoto.”
“Peggio per lui! Ora muoviti a fare colazione. C’è un aereo che ci aspetta!” Charles annuì e finì il suo latte.
Quando l’aereo decollò però alcune ore più tardi, Charles avvertì la medesima sensazione del giorno prima. C’era qualcuno, sull’aereo, che lui non riusciva a leggere. Si guardò intorno prima di decidere di provare a dormire un po’ per recuperare il sonno perso durante la notte.
Fu una scelta saggia perché l’incontro con il direttore della CIA, tale McCone, non fu per niente facile e Raven dovette mostrare la sua mutazione per convincerlo che sia lui che lei non fossero dei ciarlatani.
Aveva immaginato che la razza umana sarebbe stata sospettosa nei confronti dei mutanti, tuttavia non avrebbe immaginato di incontrare tanta diffidenza.
Le cose sarebbero migliorate? Non nell’immediato futuro. E soprattutto non durante la loro prima missione per fermare Shaw.
Avevano avuto notizia che il criminale internazionale conosciuto come Sebastian Shaw si trovava in Argentina. Shaw altri non era che Klaus Schmidt, gerarca nazista responsabile di violenti esperimenti di genetica sui prigionieri dei campi di concentramento in Europa.
Si erano diretti laggiù per intercettare lui e i mutanti che erano al suo fianco. Di certo non immaginava che qualcun altro era sulle tracce di Schmidt. Anche se aveva sempre pensato di non essere il solo ad essere ‘diverso’, non immaginava che ci fosse qualcuno come lui. Qualcuno come Erik Lensherr.
Del loro primo incontro ricordò sempre l’oscurità delle acque in cui erano immersi e lo smarrimento negli occhi del signore dei metalli. Sia la prima che la seconda cosa li avrebbe rivisti solo molti, molti anni dopo e per tutto il tempo trascorso in mezzo, pensò che quella notte Erik assunse quell’espressione solo perché non immaginava che ci fossero altri come lui e che non gli sarebbe più capitato di vederlo indifeso.
Di certo Charles non era rimasto indifferente di fronte alle capacità di Erik. Sollevare ancore di metallo pesanti diverse tonnellate non era una cosa che si vedeva ogni giorno. Eppure ciò che l’aveva sconvolto era stata la cieca determinazione con cui Erik aveva cercato di fermare il sottomarino di Shaw. Se non fosse entrato nella sua mente, se non l’avesse placata con la calma che gli era propria, quell’uomo si sarebbe fatto trascinare all’inferno pur di non mollare la presa.
Quella notte Charles imparò anche un’altra grande lezione di vita. Non bisogna sentirsi al sicuro prima di essere a debita distanza da una fonte di pericolo e più è grande questo pericolo, maggiore deve essere la distanza da mettere tra essa e se stessi prima di sentirsi davvero al sicuro.
Fu per questo che lui ed Erik, intenti a fare amabilmente conoscenza nel bel mezzo del nulla sopra decine di metri d’acqua scura, ancora lontani dalla fregata della marina americana, furono improvvisamente risucchiati da un vortice creato sott’acqua da uno dei compagni di Shaw.

Quando Erik si sentì di nuovo trascinare verso gli abissi, inizialmente pensò che fosse un altro dei trucchi di quell’adorabile ragazzino che era entrato nella sua testa e aveva ficcanasato ovunque nei suoi ricordi e nelle sue intenzioni. Quando però si accorse che Charles Xavier stava arrancando peggio di lui sott’acqua, fece uno sforzo sovrumano per usare il suo potere ancora una volta. Tentò di usare il suo magnetismo per farsi attirare dal metallo della nave americana e afferrò un braccio di Charles. Quel ragazzo si era tuffato da una nave senza sapere nulla di lui per salvargli la vita, non lo avrebbe lasciato affogare. Non ora che sapeva che era come lui. Si concentrò e si sforzò più che poteva. L’acqua che continuava a vorticare e il peso di Charles lo fecero tremare. Improvvisamente si sentì di nuovo quel ragazzino di vent’anni prima che non riusciva a spostare una semplice monetina.
