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Autore: Lilith in Capricorn    10/05/2016    1 recensioni
In un mondo in cui la magia è scomparsa da ben 1300 anni e gli dèi hanno smesso di parlare con i mortali ormai da tempo, l'Impero Katileo è all'apice del suo sviluppo tecnologico e la sua sete di conquista sembra incontrastabile. Ha ormai sotto il suo controllo gran parte del Grande Continente, ma una nuova alleanza di regni del nord sembra essere in grado di tenergli testa: la guerra con il Wesmark Settentrionale e Meridionale, infatti, va avanti già da diversi anni e sembra non vi sia modo di uscire dall'impasse ... Finché l'Imperatore Kut non ha un'idea brillante e ambiziosa e decide di mettere insieme una spedizione per realizzarla.
Intanto, antichi misteri, enigmatiche profezie e arcaiche forze da tempo sopite iniziano a riemergere dalle profondità dell'oblio, ma non tutti sembrano rendersene conto ...
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Violenza
Capitoli:
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ATTENZIONE: Dopo che la pubblicazione era già avviata è stato aggiunto un prologo a questa storia, ma purtroppo EFP continua ad aprire il primo capitolo pubblicato (ovvero questo), quando si clicca sul titolo. Per una lettura più completa e corretta dell'opera, aprite il menù dei capitoli e andate prima a leggere il prologo. Chiedo scusa, EFP purtroppo ha tanti di quei problemi tecnici!
 
Capitolo 1: Il raduno di Kurenerìs

Il tratto di spiaggia che si snodava davanti al tempio di Kurenerìs era gremito di gente di tutte le razze, provenienti da ogni regione del Wesmark Meridionale e Settentrionale; eppure non si udiva una sola voce umana sotto le due lune, Zèchtos e Zechtosèa, che si rincorrevano tra le stelle nella volta celeste. Ormai quasi si sfioravano e presto la prima sarebbe passata dietro la seconda, scomparendo per qualche minuto. Solo allora avrebbe avuto inizio il rito finale e i cori sacri avrebbero rotto il silenzio.

Gli unici suoni udibili, ora, erano lo scrosciare delle onde sulla spiaggia, il crepitare delle torce disposte in cerchio, il clangore delle armi e i versi feroci e affannati dei tre guerrieri che stavano lottando al centro del cerchio di luci e volti truccati. Anche i tre lottatori avevano i corpi e i visi ricoperti di scritte e disegni: il primo portava su di sé i simboli del mondo terreno, il secondo quelli del mondo dei morti e il terzo quelli del mondo divino. Era una lotta all'ultimo sangue e, secondo le antiche leggende, in base all'ordine in cui sarebbero periti, i successivi dieci anni sarebbero stati duri o prosperi.

Serementìs non sapeva se credere o meno in quella che sembrava essere più una superstizione che un responso divino: l'ultima volta era stato il regno terreno a trionfare, eppure solamente i primi quattro anni erano trascorsi in pace e serenità. Poi, queste avevano lasciato il posto alla guerra contro i Katili, ma soprattutto Mahana aveva lasciato lei. O forse le era stata portata via, questo non lo sapeva e, probabilmente, non avrebbe mai avuto una risposta ai suoi dubbi.

Improvvisamente, con uno scatto del polso il guerriero che rappresentava il mondo terreno riuscì a ferire sul fianco il guerriero del mondo divino e uno schizzo di sangue caldo raggiunse il petto di Serementìs, che si trovava in prima fila, spalla a spalla con i capiclan del Wesmark Settentrionale. Era accaduta una cosa simile anche dieci anni prima, solo che lo schizzo l'aveva colpita dritta in faccia e il sangue non apparteneva ad un anonimo guerriero del nord, ma proprio a Mahana.

Ricordava di aver sentito il cuore stringersi in una morsa dolorosa e di aver rimpianto di non aver insistito per farla desistere: anche se morire combattendo era considerato un grande onore presso il suo popolo, non sarebbe mai stata in grado di accettare la morte di lei, nemmeno se avesse ricoperto di onore il suo nome nei secoli a venire. Difatti, sebbene Serementìs avesse perduto molte persone a lei care − i suoi genitori, suo fratello, il suo sposo, una figlia, molti amici − nulla l'aveva mai sconvolta quanto la scomparsa di Mahana.

