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Autore: Northern Isa    05/05/2016    3 recensioni
«Non ho idea di dove trovare Novokov» rispose, come se questo potesse chiarire che non sarebbe stata di nessuna utilità.
«Non mi aspettavo nulla del genere.» La sedia di Fury arretrò sul pavimento lucido dell’ufficio e l’uomo si alzò. «Ma c’è qualcuno che potrebbe saperlo.»
Natasha si alzò a sua volta, aggrottando le sopracciglia con aria interrogativa.
«Il Soldato d’Inverno.»

[Winterwidow post Captain America: The Winter Soldier]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Maria Hill, Natasha Romanoff, Nick Fury, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Un sole pallido rischiarava il cielo a quell’ora del pomeriggio con la scarsa convinzione di chi non sa se uscire allo scoperto o restarsene nascosto dietro le coltri di nubi un altro po’. Un nascondino non pericoloso come quello a cui erano abituati gli agenti di spionaggio, ma per certi versi analogo.
Natasha abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare, in attesa di scorgerlo illuminarsi, ma niente. Controllò le chiamate ricevute, ma l’ultima era sempre quella di Steve risalente a qualche ora prima.
«Nat!»
La Romanoff tornò a infilare l’apparecchio in tasca e volse lo sguardo tutt’intorno, con aria apparentemente casuale. Alla sua destra, la familiare figura di Steve Rogers fendeva la folla diretta verso di lei.
«Steve» ricambiò con accennata cordialità.
«Ti sei già liberata della fasciatura?»
Il Supersoldato si riferiva alla medicazione che Natasha aveva ricevuto per via di quel proiettile nel braccio. L’agente strinse le labbra, come se fosse stato inevitabile.
«La ferita è guarita bene» si limitò a spiegare.
Dopo quel banale scambio di battute, rimasero in silenzio per un po’, evitando persino di guardarsi. Il traffico si muoveva intorno a loro come se fosse un’entità dotata di vita propria, risuonando a intermittenza dei richiami dei clacson.
Natasha e Steve non si erano incontrati dallo scontro a fuoco con l’HYDRA. Non che fosse trascorso molto tempo da allora, alcuni agenti dello S.H.I.E.L.D. si stavano ancora dando da fare per ripulire la zona, ma non avevano ancora avuto modo di parlare delle decisioni del direttore Fury.
Solo dopo qualche istante, la rossa sollevò lo sguardo sul Capitano e, dall’aria sul suo volto, desunse che non ne avrebbero parlato mai.
C’erano però ancora delle cose da sbrigare. Natasha aveva compilato il suo rapporto per Fury, tentando di essere il più obiettiva possibile, ma restavano tante problematiche irrisolte. Innanzitutto, la Vedova Nera non era riuscita a decidere se la morte di Novokov avesse decretato il fallimento della missione o il suo successo. Nick Fury era stato molto chiaro su un punto: l’ex dormiente non doveva cadere nelle mani dell’HYDRA, e il quel modo il pericolo era sicuramente scongiurato. Ma, d’altra parte, la Romanoff non riusciva a convincersi che una missione conclusasi con il decesso del suo obiettivo fosse una missione ben riuscita.
Restava poi l’altro problema, quello che stava impegnando lo  S.H.I.E.L.D. fino all’ultimo uomo. Quando Fury le aveva affidato il compito di rintracciare Novokov, Natasha non aveva avuto idea del fatto che si sarebbe trovava coinvolta in una storia più grande di loro, dai rischi maggiori rispetto a quelli – pur notevoli – connessi a un ex dormiente del KGB nelle mani dell’HYDRA. Tuttavia le scoperte che aveva effettuato insieme a Barnes e le parole di Smirnov non lasciavano dubbi: si trovavano di fronte a un problema molto serio se le Gemme dell’Infinito erano in giro, capaci di attrarre criminali e nemici dell’umanità.
«Novità?» domandò a quel punto Natasha, non sapendo esattamente cosa aspettarsi.
«Nessuna» rispose Steve. «Stanno cercando ovunque, ma non hanno trovato niente.»
La Pietra del Tempo non si trovava, alla donna non restò che annuire.
Del resto, lei e James non avevano avuto la certezza matematica che si trovasse nell’edificio dove si erano scontrati con l’HYDRA, la loro era stata solo un’ipotesi. Nemmeno l’organizzazione terroristica poteva avere una certezza del genere, e se si era recata lì era stato solo perché attirata nella trappola predisposta da Fury. L’unica persona che poteva dire loro qualcosa di più preciso era morta prima che Barnes potesse ricavarne uno straccio di informazione utile. Lo S.H.I.E.L.D. aveva iniziato un’indagine interna per ricostruire la dinamica dell’uccisione di Novokov, al fine di chiarire se fosse stato colpito da fuoco amico o meno, ma Natasha non sapeva a cosa servisse: il quel bailamme di piombo, il rischio di ricevere una pallottola vagante era quasi una certezza.