Fu in quel momento che qualcosa si mosse vicino a lui e si sentì afferrare la mano. Allora non ebbe più paura e udì la voce.
“Non fare resistenza!”
Stava per consumare l’ultimo respiro, Charles stava già probabilmente affogando. La vide e credette che fosse un’allucinazione. Il volto di un angelo che probabilmente era lì per Charles perché a lui sarebbe di certo toccato l’inferno. Di nuovo la voce.
“Non fare resistenza! Fidati!”
Ebbene fidarsi non era una cosa che Erik era più in grado di fare da tanto tempo. Come avrebbe potuto fidarsi in punto di morte di un’allucinazione? Sorrise in un ghigno lasciando andare l’ultimo respiro. In fondo stava morendo. Poteva anche cedere a quell’illusione. Tirò a sé Charles e abbandonò la presa dello scafo della nave.
In quello stesso istante l’acqua intorno a sé cominciò come a evaporare e si ritrovò insieme a Charles in una sorta di bolla d’aria sott’acqua. Di fronte a loro, con gli occhi chiusi e le braccia distese, stava una ragazza bionda che faceva lentamente risalire la bolla verso la superficie. Doveva costarle molta fatica perché non appena riuscirono a riemergere, la bolla si ruppe e la ragazza cominciò a sprofondare di nuovo. Erik l’afferrò con la mano libera e le tenne la testa fuori dall’acqua fino a che la nave americana non li raccolse.
Charles riprese i sensi per primo e fu lieto che Erik si fosse unito al gruppo della CIA anche se in realtà Erik non aveva mai pensato di farlo.
“Così tu sei un telepate. Entri nella testa delle persone come se fossero stanze di cui hai le chiavi.” Disse Erik afferrando un bicchiere e versandosi del brandy.
“E tu controlli il metallo piegandolo come fosse carta! Stupefacente. Quando ho visto quelle ancore emergere dall’acqua e librarsi in aria come fossero piume, ho capito che doveva essere la capacità di una persona fuori dal comune. La tua mutazione è la più straordinaria che abbia mai visto!”
“Io non credevo che ce ne fossero altre!”
“Davi la caccia a Shaw da solo?”
“Devo risponderti? Non hai già visto tutto? Hai detto di sapere quanto sia importante per me.”
“Allora lei chi è?” chiese Charles ad Erik.
Erik fissò ancora una volta la ragazza priva di sensi che giaceva nel letto accanto a quello di Charles e cercò di ricordare se non l’avesse vista prima. Aveva qualcosa di familiare ma si sarebbe di certo ricordato di lei se si fossero già incontrati. La trovava bellissima. Una mutante bellissima con una mutazione splendida.
Charles schioccò la lingua e sorrise.
“Che hai da sorridere, Xavier?”
“Rido della mia stupidità. Non dovevo chiedere a te. Sono io ad averla già incontrata!”
“Sul serio? Allora chi è?”
“Non lo so, davvero.”
Erik sollevò gli occhi al cielo. Avrebbe imparato presto quanto potesse essere snervante condurre una conversazione con Charles sempre un passo avanti a lui.
“Lo sai chi è questa dannata ragazza o no?”
“Non conosco il suo nome ma era ad Oxford e credo che abbia seguito me o Moira, non so.”
“Se non la conosci come fai a dire che ti ha seguito da Oxford?”
“Vedi Erik, io leggo le persone. E’ così che ti ho trovato. A volte non lo faccio apposta. Non riesco sempre a controllare bene questa capacità. Così mi è sembrato strano ad Oxford sentire che c’era qualcuno nel luogo in cui ho incontrato Moira che non riuscivo a leggere. Poi, sull’aereo che abbiamo preso per venire negli Stati Uniti, ho sentito la stessa sensazione che sto provando anche ora. Per quanto mi sforzi di leggerla, non ci riesco. E’ come se la sua mente fosse vuota.”
“Non comprendo bene quello che stai dicendo tuttavia, se le cose stessero così, perché ci ha aiutati?”