Mentre la sua mente vagava su quei tristi pensieri, intanto il combattimento andava avanti e la stanchezza iniziava ad avere la meglio sui tre guerrieri. Quello del mondo terreno fu il primo a soccombere, contro ogni aspettativa, sgozzato dallo spaventoso rappresentante del mondo dei morti. Anche Serementìs ne fu sorpresa e si lasciò sfuggire un sorriso nostalgico: Mahana, probabilmente, avrebbe saputo prevederlo.

Le mancava quella sua capacità di anticipare cose che nessun altro avrebbe saputo prevedere. Quella era la sua vera forza, ciò che spingeva Serementìs a crederla ancora viva: una persona con un dono simile non era facile da uccidere e aveva tutti i mezzi per evitare di finire nei guai. Allo stesso tempo, però, quello era il principale indizio della possibilità che avesse lasciato il Wesmark volontariamente.

Se davvero le cose erano andate così, sperava solo che lei tornasse e che tutto finisse per il meglio, proprio come dieci anni prima, quando aveva deciso di partecipare al torneo. Serementìs l'aveva ritenuta una mossa azzardata e inutile, ma Mahana era stata irremovibile: «Il semplice fatto che vi prenderò parte convincerà i clan che sono come loro, una volta per tutte; che rispetto le tradizioni di questa terra e che voglio davvero battermi per il bene di tutto il Wesmark. Quando poi vincerò, sapranno che è la volontà degli dèi.»

Ebbene, aveva davvero vinto e quel suo gesto aveva spianato la strada all'alleanza tra il regno del Wesmark Meridionale e i clan del nord, riportando unità in quelle terre. Quando poi si era presentato sulla scena il nemico comune, l'Impero Katileo, la visione di Mahana aveva dato i suoi frutti ed erano riusciti a respingere l'invasione.

Serementìs si guardò attorno: oltre la prima falange del cerchio, gli uomini del Wesmark Meridionale erano mescolati con quelli dei clan, non si vedevano armi sguainate e lungo la spiaggia non vi erano vessilli di alcun tipo, a parte le effigi degli dèi. Negli altri due raduni a cui aveva preso parte non si era mai vista una scena simile: il suo regno e i clan erano ben separati e contrassegnati e gli stessi appartenenti ai vari clan si lanciavano tra di loro sguardi diffidenti, persino arcigni. Mahana aveva davvero fatto la differenza.

Un grido di sofferenza interruppe i suoi pensieri: il guerriero del regno divino era riuscito ad avere la meglio su quello del regno dei morti. Alcuni attimi di silenzio. Poi, un coro di eteree voci femminili iniziò ad intonare primi i canti sacri, mentre alcuni uomini raccoglievano tutto il sangue dei morti in delle ampie ciotole. I due cadaveri furono sistemati sulla lunga pira lungo la quale erano già disposti i nove corpi dei guerrieri che erano periti nelle prime due fasi del torneo.

Quando tutto fu pronto e la folla si fu radunata attorno alla pira, tutti alzarono gli occhi al cielo, in attesa che Zèchtos passasse dietro Zechtosèa. Serementìs aveva sempre amato la loro leggenda: i due dèi della distruzione e della rinascita erano nati attaccati a livello della nuca e ognuno poteva vedere attraverso gli occhi dell'altro e conoscere i suoi pensieri.

Poi Nanfi, l'ultimo degli Eroi, colui che li aveva involontariamente creati, aveva provato a rimediare al suo errore separandoli con la sua spada di ossidiana, ma così non aveva fatto altro che portare caos in un mondo già devastato dalla più cruenta guerra che mai fosse stata combattuta. E poiché i due non erano in grado di coordinarsi senza essere uniti, da allora riuscivano ad incontrarsi solamente quattro volte all'anno, in prossimità dei solstizi e degli equinozi, marcando l'inizio e la fine di ogni stagione.

Ora stava volgendo al termine quella estiva e presto i venti freddi del nord avrebbero portato anche a sud neve e ghiaccio: sarebbe stato il momento perfetto per attaccare i Katili che, provenendo da una terra baciata dal sole, avevano molte difficoltà ad affrontare i rigidissimi inverni del nord. Per farlo, però, avrebbero avuto bisogno dell'appoggio dei regni vicini, in particolare di quello del Mensmark, ed era per questo che i loro re erano stati ufficialmente invitati a prendere parte al raduno di Kurenerìs.