«Lo sapevo che Bucky sarebbe tornato.»
A parlare era stato Rogers. Il suo profilo venne per un attimo indorato da un raggio solitario che era riuscito a sfuggire alla coltre di nubi, mettendo in mostra così la fronte increspata e gli occhi che guardavano lontano, forse solo parzialmente consapevoli che Natasha era ancora lì con lui.
«Già. Non ho potuto dirti niente…»
«Ordini di Fury» completarono entrambi all’unisono.
La Vedova Nera inarcò un sopracciglio, cercando lo sguardo di Steve. Solo dopo qualche istante lui incrociò i suoi occhi, sul viso era stampata la stessa espressione che doveva aver avuto il ragazzo di Brooklyn degli anni Quaranta. Ma, osservando con più attenzione, Natasha si accorse che nel suo aspetto c’era dell’altro, qualcosa di distante.
La spia non si sarebbe giustificata con il Capitano per aver obbedito agli ordini, così sigillò le labbra e anche lei si volse a osservare il punto lontano fissato da Rogers. Le auto continuavano a muoversi intorno a loro, tra lo strombazzare dei clacson e il rombare dei motori, mentre i marciapiedi erano animati da una folla multicolore che andava sempre di corsa.
«E adesso?» domandò solo dopo un po’.
«E adesso andiamo avanti. Continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, l’HYDRA non ha teste a sufficienza per metterci K.O.»
Già, andare avanti. Era l’unica cosa che gli restava, in fondo. Ma di una cosa Natasha era certa: le cose non sarebbero state come prima, quella missione sulle tracce di Novokov aveva causato troppe fratture. Forse quella volta Fury si era davvero spinto troppo oltre; quale che fosse la verità, Steve sembrava non voler più sottostare ai suoi metodi e alle sue manipolazioni, Natasha glielo leggeva nello sguardo. Già lo S.H.I.E.L.D. aveva cambiato volto – o meglio, Nat non era certa che avesse ancora un volto –, probabilmente anche i Vendicatori ne avrebbero risentito. Ma c’era anche un’altra frattura alla quale non riusciva a non pensare. Abbassò lo sguardo e fece schioccare la lingua, incredibilmente riarsa, mentre ripensava al modo neanche troppo velato con cui aveva accusato James di essere sempre stato dalla parte dell’HYDRA.
La Romanoff avrebbe voluto condividere la risolutezza che Steve usava nel parlare di “andare avanti”, ma intorno a lei vedeva solo un mondo che andava man mano complicandosi e facendosi sempre più oscuro. Colleghi e alleati si rivelavano dei voltagabbana, il nemico era ovunque, tanto insidioso quanto invisibile, e non arrivava solo dallo spazio, ma viveva in mezzo a loro, altrettanto mostruoso. C’era poco, in quel quadro, che la facesse ben sperare.
Ma altro non potevano fare, erano l’ultimo baluardo di difesa contro l’oscurità dilagante e, se volevano avere qualche speranza di successo, dovevano quanto meno non essere in rotta con gli unici di cui sapevano con certezza di potersi fidare.
La fiducia, un tasto piuttosto dolente per una spia cresciuta nell’individualismo e nella ricerca dell’obiettivo a ogni costo. Ma ormai Natasha faceva parte di qualcosa di più grande, e aveva preso la sua decisione.
 
La Vedova Nera percorse rapidamente i gradini della rampa di scale che si annodava nel ventre del palazzo in cui aveva abitato il signor Walker, arrestandosi solo di fronte alla porta leggermente scrostata dell’appartamento del vecchio militare. Ricordò come fosse passato ormai del tempo dalla prima volta che si era portata a fronteggiare quella soglia: ora come allora non sapeva con certezza cosa avrebbe trovato dall’altra parte.
Questa volta però Natasha bussò; se James si trovava nell’abitazione le avrebbe aperto, se invece fosse stato altrove lei non avrebbe avuto interesse a entrare in un appartamento vuoto. Nel momento stesso in cui la sua mente formulò quella considerazione, si chiese se fosse davvero così sicura che, una volta conosciuta l’identità di chi era andato a fargli visita, James le avrebbe aperto sul serio. Del resto erano giorni che evitava di rispondere alle sue telefonate.
Gli istanti di attesa sul pianerottolo si dilatavano sempre di più, lasciando uno spazio crescente. Natasha non fu sicura di aver sentito un rumore dall’altra parte della porta, ma tentò lo stesso.
«James» chiamò. «Fammi entrare.»
Aveva tentato di mantenere il tono neutrale, ma non era stato così semplice.
