Se non mi facesse paura, è così che parlerei d’amore.
Parlare d’amore non era facile per la ragazza, che custodiva gelosamente nel suo cuore le proprie convinzioni ed i propri idealismi legati, forse, a modelli infantili a lei propinati quando era bambina.
Parlare d’amore non era facile a quell’età, dove le esperienze e gli errori erano per gli altri tappe imposte dell’adolescenza, ma che per lei erano forse solo tragici intoppi di una disperata ricerca.
Ma se parlare d’amore era difficile per la ragazza, trovarlo era un’impresa insormontabile.
E come un esploratore alla ricerca di un tesoro nascosto, come un cavaliere errante contro i mulini a vento, come un naufrago che cerca disperato la luce del faro, ella non demordeva.
Ella continuava a cercare.
Ma nessuno sapeva della sua impresa. Agli occhi degli altri appariva come tutti: un adolescente che viveva la sua età giorno per giorno, nutrendosi di piccole emozioni che proprio perché adolescenziali, erano per definizione frivole, inconsistenti e fittizie.
Ma lei sapeva, in cuor suo, che quella non era la verità. Ella sapeva di essere diversa, di non essere fatta per quel genere di cose e ripudiava quei modelli di inconsistenza e superficialità che le venivano cuciti addosso soltanto per un numero scritto all’anagrafe.
Sapeva di avere il cuore grande, non di certo più grande di altri, ma sicuramente più pronto ad amare, eppure non si ribellava. Si faceva cucire addosso l’immagine di una ragazza che non era lei.
E finì per crederci in quell’immagine.
La ragazza si comportava come tutte: usciva con le amiche, si crogiolava nelle attenzioni altrui e si trovò un fidanzato più grande, rimandando ad una maturità sopravveniente l’agognata ricerca.
Eppure si chiedeva sempre: c’era un’età per trovare l’amore? C’era un rapporto funzionale tra l’età anagrafica e dunque una presunta immaturità adolescenziale e l’amore vero? Detto banalmente: si doveva essere per forza grandi per poter trovare l’amore della propria vita?
Non lo sapeva. Non poteva saperlo. Non ancora, almeno.
La vita della ragazza proseguì in quel modo per parecchio tempo, arrivando addirittura a dimenticarsi della sua ricerca e perdendo forse un po’ di sé stessa.
Ella pensava ingenuamente che ciò che aveva conosciuto dell’amore fino ad allora, fosse quello che le era dato sapere in quel momento e viveva nell’insoddisfazione di una storia sterile, con la speranza e l’ignoranza di un qualcosa più grande.
Ma quella parte più passionale e primitiva di lei lo sapeva: quello non era ciò che cercava.
Eppure si arrese e rimandò ancora una volta. Si accontentò della normalità, sebbene fosse stata sempre convinta che l’amore non fosse una cosa normale.
Ma poi accadde qualcosa nella vita della ragazza. Qualcosa infranse quell’ordinarietà che inconsciamente la soffocava e che pian piano la stava consumando e lo fece proprio quando meno se lo aspettava.
Partì per un viaggio, che col senno di poi si trasformò nella prima tappa di uno più grande: quello della sua vita.
Mai avrebbe immaginato che quella gita scolastica potesse portare tanto scompiglio nella sua ordinaria esistenza.
Sarà stata l’aria fresca inglese, l’acqua diversa che beveva, gli odori ed i sapori di una terra non sua, ma qualcosa cambiò: si specchiò per la prima volta negli occhi marroni più intensi che avesse mai visto.
E le apparse strano, perché esse non appartenevano ad uno sconosciuto, bensì ad una persona che aveva avuto modo di vedere tutti i giorni in quei primi tre anni di liceo.
Il ragazzo dalle iridi cioccolato era un suo compagno di classe; non lo conosceva bene e le poche parole scambiate si limitavano a frasi di circostanza o questioni scolastiche. Ma quando ci parlò veramente, sentì qualcosa muoversi dentro: uno sfarfallio convulso le fece tremare le viscere.
Si chiese come fosse possibile provare quelle sensazioni a causa di un volto a lei noto, ma non conosciuto; come fosse possibile convivere ogni giorno tra i banchi di scuola e provare solo adesso quelle emozioni.
Forse gli occhi erano fatti per guardare, ma vedevano solo al momento giusto, provò a rispondersi. Ed il momento non era ancora giunto. Fino ad allora, almeno.
Le si aprì un mondo: quegli occhi penetranti le sbarrarono le porte di una nuova dimensione, dove fremeva nel sentirsi accarezzata dall’amorevolezza del suo sguardo ed un semplice tocco le mozzava il respiro, mentre, tremante, finiva per bramarne ancora.
Parlare col ragazzo le veniva naturale e mai si era sentita di dover alzare un muro per tutelare la sua essenza più intima, mai aveva avvertito il bisogno di proteggere sé stessa da lui.
Si fidò subito del ragazzo. Non sapeva dire per quale ragione, ma una voce nel suo cuore le diceva di non aver paura.
Ma lei finì per averne. Si era così convinta che non fosse giunto il suo momento per amare, che non riuscì a fronteggiare razionalmente quelle sensazioni ed il suo cuore finì col scontrarsi con la sua mente.