Pochi istanti dopo, finalmente le due lune si allinearono una dietro l'altra e la cerimonia della pira poté avere inizio: un coro di profonde voci maschili si mescolò a quelle femminili e il vincitore del torneo percorse l'intero perimetro della pira con una torcia ardente, dandola alle fiamme passo dopo passo. Mentre il guerriero svolgeva questo compito, i sacerdoti raccolsero tutte le ciotole in cui era stato versato il sangue dei guerrieri periti e si incamminarono tra la folla, tracciando simboli divini insanguinati sulla gola di tutti i presenti.

Finita la cerimonia, la gente fu libera di andare dove meglio credeva, eccetto che nel grande e antichissimo tempio di pietra, dove si sarebbe tenuto il Consiglio dei re e dei capiclan. Questi, oltrepassato l'enorme portone di legno scuro con i dodici Grandi Eroi del passato rappresentati in bassorilievi, andarono subito in fondo alla sala a rendere omaggio alla misteriosa e prodigiosa Kurenerìs.

La giovane era adagiata all'interno di un magnifico sarcofago dalla forma di una barca, senza coperchio e splendidamente intagliato e dipinto. La fanciulla che vi riposava, piccola di statura, pallida e con lunghissimi capelli rossi, era florida e in salute come se si fosse appena addormentata, ma in realtà giaceva in quelle condizioni da quasi quattordici secoli. Alcuni credevano che si trattasse di un imbroglio, ma Serementìs sapeva che non era così, poiché la prima volta aveva notato una cicatrice quasi invisibile sul dorso della mano destra e nel corso degli anni era rimasta lì, assolutamente immutata.

Nessuno era mai riuscito a comprendere il mistero del sonno di Kurenerìs, la giovanissima adepta di Fezàr, dio della natura e della materia, che quasi 1300 anni prima sarebbe dovuta diventare Maestra. C'era chi riteneva che fosse una vittima della congiura del Traditore, ma non si era mai capito quale fosse stato il suo ruolo all'interno della terribile vicenda. Non si sapeva se si trovasse in quelle condizioni a causa di un maleficio, o se gli dèi stessi avessero voluto proteggerla e non c'era modo di sapere se si sarebbe mai risvegliata. In ogni caso, era sicuramente in atto un prodigio e per questo la sua famiglia aveva deciso di dedicarle quel tempio, la cui fama si era diffusa in tutto il mondo.

Dopo aver lasciato una fugace carezza sulla fronte della fanciulla addormentata, Serementìs prese posto su una sedia dallo schienale alto alla sua destra e continuò a guardarla, mentre anche gli altri le sfilavano davanti. Osservando le varie emozioni riflesse nei loro occhi, la regina tornò con la mente al suo primo raduno: all'epoca era solo una bambina, ma già i sogni di gloria le ardevano in petto e, vedendo il rispetto e la meraviglia che la gente mostrava davanti alla ragazza, aveva provato invidia verso di lei.

Era stato allora che aveva giurato a se stessa che, una volta salita al trono del Wesmark Meridionale, avrebbe realizzato qualcosa che avrebbe affascinato e ispirato i posteri, nei secoli a venire. Nei suoi trentacinque anni di vita, Serementìs aveva già compiuto molte imprese degne di nota, ma la conquista dell'Impero Katileo l'avrebbe elevata quasi al rango degli antichi Eroi del passato. Era anche per questo che desiderava sollevarsi contro l'invasore del sud: non solo perché lo doveva alla sua gente, ma anche per portare a compimento quel vecchio sogno di gloria.

Mentre si ripeteva a mente il discorso che di lì a poco avrebbe pronunciato, osservò una ad una le facce dei tre re che si erano presentati: il giovane e affascinante Lodrenlos, recentemente salito al trono di Bretsia; l'austera Fenria, zia di Lodrenlos e Regina di Hairis; e infine l'anziano, ma ancora sveglio e vigoroso Jerr, Re del Mensmark.

Il solo a mancare all'appello era Brenverìs, Re del Kinsmark e cugino di Serementìs. Un'assenza che non aveva stupito nessuno: Brenverìs non aveva mai avuto spina dorsale e già da diversi anni aveva ceduto alle pressioni dell'Imperatore Kut e stretto alleanza con i Katili. Inoltre, tutti sapevano che tra lui e Serementìs non correva buon sangue, specie da quando Mahana aveva fatto la sua ultima comparsa proprio su un'isola appartenente al suo regno.