“Non lo so. Forse perché è come noi.” Disse Charles sorridendo.
Erick pensò che il sorriso di Charles era qualcosa che poteva fargli credere che al mondo ci fosse ancora qualcosa di buono e di bello. Qualcosa per cui valesse la pena salvarlo e non bruciarlo fino al nocciolo.
“Shila…”
La voce era della ragazza e i due giovani mutanti furono entrambi ai lati del letto mentre lei tentava di aprire gli occhi finalmente di nuovo cosciente.

Il primo pensiero corse a Shila. Poi si sforzò di aprire gli occhi. Che fine aveva fatto?
All’inizio erano due figure sfocate. Poi presero corpo i visi e alla fine vide i loro occhi. Due zaffiri si incastonavano su un viso chiaro e sorridente. Avrebbe giurato di aver già visto quelle bellissime labbra.
Due perle d’argento invece la fissavano da un viso più corrugato, labbra sottili serrate come in una morsa di preoccupazione.
“Fa piano, non ti agitare. Ci hai salvato la vita. Se possiamo fare qualcosa per ringraziarti non hai che da fare un cenno.” Disse l’uomo dagli occhi azzurri. La sua voce le rammentò che era il professore, la persona che aveva seguito per arrivare a Shaw.
“Se deve riposare, lasciala in pace. Facciamola dormire.” Gli fece eco l’uomo dagli occhi di ghiaccio, quello che aveva fatto resistenza sott’acqua.
“Io, sto… bene… devo andare adesso.” Disse Lena scostando il lenzuolo e scoprendo che indossava solo una camicia cortissima. Si tirò di nuovo subito addosso la coperta. “Dove sono i miei vestiti?”
“A me sembra che stia benissimo!” disse ironico Erik.
“Mia cara, anche se avessi i tuoi vestiti, siamo in mezzo all’oceano. Non potresti lasciare la nave neanche volendo.” Le disse Charles sorridendo.
“Oceano? Diretti dove?” Devo tornare al porto a prendere Shila!”
“Chi è Shila?” chiese Erik.
“E’ il suo pastore tedesco.”
“Non hai detto finora che non riesci a leggere i suoi pensieri?”
“Non l’ho fatto. Il suo cane era con lei ad Oxford.” Lena sorrise di sfida.
“Allora mi hai riconosciuta, professore!”
“Non mi dimentico mai di una bella donna!”
“Quel giorno eri troppo occupato con una rossa per accorgerti di me!”
“Questo non è vero!” Fece Charles “Sono stato ‘distratto’ dalla ragion di stato!”
“Come no!” fece Lena.
“Te lo giuro! O non saremmo su una nave della CIA!” A quelle parole la ragazza fu attraversata da un tremito che non sfuggì ad Erik.
“Come ti chiami?” Chiese.
“E tu come ti chiami?” gli chiese di rimando la donna.
“Erik. Erik Lensherr.”
“Lensherr?” fece la ragazza impallidendo “E’ un cognome tedesco.”
“Sì.” disse Erik indurendo lo sguardo “E allora?”
“Allora non mi piacciono i tedeschi.”
“Tsk. Non hai ancora detto come ti chiami però.” La rimbeccò Erik.
“Lena. Lena Pike.”
“Devi essere americana Lena, che ci facevi ad Oxford?” chiese Charles per ammorbidire il tono che aveva assunto la conversazione.
“Io viaggio molto.” Rispose lei.
“O scappi da qualcosa.” Aggiunse con un ghigno Erik “Non mi sembra che ti abbia fatto piacere sapere che sei su una nave che appartiene al governo americano.”
“Erik, non essere scortese, non dimenticare che ci ha salvato la vita. Lena, hai seguito me e Moira da Oxford?” La ragazza abbassò lo sguardo sulle sue mani che stringevano il lenzuolo.
“Vi ho sentito parlare di Sebastian Shaw.”
“Tu eri sulle tracce di Shaw?” chiese Erik rabbiosamente afferrandola per le spalle prima che Charles potesse fermarlo. Lena non poté evitarlo in alcun modo. Tutta la rabbia e il dolore di Erik fluirono in lei attraverso quel semplice contatto e la ragazza si sentì sopraffare da tanta violenza. Il naso prese a sanguinarle quasi subito.
