15/05/2016
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Cara Peggy,
quando il Reverendo Mason ci ha detto di voler celebrare una Messa per l'anniversario della tua scomparsa, Sharon mi ha detto: "Potresti scrivere un discorso e inviarmelo per e-mail, così poi posso stampartelo al lavoro e, in più, sarei davvero curiosa di leggerlo". L'ho ringraziata di cuore e le ho detto che lo avrei fatto. Poi quando sono tornato a casa e ho visto il cursore lampeggiare, freddo ed impaziente, sullo schermo bianco, ho capito che stavo sbagliando tutto. Per cui ho spento il computer e l'ho rimesso a prendere polvere sul tavolo del salotto. Avevo deciso: ti avrei scritto una lettera, a mano. Dopotutto io e te siamo di un'altra generazione, giusto?
Così ora mi ritrovo qui e stringo tra le dita un foglio macchiato e raggrinzito dal sale delle mie lacrime. E nonostante queste dita siano in grado di piegare con facilità una barra di ghisa, ora tremano come se in questo sottile pezzo di carta fosse contenuto il peso dell'intero mondo.
Mi manchi Peggy, mi manchi ogni secondo.
Lo sai, quando ero su quell'aereo e vedevo l'infinita lastra di ghiaccio avvicinarsi inesorabile, con le sue sfumature pallide che si facevano sempre più definite man mano che la distanza diminuiva, il tempo era scandito solo dalla tua voce. Non mi chiedevo quanti secondi mancassero all'impatto ma solo quante parole provenienti dalle tua labbra rosse sarei riuscito ancora ad assaporare prima di perdermi in un eterno e oscuro silenzio. E mentre sentivo la vita che avremmo potuto avere insieme scivolarmi dalle dita come un nastro di seta, capii che non mi sarebbe bastato lasciarmi alle spalle questo mondo con il solo suono delle tue parole. Volevo perdermi nei tuoi occhi scuri ancora una volta, così fissavo la tua foto che avevo appoggiato al pannello di controllo e la imploravo silenziosamente affinché sbattesse le ciglia come facevi tu quando eri imbarazzata o che arrossisse leggermente come arrossivi tu quando ti rendevi conto che sarebbe stato meglio non stare così vicini. Non mi ascoltò quella foto, rimase immobile, impeccabile nascondendo quei delicati difetti che ti avevano resa perfetta ai miei occhi. Ma, in realtà, poco mi importava, volevo solo che tu fossi l'ultima cosa che avrei visto.
E ti penso ancora sai? Quando penso di avere la morte di fronte, io ti vedo. Ti vedo lì con il tuo sorriso timido incorniciato da labbra scarlatte e le ciglia infinite. Ti vedo china su di me mentre allunghi il braccio e mi sfiori la guancia con le dita e mi dici "Rialzati, Capitano Rogers!". E, beh, non puoi lamentarti, finora ti ho sempre obbedito.
Quando sono entrato nell'esercito, e Dio benedica l'esercito per avermi per messo di conoscerti, ho deciso che avrei dedicato la mia vita a difendere la mia nazione, la mia patria. E così ho fatto, e così continuerò a fare. Ma credimi che se ti dico che se avessi mai consacrato la mia vita ad una persona... saresti stata tu. Perché quando pensavo di morire, non era la bandiera americana a farmi rimpiangere gli anni che non avrei vissuto. Eri tu.
Sei sempre stata tu.
Ho imparato a ballare quest'anno. Avresti dovuto insegnarmi tu, ma sono riuscito ad arrangiarmi e devo dire che non sono nemmeno tanto male. L’unica cosa è che mi piacerebbe non ballare solo con il tuo fantasma.
Lo sai Peggy? Io sono morto due volte. La prima quando pensavo che avrei lasciato per sempre il mio primo e grande amore e la seconda quando mi sono reso conto che era stata lei a lasciarmi, per sempre. E mi mancherai Peggy, mi mancherai come la prima volta.
Sempre tuo,
Steve