Quando tutti ebbero preso posto nel cerchio di sedie, il capoclan più anziano, col suo volto incartapecorito che quasi sembrava una maschera, sotto la scarsa illuminazione delle poche torce, si andò a mettere al centro per il discorso di apertura del Consiglio. Sebbene le varie lingue dei clan non fossero particolarmente diverse da quella parlata negli altri regni del nord, si era deciso che fosse meglio tradurre per i sovrani a sud del Wesmark che, avendo poca familiarità con quei dialetti, avrebbero potuto fraintendere qualcosa.

«Miei fratelli capiclan e miei re e regine del Wesmark, del Mensmark, di Bretsia e di Hairis» tradusse Serementìs, quando il vecchio iniziò a parlare, reggendosi a fatica col suo bastone, «ringrazio tutti voi per la vostra presenza. Ma soprattutto ringrazio i re a sud del Wesmark per aver accettato il nostro invito, con la speranza che abbiate apprezzato i riti e le cerimonie di questi ultimi tre giorni e che ne abbiate compreso l'importanza per la nostra gente.

«Per la prima volta, vi abbiamo aperto le porte del nostro luogo più sacro per mostrarvi la parte migliore del nostro mondo, quella per cui siamo disposti a combattere fino alla morte. In verità, non siete i primi forestieri a visitare questo luogo sacro: dieci anni fa una giovane donna giusta e valorosa venne a Kurenerìs, vinse il Torneo degli Eroi e degli Dèi e poi, durante questo consiglio, ci raccontò la sua storia.

«Ella proveniva da una terra molto lontana in cui non poteva più fare ritorno, poiché la sua gente era stata spazzata via dalla barbara furia dell'Impero Katileo. Ci parlò a lungo di quella terra, di com'era vivere lì e, ad ogni parola che lei pronunciava, noi potevamo vedere che ella non era molto diversa da noi, sebbene a prima vista lo sembrasse. La giovane donna sembrava capirci come una sorella e per questo decidemmo di accoglierla come una di noi.

«Il suo nome era Mahana ed è solo grazie a lei se noi oggi siamo qui, perché grazie alla sua storia abbiamo capito che c'è un'unica risposta efficace contro i Katili invasori: l'unità. Se Mahana non ci avesse convinti a unire le forze con il Wesmark Meridionale, il tempio di Kurenerìs oggi non esisterebbe più. Il suo messaggio è penetrato a fondo nei nostri cuori, poiché noi oggi siamo ancora qui, ancora in piedi, ancora uniti, anche se lei ormai non è più nel regno dei vivi.» Nel pronunciare queste ultime parole Serementìs dovette impegnarsi per non far vacillare il tono di voce stentoreo, o contraddire il vecchio capoclan.

«Mahana è riuscita a fare qualcosa di grande, qualcosa che andava oltre se stessa, oltre gli interessi personali e le glorie terrene. Io credo, nel mio cuore, che lei parlasse con la voce degli dèi e, anche se nessuno di noi presenti ha il suo dono, spero che riusciremo a fare anche noi qualcosa di grande, oggi.» Concluso il discorso, il vecchio tornò barcollante alla sua sedia e Serementìs prese il suo posto, squadrando ogni volto con espressione austera.

«Non crediate di essere al sicuro» esordì, rivolgendosi ai tre ospiti. «Nessuno di noi lo è. È vero, l'Imperatore Kut punta direttamente al Wesmark: ha già tentato più volte di sbarcare sulle mie coste. L'ultima volta ha persino invaso i miei cieli con le sue strane navi voltanti, ma grazie anche all'aiuto dei guerrieri dei clan le abbiamo respinte.

«Ditemi: secondo voi qual è la sua strategia? Perché è così intenzionato a mettere le mani sul Wesmark? La nostra terra è aspra, difficile da coltivare. Le montagne dei clan sono ricoperte dai ghiacci e non è facile estrarre oro e pietre preziose dalle miniere. I nostri mari sono gelidi, spesso congelati, e forti raffiche di vento portano tempeste e nubifragi disastrosi. Che interesse può avere l'Imperatore per il Wesmark?