“Erik, per l’amor di Dio, cosa le stai facendo?” urlò Charles strattonandolo indietro e lasciando che Lena si stringesse nelle spalle per poi correrle vicino con un fazzoletto per asciugarle il sangue. Non appena sfiorò la guancia della ragazza, Charles sentì tutta la preoccupazione fluire fuori dal suo corpo e riceverne in cambio rabbia e dolore. Si staccò subito da lei.
“Mio Dio, è empatica.” Disse.
“Cosa? Che significa?” chiese Erik turbato.
“Significa che la sua capacità è telepatica ma diversamente dalla mia che è diretta verso l’esterno, la sua opera esattamente al contrario. Assorbe i sentimenti altrui e può replicarli sugli altri. E’ fantastico!”
“Fantastico che stia così male?” chiese di nuovo Erik che voleva rimediare a quello slancio di rabbia.
“Oh, scusa. Non intendevo quello. Lena, come ti senti? Va un po’ meglio?”
Lena non rispose. Continuava a sentire il terrore migrato in lei dal contatto con Erik Lensherr. Alzò gli occhi su di lui e pianse.
“Lena, abbandona i ricordi di Erik, pensa a Shila.” A quelle parole la ragazza si scosse e si asciugò gli occhi. Poi lentamente parlò.
“Shaw in realtà si chiama Klaus Schmidt. Ha fatto esperimenti sui geni mutanti durante il periodo nazista. Poi è scampato al crollo del Reich e ha continuato i suoi esperimenti sotto mentite spoglie. Risparmia solo quelli che decidono di asservire i loro poteri alla sua volontà come Janos, l’uomo che ci ha lanciato contro il tornado. Lui ha deciso di unirsi a Shaw.”
“E tu?” chiese Erik “Tu perché ci hai aiutato?”
“Schmidt ha lasciato morire mia madre.” Disse piano Lena.
“Schmidt è un assassino e pagherà per questo.” Disse Erik. A quelle parole Lena lo guardò negli occhi e, per la prima volta, abbassò le sue difese nei confronti di quell’uomo.
“Ti ha fatto molto soffrire vero?” Chiese Lena.
“Non può farmi più nulla adesso.” Disse Erik e Charles gli mise una mano sulla spalla.
“Ora lasciamola riposare Erik. Saremo a terra tra poche ore così potrai recuperare Shila. Poi  torneremo a Washington Lena e vedrai che andrà tutto bene. Prenderemo Shaw e non farà più male a nessuno.”
“Da morto non farà più male a nessuno, Charles.” Disse Erik uscendo dall’infermeria. Lena vide il professore sorriderle e sentì la sua voce nella mente.
“Non dare retta a tutto ciò che dice Erik. Lui ne ha passate troppe.” Lena sorrise di rimando e lo vide sparire oltre l’uscio. Forse Charles aveva ragione eppure anche lei avrebbe voluto vedere Shaw morto. L’unico problema in quella situazione era che, come di solito, l’apparenza li aveva ingannati tutti.
Charles pensava che lei fosse una brava ragazza, lei pensava che Erik avesse diritto di vendicarsi, Erik credeva che Charles non avesse abbastanza polso per affrontare decisioni drammatiche. Presto si sarebbero accorti che erano tutti vittime di quelle apparenze cui si stavano aggrappando.

Al quartier generale della CIA Shila aveva un giardino splendido tutto per sé.
Erik passava la maggior parte del tempo a leggere ma Lena sapeva che era come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Ogni tanto si fermava a spiegare a Raven, la sorellastra di Charles, quali fossero le sue idee sul rapporto tra homo sapiens ed homo superior. Lei rideva e le trovava affascinanti. In quei momenti, Lena se ne stava per conto suo perché aveva percepito una certa ostilità di Raven nei suoi confronti che aumentava a dismisura se era nel raggio d’azione di Charles, Erik o Hank.