Quando la donna stava iniziando a perdere le speranze, la serratura scattò e la porta si scostò per lasciare intravedere la figura dell’uomo. Probabilmente assomigliava al Bucky che ricordava Rogers più di quanto non avesse mai fatto negli ultimi tempi, complice la semplice t-shirt che indossava e il fatto che il braccio bionico fosse rimasto nascosto dietro una parete. L’espressione sul volto era un discorso a parte: non sembrava appartenere né a Bucky, né al Soldato d’Inverno.
Rimase a squadrarla per qualche istante, poi scostò la porta e si fece da parte, in modo da consentirle l’ingresso. Mentre la serratura scattava alle sue spalle, Natasha si avviò lungo quel corridoio che odorava di stantio e che tante volte aveva percorso negli ultimi tempi. Il budello dall’intonaco gonfio di umidità in alcuni punti si allargò nel salotto; lo sguardo della Russa individuò il computer e le medaglie di Walker esattamente dove le aveva lasciate, e il divano su cui lei e James…
«Non mi aspettavo che saresti venuta.»
La voce di Barnes la costrinse a voltarsi, distogliendo così gli occhi dal mobile e alzandoli su di lui. Più volte, nella sua mente, Natasha aveva cercato di figurarsi il suo confronto con l’ex agente del KGB, ma non era così facile. Era una situazione pressoché nuova per lei: quella di dover riconoscere di aver commesso un errore. E non si trattava di un errore da poco.
Si umettò le labbra, tanto per prendere tempo.
«Dovevo farlo. Dobbiamo parlare, James.»
L’uomo sciolse le braccia che aveva annodato sul petto e piegò appena le labbra, lasciandosi sfuggire uno sbuffo.
«E non temi che l’HYDRA possa spuntare da un momento all’altro? Immaginerai che come minimo inviti ogni sera il barone von Strucker e Daniel Whitehall…»
Natasha roteò gli occhi, per poi aggrottare la fronte, nervosa. Aveva avuto la conferma di ciò che aveva immaginato senza alcuna difficoltà: James ce l’aveva con lei. Non riusciva a biasimarlo, dal momento che lo aveva accusato di avere denunciato la missione al nemico, ma nello stesso tempo credeva di non meritare troppo biasimo nemmeno lei. Aveva agito come un agente, che era esattamente ciò che era. Eppure quella spiegazione non la faceva sentire a posto con la sua coscienza, ed era la ragione per cui si era presentata a casa di Walker.
«Mi dispiace, James.»
Quelle parole caddero in mezzo a loro come un macigno, facendo piombare ogni cosa nel silenzio. Richiesero un costo in orgoglio, ma Natasha sapeva che glielo doveva.
Cosa pensasse Barnes era meno chiaro; aggrottò la fronte e puntò su di lei uno sguardo che non avrebbe concesso a nessuno di guardare altrove. Nonostante la durezza della piega delle labbra, la Romanoff ebbe l’impressione di scorgere un’ombra di dubbio in quell’espressione. Forse James si era aspettato che lei fosse giunta per giustificare la sua scelta, richiamandosi al protocollo o alla concretezza delle apparenze. La Vedova Nera ci aveva pensato, in effetti, ma più spiegava a se stessa i motivi per cui aveva dubitato di James, più vuote le sembravano quelle parole. Così, eliminando tutte le scusanti, le ipocrisie e gli artefatti, restava solo una pura e semplice ammissione di colpa. Omise persino di dire che forse se era saltata a conclusioni affrettate era stato per via della confusione, degli spari tutt’intorno, della ferita che aveva riportato, dei diversi capovolgimenti di fronte, perché Natasha sapeva sarebbe stata una menzogna. Ne aveva dette fin troppe e ne avrebbe dette ancora, ma, per una qualche ragione, non voleva mentire a James. Non più.
«Non ti avrei denunciata all’HYDRA, Nat» rispose l’uomo. Il tono si era ammorbidito, o forse era solo stanco.
«Avrei dovuto saperlo.»
La rossa non aggiunse altro, trovandosi a corto di parole. Si limitò a restare dov’era, in piedi al centro della stanza, con il polso sinistro stretto tra le dita della mano destra. Fu James a muoversi: aggirò il tavolino basso, andando a sedersi pesantemente sul divano. Interpretando quel gesto come un muto invito a fare altrettanto, Natasha lo imitò. L’uomo non si oppose.
Appoggiò le braccia sulle ginocchia, piegando il busto in avanti, mentre le ciocche di capelli scuri andarono ad adombrargli la fronte.
«Non sono più il Soldato d’Inverno» sostenne a bassa voce, ma con una convinzione tale che non avrebbe permesso a Natasha di equivocare quelle parole.
Il braccio sinistro di James, quello meccanico, con ancora la stella rossa dipinta sulla spalla, sembrava dire tutt’altro, ma lei lo ignorò. Quella volta si sarebbe fidata delle parole di Barnes, come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.