«Ve lo dirò io: nel Wesmark c'è ben poco che possa interessargli, fatta eccezione per una dolce vendetta nei miei confronti. Il suo obiettivo principale siete proprio voi, i vostri regni. Se per ora non ha ancora osato attaccarvi è perché teme che questo vi spingerà a chiedere un'alleanza con noi e questo l'Imperatore Kut non può permetterselo: non riuscirebbe ad avere la meglio su un esercito tanto grande. Ma se riuscisse a mettere le mani sul Wesmark, allora vi ritrovereste circondati e soprattutto soli.

«Non sperate di ricevere aiuto da parte degli Arcipelaghi Orientali: da quando i Katili sono sbarcati sulla perduta isola di Rinno c'è tanta paura e instabilità che neanche riescono a pensare per se stessi. In questi anni, nella guerra navale contro l'Impero mi sono stati ben più utili gli assalti e le scorrerie dei pirati di Ruhbuc, che i rinforzi dei regni degli Arcipelaghi.

«Come vi ha raccontato l'anziano, anni fa abbiamo udito la testimonianza di una vittima dell'Impero e il suo racconto ci ha convinti che contro un nemico tanto forte dobbiamo unirci, tutti. Nella sua terra questo non è stato fatto e la gente che viveva lì è stata massacrata. I pochi sopravvissuti sono stati venduti come schiavi nelle terre dell'Impero. Mahana stessa si trovava su una di quelle navi assieme a due suoi parenti, quando l'ho salvata e portata nel Wesmark. Credetemi: non volete fare quella fine miserabile e disonorevole.

«Perciò, ora vi chiedo di riflettere sulle mie parole, mentre ascolterete anche gli altri capiclan. Questa sera apprenderete molte cose su di noi e sul nostro nemico; su come siamo riusciti a resistergli e su cosa sarebbe accaduto se fosse andata diversamente. Al termine vi lasceremo l'intera notte per discutere e prendere una decisione. Domattina, dopo aver ascoltato il responso dell'Oracolo, ci darete la vostra risposta. Spero che troverete questo incontro illuminante.»

*
 
La sala dell'Oracolo non era altro che un colonnato all'aperto, circondato da una fossa poco profonda riempita di una strana acqua ribollente. Lo spiazzo in cui il veggente faceva le sue profezie non era che un modesto esagono ricoperto di sabbia bianca, ma i vapori delle acque ribollenti e le sei colonne di marmo raffiguranti gli dèi conferivano al tutto un'atmosfera mistica, soprattutto quando calavano le leggerissime tende tra una colonna e l'altra.

Il veggente era una ragazzo, poco più che un bambino in realtà, ma probabilmente conosceva l'arte della profezia da quando aveva imparato a parlare. Serementìs non aveva idea di come si facesse a capire chi possedeva il dono della veggenza, dato che la magia era scomparsa dal mondo più di mille anni addietro, dopo la congiura del Traditore. In verità, a volte dubitava persino che fosse una cosa reale e affidabile.

Dopotutto, anche l'intuito di Mahana poteva essere facilmente scambiato per veggenza, e il Grande Sacerdote stesso dieci anni prima si era detto sicuro che lei avesse il dono, sebbene la donna lo avesse subito smentito. D'altronde, chissà, forse l'intuito non era altro che l'ombra dell'antico dono della veggenza, un vecchio retaggio di un tempo lontano e ormai perduto per sempre.

Mentre il sole pian piano si innalzava nel cielo, il giovane veggente trangugiava uno strano intruglio che i sacerdoti avevano preparato per lui. A giudicare dall'espressione corrucciata che faceva ad ogni sorso, doveva essere alquanto amaro. Dopo circa mezz'ora dall'ultimo sorso, il Grande Sacerdote disse che era il momento e accompagnò il ragazzo verso il colonnato. Quando furono sul ponticello che collegava l'isoletta esagonale col resto della terraferma, il sacerdote gli sfilò la leggera toga bianca che indossava e lo lasciò entrare nudo nell'esagono, abbassando la tenda al suo passaggio.

Qui, il ragazzino rimase immobile e silenzioso per qualche istante, poi, prima lentamente e dopo sempre più veloce, iniziò a danzare con grazia, trascinando la punta dei piedi per terra. Al suo passaggio i granelli di sabbia si spostavano, assumendo la forma che lui desiderava: non erano immagini casuali, ma gli antichi caratteri della sacra lingua degli dèi e, man mano che lui li tracciava, ne cantava le sillabe corrispondenti. Era così che si faceva, un tempo, per invocare gli incantesimi degli dèi: si scriveva la formula nella loro lingua, tracciando ogni linea nella giusta sequenza, pronunciandone mano a mano le parole.