Quest’ultimo era entrato subito in sintonia con Lane. La ragazza aveva confidato a tutti che era in grado di comunicare mentalmente con gli animali. Erik l’aveva presa in giro dicendo che era una telepate di serie b dato che Charles poteva invece comunicare mentalmente con le persone.
Tuttavia Lena aveva scoperto di riuscire a comunicare telepaticamente con Hank grazie alla mutazione ‘bestiale’ dello scienziato. Non era insolito che i due approfondissero le capacità della mutazione di Lena che diventavano sempre di più.
Oltre ad essere empatica e a comunicare con gli animali, Lena era in grado di usare la sua forza psichica come un vero e proprio scudo. Così era riuscita a salvare Erik e Charles in mare.
Fu proprio approfondendo il suo rapporto con Hank che venne fuori forse il potere più sconvolgente di Lena.
Erano in giardino tutti insieme. Charles ed Erik giocavano a scacchi. Raven ascoltava Hank che stava leggendo un passo della ‘Critica della ragion pura’ di Kant sbadigliando di tanto in tanto.
Lena lanciava oggetti che Shila si divertiva a riportarle.
“Non puoi leggere qualcosa di meno noioso, Hank?” disse Raven sbuffando.
“Pazienta, Raven!” esclamò Erik “Il nostro Hank vuole diventare ancora più dotto!”
A quelle parole Lena sentì Hank pensare una malignità su Erik riguardo al fatto che se non avesse avuto quel fisico da dio greco nessuna donna si sarebbe filata il suo cervello da troglodita. Lena rise insieme a Charles che aveva ugualmente ‘ascoltato’ la rabbia del ragazzo più giovane.
“Che avete da ridere voi due? Io dico solo che dovrebbe dedicarsi a qualche attività meno teorica e più pratica data la sua età o diventerà un vecchio barboso in men che non si dica!”
Lena, che ancora guardava Hank con comprensione,  fu allora come attraversata da un brivido e i suoi occhi si fecero liquidi. Camminò fino a fronteggiare Hank. Lui alzò lo sguardo e si accorse subito che qualcosa non era normale in lei.
“Lena stai bene?”
“Tu diventerai importante Hank McCoy. Forse il più importante di tutti noi!” Charles scattò sulla sedia e le fu accanto in un attimo insieme ad Erik.
“Che cosa sta dicendo?” chiese il signore dei metalli.
“Hank, tu sarai il portavoce di tutti noi mutanti nel mondo che verrà. Tu sarai uno dei più grandi statisti che questo mondo in evoluzione vedrà.” Charles sorrise e si portò una mano alla bocca.
“Sta guardando il futuro! Vi rendete conto?”
La ragazza, così come era stata presa dalla visione, fu lasciata da quella forza sovrumana e cadde tra le braccia di Erik che, ancora incredulo, la tenne.
Lena rinvenne dopo pochi minuti.
“Lena hai guardato davvero il futuro?” chiese Hank.
La ragazza, cui Shila continuava a leccare una mano, scosse la testa.
“Non è così. Io posso solo intuire il futuro di una persona se la sua determinazione a realizzarsi è molto forte ma il futuro cambia in continuazione. Le variabili che lo determinano sono troppe. Mio padre” disse fermandosi un attimo pronunciando quell’ultima parola “poteva vedere il futuro prossimo. Non eventi oltre pochi mesi comunque. Io sono in grado solo di vedere quello che potreste definire il ‘destino’ di particolari individui. Questo non significa che si realizzerà, credo.”
“Sono offeso!” disse Erik scherzando e allargando le braccia “Così Hank sarebbe più motivato di me a raggiungere il suo obiettivo?” Charles sorrise sornione.
“E bravo il nostro Hank! Allora i mutanti non avranno bisogno di un professore, avranno uno statista!” Raven rise e abbracciò Hank.
“Io non voglio che diventi un barboso statista, rimani il mio Hank!”
Il ragazzo divenne rosso e Lena approfittò di quel momento di generale distrazione e distensione per raggiungere Shila e defilarsi.

  
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