Scoppiò una guerra nell’anima della ragazza, dove ad ogni emozione provata corrispondeva il senso di colpa ed al solo pensiero del ragazzo, finiva col sentirsi sporca.
La ragazza provò in tutti i modi a respingerlo; si aggrappò con tutta la forza che aveva a quel vestito di inconsistenza che le era stato cucito addosso, pur di non accettare quello che provava, perché secondo la versione disillusa di lei era sbagliato.
Ma c’era un qualcosa di meravigliosamente peccaminoso nei suoi tocchi, nel suo modo di parlare e nel suo solo saperla ascoltare, che non riuscì a separarsene; era così beato il benessere che la sua sola vicinanza le causava, che non c’era convenzione morale o apparenza che potesse tenere.
Lei lo desiderava sopra ogni cosa e la prospettiva di una distanza le appariva più insostenibile di una sua obbligata resistenza.
E finì col cedere al ragazzo. Non poté più fingere che gli sguardi che le riservava, che i tocchi fugaci delle sue dita affusolate, non le incendiassero la pelle, l’anima, il cuore; non poté più fingere che il pensiero di poterlo sentire ancora vicino, che il piacere che il solo respirare il suo odore le causava, non l’accompagnasse ogni ora.
Si lasciò andare.
Lasciò che fosse il suo istinto irrazionale a guidarla in quel baratro di disonesta passione e non ci fu un solo attimo in cui si sentì pentita.
Amava quella sensazione di vuoto che le attanagliava lo stomaco ogni volta che saltavano giù; bastava che la sua mano fosse stretta alla sua.
Non poteva negare che tremasse ogni volta, che in alcuni casi sentiva l’impellente bisogno fare un passo indietro e rimanere con i piedi per terra, perché la paura che quella mano potesse lasciarla e quindi farla schiantare al suolo non l’abbandonava.
Ma finì con l’innamorarsi di quella paura. Finì per amare quella sensazione di brivido che le attraversava la schiena e che la elettrizzava con un semplice incrocio di sguardi ed un sorriso rassicurante.
Eppure non era certo un amore facile per la ragazza.
Ella doveva fare i conti col giudizio degli altri; ella doveva fare i conti con le lingue velenose dei serpenti che facevano dei suoi sentimenti il loro pasto e di pseudo-convinzioni morali che fungevano da motivi d’irrevocabilità di una sentenza pronunciata in nome di un popolo disamorato e privo di alcuna pietà.
Ma come si poteva mettere alla gogna l’amore? Perché vedevano solo il male e non riuscivano a capire che lei non stava facendo altro che seguire il suo cuore?
Semplice, non lo sapevano. Non sapevano cosa fosse l’amore.
Ma lei lottò: lottò contro le malelingue ed i giudici popolari che la dipingevano ancora una volta per quello che non era, lottò per un ragazzo che era già un uomo e che era sicura che l’avrebbe protetta.
E non sbagliò.
***
La ragazza, adesso ventitreenne, salì sulla metropolitana che l’avrebbe portata alla sua università, mentre stringeva alla sua spalla la borsa e prendeva posto dinanzi ad un’anziana signora.
Si guardò intorno, come faceva sempre quando saliva su quel mezzo ed incrociò lo sguardo di ogni singolo passeggero, affascinata dalle stranezze e dalle storie che spesso si leggevano nei loro occhi.
Certo, a volte rimaneva allibita dinanzi agli episodi più strambi, ma qualcuno diceva che guardare dentro alle cose c’era una realtà sconosciuta, per cui si limitava a sorridere ed a scuotere il capo divertita.
Afferrò il suo libro di lettura per impiegare quei minuti di viaggio e non poté fare a meno di ascoltare la conversazione che si levò accanto a lei.
- Ma come fanno sti giovani ad accoppiarsi? Cu sti social network pensano di trovarsi il fidanzato? – domandò interdetta l’anziana signora, suscitando un risolino della ragazza. – Ai tempi miei, bastava uno sfioramento di mano o un mazzo di fiori, quello sì che era amore vero! No sti faccine su quegli aggeggi! –
La ragazza guardò intenerita la signora e pensò inevitabilmente al suo ragazzo.
Erano ormai sette gli anni trascorsi insieme e sorrise soddisfatta al pensiero di aver creduto in un amore su cui nessuno aveva scommesso nulla, al di fuori di loro due.
Gongolava ogni volta che una di quelle persone che le aveva remato contro e che l’aveva giudicata, adesso asseriva convinta di credere all’amore grazie a lei ed al suo ragazzo.
Il cuore le si riempiva di gioia e di emozione ogni volta che lo vedeva e sentiva che nulla era cambiato e che, anzi, forse qualcosa con la maturità degli anni era cresciuto. Loro erano cresciuti. Insieme.
- Come potete voi giovani trovare l’amore così?! E’ impossibile!- esclamò lei convinta.
Chiuse il libro ed alzando il capo, incrociò i suoi occhi in quelli contornati di rughe dell’anziana donna.
- Si sbaglia! – asserì la ragazza decisa e dopo essersi presa un attimo, sorrise raggiante – Io l’ho trovato. -
...Tanti auguri amore mio...
**Note dell'autrice**
Non so cosa dire, sono frasi molto intime.
Spero vi sia piaciuta.
Siuri1