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Autore: adelhait13    07/05/2016    0 recensioni
Il passato, anche se cerchi in tutti i modi di dimenticarlo, esso torna sempre sull'uscio della tua vita.
Un essere senza pace tornerà a tormentarti.
Questo avverrà alla povera Rin. Come anche il conoscere colui che fece cadere colei che divenne spirito...
Seguito di una mia vecchia fanfiction postata tempo fa con il mio vecchio nick. Troverete il link nel primo capitolo
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Anche se in ritardo, rieccomi!
Come promesso riposto una vecchia storia mai completata, seguito di un’altra.
L’altra in questione è “Presenze” che troverete nel nickname di Adelhait, bloccato per un errore (mio). Per comprendere questa dovete leggere appunto la prima parte che, troverete qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=334995
Che dire? Ah! Buona Lettura.








The awakening of the soul lost





Presentiment







“Trecento. Trecentouno. Trecentodue”.
Contavo, mentre cercavo di assopirmi, ma non ci riuscivo. Vana illusione.
Erano giorni che andava così. Chiudevo gli occhi, ma dopo qualche secondo li riaprivo. Forse ancora ripensavo al passato?
Suppongo di sì. Eppure erano trascorsi tre anni d’allora, quando abbandonai quel luogo.
Il duplex di Kagura.
“No, basta! Non devo più pensare a lei…e al mio vecchio appartamento. Basta ricordare il passato!”.
Già, dovevo smetterla…ma ahimè, il passato torna sempre sull’uscio della tua vita e prima o poi devi di nuovo affrontare i tuoi vecchi nemici.
Socchiusi gli occhi e sospirai, cercando di addormentarmi. Una piccola brezza che spirava dal balcone, dischiuso, mi cullava. Sorrisi, mentre il venticello mi accarezzava il viso e le braccia scoperte. Riaprii gli occhi e guardai verso il balcone. La candida tenda ballava dolcemente. La stanza lentamente si illuminava…era l’alba.
Voltai il capo verso il comodino e guardai la sveglia.
“Sono le sei e dieci minuti, è ancora presto…ma non posso più stare coricata”.
Feci leva con i gomiti e mi misi seduta. Feci piano non volevo svegliarlo, non ancora.
Poggiai le punta dei piedi sul soffice tappeto, intanto delle ciocche di capelli caddero davanti al mio viso. Con la mano destra le feci scivolare indietro.
“Sveglia”.
Sobbalzai lievemente, piegai il capo verso destra e sbuffai.
“Diciamo di sì”.
Sentii un fruscio di lenzuola che si muovevano, il letto traballò un po’.
“Non hai dormito”.
La sua voce calda soffiò al mio orecchio sinistro. Sentii una scossa salire lungo la schiena, mi faceva sempre questo effetto ogni volta che mi parlava così. Beh, ancora tutt’ora mi succede.
Annuii, sorridendo lievemente.
D’un tratto sentii il letto traballare di più. Voltai il capo e lo vidi in piedi di spalle, i suoi lunghi capelli d’argento scivolarono sulla nuda schiena. Arrossii lievemente, mentre l’osservavo. Quella visione mi fece battere veloce il cuore. Quante volte l’avevo vista? Tante, ma ancora mi faceva quell’effetto.
“Scusa, ma non riesco…”.
“Ancora pensi al passato?”.
Una domanda netta. Fredda, ma infondo veritiera. Sì, inconsciamente pensavo a quei giorni bui.
Sospirai.
“No”.
Mentii. Lui lo capii, ma non disse nulla si limitò ad entrare in bagno. Scesi dal letto e mi diressi verso lo specchio lungo, posto accanto al balcone. Mi specchiai.
Ero cambiata. I lunghi capelli d’ebano erano molto più corti, il mio corpo era mutato. Feci scivolare la mano destra sul ventre e sorrisi.
“Ancora tre mesi e ti vedrò”.