Il ragazzo andò avanti così per diversi minuti, danzando sempre più rapidamente e cantando sempre più forte, in una spirale ipnotica di suoni e movimenti ovattati dalla semitrasparenza delle tende e dal ribollire dell'acqua. Poi si fermò e crollò improvvisamente a terra, il corpo scosso dalle convulsioni. Subito il Grande Sacerdote corse verso l'esagono e, una volta scostata la tenda, coprì immediatamente il corpo del ragazzino, accarezzandogli la fronte madida di sudore.

«Vedo grandi onde di risacca» proferì con voce stentorea, ripetendo parola per parola ciò che la voce tremante dell'Oracolo sussurrava. «Onde di risacca che si abbattono una dopo l'altra sulla scogliera alta di un fiordo. L'acqua scroscia e scroscia contro la roccia, mangiandola pian piano, anno dopo anno. Le onde indeboliscono lentamente la base, finché non crolla tutta la parete, trascinando in mare alberi e piccoli animali. Per alcuni la caduta è fatale, ma ora nuovi animali abitano le rocce precipitate e alghe verdi, bianche e rosse le ricoprono.

«Cancelli che prima erano stati chiusi ora vengono riaperti. Antiche nubi grigie e impenetrabili si sollevano, mentre una grande ombra inghiotte il mondo, ma le nubi e l'ombra sono entrambe la stessa cosa. Un filo di fumo azzurro sale dalle radici di un grande albero morto, che riprende vita al suo passaggio. Poi il fumo azzurro ridiscende sulla terra e va verso l'ombra, avvolgendosi a spirale attorno ad essa.»

A quel punto, il ragazzino tacque e altri sacerdoti e sacerdotesse andarono a raccoglierlo da terra per portarlo all'interno del tempio, dove avrebbe riposato indisturbato per il resto del giorno. Serementìs osservò le espressioni meditabonde e perplesse dei tre ospiti: probabilmente non avevano mai visto nulla di simile. Chissà, forse si stavano chiedendo quanto fosse credibile quell'ennesima stranezza del tempio di Kurenerìs. Interrompendo le loro elucubrazioni, la regina andò da loro e disse: «I veggenti sono strane creature: dicono tutto e niente allo stesso tempo. Spero che le sue parole non vi abbiano fatto sorgere dubbi sulla decisione che avete preso.»

«No» disse subito il giovane Lodrenlos, riscuotendosi per primo dal torpore mistico che aveva invaso le menti di tutti i presenti. «Per quel che mi riguarda, sono ancora fermo e deciso nella mia scelta. Sono con voi, mia Regina. Con voi e con la gente dei clan.»

«Lo sono anch'io, Regina Serementìs» lo seguì subito Fenria, rivolgendole quel suo sguardo affilato e profondo. «Vi ringrazio molto per l'opportunità che ci avete offerto. Spero che questo segni l'inizio di un nuovo periodo di pace e alleanza tra i regni del nord.»

Il vecchio re Jerr esitò un momento prima di sospirare e annuire. Non un segno molto incoraggiante, ma sempre meglio di un secco rifiuto o della codardia di Brenverìs.

«Molto bene» rispose Serementìs, con un leggero inchino. «Io ringrazio voi, miei Re e Regina, per aver accettato il nostro invito e prometto di rispettare i patti suggellati quest'oggi. Sento che questo è l'inizio di una nuova Era per il nord. Un'Era di prosperità e unità. I Katili invasori saranno respinti e i nostri nomi ricoperti di gloria per i secoli a venire.»

*
 
Durante il viaggio di ritorno verso Thos, la capitale del Wesmark Meridionale, Serementìs preferì volare e, sebbene le sue guardie fossero riluttanti, pretese di farlo da sola per un breve tratto. Dopo essersi fatta strappare la promessa di fare ritorno in due ore, la Regina prese a correre e poi spiegò le ali, prendendo il volo. Poiché era una faleyon solo per metà, il suo corpo non era minuto come quello della gente dell'aria e le sue ossa erano molto più pesanti, perciò dovette aiutarsi afferrandosi le ali per rafforzare i battiti.