«Lo so, James. Steve…»
«Non sono più nemmeno Bucky» la interruppe, prima che potesse dire qualsiasi cosa avesse in mente su Rogers.
Natasha serrò le labbra e annuì in modo impercettibile. James si era liberato dal controllo del KGB prima e dell’HYDRA poi, l’incontro con il suo vecchio amico aveva sbloccato la sua memoria e brandelli di ricordi avevano iniziato a fluire attraverso le maglie dei lavaggi del cervello subiti. Ma sarebbe stato un’illusione puerile sperare che ogni cosa sarebbe tornata come prima, non dopo tutto quello che aveva passato, la Romanoff poteva affermarlo con la stessa certezza che avrebbe avuto se avessero parlato di lei. E un po’, forse, lo stavano facendo, perché Natasha sapeva esattamente cosa si provava. Si aveva la sensazione di essere macchiati per sempre.
«Sei un brav’uomo, James» sostenne con convinzione.
Barnes inclinò appena il volto e un accenno di sorriso lampeggiò oltre la cortina dei suoi capelli.
«Per niente, no. Ma tu sei l’unica a capirlo.»
 
Non ci voleva molto per ripulire la zona in cui si era svolto l’ultimo scontro tra lo S.H.I.E.L.D. e l’HYDRA, o almeno questo era ciò che Maria Hill aveva detto a Randall Thompson, agente di livello uno. Ma, nonostante questo, trascorrevano le giornate e il sito non era stato ancora liberato del tutto. Randall era abituato a essere escluso dalla maggior parte delle informazioni detenute dall’organizzazione spionistica, dalla roba grossa, ma andiamo, si trattava di un edificio abbandonato! Chi avrebbe mai notato le crivellature alle pareti, il cui intonaco si staccava e cadeva a pezzi già da prima? E anche se ci fosse stato qualcuno abbastanza sveglio da farci caso, avrebbe dato certamente la colpa a qualche gang. Ce n’erano parecchie, ultimamente sembrava che si erano svegliati sia gli Irlandesi, sia la mafia russa.
Perché gli agenti di grado superiore stessero perdendo tempo da quelle parti era un mistero e Randall ne aveva abbastanza di pulire le macchie di sangue lasciate dagli agenti dell’HYDRA. Voleva andare altrove, aveva sentito dire che stavano succedendo cose grosse, molto grosse: i telegiornali parlavano di persone che, dalla sera alla mattina, si erano risvegliate scoprendo di poter muovere oggetti col pensiero o di emanare fiamme o cose del genere. Lì era il centro dell’azione, era lì che dovevano darsi da fare, Randall ne era convinto. Così, quando quel pomeriggio Maria Hill lo aveva raggiunto e gli aveva detto di lasciar stare tutto com’era, in quanto sarebbero ripartiti da lì a breve, l’agente aveva a stento trattenuto un sorriso. Era felice di andarsene da quel complesso di edifici abbandonati, così felice che lì per lì non aveva notato l’espressione tirata sul volto di Maria, o il tono più sbrigativo del solito, quasi nervoso.
Quando la donna gli aveva voltato le spalle, lui aveva mimato un gesto di vittoria col pugno. Si era chinato subito per raccogliere la sua attrezzatura, senza nemmeno terminare l’analisi dei campioni di detriti che aveva iniziato. Staccò i cavi delle apparecchiature portatili fornite dallo S.H.I.E.L.D. e conservò tutto in una valigetta, che richiuse con uno scatto.
Prima di lasciare definitivamente l’edificio, diede un’occhiata alle macerie impolverate di fronte a lui e si accosciò, per prendere in mano qualche pezzo di muratura e pietra e farselo scorrere tra le dita. Ridicolo perdere tempo con quella roba.
«Agente Thompson, muoversi!»
La voce secca del superiore lo indusse ad alzarsi in fretta, lasciando cadere quei frammenti di scarso valore senza degnarli di un’ulteriore occhiata. Impugnò la valigetta contenente l’attrezzatura e si affrettò verso l’uscita.
Nel suo incedere rapido, non badò alla piccola pietra rotonda di una spenta tonalità arancio che rotolò adagio sul pavimento impolverato, fino ad arrestarsi contro un blocco di cemento.





NdA: ed eccoci  giunti alla fine di questa mini long. In questo capitolo ho inserito due citazioni dal comic!verse, rivisitate. Tutto è bene quel che finisce bene (più o meno), salvo cliffhanger finale.
Un enorme ringraziamento a chiunque è giunto fin qui, ai lettori silenti, a coloro che lasciano recensioni e alle due persone che hanno alimentato la mia ispirazione, mi hanno aiutata con dubbi di trama e hanno supportato i miei scleri fino alla fine.
Ve se ama.
   
 
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