Mi dissi, mentre le dita picchiettavano sulla pancia gonfia. Fissavo il dolce frutto, quando scostai lo sguardo su un’altra immagine. Su di lui che mi fissava sull’uscio del bagno. Ridacchiai, mentre dicevo.
“Tuo fratello dice che sembro una mongolfiera”.
Storsi un po’ il naso, mentre pensavo alle parole di Inu Yasha, dette con dolce scherno. Poi ripensai ai pugni in testa di sua moglie, Kagome, mentre lo riprendeva.
Due bambini. Questi momenti felici illuminavano la mia vita e mi facevano dimenticare, quel triste periodo.
Però di quel periodo era rimasto qualcosa d’indelebile.
Spostai di nuovo lo sguardo e fissai la fronte. Scostai con le dita alcune ciocche e svelai una vecchia cicatrice.
Feci scorre il dito indice sulla striscia rosa scuro. Un lampo. Uno squarcio nell’anima.
Una donna nera.
Occhi rubino.
Dolore antico.
Mi morsi le labbra, mentre un brivido freddo mi percorse lungo la schiena.
“No, il passato non si dimentica mai”.
Mi dissi mentalmente. D’un tratto sobbalzai. Sentii delle mani sulle spalle. Aprii gli occhi di scatto, e vidi lui.
Sesshoumaru, dietro di me. Mi fissava, aveva capivo ciò che pensavo. Infatti, mi guardava severo.
“Non temere, sto bene...è stato un attimo…uno stupido attimo, ti prometto che non penserò più a lei”.
Sospirai, mentre mi giravo e lo abbracciavo. Lui si limitò ad accarezzarmi il capo.
Un gesto che mi rassicurava. Si staccò da me, era tempo di prepararsi per il lavoro. Io uscii dalla stanza e mi diressi verso la cucina.
“Un buon caffè aiuta sempre”.
Mi dissi, mentre versavo il liquido nero fumante nella candida tazzina. Poggiai le labbra e lo feci scivolare in gola.
“Dovresti evitare di bere il caffè, sai a cosa mi riferisco”.
Sesshoumaru mi riprese. Sì, non era buono per me e la piccola…ma senza quel liquido nero non riuscivo a vivere.
“Lo so, cercherò di limitarlo solo al mattino e al dopo pranzo”.
“Speriamo”.
Disse, mentre osservava alcune carte nella ventiquattrore. Mi poggiai alla mensola e restai a fissarlo, quando gli chiesi.
“C’è tanto lavoro in ufficio?”.
Lui non disse nulla, ma capii che il lavoro in quel periodo era tanto. Mi voltai e poggiai la tazzina sulla mensola e con sfrontatezza dissi.
“Oggi vengo e riprendo il mio posto in ufficio”.
Mi voltai sorridendo. Volevo ritornare in ufficio, erano mesi che stavo a casa…da quando avevo scoperto di essere incinta.
Già, la mia non era di certo una gravidanza facile, ma rimanere chiusa in quattro mura non era bello. Mi annoiavo.
“Allora che ne pensi?”.
Lui assottigliò lo sguardo. Quella frase non gli piacque.
“No, discorso chiuso”.
Soffiò. Si voltò e uscì dalla cucina. Io gli andai dietro, come una bimba capricciosa.
“Dai che ti costa, non darò fastidio. Faccio qualche ora e poi ritorno a casa…ti prometto che non mi strapazzerò, lo giuro”.
Lui si fermò sull’uscio, si voltò verso di me.
“No, e sai bene che non adoro ripetermi. Quindi il discorso è chiuso”.
Ed uscì, lasciandomi insoddisfatta. Sbuffai e tornai in camera da letto. Mi vestii e mi preparai ad uscire.
No, non volevo rimanere a casa. Mi truccai, ma la cicatrice non voleva nascondersi quel giorno sotto il fondotinta.
Era forse un presagio?
Sbuffai, e aggiustai ben, bene la frangia affinché la nascondesse…ma niente.
Sbuffai ancora più irritata.
“Va bene! Ti lascio così!”.
Afferrai la borsa, le chiavi della macchina e uscii di casa, ma mai avrei creduto che quel giorno le ombre del passato sarebbero riapparse.
Che tutto sarebbe precipitato…



Continua…

   
 
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