Quando fu in aria, finalmente si sentì libera e si lasciò sfuggire un sospiro rilassato. Non le era mai piaciuto mostrare le sue genuine emozioni davanti agli altri, non voleva assolutamente dare un'immagine di sé che non fosse quella di una regina forte e impavida. Non amava mostrarsi preoccupata, insicura, o malinconica, quelle poche volte che le capitava di esserlo.

Di solito, se c'era qualcosa che la turbava, si chiudeva nelle sue stanze finché non riusciva a venire a capo del problema. Era anche per questo che sentiva moltissimo la mancanza di Mahana: con lei sentiva di potersi confidare e spesso i suoi consigli e i suoi pareri si erano dimostrati di grande aiuto. Mahana sembrava capirla come nessun altro, ma soprattutto da lei non si era mai sentita giudicata, o messa alla prova.

Ciò che in quel momento la preoccupava era soprattutto l'indecisione e la titubanza che aveva letto negli occhi del vecchio re Jerr, quando questi le aveva confermato la sua alleanza. Doveva agire con cautela, non poteva permettersi di dipendere da un alleato tanto instabile. Per prima cosa, bisognava rassicurare l'anziano re e convincerlo di aver fatto la scelta giusta. Era il momento di allontanare i Katili dai confini del suo regno.

Serementìs non avrebbe permesso che questi lo conquistassero, o che gli estorcessero un patto di alleanza: il Mensmark era fin troppo vicino alla costa occidentale del Wesmark e, poiché l'Imperatore Kut aveva già il Kinsmark di Brenverìs sulla parte sud-orientale, non poteva permettersi di rimanere intrappolata in un fuoco incrociato; sarebbe stata la fine. C'era poco tempo, bisognava inviare al più presto delle truppe nel Mensmark.

Dopo aver riflettuto un po' sulla questione, Serementìs ripensò a quello che aveva detto il vecchio capoclan a proposito di Mahana − che non era più nel mondo dei vivi − e al criptico responso dell'Oracolo: nulla nelle sue parole sembrava suggerire un suo ritorno, né dal regno dei morti, né da una terra lontana. Forse, allora, era davvero morta anni prima, come avevano confermato gli uomini che aveva inviato alla sua ricerca: uccisa nelle terre di Brenverìs, immersa tra quelle acque popolate di pesci carnivori. Morta e perduta per sempre.

D'un tratto, una familiare figura tra le fronde catturò la sua attenzione e il suo cuore perse un battito. Senza perdere tempo, si lanciò in picchiata verso il punto in cui l'aveva scorta, ma quando giunse a terra, affannata e con gli occhi lacrimanti per il forte vento, non trovò nessuno. Sebbene lo avesse visto solo di sfuggita, sapeva perfettamente di chi si trattava: un misterioso vecchio tutto ammantato, la cui barba grigia raccolta in due trecce spuntava dal lungo cappuccio che ne celava il volto. Spesso, lo aveva visto camminare a fatica, ma senza zoppicare, come se ad incurvarlo non fosse il peso dell'età, ma di un qualche misterioso fardello.

Di solito, si faceva annunciare dal ticchettio dell'inutile bastone marcescente al quale si appoggiava, per poi svanire all'improvviso, dissolto nell'aria come un Effimero, prima che lo si potesse avvicinare. Nel corso della sua vita, Serementìs lo aveva incontrato poche volte, subito prima di eventi particolari: la prima volta era stato il giorno antecedente alla distruzione di Thos da parte della bestia degli abissi, la seconda poche settimane prima che incontrasse Mahana e la terza la notte della sua scomparsa. Inoltre, sembrava che fosse presente ad ogni raduno di Kurenerìs da tempo immemore e non era stata l'unica ad avvistarlo in quel luogo; e tutti ignoravano chi fosse, da dove venisse e cosa cercasse.

Video Introduttivo

Rileggendo il capitolo, mi è sorto un piccolo dubbio: non sarà un tantino lungo? Dato che hanno tutti più o meno questa lunghezza qui, volevo chiedervi se pensate sia il caso di spezzarli a metà.

Nelle mie bio/note, troverete tutti i link alla mia pagina Facebook, Twitter, Tumblr eccetera ecctera. Sono praticamente su quasi tutti i social. Potete trovare "La Maledizione Di Aktanasìl" anche su Wattpad (il link del mio profilo è tra le bio/note).

   
 
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